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Zhù Jīng 朱 婧, nata nel 1982, originaria di Yángzhōu 扬州 nel Jiāngsῡ 江苏, ha conseguito un un dottorato in Letteratura ed insegna attualmente , in qualità di professore associato. presso la Scuola di Arti Liberali dell'Università Normale di Nanchino 南京师范大学文学院. Ha scritto raccolte di novelle: “Come gocciola dalle grondaie”( 譬若檐滴 “pì ruò yándī”), “L’uomo scelto dai gatti” (貓選中的人 “māo xuǎn zhōng de rén ”), e ha vinto numerosi premi letterari.
UNA DONNA AL RISTORANTE
I loro rapporti erano diventati più stretti dopo che lei era tornata libera.
All’inizio l’aveva semplicemente invitata a cena.
Più di mille chilometri separavano le città in cui abitavano e nessuno dei due aveva voglia di mettere in discussione la propria solida carriera e il proprio modo di vivere.
Poiché la sua posizione gli permetteva di organizzare, a propria discrezione, viaggi d’affari, lui cominciò a visitare con maggior frequenza la città in cui lei viveva.
Scelse anche di alloggiare nell’hotel convenzionato con la sua società, che era assai vicino al luogo in cui lei abitava, non più di cinque o sei minuti a piedi. In questo modo, diventava più facile pranzare insieme.
Si erano persi di vista per almeno dieci anni. Durante questo periodo, lui aveva vissuto una vita da scapolo, che non era stata affatto monotona, e lei aveva vissuto una delicata esperienza di donna sposata.
Quando lei indossò gli abitì di lutto ed acquisì lo status di vedova, lui riapparve, senza farsi notare.
Trascorreva, più volte l’anno, qualche giorno di ferie, sovente combinandolo le vacanze con un viaggio d’affari, in una bella città distante meno di duecento chilometri da quella in cui abitava lei. Ciò gli consentiva di arrangiare leggermente le coordinate della destinazione così da renderle favorevoli ai suoi nuovi progetti.
Arrivava sempre di venerdì, il giorno ideale, e faceva in modo di sbrigare i suoi affari durante la giornata. A partire dalla sera, era libero per tutto il week-end e sarebbe tornato al lavoro soltanto il lunedÌ.
Il venerdi era veramente il giorno ideale. I nonni andavano a prendere i figli di lei all’uscita della scuola e lei sarebbe stata libera dalla cura dei bambini e dalle abituali preoccupazioni che la tenevano impegnata nel corso della settimana.
Ritornando a casa dal lavoro il venerdì, lei si sente rilassata. Salita sulla metropolitana, sceglie un sedile laterale, si appoggia allo schienale e, con calma, tira fuori dalle scarpe di cuoio i piedi inguainati nelle calze nere. Prende sempre il metro alla stazione centrale, poi scende e va al supermercato sotterraneo nel quartiere commerciale a comprare il latte e cibo da portare a casa.
Questi gesti non la disturbano, anzi, la mettono pienamente a suo agio.
È da cinque anni che porta il completo grigio di lino-cotone che ha indosso. Gli altri abiti che tiene nel guardaroba sono della stessa marca, di taglio analogo e differiscono soltanto leggermente gli uni dagli altri per stoffa e colori.
Per le scarpe da indossare nei suoi spostamenti tra casa ed ufficio, ha scelto un modello di tipo maschile (1), che è difficile trovare nei negozi di scarpe per signora. Il cuoio è morbido, confortevole e poco costoso. Ne compra cinque o sei paia, tutte insieme, per averne una buona scorta.
Se la vita potesse essere riassunta in uno slogan, il suo motto sarebbe chiaro e semplice: “ordine e sicurezza”.
Di fronte al bancone del cibo, dove compra ogni venerdì la sua cena, sceglie senza dubbi né esitazioni da una rosa di pochi piatti ben precisi.
Purtroppo, non può aprire un nuovo pacco e tirarne fuori un marito tutto nuovo esattamente come sfila via la carta che avvolge un pacchetto per estrarne una nuova camicetta o apre la scatola delle scarpe per tirarne fuori un nuovo paio di scarpe, senza che ciò alteri minimamente la serenità della sua vita.
La prima volta che lui l’ha invitata a cena è stata all’inizio della primavera, in aprile. Era uno di quei rari giorni d’aprile in cui faceva già caldo e si poteva uscire con una camicetta e una giacchetta.
L’aveva portata in un ristorante situato in un piccolo edificio raggiungibile attraverso un sentiero che passava per un giardino. Il posto era estremamente tranquillo. Lei aveva aperto la porta e si era trovata direttamente in una saletta già apparecchiata. Non c’era nessuno in vista, ma il cameriere era subito accorso e aveva servito, uno dopo l’altro, i piatti che gli erano stati ordinati. Il cibo era ordinario, ma abbondante. Gli ingredienti dei diversi piatti: ginseng, orecchia marina e pinne di pescecane erano presentati in porzioni più che sufficienti per un pasto normale.
Lei non gli aveva detto che era proprio quello il ristorante che suo marito sceglieva regolarmente per il cenone annuale e che il sentiero nel giardino, lo stile della costruzione, la cucina le erano familiari. Non glielo aveva detto perché aveva soggezione della persona che le stava di fronte e perché non si confidava facilmente né si lasciava prendere dalla malinconia.
In realtà, non erano due estranei, anzi erano quasi intimi.
Già tempo prima, molto tempo prima, avevano mangiato insieme, prima ancora che lei conoscesse suo marito.
Lui, infatti, era un amico del padre di lei, nonostante la differenza d’età, ed era invitato ai pranzi di famiglia.
Era molto giovane allora ed aveva visto quanto fosse severa l’educazione di lei. Quando era una ragazzina, se, senza farci caso disturbava la conversazioine degli adulti, il padre la rimproverava. Se posava le bacchette prima di aver terminato il proprio piatto, il padre la picchiava sulle dita con le sue bacchette. Se faceva rumore bevendo la zuppa, il padre la prendeva in giro e ne imitava la malagrazia.
Ora che si ritrovavano a mangiare insieme, le immagini di un tempo si sovrapponevano facilmente a quelle attuali.
L’educazione paterna aveva fatto sì che ora il comportamento di lei fosse quello di una persona perfettamente educata. Tagliava a pezzettini il cibo nel piatto prima di portarlo alla bocca, rimuoveva gli ossicini dalla carne e le lische dal pesce, masticava coprendosi la bocca con la mano ed evitava di ingoiare grossi bocconi, così da poter masticare facilmente e da poter parlare mentre mangiava.
Aspettava che la zuppa si raffreddasse e poi ne gustava un po’, riempiendo il cucchiaio solo a metà e stando attenta a non lasciar colare il liquido.
Quella sera, lui provvide a liberare l’aragosta del suo carapace e la tagliò in piccoli pezzi perché lei potesse mangiarla con comodo. Sembrava una cosa naturale, ma fu un eccesso di cortesia che la sorprese e la sconcertò.
Non essendosi visti per molti anni, mancavano loro gli argomenti di conversazione.
Lui si mise a parlare di se stesso, della città in cui viveva, del suo lavoro, delle sue conoscenze, dei suoi viaggi e delle sue malattie.
Lei pensava a quando veniva lì a cena con suo marito. Era allora una piacevole distrazione ascoltare talvolta, facendo finta di niente, ciò che si dicevano l’uomo e la donna seduti al tavolo accanto, che erano manifestamente due che s’erano dati un appuntamento. Dopo la cena, lei e suo marito, sapevano tutto o quasi della coppia seduta al tavolo accanto, delle loro famiglie e dei loro vicini, dei loro divertimenti, della loro infanzia e dei giochi che avevano sul telefonino.
Grazie alla memoria si può far rivivere il passato e rivedere nell’immaginazione ciò che si è stati. Le luci e le ombre della memoria sono un trucco piacevole. Non si ha a che fare con falsità deliberate, ma soltanto con ricostruzioni della cui veracità la persona stessa è sinceramente convinta.
Lui le parlava della piccola città in cui avevano vissuto entrambi vent’anni prima e della casa di sua zia, che un fiume separava dalla casa di lei. A quei tempi, spesso le faceva visita dopo essersi recato a trovare la zia. Ricordava il carattere forte, ma gentile della zia, e la tristezza in cui la poveretta trascorreva ora la sua vecchiaia dopo essere stata colpita da un ictus. Diceva che le tante buste rosse (2) che aveva offerto alla zia in occasione dei suoi compleanni erano ben nascoste in fondo a qualche valigia e che non avrebbe avuto alcuna possibilità di spenderle finché la zia non fosse morta.
Parlava del clima e del cibo nella piccola città in cui era cresciuto. Quali che fossero le esperienze culinarie che aveva acquisito altrove, gustava sempre con piacere quei cibi: i dadini di tofu tagliati con cura che spuntavano come fiori in mezzo al brodo, lo stufato di carne d’oca immerso in una marinata d’olio aromatizzato, i freschi gnocchi alle erbe di un color verde intenso, che erano più gustosi nella tarda primavera, quando la zia aveva appena raccolto, messo da parte e cotto le diverse verdure.
Raccontava che, d’estate, arrivando a casa della zia, trovava sempre un’anguria messa rinfrescare nell’acqua gelida del pozzo.
Ricordava il profumo del granturco appena cotto e delle castagne d’acqua.
Sembrava aver completamente dimenticato quanta voglia avesse a quell’epoca di andarsene dal paesello natio.
Vedendo che a lei non piacevano alcuni piatti, tentò ripetutamente di persuaderla ad assaggiarli, ma senza successo e le domandò sorridendo: “Sai qual è il cibo più incredibile che io abbia mai mangiato?”.
“Non dirmelo” gli rispose lei.
Lui, peró, voleva raccontarglielo ed insisteva, sempre con il sorriso sulle labbra.
Lei assunse un’espressione indifferente, come se non lo stesse più ascoltando, ed alla fine lui non fu in grado di capire che cosa gli avesse risposto.
La conversazione dopo cena fu altrettanto insignificante.
Lei faceva finta di ascoltare e rispondeva sempre a tono, ma sembrava che in realtà stesse pensando ad altro.
Si scorgeva in cielo la luna nuova, piccola e fragile. Le ombre degli alberi sembravano danzare al suo chiarore. Un gatto selvatico, che passeggiava su un muretto, sparì tra i cornicioni delle case, chissà dove.
Era un giorno quasi bello, ma non c’era ancora sufficiente intesa tra loro due.
Lui, che era grasso e non sopportava il caldo, si tolse la giacca, sotto la quale indossava soltanto la camicia, ma, quando un soffio di vento si insinuò tra i bottoni, sentì freddo. Lei lo aiutò a rimettersi la giacca.
Non più tardi di mezz’ora dopo, la riaccompagnò a casa.
Sulla porta della residenza condominiale, lei alzò la mano per salutarlo, mentre lui le porgeva la mano. Ci fu un momento di imbarazzo, poi entrambi ritirarono la propria mano e i due si separarono.
Erano passati quattro anni dalla morte del marito. La vita che lei faceva era molto meno interessante di quanto gli altri pensavano che fosse. Quando si trovava davanti a qualcosa che non riusciva a spiegare, era facile per lei credere che fosse dovuto più alla sua condizione di vedova che al suo fascino personale. La stessa riapparizione del vecchio amico di gioventù andava semplicemente interpretata come un caso fortuito. Se qualcosa era cambiato, si trattava soltanto del fatto che la cena del venerdi era diventata per lei una sorta di compensazione che le era dovuta in risarcimento di una vita insignificante.
Mangiare da sola, infatti, non le piaceva. Pensandoci bene, non c’era alcun locale in cui una donna di mezz’età potesse decorosamente mangiare da sola.
Dopo la morte del marito, non era più andata in cerca di nuovi ristoranti. In occasione della Festa di Capodanno, continuava a riservare per la riunione della famiglia i soliti locali. I bei ristoranti in cui suo marito soleva portarla a cena durante il loro matrimonio non erano posti adatti per cenare da soli, o, piuttosto, lei non s’era adattata a cenare da sola in quei ristoranti.
Poteva mangiare da sola, durante la settimana, nei fast food dei supermercati o presso le bancarelle che si trovavano per strada, ma non riusciva ad immaginare di adottare tale soluzione anche per i pasti del week end. Preferiva allora portarsi a casa i pacchetti di cibo da asporto.
Talvolta, mangiare da sola poteva assumere il sapore di un’avventura.
Un giorno, all’uscita dal lavoro, si era recata in un vicino ristorante dove lei e suo marito avevano l’abitudine di pranzare. Era un locale che avevano scoperto verso la fine dei loro studi universitari. Era stata lei a notare un annuncio su una brochure DM (3), un piccolo annuncio che pubblicizzava l’apertura di un ristorante familiare.
Il ristorante si trovava all’interno della città universitaria, in cui entrambi studiavano, ed era costituito da un locale situato al primo piano di un condominio.
Erano andati lì a mangiare ed avevano scoperto che il padrone del ristorante era un giovane della loro età. La cameriera, che rassomigliava ad una attrice del cinema chiamata “Kuí”, era la ragazza del titolare. Quest’ultimo aveva raccontato loro che aveva aperto il ristorante subito dopo aver frequentato un corso di dottrina buddhista ed aveva domandato loro più volte se trovavano buono il cibo. In effetti, il cibo era squisito e l’ambiente era calmo e gradevole.
Erano ritornati più volte in quel ristorante e, anche dopo essersi sposati ed essersi trasferiti assai lontano, andavano talvolta a mangiare lì.
Il padrone del ristorante aveva incrementato i suoi affari ed aveva sposato la cameriera, che ormai si faceva vedere raramente in sala. La coppia aveva avuto una figlia.
In seguito l’uomo aveva aperto un secondo locale e non era più presente tutti i giorni nel primo ristorante.
Aveva così finito col possedere cinque ristorantini, piccoli e arredati in modo essenziale, ma noti per la qualità del cibo e molto frequentati, tanto che c’era sempre la coda dinanzi all’entrata.
