La scrittura delle donne
Abbiamo parlato, tempo fa, dei tentativi effettuati, senza troppo successo, durante molti secoli per dotare la lingua cinese di un alfabeto, tentativi che hanno portato, nel 1958, alla creazione non di un alfabeto, ma di un sistema di trascrizione (il “pīnyīín” 拼音) considerato ormai definitivamente come il miglior risultato che si potesse raggiungere nello sforzo di rendere in maniera fonetica i caratteri cinesi.
È esistita tuttavia, per molto tempo, nell’immenso spazio dell’Impero Cinese, una scrittura: il “nǚshῡ” 女书 ( detto anche ” jiāngyōng nǚshῡ” 江永女书), che presentava, almeno in parte, i caratteri di una scrittura sillabica.
Questa scrittura appariva però, sotto numerosi aspetti, come un fenomeno limitato e marginale perché:
- era utilizzata da un gruppo specifico di persone: le donne;
- metteva per iscritto il dialetto di una minoranza etnica: il “tῡhuà” dello Xiāngnán 湘南土话 , parlato dai membri della popolazione Yáo 瑶族;
- era presente in un’area geografica assai piccola: la contea di Jiāngyōng 江永县 nella parte meridionale del Húnán 湖南;
- perseguiva scopi ristretti.
È vero che, nel 2002, il governo cinese ha creato un “Museo della scrittura delle donne” e che, l’anno successivo, ha designato alcune persone alle quali ha affidato il compito specifico di promuovere e coltivare questo fenomeno da esso considerato come una “intangibile eredità culturale”, ma è altresì innegabile che, in mancanza di una larga cerchia di persone che pratichino spontaneamente questa scrittura, i tentativi di mantenerla ufficialmente in vita non riescono a sottrarsi al sospetto di costituire una mera operazione commerciale e turistica.
Non è neppure chiaro come sia sorto il “nǚshῡ”, in quanto non esistono documenti che consentano di comprovare le circostanze della sua origine.
Secondo una leggenda, una fanciulla sottratta alla sua famiglia per essere condotta nel gineceo imperiale, avrebbe inventato questa scrittura, ispirata ai ricami su seta, per inviare alle sorelle rimaste a casa lettere piene di nostalgia. (2)
Un’altra leggenda, forse più verosimile, parla di una donna, la “Fanciulla di Nove Once” (3), che avrebbe inventato il “nǚshῡ” per comunicare a distanza con altre donne, visto che nessuna di esse era in grado di scrivere e di comprendere i caratteri cinesi tradizionali.
Dapprima ristretto ad una cerchia limitata di utenti, questo tipo di scrittura si sarebbe poi esteso a gran parte della popolazione femminile dell’area. Esso non superò tuttavia mai la soglia dell’uso ufficiale, rimanendo sempre confinato nel ruolo di uno strumento di espressione con il quale piccoli gruppi di persone, appartenenti al sesso femminile, la cui partecipazione alla vita pubblica era quasi inesistente, riuscivano a comunicare tra di loro manifestando il loro disagio per il sistema patriarcale che le opprimeva e scambiandosi lettere e canzoni.
In una società in cui la posizione della donna era marginale e subalterna, giovani donne non sposate usavano riunirsi nei locali delle case riservati al sesso femminile (in genere le stanze interne o le stanze superiori di una casa a più piani) per cucire, ricamare o compiere insieme altri lavori casalinghi. I gruppi di donne che così si formavano erano chiamati “jiébài“ 结拜, termine che esprime l’idea di un vincolo giurato e che si potrebbe tradurre con “sorellanza”. Nel loro ambito si praticavano conversazione, canto, giochi e sorgevano forti legami di amicizia.
Si faceva allora ricorso al “nǚshῡ” per ricamare frasi augurali sui tessuti o per annotare i testi dei canti che nascevano in seno a questi gruppi ( canti detti “nǚgé” 女歌, cioè “canzoni delle donne”) o ancora per redigere lettere di auguri da inviare alle amiche che si sposavano. Molte delle testimonianze di “nǚshῡ” che ci restano sono infatti le cosiddette “lettere del terzo giorno 三朝书”(“sānzhāoshῡ”), piccoli quaderni di auguri inviati a una novella sposa dalla madre, dalle sorelle o dalle amiche che facevano parte del suo gruppo. Ci sono giunti, naturalmente, anche se in quantità estremamente più ridotta, esempi di piccole poesie o di preghiere (ricamate su tessuti o su abiti) nonché di opere più impegnative: ballate, biografie o autobiografie. Un tema ricorrente delle poesie scritte in “nǚshῡ” era il lamento sulla propria triste condizione (诉可怜 “sù kĕlián”, letteralmente “lamentare la propria miseria”) che forniva alle fanciulle oppresse una valvola di sfogo.