Tornata da sola in uno di quei ristorantini, la donna aveva detto al cameriere che intendeva sedersi al bancone ed aveva chiesto se ci fosse da aspettare molto. L’avevano rapidamente fatta entrare e si era sistemata al bancone. Aveva ordinato e le erano stati serviti diversi piatti: spiedini di pollo in salsa aromatica, luccio sauro del Pacifico, grigliato alla perfezione, riso al tè con contorno di prugne cotte e di alghe. (4). A tre sedie di distanza da lei, all’altra estremità del bancone, era seduto un giovane che però si mostrava tutto intento a mangiare, esattamente come faceva lei.
Alle pareti del locale erano ancora appese le magliette dei giocatori della squadra per cui tifava il padrone ed accanto ad esse c’erano parecchi ganci ai quali i clienti potevano appendere i loro soprabiti.
Molte volte, quando lei e suo marito erano andati lì a mangiare durante l’inverno, avevano appeso ad uno stesso gancio i loro cappotti, prima quello del marito, poi il suo, l’uno sopra l’altro. Sedevano l’uno accanto all’altra in uno spazio ristretto, mangiavano sukiyaki (5), bevevano tè caldo e si riscaldavano così le mani e lo stomaco.
Dopo la prima cena, che non era stata un gran successo, l’amico di gioventù continuò a venire nella città in cui lei abitava per cenare con lei.
La seconda volta, lui prenotò un tavolo presso il ristorante cinese dell’albergo in cui alloggiava. Aveva passato la giornata nella zona indutriale al di là del fiume per aiutare un partner commerciale a perfezionare l’acquisto di un cantiere navale. Ritornando in città, era rimasto invischiato in un ingorgo nel tunnel che passava sotto il fiume e così, per non perdere tempo, aveva ripiegato su una cena al ristorante dell’albergo. L’hotel non era granché, nonostante le sue cinque stelle, le persone sedute a tavola nel salone del ristorante erano poche ed il cibo non era tale da lasciare un imperituro ricordo nella memoria dei commensali.
Durante il pasto finirono entrambi col parlare di ciò che avevano fatto durante il giorno, poi passarono alle notizie della giornata e ad argomenti generici.
Lei ascoltava e lo fissava talvolta brevemente, per poi distogliere subito gli occhi e volgere lo sguardo da qualche altra parte.
Annuiva con la testa e rispondeva, per mostrarsi interessata alla conversazione, ma non faceva domande e, meno che mai, affrontava nuovi argomenti. Sarebbe stato difficile affermare che mostrasse un qualunque interesse ad approfondire la vita di lui od il suo carattere.
Terminata la cena, lui la invitò a salire in camera sua per proseguire la conversazione. Lei esitò un istante, poi entrò con lui nell’ascensore. Si mantennero un po’lontani l’uno dall’altro, anche se si trattava di un piccolo ascensore concepito per due sole persone.
Passarono diversi piani. Quando uscirono dall’ascensore, il suono dei loro passi si spense sul denso tappeto del corridoio.
Occorre dire che nessuno dei due stava fantasticando chissà che cosa, ma che piuttosto ciascuno dei due era immerso nei propri pensieri.
Dopo che furono entrati nella stanza e si furono seduti , lui le chiese se desiderasse un bicchier d’acqua e poi le preparò una tazza di tè.
Si sforzava di comportarsi in modo aperto e spontaneo e continuava a parlare del più e del meno.
Lei capiva ciò che lui avrebbe voluto dire, senza averne il coraggio, ma ritenne che spettasse a lui prendere l’iniziativa.
Anche l’ultima volta che si erano visti da giovani, era stata d’estate, in un umido e piovoso mese di giugno, in quella città ornata di un bel lago e circondata in lontananza dalle montagne.
A quel tempo, lei era in procinto di affrontare un momento cruciale della sua vita. Stava infatti preparando le nozze, che erano state fissate per la fine dell’anno.
Lui si trovava lì in vacanza proprio nel periodo in cui lei e il suo fidanzato stavano pianificando il viaggio di nozze.
Una sera, il fidanzato aveva organizzato una serata con gli amici della sua squadra di calcio, ma lei non aveva voluto partecipare.
Lui l’aveva invitata ad una passeggiata sul lungolago e lei aveva accettato.
Dopo aver passeggiato un po’, a lui era venuta la stupida idea di noleggiare una bicicletta per fare il giro del lago ed aveva voluto portarla con sé.
Dopo un po’ di tempo, lei s’era sentita esausta e profondamente insoddisfatta. Seduta sul sellino posteriore del tandem (6), vedeva la camicia bianca di lui tutta impregnata di sudore e scorgeva sul suo collo brillanti perline di sudore. Gli aveva allora consigliato di lasciare la bici, e di prendere piuttosto un taxi. A causa della delusione e dell’umidità lei non si sentiva più in grado di apprezzare l'escursione serale, ma lui aveva insistito per fare in bicicletta l’intero giro del lago. A questo punto, lei non aveva resistito e, saltata giù di sella, si era messa a corrergli accanto, pur rendendosi conto dell’assurdità del gesto. Intanto, si stava facendo sempre più tardi e, verso le dieci di sera, aveva deciso di tornare in albergo. Aveva chiamato un taxi e lui, lo aveva lasciato a pedalare da solo in riva al lago.
Dopo aver fatto una doccia ed essersi rivestita, aveva ricevuto da lui un breve messaggio in cui si lagnava che lei lo avesse trascurato e lasciato solo a pedalare a notte fonda. Aggiungeva che, se lui si fosse sposato all’età in cui normalmente ci si sposa ed avesse avuto un figlio , lei avrebbe avuto dieci anni di troppo per essere amica di suo figlio e sarebbe stata troppo giovane di dieci anni per essere amica sua. Questa lamentela senza capo né coda l’aveva lasciata esterrefatta.
Il giorno dopo, mentre pedalava da sola in bicicletta sul lungolago, lo aveva incontrato. Sembrava di buon umore ed aveva addirittura pregato i passanti di prendere fotografie di loro due insieme. Più tardi, le aveva persino inviato una e-mail.
Quella sera, il fidanzato aveva organizzato una cena formale presso il ristorante dell’hotel in cui alloggiavano, invitando parenti ed amici, ai quali l’aveva presentata e dai quali la coppia aveva ricevuto i più vivi auguri.
La cena era stata deliziosa. Alla fine, sentendosi un po’accaldata, s’era fatta accompagnare fuori in giardino dal fidanzato per godere di un briciolo di frescura. Il gorgoglio dell’acqua che scorreva, il frinire degli insetti, le luci che illuminavano dal basso i tortuosi sentieri del giardino, creavano l’impressione di trovarsi in un mondo sereno e lontano.
Questa atmosfera di serenità fu spezzata un mese o due più tardi.
Mentre la data delle nozze si avvicinava, sua madre le aveva confessato che suo padre si trovava di nuovo in difficoltà finanziarie e che aveva bisogno urgente di una certa somma. Lei non aveva potuto far altro che cercare di consolarla con le solite frasi di circostanza, pur sapendo che non avrebbe potuto chiedere al suo futuro marito di venire in sostegno alla sua famiglia. Si era appena laureata e non disponeva di conoscenze importanti. Allora, si era rivolta a lui per aiuto, e lui le aveva semplicemente rifiutato qualsiasi aiuto, senza neppure preoccuparsi di vedere se ci fosse un modo di soccorrerla.
Il problema si era poi risolto più facilmente di quanto si potesse prevedere e suo padre aveva potuto superare le proprie difficoltà finanziarie prima di quanto si pensasse.
Le nozze si erano svolte, come previsto, durante l’inverno, con una splendida festa, nel corso della quale parenti ed amici, raccolti intorno agli sposi, avevano formulato loro i più sinceri auguri di un felice avvenire.
Ora, lui finì coll’accennare anche ai genitori di lei, pregandola di portar loro i suoi saluti e domandandole come andassero gli affari del padre. Parlarono delle difficoltà finanziarie di molti anni prima e lei gli raccontò che erano state rapidamente superate. Lui precisò che, a quel tempo, aveva investito tutti i suoi risparmi e che non sarebbe stato in grado di liquidarli in breve tempo. Lei chinò il capo come per dargli ragione, poi gli raccontò che il problema era stato rapidamente risolto grazie all’utilizzo di uno strumento finanziario di cui a quell’epoca lei ignorava addirittura l’esistenza.
“Qualcuno mi aiutò ad accendere un mutuo, se ne accollò gli interessi per un anno e risolse il problema. Mio padre più tardi s’è fatto una posizione nel settore industriale”. Lo guardò con un leggero sorriso e ripetè che prima non era mai stata a conoscenza di quello strumento commerciale.
“Io lo conoscevo” rispose lui” ma sapevo che non era economicamente vantaggioso”.
Lei non disse altro. Non gli spiegò che la persona che l’aveva finanziata era un ragazzo che aveva preso una cotta per lei quando lei era ancora adolescente. Non era un bel ragazzo, ma aveva un padre influente. Non soltanto le aveva avanzato i soldi per accendere il mutuo, ma aveva anche pregato il proprio padre di convogliare sulla nuova fabbrica che il padre di lei stava creando gli ordinativi di numerose istituzioni. Che cosa le aveva chiesto in compenso? Nulla. Non l’aveva nemmeno presa in considerazione.
Dopo che avevano discusso e risolto il caso, avevano deciso di vedersi a cena.
Avevano scelto di cenare al buffet di un vecchio hotel. Era una sala ampia e luminosa, al primo piano dell’edificio, con vetrate che andavano dal pavimento al soffitto.
Il ristorante era all’antica e la mediocrità del cibo risultava evidente, come un amore finito male.
Lei si era avvicinata al buffet e aveva preso pro forma qualche stuzzichino, ritenendo di dover mangiare qualcosa anche se il cibo appariva poco invitante. Doveva dare l’impressione di essere abituata a quel tipo di cibo e di trovarsi a proprio agio.
Il ragazzo, che non era puntiglioso né pretenzioso, aveva riempito un piatto di vari tipi di carne, poi un altro di cibi piuttosto semplici, ed infine era andato a prendersi un bicchiere di succo di frutta. Il suo atteggiamento e la sua espressione apparivano rilassati, come se si trovasse alla mensa aziendale. Aveva parlato rapidamente e con sicurezza delle varie cose che aveva convenuto con lei e le aveva spiegato che voleva soltanto aiutarla in modo semplice e facile, dimostrarle la propria gentilezza e le proprie capacità e, magari, farle provare un po’ di rimpianto e di rimorso.
La carriera di suo padre era proseguita a gonfie vele ed anche la sua vita matrimoniale si era svolta in un’atmosfera calma e serena forse per una decina d’anni, finché tutta questa felicità non era scomparsa all’improvviso.
Dopo la morte del marito, uno dei problemi che si era trovata ad affrontare era stato quello del cibo: che cosa mangiare e dove andare a mangiare?
Nei primi tre giorni si era limitata a bere qualche sorso d’acqua, un po’ di zuppa di riso, succo di datteri rossi ed amaro medicinale “ Huòxiāng Zhèngqì”. (7)
Il cadavere del marito giaceva ancora nella camera ardente allestita nel soggiorno, dove i genitori di lui ricevevano le visite di condoglianza. Nelle altre stanze parenti ed amici più o meno intimi conversavano.
La prima volta che un gruppo di persone si era riunito in quella stanza era stata in occasione del suo matrimonio. Il soggiorno era poi stato la stanza in cui passava la maggior parte del suo tempo.
La folla dei parenti e degli amici si era in seguito dispersa, lasciandosi dietro soltanto pochi parenti stretti di suo marito. Anche il padre di lei era ritornato a casa, mentre sua madre era rimasta con lei fino a sera.
Lei aveva giocato un po’ coi bambini sullo scivolo al piano di sotto, poi era risalita al piano superiore e la madre l’aveva invitata a fare una passeggiata.
Era una bella serata di tarda primavera. Il cielo era tinto di azzurro scuro e di un rosa cremisi, mentre le nuvole scivolavano verso l’orizzonte.
Le due donne erano uscite dalla porta laterale del condominio e si erano dirette verso un angolo tranquillo del quartiere residenziale.
Le foglie distiche (8) degli alberi di canfora sul ciglio della strada erano di un verde nuovo, tenero, i rami e le foglie delle piante di rosa correvano lungo i muri del condominio e i grandi boccioli lasciavano presagire l’imminente fioritura.
Attraversato il vasto cortile della scuola elementare, erano passate davanti ai grandi numeri bianchi disegnati per terra nell’atrio della scuola, avevano superato il supermercato, la lavanderia, il mercatino e il negozio di animali domestici ed infine sua madre l’aveva condotta in una stradina, dove si trovava una botteguccia che vendeva tagliatelle fredde.(9)
Si erano sedute su una panca ed avevano ordinato le tagliatelle, che erano state loro portate in un piatto di plastica di brillante color arancione, avvolto in un sacchetto di plastica. Le tagliatelle, grigie e bianche, cui erano stati aggiunti cetrioli verdi e gialli e glutine erano state insaporite con una salsa. Il tutto era stato cosparso di anelli di peperoncino tagliato in fette sottili e di coriandolo verde ed era stato ben mescolato..
La madre aveva preso le bacchette usa e getta, le aveva strofinate l’una contro l’altra per rimuoverne le scaglie e gliele aveva date.
Lei le aveva mandate giù lentamente, un boccone dopo l’altro. Il cibo, morbido, freddo e piccante, aveva istintivamente risvegliato in lei il senso del gusto.
Conosceva il sapore delle tagliatelle fredde.
Una quarantina di giorni dopo essere rimasta incinta di sua figlia, aveva cominciato a provare nausea la mattina e per un certo periodo era riuscita a malapena a mangiare qualcosa. Suo marito, ogni giorno, ritornando a casa dal lavoro, le aveva portato le tagliatelle fredde di quella botteguccia.
Nella settimana successiva al funerale del marito, si era nutrita di biscotti, che sua madre le portava ogni sera quando usciva a fare una passeggiata. Quella settimana era stata dedicata per intero al disbrigo di varie pratiche amministrative. Era andata, con i parenti del marito, al commissariato di polizia, in banca e dal notaio, svolgendo, l’una dopo l’altra, le incombenze che spettano ai superstiti.
In seguito era andata a lavorare all’estero, portandosi dietro i bambini, finché non era giunto il tempo di dimenticare.
Ritornata in Cina l’anno successivo, con i bambini, aveva cercato, silenziosamente, di immergersi di nuovo nella tranquilla routine della vita quotidiana.
L’incontro con il futuro marito era avvenuto grazie a conoscenze comuni. Lui però non aveva dimostrato fretta di frequentarla, finché non gli era parso che fosse giunto il momento opportuno. Allora aveva cominciato spontaneamente a pranzare con lei.
Era da quel lontano periodo che lei non era più abituata a mangiare da sola.
Aveva incontrato il suo futuro marito all’università. All’inizio del secolo il modo più evidente di rendere noto che era nata una simpatia tra due studenti era di mangiare insieme alla mensa universitaria. Ma, lei e il suo futuro marito studiavano nel nuovo, enorme campus, creato dopo l’ampliamento del complesso universitario. Alloggiavano in due aree assai distanti l’una dall’altra e, per incontrarsi, dovevano camminare più di una ventina di minuti. A quel tempo, il suo futuro marito andava ogni sera a trovarla, seduto sul sellino posteriore dello scooter di un amico, tenendo in mano un sacchetto di pop-corn caldi. Avevano passeggiato insieme, un mucchio di volte, avanti e indietro, nel cortile del collegio in cui lei alloggiava, parlando sensa sosta di tutto e di niente. Il più delle volte era lei che parlava e lui che ascoltava. Quando si faceva sera gli occhi di lui parevano sempre brillare nell’oscurità. Solo di fronte al suo futuro marito, lei sembrava riuscire a parlare liberamente, senza ripetersi e con precisione di linguaggio, ad esprimere le emozioni, ad esporre un pensiero senza dover prima riflettere, ed addirittura scherzando, ad usare il suo lessico personale e segreto, rivelando senza timidezza il suo carattere e le sue ambizioni, le sue debolezze e le sue paure.
Quando lui se ne andava, lei prendeva quanto restava del sacchetto di pop-corn e lo portava in camerata per dividerlo con le sue compagne, le quali spesso si lamentavano che i chicchi si fossero inumiditi ed avessero perso la loro croccantezza.
Il futuro marito arrivava di solito in scooter e se ne tornava a piedi, ascoltando musica sul CD player. Era alto e magro ed indossava sempre uno spesso cappotto di cotone color nocciola, con un tessuto esterno delicato, ma rigido e resistente, ed un colletto di falsa pelliccia, morbido e sbuffante. Quando faceva freddo, rivoltava il colletto verso l’alto per proteggere il collo ed allacciava i due bottoni di cuoio alla base. Lei lo guardava allontanarsi e svanire a poco a poco nella penombra della sera.
Mangiavano insieme durante i week-end senza immaginare che ciò sarebbe stato il preludio della loro vita in comune e di una serie di pasti consumati insieme per molti anni.
Nel menu della mensa universitaria figuravano sempre, invariabilmente, sfilacciato di maiale al profumo di pesce (10), fettine di maiale bollite , pesce con sottaceti.
Il futuro marito amava semplicemente la carne, a lei invece piaceva arricchire lo sfilacciato con germogli di bambù, le fettine con foglie di lattuga e germogli di soia ed il pesce con i crauti.
C’era tra di loro un tacito accordo. Durante i fine settimana, prendevano l’autobus e andavano insieme in città. A lui piaceva portarla nei supermercati, dove mangiavano piatti semplici e popolari.
Il ristorante in cui l’aveva portata la prima volta era durato più a lungo di quanto non fosse durata la loro vita in comune, ma si era spostato dalla sua ottima collocazione originale nel centro della città verso un vecchio supermercato. L’omelette di pollo al formaggio con contorno di riso che il futuro marito aveva trovato tanto gustosa era ancora presente nel menu. Ciò sembrava provare che il cibo che lascia un buon ricordo nella memoria non deve necessariamente essere costoso.
La cosa più bella dei pranzi con il futuro marito era che le davano la possibilità di rilassarsi. Poteva mangiare ciò che voleva, non era obbligata a comandare cibi di cui non aveva voglia, poteva mangiare molto o poco come meglio le pareva, parlare con la bocca piena, mostrarsi spizzichina.Tutto ciò non poteva farlo in presenza dei suoi genitori né con quelli del futuro marito, che, sostanzialmente, si aspettavano da lei lo stesso tipo di comportamento.
Dopo il matrimonio, lei e il marito avevano cominciato a frequentare di meno i ristoranti perché la suocera era sempre sospettosa degli ingredienti, dei condimenti e dei metodi di cottura di tutti i locali in cui andavano a pranzare. Di conseguenza, il cucinare era divenuto per lei un’incombenza quotidiana. Non aveva trovato difficile preparare piatti che rispondessero alle esigenze della suocera seguendo le ricette indicate nei libri di cucina, sebbene non trovasse la cosa molto divertente.
A tavola, il marito non aveva dimostrato l’arroganza con cui i mariti sono soliti criticare i piatti cucinati dalle mogli. Giudicava onestamente in base al criterio del proprio appetito e, senza opporre troppa resistenza, si era adattato gradualmente alle abitudini alimentari della consorte, accettando addirittura di mangiare anche i piatti preparati con ingredienti meno appetitosi e quelli che risultavano meno gustosi.
Dopo il decesso del marito, lei aveva tentato di pranzare da sola in ristoranti di un certo livello, specie in quelli che erano apprezzati dalla gente che le stava intorno, perché voleva mangiare qualche buon piatto, ma, quando riservava un tavolo non osava mai dire che era per una persona sola, riservava sempre per una coppia. Inoltre, comandava sempre porzioni molto più abbondanti di quelle che poteva mangiare e, prima di lasciare il ristorante, si faceva incartare ciò che aveva avanzato, fingendo che il marito fosse stato trattenuto all’ultimo momento da un impegno urgente e non avesse potuto pranzare con lei. Mangiare da sola attirava troppo l’attenzione.
All’improvviso, lui le posò la mano sulla spalla e, con gentile fermezza, la prese tra le sue braccia, in un modo così spontaneo che non sembrava avere nulla di offensivo. In fondo, lei era single, e lo era anche lui, e poi entrambi non erano più giovani.
La pioggia aveva smesso di cadere, ma l’umidità avvolgeva ancora gli alberi. La zona in cui si trovavano, che aveva preso il nome dalle barene formate dai depositi alluvionali del Fiume delle Perle, aveva ricevuto in lascito dalla precedente occupazione coloniale un complesso di edifici che le conferivano un’apparenza unica ed esotica.
Lui la invitò a fare una passeggiata dopo cena. I lampioni gettavano ombre sui muri degli edifici fiancheggiati da enormi banani ed alberi della canfora. La gente che affollava il quartiere durante il giorno era sparita. Un gatto dal pelo arruffato svanì rapidamente nell’oscurità. dirigendosi verso il chiosco di fiori che sorgeva all’angolo della strada. Il vento che soffiava nel crocevia rinfrescava ancor di più l’aria e lui la strinse tra le sue braccia, con un gesto che sembrava del tutto naturale.
Entrambi indossavano dei soprabiti.
Lui era venuto direttamente dall’ufficio, al termine di una giornata di lavoro, ed aveva ancora in mano la sua ventiquattrore. Camminando l’uno a fianco dell’altra a quell’ora, sembravano più dei colleghi di lavoro che degli innamorati.
L’incontro e la cena di quel week-end non erano diversi da quelli che li avevano preceduti.
Lei era venuta in città per un impegno di lavoro.
Nelle braccia di lui, il suo corpo rabbrividì, incapace di esprimere nettamente un consenso o un rifiuto.
Ciò che provava era una sensazione di freddo nel corpo e nella mente.
Anche lui del resto, esprimeva ad ogni momento, con il linguaggio del suo corpo, ritegno ed esitazione.
Si vedeva che non erano abituati ad alcuna familiarità e sarebbe stato ancor più difficile affermare che desiderassero proseguire sulla strada di una maggiore intimità. Lui non l’aveva mai fatta oggetto di fantasie erotiche, anche se, col passare del tempo, aveva imparato a conoscerla abbastanza bene.
Cominciò a parlarle di ciò che aveva visto in passato in casa di lei. Ricordò che sul tavolo c’era sempre uno spesso taccuino in carta di riso, sui cui fogli rimanevano impresse, giorno dopo giorno, le tracce dei suoi diligenti, coscienziosi esercizi di calligrafia. Ricordò anche che lei teneva un diario, su fogli sparsi che ammucchiava poi in un apposito scaffale della libreria. Il padre di lei aveva spesso mostrato con disinvoltura ai visitatori queste testimonianze della sua educazione, e lui era stato uno di quelli a cui le aveva mostrate. Nessuno, a quanto pareva, si era mai curato molto di sapere se a lei ciò piacesse o meno e nessuno le aveva mai chiesto se lei fosse d’accordo.
Lui si rendeva conto che c’era in lei una persona che si era formata all’epoca dell’adolescenza e che era rimasta intatta dentro di lei anche quando si erano incontrati di nuovo, anni dopo. Era questa persona che le diceva come parlare, come esprimersi, muoversi, camminare, come comportarsi nelle varie occasioni. Pensò che lei era rimasta identica a quella di un tempo e che per questo era preziosa.
Zhῡ Jú, un saggio dell’epoca dei Sòng Meridionali, menzionato nello” Specchio completo dei saggi e dei santi taoisti del passato” (11), aveva inseguito anche lui, da giovane, fama e fortuna.
Aveva trovato rifugio in un remoto antico tempio della capitale e, quando era stanco, si sedeva spesso sul bordo di un vecchio pozzo nel cortile abbandonato del tempio.
Talvolta il vento soffiava via lo strato di foglie che si era depositato sulla superficie dell’acqua e Zhῡ Jú poteva scorgere la propria immagine riflessa nel pozzo.
L’ombra del pozzo lo accompagnava, ma, dopo tre anni e mezzo di difficili studI, Zhῡ Jú fu bocciato agli esami imperiali e ritornò nella sua città natale.
Il tempio e il vecchio pozzo gli apparivano spesso in sogno.
Trascorsi cinque anni, Zhῡ Jú tornò alla capitale, forse per ritentare la sorte, si recò nell’antico tempio e si avvicinò al pozzo. I cespugli nel giardino abbandonato erano cresciuti ancor più disordinatamente ed uno spesso strato di foglie copriva come sempre la superficie dell’acqua.
Zhῡ Jú spinse via le foglie e si specchiò nel pozzo. Il volto che si rifletteva nell’acqua era diverso da quello di cinque anni prima. L’uomo che si specchiava nel pozzo non era più quello del passato.
All’improvviso, un altro volto comparve sul pelo dell’acqua, simile al primo, ma non completamente identico. Zhῡ Jú lo guardò con attenzione e si accorse che quel volto era identico al suo volto di cinque anni prima. Si volse indietro stupito e scorse, dietro di sé, uno strano personaggio, anche lui intento a specchiarsi nel pozzo. Capì che l’uomo che gli stava accanto era lui stesso quale era stato cinque anni prima.
L’uomo gli disse: “Tutto ciò che io desidero è stare con te anche solo per un attimo. Sono sempre rimasto qui da quando tu hai lasciato la capitale. Non ho mai fatto nulla, non mi sono mai mosso di qui. Ti aspettavo. Sapevo che saresti tornato perché avevi lasciato in questo pozzo la parte più importante della tua anima. Grazie a ciò ho potuto sopravvivere sino ad oggi. Ma, ora che ci siamo rivisti, voglio stare con te e vivere con te a qualsiasi costo. Voglio sapere che genere di vita hai vissuto dopo avermi lasciato, perché io sono rimasto fermo al passato e soltanto tu sai ciò che è successo dopo”.
Lui abbassò il braccio e prese nella propria mano la mano di lei. Teneva il braccio orizzontale perché fosse più facile per lei tenergli la mano.
I suoi movimenti erano seri e nervosi. Per lei era difficile immaginare che un uomo della sua età e della sua esperienza non avesse mai avuto contatti fisici intimi e si domandava se non fosse proprio il fatto di trovarsi con lei che lo rendeva impacciato. Capiva che lui stava ancora provando, tentando di vedere se fosse possibile fare qualcosa in comune, ricominciare la vita dell’uno e dell’altra. Non lo faceva per semplice divertimento né per una necessità fisiologica.
Quella sera, in mezzo a vecchi alberi che sarebbero vissuti molto più a lungo di loro, nel profondo respiro delle felci lussurreggianti, lui manifestò ancora una volta i suoi sentimenti a lei che rimaneva assolutamente fredda. Pensava semplicemente che in lei ci fosse ancora qualcosa di vivo, qualcosa che per gli altri poteva essere insignificante, ma che per lui era estremamente importante.
Lei stette in silenzio, incapace di rispondere.
Non era un silenzio dettato da qualche astuzia ben nascosta, era soltanto un silenzio di pietra.
Dopo che si furono salutati e lei fu tornata in città, ricevette da lui una telefonata con cui cercava di dirle ciò che non era riuscito a dirle mentre si trovavano insieme.
“Non hai ancora dimenticato quella faccenda? “le domandò” Dovresti sforzarti di capirmi. La ragione per cui non mi sono mai interessato agli altri è che avevo paura di interferire vanamente nel destino altrui. Era così che la pensavo una volta.Tutte le cose che accadono in questo mondo (12) sono sogni, illusioni, bolle di sapone, se viste nella prospettiva del tempo che passa. È sostanzialmente il concetto che vuole esprimere Xīn Jiàxuān (13) quando dice :
“Non possono fermarlo le verdi colline.
Il suo corso andrà sempre verso oriente”. (15)
Era chiaro che tentava di attribuire ad un altro tipo di rapporto causale (16) le azioni ed omissioni del passato di cui aveva vergogna, eludendo così, in modo accorto, qualsiasi responsabilità personale per ciò che era accaduto ed incolpandone tranquillamente il destino. (16)
Lei riandò con la mente un po’ più indietro nel tempo, quando aveva incontrato il suo futuro marito, cinque anni prima della passeggiata in bicicletta sulle rive del lago. Sul treno ad alta velocità, proprio prima della stazione in cui lei doveva scendere, il suo futuro marito era improvvisamente apparso nel vagone e le aveva offerto una collezione di DVD del suo regista preferito. L’anziano regista era vissuto più a lungo di suo marito. Ogni anno dichiarava di volersi ritirare ed ogni anno lanciava un nuovo film.