Come si è detto, il “nǚshῡ” è, almeno in parte, una scrittura fonetica, in cui un gran numero di segni rappresentano suoni sillabici del dialetto “tῡhuà”土话. Il numero di questi segni corrisponde tuttavia soltanto alla metà delle sillabe usate in questo dialetto, giacché viene ignorato il tono, che può conferire ad una stessa sillaba un diverso significato. Ciò sembra provare le scarse ambizioni nutrite, fin dall’inizio, dal “nǚshῡ”, che non ha mai cercato di evolversi in una forma di scrittura capace di riprodurre tutta la gamma lessicale del dialetto “tῡhuà”, e, meno che mai, l’enorme ricchezza lessicale della lingua mandarina. Non si può infatti non rilevare che, in coerenza con un obiettivo cosciente di creare una scrittura fonetica, non si sarebbe potuto prescindere dal tentativo di elaborare un sistema di segni che corrispondessero almeno a tutti i diversi toni delle singole sillabe.
Va inoltre osservato che esistevano nel “nǚshῡ” molte varianti di uno stesso segno. (4) Un dizionario compilato da Zhōu Shuòyí (5), l’unico studioso che si sia interessato in modo approfondito al “nǚshῡ”, elenca infatti circa 1800 segni diversi.
Qual è l’origine dei segni utilizzati dal “nǚshῡ”?
Poiché le donne che utilizzavano questa scrittura vivevano in una società caratterizzata dall’uso dei caratteri classici, si può immaginare che la maggioranza delle donne avesse conoscenza quantomeno dei caratteri più semplici e d’uso più comune.
Una teoria abbastanza diffusa ipotizza perciò che gran parte dei segni utilizzati dal “nǚshῡ “derivino dalla scrittura corsiva dei caratteri classici.(6) Si spiegherebbe in questo modo il passaggio dalla forma quadrata dei caratteri classici ad una forma romboidale, che, d’altra parte, risultava più adatta al loro riporto su un ricamo. Un esempio tipico in questo senso è fornito dallo stesso segno usato per designare la “donna”, che riprende esattamente, seppure in una forma più allungata, il carattere “nǚ” 女(donna”). (7)
Con riferimento ai numerosi caratteri ripresi dal “nǚshῡ” senza modifiche, anche se, a volte, con la cosiddetta “inversione a specchio” (8) o con leggere alterazioni volte a semplificarli (ad es. la soppressione di alcuni tratti), l’enciclopedia on-line Wikipaedia afferma che essi vengono usati non con valore fonetico, ma con valore logografico. Ad es. Il già citato segno “nǚ” 女 non riprodurrebbe la relativa sillaba, ma significherebbe semplicemente “donna”. Valore logografico conserverebbero anche alcune centinaia di altri segni in cui, nonostante l’estrema semplificazione, sarebbe ancora riconoscibile la forma del carattere originario. In sostanza, il “nǚshῡ” non sarebbe quindi una scrittura puramente fonetica, bensì una scrittura mista in cui si sarebbe fatto ricorso a segni con valore fonetico per ovviare alla difficoltà di memorizzare e riprodurre caratteri troppo complessi. Vero valore fonetico avrebbero quindi soltanto circa 130 segni che sarebbero stati creati sia semplificando un carattere sino a renderlo irriconoscibile sia utilizzando soltanto uno o più tratti ai quali è stato attribuito il valore di un segno distinto.
Concludendo, il “nǚshῡ” ha costituito , nel suo ambito limitato di utilizzazione, un fenomeno interessante e significativo, anche se non può essere considerato un vero tentativo di creare una scrittura fonetica, in quanto non sarebbe comunque stato in grado di soddisfare i requisiti di un vero alfabeto.