In quel periodo, per ragioni di studio e per questioni personali, lei viaggiava spesso in treno fra la città in cui viveva ed un’altra città.
Una volta, le era capitato di incontrare lui, che era in viaggio d’affari, ed entrambi ne erano rimasti molto sorpresi. Lei aveva cambiato di posto con il suo vicino e gli si era seduta accanto. Avevano parlato di cose senza importanza. A quell’epoca, molte possibilità sembravano schiudersi dinanzi a lei e non era ancora chiaro dove si sarebbe stabilita e con chi avrebbe vissuto. La vita era leggera e la malinconia inconsistente come la rugiada del mattino.
Mentre parlavano, lui, forse per la stanchezza del viaggio, si stava a poco a poco appisolando. La sua grossa testa, appoggiata allo schienale, stava lentamente scivolando verso di lei. Lei aveva prontamente raddrizzato le spalle per sostenerla, come se se lo fosse già un po’aspettato. (17 ) A quel tempo, i capelli di lui erano folti e soffici, sapevano di pulito e non avevano un odore marcato.
Lei era scesa per prima dal treno. Lui doveva ancora proseguire.
Lo aveva salutato con energia, allegramente. Dopo essere scesa dal vagone, era rimasta sulla pensilina a guardare il convoglio che stava per riprendere la marcia. La sua educazione le imponeva questa forma di cortesia: aspettare che lui ripartisse.
I finestrini però impedivano qualsiasi scambio verbale. Il volto di lui sembrava la faccia di un attore che recita una pantomima: la bocca era aperta nel gesto di parlare, ma non si sentiva alcun suono.
Era rimasta imbarazzata. Il minuto di fermata del treno le era parso quasi insopportabile a causa del copione che imponeva loro di guardarsi in volto, ma era rimasta fedele al suo ruolo, ben dritta in piedi sulla pensilina, dove batteva il sole e fischiava il vento, e con un bel sorriso sulle labbra..
Per tornare alla storia del saggio eremita, Zhῡ Jú e l’uomo parlarono liberamente del passato, viaggiarono allegramente insieme e trascorsero l’uno accanto l’altro un periodo molto piacevole, ma presto Zhῡ Jú cominciò ad annoiarsi. Le cose che interessavano all’uomo erano le cose che Zhῡ Jú aveva lasciato perdere nel corso di quei cinque anni. La conoscenza del mondo che aveva quell’uomo era dunque assai più ridotta e superficiale di quella che Zhῡ Jú aveva conseguito nei cinque anni trascorsi, ma l’uomo non se ne rendeva conto e continuava a cianciare. Zhῡ Jú avrebbe voluto andarsene per conto suo, ma l’uomo gli si attaccava e non lasciava che si allontanasse. Non potendosi staccare da lui, Zhῡ Jú finse di adattarsi alla situazione e lo ricondusse sul bordo del pozzo, poi, quando quello meno se l’aspettava, ve lo spinse dentro.
Gli alberi di sequoia che costeggiavano la strada erano stati alti e diritti per lungo tempo. Nel clima piovoso del tardo autunno, lo scalpiccio delle persone che si affrettavano alla mensa aziendale lasciava le impronte delle scarpe impresse nel terreno sporco e scivoloso o creava piccoli mucchi di foglie bruno-rossastre.
Una volta, lei era andata lì a cenare con suo padre. Quando il padre aveva voluto pagare il conto, s’era accorto che il buono pasto non era sufficiente. Lei aveva notato il suo imbarazzo e la sua confusione. Si guardava intorno come se non sapesse dove si trovava. Allora lei aveva tirato fuori senza farsi notare uno dei suoi buoni pasto e glielo aveva dato, fingendo di averlo trovato per terra, ma il padre aveva esitato ad accettarlo.
Lui e lei si erano incontrati molto presto nelle loro vite, alla luce fioca della mensa aziendale della ditta per cui lavorava il padre di lei, in mezzo alla gente, ora di mattina, ora a mezzogiorno, ora di sera, sedendo ai loro rispettivi tavoli, un pasto dopo l’altro, separandosi senza saper quale sarebbe stato il loro destino,
All’università, ai tempi della gioventù, lei e il suo futuro marito si dicevano arrivederci la sera senza malinconia, perché sapevano che si sarebbero ritrovati il giorno seguente.
Dopo il matrimonio, salutare il marito la mattina, quando partiva per l’ufficio, ed aprirgli la porta la sera, quando tornava dal lavoro, erano diventati parte della sua routine quotidiana. Erano troppo giovani per aver paura di un distacco.
In seguito, per lei, tracciare un confine silenzioso ed invisibile tra il presente e ciò che era avvenuto nel mondo di ieri aveva rappresentato un modo di sopravvivere giorno per giorno.
“Ho ucciso io stesso il mio passato e sono diventato una persona che vive soltanto nel presente. Non ho più un passato” aveva detto Zhù Jῡ.
Le cose che avrebbero potuto offrire a lui una speranza erano state sigillate nella memoria di lei, perfettamente isolate in un segmento della vita ormai concluso, inutilizzabili per costruire la lieta prospettiva di un futuro.
Il venerdì successivo lei entrò da sola al ristorante e disse al cameriere che le veniva incontro che avrebbe cenato da sola. Fu accompagnata in una saletta riservata. Sentì che i camerieri parlottavano nel corridoio al di fuori della saletta e percepì chiaramente le parole “È sola”. Tirate via l’altro coperto. Portatele il tovagliolo e il tè”.
Il cameriere, dopo averle chiesto il permesso, portò via dal tavolo l’aragosta e gliela ripresentò poco dopo privata del carapace e tagliata a dovere. I gesti di cortesia che lui aveva fatto per lei, i camerieri sapevano farli con maggiore scioltezza ed abilità.
Era da lungo tempo che non aveva più consumato, in tutta tranquillità, un pasto così sontuoso, presentato con tanta cura. Vedeva il cibo entrare in bocca ed andar giù nel suo corpo come se entrasse in un contenitore trasparente. Pensò alla domanda che lui le aveva rivolto: “ Sai qual è il cibo più incredibile che io abbia mai mangiato?”.
Le sembrava di vedere anche lui, nel momento in cui le aveva posto la domanda, come una figura trasparente, al cui interno appariva il cibo che aveva mangiato: polli, maiali, agnelli, pesce e tante altre varietà di cibo. I contenuti del corpo di lui dovevano essere più ricchi e complessi di quelli del corpo di lei, che, al paragone, doveva apparire povera e magra, e le sembrava di essere sempre stata così.
Finì di mangiare e uscì dal ristorante. Indossava, quel giorno, una lunga giacca a vento unisex di color grigio, pantaloni a sbuffo e scarpe di foggia maschile, abiti che le stavano bene, semplici, ma comodi ed adatti.
Mentre camminava sentiva che questi abiti la rendevano a poco a poco più alta e massiccia, come se si stesse mascolinizzando.
Avanzava a passi lunghi e decisi.
Era sola, ma libera.
NOTE
1) Nel testo originale si legge che si tratta di 孟克鞋款 (“mèng kè xié kuǎn”), cioè di calzature della marca Monk, tipo di scarpe di cuoio concepite essenzialmente per una clientela maschile.
2) Si indicano con il termine “buste rosse” (紅包 “hóng bāo”) le somme di denaro regalate a parenti ed amici in occasione di particolari ricorrenze, ad es. per il compleanno, o di feste importanti. La metafora deriva dal fatto che tali somme sono abitualmente contenute in buste di color rosso.
3) DM è l'abbreviazione dell’espressione inglese “ Direct Mail advertising”, vale a dire "pubblicità per posta diretta", e designa il materiale promozionale che viene fatto pervenire ai consumatori, a casa o in ufficio, tramite spedizione postale, consegna diretta o altre forme di comunicazione.
4) Questo piatto, detto in cinese 茶泡饭 (“chá pàofán”), è un piatto tipico della cucina giapponese in cui è chiamato “ochazuke”(“お茶漬け”). Lo si prepara versando del tè verde e del brodo di pesce su una base di riso bollito. Può essere accompagnato da vari contorni: sottaceti, prugne cotte, alghe, uova di merluzzo, frutti di mare fermentati, wasabi (ワサビ “ravanello giapponese”) ed altri condimenti.
5) Il termine 寿喜锅 (“shòuxīsāo”) è la trascrizione fonetica della parola giapponese “sukiyaki” 鋤焼き, che indica un piatto composto da carne di manzo e tofu, tagliati in fettine sottili, cipolle, funghi shiitake シイタケ o enokitake エノキタケ, cavolo cinese e altri ingredienti,bolliti lentamente in una bassa pentola di ferro, in una miscela di salsa di soia, brodo (出汁 “dashi”), zucchero e sakè dolce da cucina (みりん “mirin”). Prima di essere mangiati, gli ingredienti vengono immersi in una piccola ciotola di uova sbattute.
6) Il testo cinese usa il termine generico per indicare la bicicletta, ma dal contesto sembra risultare che si tratti piuttosto di un tandem, cioè di una bicicletta con due sellini.
7) L’”Acqua Huòxiāng Zhèngqì “ (藿香正气水 “huò xiāng zhèngqì shuǐ”) è un amaro medicinale cinese utilizzato per combattere il raffreddore ed altri leggeri malesseri. Non richiede prescrizione medica.
8) L’aggettivo 对生 (“duì shēng” “distico”) indica la qualità delle foglie di alcune piante, che appaiono disposte in due serie longitudinali radicalmente opposte.
9) Le tagliatelle fredde (凉皮 “liángpí”) sono un piatto tipico della provincia dello Shănxī 陕西, preparato con farina di riso o di grano.
10) Il termine 鱼香 (“yù xiāng”), letteralmente “profumo di pesce”, designa un condimento tipico del Sìchuān 四川, così chiamato perché il suo sapore deriva principalmente da uno speciale peperone sottaceto, detto 鱼辣子 (“yù làzí”), cioè “peperoncino al gusto di pesce”, che viene marinato con pesce fresco e altri peperoncini.
11) Lo “Specchio completo dei saggi e dei santi taoisti del passato” (歷世真仙體道通鋻 " lìshì zhēn xiān tǐ dào tōng jiàn”) è un’ampia collezione di biografie di 735 saggi taoisti, compilate dal letterato Zhào Dàoyī 趙道一 all’epoca della dinastia Yuán 元朝.
12) Ho tradotto con “le cose che accadono in questo mondo” il termine 有为法 (“yǒu wéi fǎ”), che esprime il concetto “ di dharma condizionato”, elaborato dalla dottrina buddhista, la quale distingue tra “saṁskṛta dharma”( संस्कृतधर्म), vale a dire “cose condizionate”, e “asaṁskṛta dharma” (“असंस्कृतधर्म”), vale a dire “cose incondizionate”. Il primo termine si riferisce alle cose che hanno una causa e la cui esistenza dipende da determinate condizioni, le quali sono perciò “impermanenti”, caratteristica propria di tutte le cose e di tutti i fenomeni di questo mondo.
13) Xīn Qìjí 辛棄疾, conosciuto anche come 辛稼轩 Xīn Jiàxuān (1140 d.C. – 1207 d.C.) fu uno scrittore cinese della dinastia Sòng 宋朝, famoso autore di “canzonette “ ( 词 “cí”). Le sue opere sono reputate per il vigore dello stile, l’originalità della fantasia e la profondità del pensiero.
14) Questi due versi ( 青山遮不住,毕竟东流去) sono tratti dalla canzonetta intitolata”I Bodhisattva- Scritto su un muro a Zàokǒu nel Jiāngxī”( 菩萨蛮·书江西造口壁):
郁孤台下清江水,中间多少行人泪? Limpido scorre il fiume sotto quella terrazza.
Quante lacrime versarono qui i fuggitivi?
西北望长安,可怜无数山。 Guardo, lontano, le perdute terre del nord-ovest,
ma non vedo che una successione di colline.
青山遮不住,毕竟东流去。 Non possono fermarlo quelle verdi colline:
il corso del fiume andrà sempre verso l’oriente.
江晚正愁余,山深闻鹧鸪。 A sera ancora mi rattristo guardando il fiume.
Lassù sulle colline cantano le pernici.
I due versi citati, col tempo, sono diventati un proverbio riferito all’ineluttabilità del destino.
15) L’uomo intuisce che la donna non gli ha ancora perdonato l’indifferenza dimostrata nei suoi confronti in occasione delle difficoltà economiche che avevano coinvolto il padre di lei e cerca goffamente di rimediare, adducendo a giustificazione della sua mancanza d’empatia profonde considerazioni filosofiche.Tutto ciò che accade nel mondo - egli dice- è governato dal destino, contro la cui forza irresistibile è inutile lottare. Lei non ne sembra affatto convinta, ed è questa forse una delle ragioni che fanno fallire il tentativo di avvicinamento.
16) Il termine 因果 (“yīnguō”), letteralmente “causa ed effetto”, esprime il concetto di “ rapporto causale”, che, nella dottrina buddhista, è conosciuto come “karma”(“कर्म”). Secondo questo concetto, le azioni compiute dagli esseri senzienti li vincolano alle conseguenze morali che ne derivano, e quindi , se le azioni sono moralmente negative, li allontanano dal “nirvana” (“निर्वाण”) e li costringono al “samsāra”(“संसार”), il ciclo delle rinascite. Il protagonista del racconto distorce il concetto di “rapporto causale”, attribuendo furbescamente quelle che avrebbero potuto essere le conseguenze negative della sua inerzia, non già al proprio comportamento omissivo, bensì alla "forza del destino".
17) In cinese la frase suona 好像自己已经足够成熟 (“hǎoxiàng zìjǐ yǐjīng zúgòu chéngshú”), vale a dire “come se fosse già stata abbastanza matura”. L’ho interpretata come se volesse dire che la donna, accorgendosi che il suo interlocutore si stava assopendo, si era già preparata a sostenerlo per evitare che la sua testa cadesse rovinosamente su un fianco. L’episodio si colloca in una serie di episodi ( ad es.il giro del lungolago in bicicletta, il rifiuto di aiutare il padre di lei) che non presentano l’uomo nella sua luce migliore e che possono spiegare la renitenza della donna ad impegnarsi in una relazione sentimentale.
Zhù Jīng 朱 婧, nata nel 1982, originaria di Yángzhōu 扬州 nel Jiāngsῡ 江苏, ha conseguito un un dottorato in Letteratura ed insegna attualmente , in qualità di professore associato. presso la Scuola di Arti Liberali dell'Università Normale di Nanchino 南京师范大学文学院. Ha scritto raccolte di novelle: “Come gocciola dalle grondaie”( 譬若檐滴 “pì ruò yándī”), “L’uomo scelto dai gatti” (貓選中的人 “māo xuǎn zhōng de rén ”), e ha vinto numerosi premi letterari.
UNA DONNA AL RISTORANTE
I loro rapporti erano diventati più stretti dopo che lei era tornata libera.
All’inizio l’aveva semplicemente invitata a cena.
Più di mille chilometri separavano le città in cui abitavano e nessuno dei due aveva voglia di mettere in discussione la propria solida carriera e il proprio modo di vivere.
Poiché la sua posizione gli permetteva di organizzare, a propria discrezione, viaggi d’affari, lui cominciò a visitare con maggior frequenza la città in cui lei viveva.
Scelse anche di alloggiare nell’hotel convenzionato con la sua società, che era assai vicino al luogo in cui lei abitava, non più di cinque o sei minuti a piedi. In questo modo, diventava più facile pranzare insieme.
Si erano persi di vista per almeno dieci anni. Durante questo periodo, lui aveva vissuto una vita da scapolo, che non era stata affatto monotona, e lei aveva vissuto una delicata esperienza di donna sposata.
Quando lei indossò gli abitì di lutto ed acquisì lo status di vedova, lui riapparve, senza farsi notare.
Trascorreva, più volte l’anno, qualche giorno di ferie, sovente combinandolo le vacanze con un viaggio d’affari, in una bella città distante meno di duecento chilometri da quella in cui abitava lei. Ciò gli consentiva di arrangiare leggermente le coordinate della destinazione così da renderle favorevoli ai suoi nuovi progetti.
Arrivava sempre di venerdì, il giorno ideale, e faceva in modo di sbrigare i suoi affari durante la giornata. A partire dalla sera, era libero per tutto il week-end e sarebbe tornato al lavoro soltanto il lunedÌ.
Il venerdi era veramente il giorno ideale. I nonni andavano a prendere i figli di lei all’uscita della scuola e lei sarebbe stata libera dalla cura dei bambini e dalle abituali preoccupazioni che la tenevano impegnata nel corso della settimana.
Ritornando a casa dal lavoro il venerdì, lei si sente rilassata. Salita sulla metropolitana, sceglie un sedile laterale, si appoggia allo schienale e, con calma, tira fuori dalle scarpe di cuoio i piedi inguainati nelle calze nere. Prende sempre il metro alla stazione centrale, poi scende e va al supermercato sotterraneo nel quartiere commerciale a comprare il latte e cibo da portare a casa.
Questi gesti non la disturbano, anzi, la mettono pienamente a suo agio.
È da cinque anni che porta il completo grigio di lino-cotone che ha indosso. Gli altri abiti che tiene nel guardaroba sono della stessa marca, di taglio analogo e differiscono soltanto leggermente gli uni dagli altri per stoffa e colori.
Per le scarpe da indossare nei suoi spostamenti tra casa ed ufficio, ha scelto un modello di tipo maschile (1), che è difficile trovare nei negozi di scarpe per signora. Il cuoio è morbido, confortevole e poco costoso. Ne compra cinque o sei paia, tutte insieme, per averne una buona scorta.
Se la vita potesse essere riassunta in uno slogan, il suo motto sarebbe chiaro e semplice: “ordine e sicurezza”.
Di fronte al bancone del cibo, dove compra ogni venerdì la sua cena, sceglie senza dubbi né esitazioni da una rosa di pochi piatti ben precisi.
Purtroppo, non può aprire un nuovo pacco e tirarne fuori un marito tutto nuovo esattamente come sfila via la carta che avvolge un pacchetto per estrarne una nuova camicetta o apre la scatola delle scarpe per tirarne fuori un nuovo paio di scarpe, senza che ciò alteri minimamente la serenità della sua vita.
La prima volta che lui l’ha invitata a cena è stata all’inizio della primavera, in aprile. Era uno di quei rari giorni d’aprile in cui faceva già caldo e si poteva uscire con una camicetta e una giacchetta.
L’aveva portata in un ristorante situato in un piccolo edificio raggiungibile attraverso un sentiero che passava per un giardino. Il posto era estremamente tranquillo. Lei aveva aperto la porta e si era trovata direttamente in una saletta già apparecchiata. Non c’era nessuno in vista, ma il cameriere era subito accorso e aveva servito, uno dopo l’altro, i piatti che gli erano stati ordinati. Il cibo era ordinario, ma abbondante. Gli ingredienti dei diversi piatti: ginseng, orecchia marina e pinne di pescecane erano presentati in porzioni più che sufficienti per un pasto normale.
Lei non gli aveva detto che era proprio quello il ristorante che suo marito sceglieva regolarmente per il cenone annuale e che il sentiero nel giardino, lo stile della costruzione, la cucina le erano familiari. Non glielo aveva detto perché aveva soggezione della persona che le stava di fronte e perché non si confidava facilmente né si lasciava prendere dalla malinconia.
In realtà, non erano due estranei, anzi erano quasi intimi.
Già tempo prima, molto tempo prima, avevano mangiato insieme, prima ancora che lei conoscesse suo marito.
Lui, infatti, era un amico del padre di lei, nonostante la differenza d’età, ed era invitato ai pranzi di famiglia.
Era molto giovane allora ed aveva visto quanto fosse severa l’educazione di lei. Quando era una ragazzina, se, senza farci caso disturbava la conversazioine degli adulti, il padre la rimproverava. Se posava le bacchette prima di aver terminato il proprio piatto, il padre la picchiava sulle dita con le sue bacchette. Se faceva rumore bevendo la zuppa, il padre la prendeva in giro e ne imitava la malagrazia.
Ora che si ritrovavano a mangiare insieme, le immagini di un tempo si sovrapponevano facilmente a quelle attuali.
L’educazione paterna aveva fatto sì che ora il comportamento di lei fosse quello di una persona perfettamente educata. Tagliava a pezzettini il cibo nel piatto prima di portarlo alla bocca, rimuoveva gli ossicini dalla carne e le lische dal pesce, masticava coprendosi la bocca con la mano ed evitava di ingoiare grossi bocconi, così da poter masticare facilmente e da poter parlare mentre mangiava.
Aspettava che la zuppa si raffreddasse e poi ne gustava un po’, riempiendo il cucchiaio solo a metà e stando attenta a non lasciar colare il liquido.
Quella sera, lui provvide a liberare l’aragosta del suo carapace e la tagliò in piccoli pezzi perché lei potesse mangiarla con comodo. Sembrava una cosa naturale, ma fu un eccesso di cortesia che la sorprese e la sconcertò.
Non essendosi visti per molti anni, mancavano loro gli argomenti di conversazione.
Lui si mise a parlare di se stesso, della città in cui viveva, del suo lavoro, delle sue conoscenze, dei suoi viaggi e delle sue malattie.
Lei pensava a quando veniva lì a cena con suo marito. Era allora una piacevole distrazione ascoltare talvolta, facendo finta di niente, ciò che si dicevano l’uomo e la donna seduti al tavolo accanto, che erano manifestamente due che s’erano dati un appuntamento. Dopo la cena, lei e suo marito, sapevano tutto o quasi della coppia seduta al tavolo accanto, delle loro famiglie e dei loro vicini, dei loro divertimenti, della loro infanzia e dei giochi che avevano sul telefonino.
Grazie alla memoria si può far rivivere il passato e rivedere nell’immaginazione ciò che si è stati. Le luci e le ombre della memoria sono un trucco piacevole. Non si ha a che fare con falsità deliberate, ma soltanto con ricostruzioni della cui veracità la persona stessa è sinceramente convinta.
Lui le parlava della piccola città in cui avevano vissuto entrambi vent’anni prima e della casa di sua zia, che un fiume separava dalla casa di lei. A quei tempi, spesso le faceva visita dopo essersi recato a trovare la zia. Ricordava il carattere forte, ma gentile della zia, e la tristezza in cui la poveretta trascorreva ora la sua vecchiaia dopo essere stata colpita da un ictus. Diceva che le tante buste rosse (2) che aveva offerto alla zia in occasione dei suoi compleanni erano ben nascoste in fondo a qualche valigia e che non avrebbe avuto alcuna possibilità di spenderle finché la zia non fosse morta.
Parlava del clima e del cibo nella piccola città in cui era cresciuto. Quali che fossero le esperienze culinarie che aveva acquisito altrove, gustava sempre con piacere quei cibi: i dadini di tofu tagliati con cura che spuntavano come fiori in mezzo al brodo, lo stufato di carne d’oca immerso in una marinata d’olio aromatizzato, i freschi gnocchi alle erbe di un color verde intenso, che erano più gustosi nella tarda primavera, quando la zia aveva appena raccolto, messo da parte e cotto le diverse verdure.
Raccontava che, d’estate, arrivando a casa della zia, trovava sempre un’anguria messa rinfrescare nell’acqua gelida del pozzo.
Ricordava il profumo del granturco appena cotto e delle castagne d’acqua.
Sembrava aver completamente dimenticato quanta voglia avesse a quell’epoca di andarsene dal paesello natio.
Vedendo che a lei non piacevano alcuni piatti, tentò ripetutamente di persuaderla ad assaggiarli, ma senza successo e le domandò sorridendo: “Sai qual è il cibo più incredibile che io abbia mai mangiato?”.
“Non dirmelo” gli rispose lei.
Lui, peró, voleva raccontarglielo ed insisteva, sempre con il sorriso sulle labbra.
Lei assunse un’espressione indifferente, come se non lo stesse più ascoltando, ed alla fine lui non fu in grado di capire che cosa gli avesse risposto.
La conversazione dopo cena fu altrettanto insignificante.
Lei faceva finta di ascoltare e rispondeva sempre a tono, ma sembrava che in realtà stesse pensando ad altro.
Si scorgeva in cielo la luna nuova, piccola e fragile. Le ombre degli alberi sembravano danzare al suo chiarore. Un gatto selvatico, che passeggiava su un muretto, sparì tra i cornicioni delle case, chissà dove.
Era un giorno quasi bello, ma non c’era ancora sufficiente intesa tra loro due.
Lui, che era grasso e non sopportava il caldo, si tolse la giacca, sotto la quale indossava soltanto la camicia, ma, quando un soffio di vento si insinuò tra i bottoni, sentì freddo. Lei lo aiutò a rimettersi la giacca.
Non più tardi di mezz’ora dopo, la riaccompagnò a casa.
Sulla porta della residenza condominiale, lei alzò la mano per salutarlo, mentre lui le porgeva la mano. Ci fu un momento di imbarazzo, poi entrambi ritirarono la propria mano e i due si separarono.
Erano passati quattro anni dalla morte del marito. La vita che lei faceva era molto meno interessante di quanto gli altri pensavano che fosse. Quando si trovava davanti a qualcosa che non riusciva a spiegare, era facile per lei credere che fosse dovuto più alla sua condizione di vedova che al suo fascino personale. La stessa riapparizione del vecchio amico di gioventù andava semplicemente interpretata come un caso fortuito. Se qualcosa era cambiato, si trattava soltanto del fatto che la cena del venerdi era diventata per lei una sorta di compensazione che le era dovuta in risarcimento di una vita insignificante.
Mangiare da sola, infatti, non le piaceva. Pensandoci bene, non c’era alcun locale in cui una donna di mezz’età potesse decorosamente mangiare da sola.
Dopo la morte del marito, non era più andata in cerca di nuovi ristoranti. In occasione della Festa di Capodanno, continuava a riservare per la riunione della famiglia i soliti locali. I bei ristoranti in cui suo marito soleva portarla a cena durante il loro matrimonio non erano posti adatti per cenare da soli, o, piuttosto, lei non s’era adattata a cenare da sola in quei ristoranti.
Poteva mangiare da sola, durante la settimana, nei fast food dei supermercati o presso le bancarelle che si trovavano per strada, ma non riusciva ad immaginare di adottare tale soluzione anche per i pasti del week end. Preferiva allora portarsi a casa i pacchetti di cibo da asporto.
Talvolta, mangiare da sola poteva assumere il sapore di un’avventura.
Un giorno, all’uscita dal lavoro, si era recata in un vicino ristorante dove lei e suo marito avevano l’abitudine di pranzare. Era un locale che avevano scoperto verso la fine dei loro studi universitari. Era stata lei a notare un annuncio su una brochure DM (3), un piccolo annuncio che pubblicizzava l’apertura di un ristorante familiare.
Il ristorante si trovava all’interno della città universitaria, in cui entrambi studiavano, ed era costituito da un locale situato al primo piano di un condominio.
Erano andati lì a mangiare ed avevano scoperto che il padrone del ristorante era un giovane della loro età. La cameriera, che rassomigliava ad una attrice del cinema chiamata “Kuí”, era la ragazza del titolare. Quest’ultimo aveva raccontato loro che aveva aperto il ristorante subito dopo aver frequentato un corso di dottrina buddhista ed aveva domandato loro più volte se trovavano buono il cibo. In effetti, il cibo era squisito e l’ambiente era calmo e gradevole.
Erano ritornati più volte in quel ristorante e, anche dopo essersi sposati ed essersi trasferiti assai lontano, andavano talvolta a mangiare lì.
Il padrone del ristorante aveva incrementato i suoi affari ed aveva sposato la cameriera, che ormai si faceva vedere raramente in sala. La coppia aveva avuto una figlia.
In seguito l’uomo aveva aperto un secondo locale e non era più presente tutti i giorni nel primo ristorante.
Aveva così finito col possedere cinque ristorantini, piccoli e arredati in modo essenziale, ma noti per la qualità del cibo e molto frequentati, tanto che c’era sempre la coda dinanzi all’entrata.