Esso può invece, a mio avviso, essere considerato come un valido tentativo di un gruppo più o meno vasto di donne in una certa zona della Cina di conseguire un certo livello di “alfabetizzazione”, se usiamo questo termine nel senso generico di “capacità di esprimere il proprio pensiero per iscritto”.
Come abbiamo già detto, il sistema patriarcale prevalente in Cina sino al XX° secolo, confinava le donne nel ristretto spazio familiare, precludendo loro a priori qualsiasi prospettiva di sviluppo culturale e di partecipazione alla vita politica, sociale e letteraria.
Non mancano di certo, nella millenaria storia della Cina, poetesse importanti, le quali possedevano necessariamente una formazione culturale di alto livello e padroneggiavano
con maestria la scrittura, ma si tratta di casi isolati di persone che ebbero la fortuna di vivere in un ambiente familiare particolarmente aperto o di trovarsi, per un felice complesso di circostanze, ad operare in ambienti particolarmente vivaci dal punto di vista intellettuale. (9) Il loro numero era però infinitesimale rispetto alla massa di donne che non disponevano di alcuna formazione.
Si può immaginare che, almeno nelle città e nelle classi sociali superiori, le donne avessero occasione di vedere con una certa frequenza testi scritti (si pensi, per fare l’esempio più immediato, alle insegne dei negozi) e che le più attente avessero potuto memorizzare alcuni caratteri più semplici (ad es. i caratteri che designano l’uomo,la donna, l’acqua, il cielo, i campi, i diversi numeri, etc).
Nel caso del “nǚshῡ” ci troviamo di fronte ad un gruppo di donne che, di fronte all’impossibilità, in mancanza di qualsiasi forma di insegnamento, di imparare e memorizzare i caratteri più complicati, ha cercato ingegnosamente di aggirare l’ostacolo semplificando i caratteri o formando nuovi segni con l’uso di un numero minimo di tratti (10).
Il tentativo non ha dato vita ad una nuova forma di scrittura di uso generalizzato, ma ha consentito alle donne di comunicare tra di loro anche in caso di lontananza e di tramandare nel tempo una serie di pensieri, di canti, di ricordi e talvolta di vere e proprie narrazioni, che altrimenti sarebbero andati perduti.
NOTE
1) È difficile individuare una data d’origine di tale scrittura, che non veniva usata per i documenti ufficiali né per i testi letterari. Gli oggetti di uso comune, tessuti ricamati e scritti privati, sui quali si potevano trovare esempi di scrittura “nǚshῡ” venivano spesso bruciati alla morte dei loro proprietari o seppelliti con essi. Inoltre il clima caldo ed umido della regione non favoriva la conservazione di documenti cartacei cui veniva prestata scarsa attenzione perché considerati di poca importanza.
Si può tuttavia osservare che esempi di scrittura semplificata simili al “nǚshῡ” si ritrovano in altre aree dialettali cinesi fin dai tempi delle dinastie Sòng 宋朝 e Yuán 元朝.
2) La leggenda presenta un punto debole. In effetti, se la fanciulla che inventò il “nǚshῡ”non sapeva scrivere in caratteri cinesi, come sarà riuscita riuscita a spiegare di lontano alle destinatarie delle sue missive il significato dei caratteri “nǚshῡ”? Se invece-cosa assai improbabile- padroneggiava bene tali caratteri, che bisogno avrebbe avuto di ricorrere ad un altro tipo di scrittura?. Si può sempre pensare che la fanciulla preferisse usare una scrittura segreta per confidare alle sorelle pensieri “riservati”, ma allora si dovrebbe concludere che anche le sorelle conoscessero già questa scrittura e che quindi questa già esistesse prima della partenza della fanciulla per il gineceo imperiale.
3) In certe zone, era abitudine attribuire ai bambini un soprannome legato al loro peso al momento della nascita. Cfr. , a questo riguardo, nella rubrica “Prosa Cinese”, il racconto”Un Momento Difficile” di Lǔ Xún.
4) Trattandosi di una scrittura scarsamente codificata, non è raro imbattersi in piccole varianti di uno stesso segno, dovute alle preferenze personali delle singole utilizzatrici.