Tornata da sola in uno di quei ristorantini, la donna aveva detto al cameriere che intendeva sedersi al bancone ed aveva chiesto se ci fosse da aspettare molto. L’avevano rapidamente fatta entrare e si era sistemata al bancone. Aveva ordinato e le erano stati serviti diversi piatti: spiedini di pollo in salsa aromatica, luccio sauro del Pacifico, grigliato alla perfezione, riso al tè con contorno di prugne cotte e di alghe. (4). A tre sedie di distanza da lei, all’altra estremità del bancone, era seduto un giovane che però si mostrava tutto intento a mangiare, esattamente come faceva lei.
Alle pareti del locale erano ancora appese le magliette dei giocatori della squadra per cui tifava il padrone ed accanto ad esse c’erano parecchi ganci ai quali i clienti potevano appendere i loro soprabiti.
Molte volte, quando lei e suo marito erano andati lì a mangiare durante l’inverno, avevano appeso ad uno stesso gancio i loro cappotti, prima quello del marito, poi il suo, l’uno sopra l’altro. Sedevano l’uno accanto all’altra in uno spazio ristretto, mangiavano sukiyaki (5), bevevano tè caldo e si riscaldavano così le mani e lo stomaco.
Dopo la prima cena, che non era stata un gran successo, l’amico di gioventù continuò a venire nella città in cui lei abitava per cenare con lei.
La seconda volta, lui prenotò un tavolo presso il ristorante cinese dell’albergo in cui alloggiava. Aveva passato la giornata nella zona indutriale al di là del fiume per aiutare un partner commerciale a perfezionare l’acquisto di un cantiere navale. Ritornando in città, era rimasto invischiato in un ingorgo nel tunnel che passava sotto il fiume e così, per non perdere tempo, aveva ripiegato su una cena al ristorante dell’albergo. L’hotel non era granché, nonostante le sue cinque stelle, le persone sedute a tavola nel salone del ristorante erano poche ed il cibo non era tale da lasciare un imperituro ricordo nella memoria dei commensali.
Durante il pasto finirono entrambi col parlare di ciò che avevano fatto durante il giorno, poi passarono alle notizie della giornata e ad argomenti generici.
Lei ascoltava e lo fissava talvolta brevemente, per poi distogliere subito gli occhi e volgere lo sguardo da qualche altra parte.
Annuiva con la testa e rispondeva, per mostrarsi interessata alla conversazione, ma non faceva domande e, meno che mai, affrontava nuovi argomenti. Sarebbe stato difficile affermare che mostrasse un qualunque interesse ad approfondire la vita di lui od il suo carattere.
Terminata la cena, lui la invitò a salire in camera sua per proseguire la conversazione. Lei esitò un istante, poi entrò con lui nell’ascensore. Si mantennero un po’lontani l’uno dall’altro, anche se si trattava di un piccolo ascensore concepito per due sole persone.
Passarono diversi piani. Quando uscirono dall’ascensore, il suono dei loro passi si spense sul denso tappeto del corridoio.
Occorre dire che nessuno dei due stava fantasticando chissà che cosa, ma che piuttosto ciascuno dei due era immerso nei propri pensieri.
Dopo che furono entrati nella stanza e si furono seduti , lui le chiese se desiderasse un bicchier d’acqua e poi le preparò una tazza di tè.
Si sforzava di comportarsi in modo aperto e spontaneo e continuava a parlare del più e del meno.
Lei capiva ciò che lui avrebbe voluto dire, senza averne il coraggio, ma ritenne che spettasse a lui prendere l’iniziativa.
Anche l’ultima volta che si erano visti da giovani, era stata d’estate, in un umido e piovoso mese di giugno, in quella città ornata di un bel lago e circondata in lontananza dalle montagne.
A quel tempo, lei era in procinto di affrontare un momento cruciale della sua vita. Stava infatti preparando le nozze, che erano state fissate per la fine dell’anno.
Lui si trovava lì in vacanza proprio nel periodo in cui lei e il suo fidanzato stavano pianificando il viaggio di nozze.
Una sera, il fidanzato aveva organizzato una serata con gli amici della sua squadra di calcio, ma lei non aveva voluto partecipare.
Lui l’aveva invitata ad una passeggiata sul lungolago e lei aveva accettato.
Dopo aver passeggiato un po’, a lui era venuta la stupida idea di noleggiare una bicicletta per fare il giro del lago ed aveva voluto portarla con sé.
Dopo un po’ di tempo, lei s’era sentita esausta e profondamente insoddisfatta. Seduta sul sellino posteriore del tandem (6), vedeva la camicia bianca di lui tutta impregnata di sudore e scorgeva sul suo collo brillanti perline di sudore. Gli aveva allora consigliato di lasciare la bici, e di prendere piuttosto un taxi. A causa della delusione e dell’umidità lei non si sentiva più in grado di apprezzare l'escursione serale, ma lui aveva insistito per fare in bicicletta l’intero giro del lago. A questo punto, lei non aveva resistito e, saltata giù di sella, si era messa a corrergli accanto, pur rendendosi conto dell’assurdità del gesto. Intanto, si stava facendo sempre più tardi e, verso le dieci di sera, aveva deciso di tornare in albergo. Aveva chiamato un taxi e lui, lo aveva lasciato a pedalare da solo in riva al lago.
Dopo aver fatto una doccia ed essersi rivestita, aveva ricevuto da lui un breve messaggio in cui si lagnava che lei lo avesse trascurato e lasciato solo a pedalare a notte fonda. Aggiungeva che, se lui si fosse sposato all’età in cui normalmente ci si sposa ed avesse avuto un figlio , lei avrebbe avuto dieci anni di troppo per essere amica di suo figlio e sarebbe stata troppo giovane di dieci anni per essere amica sua. Questa lamentela senza capo né coda l’aveva lasciata esterrefatta.
Il giorno dopo, mentre pedalava da sola in bicicletta sul lungolago, lo aveva incontrato. Sembrava di buon umore ed aveva addirittura pregato i passanti di prendere fotografie di loro due insieme. Più tardi, le aveva persino inviato una e-mail.
Quella sera, il fidanzato aveva organizzato una cena formale presso il ristorante dell’hotel in cui alloggiavano, invitando parenti ed amici, ai quali l’aveva presentata e dai quali la coppia aveva ricevuto i più vivi auguri.
La cena era stata deliziosa. Alla fine, sentendosi un po’accaldata, s’era fatta accompagnare fuori in giardino dal fidanzato per godere di un briciolo di frescura. Il gorgoglio dell’acqua che scorreva, il frinire degli insetti, le luci che illuminavano dal basso i tortuosi sentieri del giardino, creavano l’impressione di trovarsi in un mondo sereno e lontano.
Questa atmosfera di serenità fu spezzata un mese o due più tardi.
Mentre la data delle nozze si avvicinava, sua madre le aveva confessato che suo padre si trovava di nuovo in difficoltà finanziarie e che aveva bisogno urgente di una certa somma. Lei non aveva potuto far altro che cercare di consolarla con le solite frasi di circostanza, pur sapendo che non avrebbe potuto chiedere al suo futuro marito di venire in sostegno alla sua famiglia. Si era appena laureata e non disponeva di conoscenze importanti. Allora, si era rivolta a lui per aiuto, e lui le aveva semplicemente rifiutato qualsiasi aiuto, senza neppure preoccuparsi di vedere se ci fosse un modo di soccorrerla.
Il problema si era poi risolto più facilmente di quanto si potesse prevedere e suo padre aveva potuto superare le proprie difficoltà finanziarie prima di quanto si pensasse.
Le nozze si erano svolte, come previsto, durante l’inverno, con una splendida festa, nel corso della quale parenti ed amici, raccolti intorno agli sposi, avevano formulato loro i più sinceri auguri di un felice avvenire.
Ora, lui finì coll’accennare anche ai genitori di lei, pregandola di portar loro i suoi saluti e domandandole come andassero gli affari del padre. Parlarono delle difficoltà finanziarie di molti anni prima e lei gli raccontò che erano state rapidamente superate. Lui precisò che, a quel tempo, aveva investito tutti i suoi risparmi e che non sarebbe stato in grado di liquidarli in breve tempo. Lei chinò il capo come per dargli ragione, poi gli raccontò che il problema era stato rapidamente risolto grazie all’utilizzo di uno strumento finanziario di cui a quell’epoca lei ignorava addirittura l’esistenza.
“Qualcuno mi aiutò ad accendere un mutuo, se ne accollò gli interessi per un anno e risolse il problema. Mio padre più tardi s’è fatto una posizione nel settore industriale”. Lo guardò con un leggero sorriso e ripetè che prima non era mai stata a conoscenza di quello strumento commerciale.
“Io lo conoscevo” rispose lui” ma sapevo che non era economicamente vantaggioso”.
Lei non disse altro. Non gli spiegò che la persona che l’aveva finanziata era un ragazzo che aveva preso una cotta per lei quando lei era ancora adolescente. Non era un bel ragazzo, ma aveva un padre influente. Non soltanto le aveva avanzato i soldi per accendere il mutuo, ma aveva anche pregato il proprio padre di convogliare sulla nuova fabbrica che il padre di lei stava creando gli ordinativi di numerose istituzioni. Che cosa le aveva chiesto in compenso? Nulla. Non l’aveva nemmeno presa in considerazione.
Dopo che avevano discusso e risolto il caso, avevano deciso di vedersi a cena.
Avevano scelto di cenare al buffet di un vecchio hotel. Era una sala ampia e luminosa, al primo piano dell’edificio, con vetrate che andavano dal pavimento al soffitto.
Il ristorante era all’antica e la mediocrità del cibo risultava evidente, come un amore finito male.
Lei si era avvicinata al buffet e aveva preso pro forma qualche stuzzichino, ritenendo di dover mangiare qualcosa anche se il cibo appariva poco invitante. Doveva dare l’impressione di essere abituata a quel tipo di cibo e di trovarsi a proprio agio.
Il ragazzo, che non era puntiglioso né pretenzioso, aveva riempito un piatto di vari tipi di carne, poi un altro di cibi piuttosto semplici, ed infine era andato a prendersi un bicchiere di succo di frutta. Il suo atteggiamento e la sua espressione apparivano rilassati, come se si trovasse alla mensa aziendale. Aveva parlato rapidamente e con sicurezza delle varie cose che aveva convenuto con lei e le aveva spiegato che voleva soltanto aiutarla in modo semplice e facile, dimostrarle la propria gentilezza e le proprie capacità e, magari, farle provare un po’ di rimpianto e di rimorso.
La carriera di suo padre era proseguita a gonfie vele ed anche la sua vita matrimoniale si era svolta in un’atmosfera calma e serena forse per una decina d’anni, finché tutta questa felicità non era scomparsa all’improvviso.
Dopo la morte del marito, uno dei problemi che si era trovata ad affrontare era stato quello del cibo: che cosa mangiare e dove andare a mangiare?
Nei primi tre giorni si era limitata a bere qualche sorso d’acqua, un po’ di zuppa di riso, succo di datteri rossi ed amaro medicinale “ Huòxiāng Zhèngqì”. (7)
Il cadavere del marito giaceva ancora nella camera ardente allestita nel soggiorno, dove i genitori di lui ricevevano le visite di condoglianza. Nelle altre stanze parenti ed amici più o meno intimi conversavano.
La prima volta che un gruppo di persone si era riunito in quella stanza era stata in occasione del suo matrimonio. Il soggiorno era poi stato la stanza in cui passava la maggior parte del suo tempo.
La folla dei parenti e degli amici si era in seguito dispersa, lasciandosi dietro soltanto pochi parenti stretti di suo marito. Anche il padre di lei era ritornato a casa, mentre sua madre era rimasta con lei fino a sera.
Lei aveva giocato un po’ coi bambini sullo scivolo al piano di sotto, poi era risalita al piano superiore e la madre l’aveva invitata a fare una passeggiata.
Era una bella serata di tarda primavera. Il cielo era tinto di azzurro scuro e di un rosa cremisi, mentre le nuvole scivolavano verso l’orizzonte.
Le due donne erano uscite dalla porta laterale del condominio e si erano dirette verso un angolo tranquillo del quartiere residenziale.
Le foglie distiche (8) degli alberi di canfora sul ciglio della strada erano di un verde nuovo, tenero, i rami e le foglie delle piante di rosa correvano lungo i muri del condominio e i grandi boccioli lasciavano presagire l’imminente fioritura.
Attraversato il vasto cortile della scuola elementare, erano passate davanti ai grandi numeri bianchi disegnati per terra nell’atrio della scuola, avevano superato il supermercato, la lavanderia, il mercatino e il negozio di animali domestici ed infine sua madre l’aveva condotta in una stradina, dove si trovava una botteguccia che vendeva tagliatelle fredde.(9)
Si erano sedute su una panca ed avevano ordinato le tagliatelle, che erano state loro portate in un piatto di plastica di brillante color arancione, avvolto in un sacchetto di plastica. Le tagliatelle, grigie e bianche, cui erano stati aggiunti cetrioli verdi e gialli e glutine erano state insaporite con una salsa. Il tutto era stato cosparso di anelli di peperoncino tagliato in fette sottili e di coriandolo verde ed era stato ben mescolato..
La madre aveva preso le bacchette usa e getta, le aveva strofinate l’una contro l’altra per rimuoverne le scaglie e gliele aveva date.
Lei le aveva mandate giù lentamente, un boccone dopo l’altro. Il cibo, morbido, freddo e piccante, aveva istintivamente risvegliato in lei il senso del gusto.
Conosceva il sapore delle tagliatelle fredde.
Una quarantina di giorni dopo essere rimasta incinta di sua figlia, aveva cominciato a provare nausea la mattina e per un certo periodo era riuscita a malapena a mangiare qualcosa. Suo marito, ogni giorno, ritornando a casa dal lavoro, le aveva portato le tagliatelle fredde di quella botteguccia.
Nella settimana successiva al funerale del marito, si era nutrita di biscotti, che sua madre le portava ogni sera quando usciva a fare una passeggiata. Quella settimana era stata dedicata per intero al disbrigo di varie pratiche amministrative. Era andata, con i parenti del marito, al commissariato di polizia, in banca e dal notaio, svolgendo, l’una dopo l’altra, le incombenze che spettano ai superstiti.
In seguito era andata a lavorare all’estero, portandosi dietro i bambini, finché non era giunto il tempo di dimenticare.
Ritornata in Cina l’anno successivo, con i bambini, aveva cercato, silenziosamente, di immergersi di nuovo nella tranquilla routine della vita quotidiana.
L’incontro con il futuro marito era avvenuto grazie a conoscenze comuni. Lui però non aveva dimostrato fretta di frequentarla, finché non gli era parso che fosse giunto il momento opportuno. Allora aveva cominciato spontaneamente a pranzare con lei.
Era da quel lontano periodo che lei non era più abituata a mangiare da sola.
Aveva incontrato il suo futuro marito all’università. All’inizio del secolo il modo più evidente di rendere noto che era nata una simpatia tra due studenti era di mangiare insieme alla mensa universitaria. Ma, lei e il suo futuro marito studiavano nel nuovo, enorme campus, creato dopo l’ampliamento del complesso universitario. Alloggiavano in due aree assai distanti l’una dall’altra e, per incontrarsi, dovevano camminare più di una ventina di minuti. A quel tempo, il suo futuro marito andava ogni sera a trovarla, seduto sul sellino posteriore dello scooter di un amico, tenendo in mano un sacchetto di pop-corn caldi. Avevano passeggiato insieme, un mucchio di volte, avanti e indietro, nel cortile del collegio in cui lei alloggiava, parlando sensa sosta di tutto e di niente. Il più delle volte era lei che parlava e lui che ascoltava. Quando si faceva sera gli occhi di lui parevano sempre brillare nell’oscurità. Solo di fronte al suo futuro marito, lei sembrava riuscire a parlare liberamente, senza ripetersi e con precisione di linguaggio, ad esprimere le emozioni, ad esporre un pensiero senza dover prima riflettere, ed addirittura scherzando, ad usare il suo lessico personale e segreto, rivelando senza timidezza il suo carattere e le sue ambizioni, le sue debolezze e le sue paure.
Quando lui se ne andava, lei prendeva quanto restava del sacchetto di pop-corn e lo portava in camerata per dividerlo con le sue compagne, le quali spesso si lamentavano che i chicchi si fossero inumiditi ed avessero perso la loro croccantezza.
Il futuro marito arrivava di solito in scooter e se ne tornava a piedi, ascoltando musica sul CD player. Era alto e magro ed indossava sempre uno spesso cappotto di cotone color nocciola, con un tessuto esterno delicato, ma rigido e resistente, ed un colletto di falsa pelliccia, morbido e sbuffante. Quando faceva freddo, rivoltava il colletto verso l’alto per proteggere il collo ed allacciava i due bottoni di cuoio alla base. Lei lo guardava allontanarsi e svanire a poco a poco nella penombra della sera.
Mangiavano insieme durante i week-end senza immaginare che ciò sarebbe stato il preludio della loro vita in comune e di una serie di pasti consumati insieme per molti anni.
Nel menu della mensa universitaria figuravano sempre, invariabilmente, sfilacciato di maiale al profumo di pesce (10), fettine di maiale bollite , pesce con sottaceti.
Il futuro marito amava semplicemente la carne, a lei invece piaceva arricchire lo sfilacciato con germogli di bambù, le fettine con foglie di lattuga e germogli di soia ed il pesce con i crauti.
C’era tra di loro un tacito accordo. Durante i fine settimana, prendevano l’autobus e andavano insieme in città. A lui piaceva portarla nei supermercati, dove mangiavano piatti semplici e popolari.
Il ristorante in cui l’aveva portata la prima volta era durato più a lungo di quanto non fosse durata la loro vita in comune, ma si era spostato dalla sua ottima collocazione originale nel centro della città verso un vecchio supermercato. L’omelette di pollo al formaggio con contorno di riso che il futuro marito aveva trovato tanto gustosa era ancora presente nel menu. Ciò sembrava provare che il cibo che lascia un buon ricordo nella memoria non deve necessariamente essere costoso.
La cosa più bella dei pranzi con il futuro marito era che le davano la possibilità di rilassarsi. Poteva mangiare ciò che voleva, non era obbligata a comandare cibi di cui non aveva voglia, poteva mangiare molto o poco come meglio le pareva, parlare con la bocca piena, mostrarsi spizzichina.Tutto ciò non poteva farlo in presenza dei suoi genitori né con quelli del futuro marito, che, sostanzialmente, si aspettavano da lei lo stesso tipo di comportamento.
Dopo il matrimonio, lei e il marito avevano cominciato a frequentare di meno i ristoranti perché la suocera era sempre sospettosa degli ingredienti, dei condimenti e dei metodi di cottura di tutti i locali in cui andavano a pranzare. Di conseguenza, il cucinare era divenuto per lei un’incombenza quotidiana. Non aveva trovato difficile preparare piatti che rispondessero alle esigenze della suocera seguendo le ricette indicate nei libri di cucina, sebbene non trovasse la cosa molto divertente.
A tavola, il marito non aveva dimostrato l’arroganza con cui i mariti sono soliti criticare i piatti cucinati dalle mogli. Giudicava onestamente in base al criterio del proprio appetito e, senza opporre troppa resistenza, si era adattato gradualmente alle abitudini alimentari della consorte, accettando addirittura di mangiare anche i piatti preparati con ingredienti meno appetitosi e quelli che risultavano meno gustosi.
Dopo il decesso del marito, lei aveva tentato di pranzare da sola in ristoranti di un certo livello, specie in quelli che erano apprezzati dalla gente che le stava intorno, perché voleva mangiare qualche buon piatto, ma, quando riservava un tavolo non osava mai dire che era per una persona sola, riservava sempre per una coppia. Inoltre, comandava sempre porzioni molto più abbondanti di quelle che poteva mangiare e, prima di lasciare il ristorante, si faceva incartare ciò che aveva avanzato, fingendo che il marito fosse stato trattenuto all’ultimo momento da un impegno urgente e non avesse potuto pranzare con lei. Mangiare da sola attirava troppo l’attenzione.
All’improvviso, lui le posò la mano sulla spalla e, con gentile fermezza, la prese tra le sue braccia, in un modo così spontaneo che non sembrava avere nulla di offensivo. In fondo, lei era single, e lo era anche lui, e poi entrambi non erano più giovani.
La pioggia aveva smesso di cadere, ma l’umidità avvolgeva ancora gli alberi. La zona in cui si trovavano, che aveva preso il nome dalle barene formate dai depositi alluvionali del Fiume delle Perle, aveva ricevuto in lascito dalla precedente occupazione coloniale un complesso di edifici che le conferivano un’apparenza unica ed esotica.
Lui la invitò a fare una passeggiata dopo cena. I lampioni gettavano ombre sui muri degli edifici fiancheggiati da enormi banani ed alberi della canfora. La gente che affollava il quartiere durante il giorno era sparita. Un gatto dal pelo arruffato svanì rapidamente nell’oscurità. dirigendosi verso il chiosco di fiori che sorgeva all’angolo della strada. Il vento che soffiava nel crocevia rinfrescava ancor di più l’aria e lui la strinse tra le sue braccia, con un gesto che sembrava del tutto naturale.
Entrambi indossavano dei soprabiti.
Lui era venuto direttamente dall’ufficio, al termine di una giornata di lavoro, ed aveva ancora in mano la sua ventiquattrore. Camminando l’uno a fianco dell’altra a quell’ora, sembravano più dei colleghi di lavoro che degli innamorati.
L’incontro e la cena di quel week-end non erano diversi da quelli che li avevano preceduti.
Lei era venuta in città per un impegno di lavoro.
Nelle braccia di lui, il suo corpo rabbrividì, incapace di esprimere nettamente un consenso o un rifiuto.
Ciò che provava era una sensazione di freddo nel corpo e nella mente.
Anche lui del resto, esprimeva ad ogni momento, con il linguaggio del suo corpo, ritegno ed esitazione.
Si vedeva che non erano abituati ad alcuna familiarità e sarebbe stato ancor più difficile affermare che desiderassero proseguire sulla strada di una maggiore intimità. Lui non l’aveva mai fatta oggetto di fantasie erotiche, anche se, col passare del tempo, aveva imparato a conoscerla abbastanza bene.
Cominciò a parlarle di ciò che aveva visto in passato in casa di lei. Ricordò che sul tavolo c’era sempre uno spesso taccuino in carta di riso, sui cui fogli rimanevano impresse, giorno dopo giorno, le tracce dei suoi diligenti, coscienziosi esercizi di calligrafia. Ricordò anche che lei teneva un diario, su fogli sparsi che ammucchiava poi in un apposito scaffale della libreria. Il padre di lei aveva spesso mostrato con disinvoltura ai visitatori queste testimonianze della sua educazione, e lui era stato uno di quelli a cui le aveva mostrate. Nessuno, a quanto pareva, si era mai curato molto di sapere se a lei ciò piacesse o meno e nessuno le aveva mai chiesto se lei fosse d’accordo.
Lui si rendeva conto che c’era in lei una persona che si era formata all’epoca dell’adolescenza e che era rimasta intatta dentro di lei anche quando si erano incontrati di nuovo, anni dopo. Era questa persona che le diceva come parlare, come esprimersi, muoversi, camminare, come comportarsi nelle varie occasioni. Pensò che lei era rimasta identica a quella di un tempo e che per questo era preziosa.
Zhῡ Jú, un saggio dell’epoca dei Sòng Meridionali, menzionato nello” Specchio completo dei saggi e dei santi taoisti del passato” (11), aveva inseguito anche lui, da giovane, fama e fortuna.
Aveva trovato rifugio in un remoto antico tempio della capitale e, quando era stanco, si sedeva spesso sul bordo di un vecchio pozzo nel cortile abbandonato del tempio.
Talvolta il vento soffiava via lo strato di foglie che si era depositato sulla superficie dell’acqua e Zhῡ Jú poteva scorgere la propria immagine riflessa nel pozzo.
L’ombra del pozzo lo accompagnava, ma, dopo tre anni e mezzo di difficili studI, Zhῡ Jú fu bocciato agli esami imperiali e ritornò nella sua città natale.
Il tempio e il vecchio pozzo gli apparivano spesso in sogno.
Trascorsi cinque anni, Zhῡ Jú tornò alla capitale, forse per ritentare la sorte, si recò nell’antico tempio e si avvicinò al pozzo. I cespugli nel giardino abbandonato erano cresciuti ancor più disordinatamente ed uno spesso strato di foglie copriva come sempre la superficie dell’acqua.
Zhῡ Jú spinse via le foglie e si specchiò nel pozzo. Il volto che si rifletteva nell’acqua era diverso da quello di cinque anni prima. L’uomo che si specchiava nel pozzo non era più quello del passato.
All’improvviso, un altro volto comparve sul pelo dell’acqua, simile al primo, ma non completamente identico. Zhῡ Jú lo guardò con attenzione e si accorse che quel volto era identico al suo volto di cinque anni prima. Si volse indietro stupito e scorse, dietro di sé, uno strano personaggio, anche lui intento a specchiarsi nel pozzo. Capì che l’uomo che gli stava accanto era lui stesso quale era stato cinque anni prima.
L’uomo gli disse: “Tutto ciò che io desidero è stare con te anche solo per un attimo. Sono sempre rimasto qui da quando tu hai lasciato la capitale. Non ho mai fatto nulla, non mi sono mai mosso di qui. Ti aspettavo. Sapevo che saresti tornato perché avevi lasciato in questo pozzo la parte più importante della tua anima. Grazie a ciò ho potuto sopravvivere sino ad oggi. Ma, ora che ci siamo rivisti, voglio stare con te e vivere con te a qualsiasi costo. Voglio sapere che genere di vita hai vissuto dopo avermi lasciato, perché io sono rimasto fermo al passato e soltanto tu sai ciò che è successo dopo”.
Lui abbassò il braccio e prese nella propria mano la mano di lei. Teneva il braccio orizzontale perché fosse più facile per lei tenergli la mano.
I suoi movimenti erano seri e nervosi. Per lei era difficile immaginare che un uomo della sua età e della sua esperienza non avesse mai avuto contatti fisici intimi e si domandava se non fosse proprio il fatto di trovarsi con lei che lo rendeva impacciato. Capiva che lui stava ancora provando, tentando di vedere se fosse possibile fare qualcosa in comune, ricominciare la vita dell’uno e dell’altra. Non lo faceva per semplice divertimento né per una necessità fisiologica.
Quella sera, in mezzo a vecchi alberi che sarebbero vissuti molto più a lungo di loro, nel profondo respiro delle felci lussurreggianti, lui manifestò ancora una volta i suoi sentimenti a lei che rimaneva assolutamente fredda. Pensava semplicemente che in lei ci fosse ancora qualcosa di vivo, qualcosa che per gli altri poteva essere insignificante, ma che per lui era estremamente importante.
Lei stette in silenzio, incapace di rispondere.
Non era un silenzio dettato da qualche astuzia ben nascosta, era soltanto un silenzio di pietra.
Dopo che si furono salutati e lei fu tornata in città, ricevette da lui una telefonata con cui cercava di dirle ciò che non era riuscito a dirle mentre si trovavano insieme.
“Non hai ancora dimenticato quella faccenda? “le domandò” Dovresti sforzarti di capirmi. La ragione per cui non mi sono mai interessato agli altri è che avevo paura di interferire vanamente nel destino altrui. Era così che la pensavo una volta.Tutte le cose che accadono in questo mondo (12) sono sogni, illusioni, bolle di sapone, se viste nella prospettiva del tempo che passa. È sostanzialmente il concetto che vuole esprimere Xīn Jiàxuān (13) quando dice :
“Non possono fermarlo le verdi colline.
Il suo corso andrà sempre verso oriente”. (15)
Era chiaro che tentava di attribuire ad un altro tipo di rapporto causale (16) le azioni ed omissioni del passato di cui aveva vergogna, eludendo così, in modo accorto, qualsiasi responsabilità personale per ciò che era accaduto ed incolpandone tranquillamente il destino. (16)
Lei riandò con la mente un po’ più indietro nel tempo, quando aveva incontrato il suo futuro marito, cinque anni prima della passeggiata in bicicletta sulle rive del lago. Sul treno ad alta velocità, proprio prima della stazione in cui lei doveva scendere, il suo futuro marito era improvvisamente apparso nel vagone e le aveva offerto una collezione di DVD del suo regista preferito. L’anziano regista era vissuto più a lungo di suo marito. Ogni anno dichiarava di volersi ritirare ed ogni anno lanciava un nuovo film.