5) Zhōu Shuòyí 周碩沂 (1926-2006), nato a Zhōujiābāng 周家邦 nella contea di Jiāngyōng 江永县, è noto come il “primo ed unico uomo” ad aver studiato il “nǚshῡ”. È autore di un “Dizionario del nǚshῡ” (女书字典 “nǚshῡ zìdiǎn”).
6) Ciò fornisce, tra l’altro, una spiegazione abbastanza plausibile della forma di questi segni, che, per la loro apparenza sottile e allungata, erano chiamati “caratteri a forma di moscerino” (蚊形字 “wén xíng zì”). Fondandosi sulla somiglianza di questi segni con i caratteri che figurano sui carapaci delle testuggini e sugli ossi oracolari del periodo Shāng 商 朝 (1600 circa a.C.- 1046 a.C.), alcuni studiosi hanno ritenuto che il ”nǚshῡ” abbia origini antichissime, ma l’opinione prevalente nella dottrina è che, pur non potendosi escludere del tutto la presenza di antecedenti in epoche più lontane, esso sia nato e si sia sviluppato sotto la dinastia Qīng 清朝.
7) Nei segni usati per indicare l’acqua, la donna, i numeri uno, due e tre, l’uomo e il cielo, è facile riconoscere la derivazione dalla forma corsiva dei rispettivi caratteri cinesi.
Problemi tecnici mi hanno impedito di trasferire qui i segni “nǚshῡ" che avevo riportato nel dattiloscritto. In attesa di risolvere il problema, segnalo che questi segni sono reperibili in: https://nushuscript.org/en-US/ Online Nushu Dictionary Converter of Dictionary of Nushu Standard Characters
水 女 一 二 三 人 天
In talune varianti la semplificazione appare ancora più spinta, ad es. i trattini laterali del carattere acqua sono ridotti a due puntini.
8) Si ha la cosiddetta “inversione a specchio” quando un carattere si presenta orientato in senso opposto a quello abituale, come se fosse riflesso in uno specchio.
9) Basti ricordare, a questo riguardo, Cài Yān 蔡 琰 (2° secolo d.C.), Yú Xuánjī 魚玄機 (840 circa d.C.- 868 circa d.C.), Lĭ Qīngzhào 李 清 照 (1080 d.C. circa-1150 d.C.circa), Liú Rùshì 柳 如 是 (1618-1664), e molte altre donne, la maggior parte delle quali proveniva tuttavia da famiglie di letterati.
10)
Riporto, qui di seguito, alcuni esempi di modifiche effettuate a partire dal carattere cinese.
Il carattere “口” (“kǒu” “bocca”) può essere scritto come due archi, simili a una una coppia di parentesi "()" che si fronteggiano in modo da formare un cerchio. Il carattere “水” ( “shuĭ” “acqua”) si trasforma in una linea verticale fiancheggiata da due puntini. Il carattere “山” (“shān”, “montagna”) prolunga verso il basso l’asticella centrale “丨” e diventai “屮”. Il trattino “丨” sul lato destro del carattere “曰” (“yuē” “dire”) è privato della sua metà superiore e il segno che ne risulta assume una forma simile al numero 6. Il carattere “七” (“qī” “sette”), dopo aver eliminato il gancio "乚" cambia direzione e viene scritto in un arco a forma di “)” (esempio di orientamento in senso opposto o inversione a specchio). Il carattere “手” ( “shǒu” “mano”) perde un tratto orizzontale e diventa “于”. Il carattere “炭” (“tàn” “carbone”) viene privato della componente “山” (“montagna”) in alto, e il resto dei caratteri diventa la struttura superiore e inferiore di "木+十". Le tre linee orizzontali su entrambi i lati del carattere “非” (“fēi” “non”) vengono invece ridotte a puntini. Ci sono poi esempi di rotazione dell’intero carattere: in “下” (“xià” “sotto”) il trattino verticale "丨" viene spostato nell'angolo inferiore sinistro e poi collegato con la linea orizzontale inclinata per creare una forma simile a una "Y”. In altri casi si spostano invece soltanto alcune componenti del carattere: il "氵" a sinistra del carattere "油" (“yóu” “olio”) viene trasformato in tre puntini paralleli e poi spostato nella parte inferiore di "由".
Alcuni caratteri “nǚshῡ” qui descritti, ma non riprodotti, dovrebbero essere reperibili cliccando su https://en.wiktionary.org/wiki/Appendix:Unicode/Nushu