In quel periodo, per ragioni di studio e per questioni personali, lei viaggiava spesso in treno fra la città in cui viveva ed un’altra città.
Una volta, le era capitato di incontrare lui, che era in viaggio d’affari, ed entrambi ne erano rimasti molto sorpresi. Lei aveva cambiato di posto con il suo vicino e gli si era seduta accanto. Avevano parlato di cose senza importanza. A quell’epoca, molte possibilità sembravano schiudersi dinanzi a lei e non era ancora chiaro dove si sarebbe stabilita e con chi avrebbe vissuto. La vita era leggera e la malinconia inconsistente come la rugiada del mattino.
Mentre parlavano, lui, forse per la stanchezza del viaggio, si stava a poco a poco appisolando. La sua grossa testa, appoggiata allo schienale, stava lentamente scivolando verso di lei. Lei aveva prontamente raddrizzato le spalle per sostenerla, come se se lo fosse già un po’aspettato. (17 ) A quel tempo, i capelli di lui erano folti e soffici, sapevano di pulito e non avevano un odore marcato.
Lei era scesa per prima dal treno. Lui doveva ancora proseguire.
Lo aveva salutato con energia, allegramente. Dopo essere scesa dal vagone, era rimasta sulla pensilina a guardare il convoglio che stava per riprendere la marcia. La sua educazione le imponeva questa forma di cortesia: aspettare che lui ripartisse.
I finestrini però impedivano qualsiasi scambio verbale. Il volto di lui sembrava la faccia di un attore che recita una pantomima: la bocca era aperta nel gesto di parlare, ma non si sentiva alcun suono.
Era rimasta imbarazzata. Il minuto di fermata del treno le era parso quasi insopportabile a causa del copione che imponeva loro di guardarsi in volto, ma era rimasta fedele al suo ruolo, ben dritta in piedi sulla pensilina, dove batteva il sole e fischiava il vento, e con un bel sorriso sulle labbra..
Per tornare alla storia del saggio eremita, Zhῡ Jú e l’uomo parlarono liberamente del passato, viaggiarono allegramente insieme e trascorsero l’uno accanto l’altro un periodo molto piacevole, ma presto Zhῡ Jú cominciò ad annoiarsi. Le cose che interessavano all’uomo erano le cose che Zhῡ Jú aveva lasciato perdere nel corso di quei cinque anni. La conoscenza del mondo che aveva quell’uomo era dunque assai più ridotta e superficiale di quella che Zhῡ Jú aveva conseguito nei cinque anni trascorsi, ma l’uomo non se ne rendeva conto e continuava a cianciare. Zhῡ Jú avrebbe voluto andarsene per conto suo, ma l’uomo gli si attaccava e non lasciava che si allontanasse. Non potendosi staccare da lui, Zhῡ Jú finse di adattarsi alla situazione e lo ricondusse sul bordo del pozzo, poi, quando quello meno se l’aspettava, ve lo spinse dentro.
Gli alberi di sequoia che costeggiavano la strada erano stati alti e diritti per lungo tempo. Nel clima piovoso del tardo autunno, lo scalpiccio delle persone che si affrettavano alla mensa aziendale lasciava le impronte delle scarpe impresse nel terreno sporco e scivoloso o creava piccoli mucchi di foglie bruno-rossastre.
Una volta, lei era andata lì a cenare con suo padre. Quando il padre aveva voluto pagare il conto, s’era accorto che il buono pasto non era sufficiente. Lei aveva notato il suo imbarazzo e la sua confusione. Si guardava intorno come se non sapesse dove si trovava. Allora lei aveva tirato fuori senza farsi notare uno dei suoi buoni pasto e glielo aveva dato, fingendo di averlo trovato per terra, ma il padre aveva esitato ad accettarlo.
Lui e lei si erano incontrati molto presto nelle loro vite, alla luce fioca della mensa aziendale della ditta per cui lavorava il padre di lei, in mezzo alla gente, ora di mattina, ora a mezzogiorno, ora di sera, sedendo ai loro rispettivi tavoli, un pasto dopo l’altro, separandosi senza saper quale sarebbe stato il loro destino,
All’università, ai tempi della gioventù, lei e il suo futuro marito si dicevano arrivederci la sera senza malinconia, perché sapevano che si sarebbero ritrovati il giorno seguente.
Dopo il matrimonio, salutare il marito la mattina, quando partiva per l’ufficio, ed aprirgli la porta la sera, quando tornava dal lavoro, erano diventati parte della sua routine quotidiana. Erano troppo giovani per aver paura di un distacco.
In seguito, per lei, tracciare un confine silenzioso ed invisibile tra il presente e ciò che era avvenuto nel mondo di ieri aveva rappresentato un modo di sopravvivere giorno per giorno.
“Ho ucciso io stesso il mio passato e sono diventato una persona che vive soltanto nel presente. Non ho più un passato” aveva detto Zhù Jῡ.
Le cose che avrebbero potuto offrire a lui una speranza erano state sigillate nella memoria di lei, perfettamente isolate in un segmento della vita ormai concluso, inutilizzabili per costruire la lieta prospettiva di un futuro.
Il venerdì successivo lei entrò da sola al ristorante e disse al cameriere che le veniva incontro che avrebbe cenato da sola. Fu accompagnata in una saletta riservata. Sentì che i camerieri parlottavano nel corridoio al di fuori della saletta e percepì chiaramente le parole “È sola”. Tirate via l’altro coperto. Portatele il tovagliolo e il tè”.
Il cameriere, dopo averle chiesto il permesso, portò via dal tavolo l’aragosta e gliela ripresentò poco dopo privata del carapace e tagliata a dovere. I gesti di cortesia che lui aveva fatto per lei, i camerieri sapevano farli con maggiore scioltezza ed abilità.
Era da lungo tempo che non aveva più consumato, in tutta tranquillità, un pasto così sontuoso, presentato con tanta cura. Vedeva il cibo entrare in bocca ed andar giù nel suo corpo come se entrasse in un contenitore trasparente. Pensò alla domanda che lui le aveva rivolto: “ Sai qual è il cibo più incredibile che io abbia mai mangiato?”.
Le sembrava di vedere anche lui, nel momento in cui le aveva posto la domanda, come una figura trasparente, al cui interno appariva il cibo che aveva mangiato: polli, maiali, agnelli, pesce e tante altre varietà di cibo. I contenuti del corpo di lui dovevano essere più ricchi e complessi di quelli del corpo di lei, che, al paragone, doveva apparire povera e magra, e le sembrava di essere sempre stata così.
Finì di mangiare e uscì dal ristorante. Indossava, quel giorno, una lunga giacca a vento unisex di color grigio, pantaloni a sbuffo e scarpe di foggia maschile, abiti che le stavano bene, semplici, ma comodi ed adatti.
Mentre camminava sentiva che questi abiti la rendevano a poco a poco più alta e massiccia, come se si stesse mascolinizzando.
Avanzava a passi lunghi e decisi.
Era sola, ma libera.
NOTE
1) Nel testo originale si legge che si tratta di 孟克鞋款 (“mèng kè xié kuǎn”), cioè di calzature della marca Monk, tipo di scarpe di cuoio concepite essenzialmente per una clientela maschile.
2) Si indicano con il termine “buste rosse” (紅包 “hóng bāo”) le somme di denaro regalate a parenti ed amici in occasione di particolari ricorrenze, ad es. per il compleanno, o di feste importanti. La metafora deriva dal fatto che tali somme sono abitualmente contenute in buste di color rosso.
3) DM è l'abbreviazione dell’espressione inglese “ Direct Mail advertising”, vale a dire "pubblicità per posta diretta", e designa il materiale promozionale che viene fatto pervenire ai consumatori, a casa o in ufficio, tramite spedizione postale, consegna diretta o altre forme di comunicazione.
4) Questo piatto, detto in cinese 茶泡饭 (“chá pàofán”), è un piatto tipico della cucina giapponese in cui è chiamato “ochazuke”(“お茶漬け”). Lo si prepara versando del tè verde e del brodo di pesce su una base di riso bollito. Può essere accompagnato da vari contorni: sottaceti, prugne cotte, alghe, uova di merluzzo, frutti di mare fermentati, wasabi (ワサビ “ravanello giapponese”) ed altri condimenti.
5) Il termine 寿喜锅 (“shòuxīsāo”) è la trascrizione fonetica della parola giapponese “sukiyaki” 鋤焼き, che indica un piatto composto da carne di manzo e tofu, tagliati in fettine sottili, cipolle, funghi shiitake シイタケ o enokitake エノキタケ, cavolo cinese e altri ingredienti,bolliti lentamente in una bassa pentola di ferro, in una miscela di salsa di soia, brodo (出汁 “dashi”), zucchero e sakè dolce da cucina (みりん “mirin”). Prima di essere mangiati, gli ingredienti vengono immersi in una piccola ciotola di uova sbattute.
6) Il testo cinese usa il termine generico per indicare la bicicletta, ma dal contesto sembra risultare che si tratti piuttosto di un tandem, cioè di una bicicletta con due sellini.
7) L’”Acqua Huòxiāng Zhèngqì “ (藿香正气水 “huò xiāng zhèngqì shuǐ”) è un amaro medicinale cinese utilizzato per combattere il raffreddore ed altri leggeri malesseri. Non richiede prescrizione medica.
8) L’aggettivo 对生 (“duì shēng” “distico”) indica la qualità delle foglie di alcune piante, che appaiono disposte in due serie longitudinali radicalmente opposte.
9) Le tagliatelle fredde (凉皮 “liángpí”) sono un piatto tipico della provincia dello Shănxī 陕西, preparato con farina di riso o di grano.
10) Il termine 鱼香 (“yù xiāng”), letteralmente “profumo di pesce”, designa un condimento tipico del Sìchuān 四川, così chiamato perché il suo sapore deriva principalmente da uno speciale peperone sottaceto, detto 鱼辣子 (“yù làzí”), cioè “peperoncino al gusto di pesce”, che viene marinato con pesce fresco e altri peperoncini.
11) Lo “Specchio completo dei saggi e dei santi taoisti del passato” (歷世真仙體道通鋻 " lìshì zhēn xiān tǐ dào tōng jiàn”) è un’ampia collezione di biografie di 735 saggi taoisti, compilate dal letterato Zhào Dàoyī 趙道一 all’epoca della dinastia Yuán 元朝.
12) Ho tradotto con “le cose che accadono in questo mondo” il termine 有为法 (“yǒu wéi fǎ”), che esprime il concetto “ di dharma condizionato”, elaborato dalla dottrina buddhista, la quale distingue tra “saṁskṛta dharma”( संस्कृतधर्म), vale a dire “cose condizionate”, e “asaṁskṛta dharma” (“असंस्कृतधर्म”), vale a dire “cose incondizionate”. Il primo termine si riferisce alle cose che hanno una causa e la cui esistenza dipende da determinate condizioni, le quali sono perciò “impermanenti”, caratteristica propria di tutte le cose e di tutti i fenomeni di questo mondo.
13) Xīn Qìjí 辛棄疾, conosciuto anche come 辛稼轩 Xīn Jiàxuān (1140 d.C. – 1207 d.C.) fu uno scrittore cinese della dinastia Sòng 宋朝, famoso autore di “canzonette “ ( 词 “cí”). Le sue opere sono reputate per il vigore dello stile, l’originalità della fantasia e la profondità del pensiero.
14) Questi due versi ( 青山遮不住,毕竟东流去) sono tratti dalla canzonetta intitolata”I Bodhisattva- Scritto su un muro a Zàokǒu nel Jiāngxī”( 菩萨蛮·书江西造口壁):
郁孤台下清江水,中间多少行人泪? Limpido scorre il fiume sotto quella terrazza.
Quante lacrime versarono qui i fuggitivi?
西北望长安,可怜无数山。 Guardo, lontano, le perdute terre del nord-ovest,
ma non vedo che una successione di colline.
青山遮不住,毕竟东流去。 Non possono fermarlo quelle verdi colline:
il corso del fiume andrà sempre verso l’oriente.
江晚正愁余,山深闻鹧鸪。 A sera ancora mi rattristo guardando il fiume.
Lassù sulle colline cantano le pernici.
I due versi citati, col tempo, sono diventati un proverbio riferito all’ineluttabilità del destino.
15) L’uomo intuisce che la donna non gli ha ancora perdonato l’indifferenza dimostrata nei suoi confronti in occasione delle difficoltà economiche che avevano coinvolto il padre di lei e cerca goffamente di rimediare, adducendo a giustificazione della sua mancanza d’empatia profonde considerazioni filosofiche.Tutto ciò che accade nel mondo - egli dice- è governato dal destino, contro la cui forza irresistibile è inutile lottare. Lei non ne sembra affatto convinta, ed è questa forse una delle ragioni che fanno fallire il tentativo di avvicinamento.
16) Il termine 因果 (“yīnguō”), letteralmente “causa ed effetto”, esprime il concetto di “ rapporto causale”, che, nella dottrina buddhista, è conosciuto come “karma”(“कर्म”). Secondo questo concetto, le azioni compiute dagli esseri senzienti li vincolano alle conseguenze morali che ne derivano, e quindi , se le azioni sono moralmente negative, li allontanano dal “nirvana” (“निर्वाण”) e li costringono al “samsāra”(“संसार”), il ciclo delle rinascite. Il protagonista del racconto distorce il concetto di “rapporto causale”, attribuendo furbescamente quelle che avrebbero potuto essere le conseguenze negative della sua inerzia, non già al proprio comportamento omissivo, bensì alla "forza del destino".
17) In cinese la frase suona 好像自己已经足够成熟 (“hǎoxiàng zìjǐ yǐjīng zúgòu chéngshú”), vale a dire “come se fosse già stata abbastanza matura”. L’ho interpretata come se volesse dire che la donna, accorgendosi che il suo interlocutore si stava assopendo, si era già preparata a sostenerlo per evitare che la sua testa cadesse rovinosamente su un fianco. L’episodio si colloca in una serie di episodi ( ad es.il giro del lungolago in bicicletta, il rifiuto di aiutare il padre di lei) che non presentano l’uomo nella sua luce migliore e che possono spiegare la renitenza della donna ad impegnarsi in una relazione sentimentale.