Lŭ Xùn 鲁 迅 pubblicò l’articolo che segue il 27 luglio 1925 sul settimanale “Il Filo del Discorso” ( 语 丝 “yŭsī”), fondato a Pechino il 17 novembre 1924 da lui stesso, da suo fratello Zhōu Zuòrén 周 作 人, da Qián Xuántóng 钱 玄 同, da Lín Yŭtáng 林 语 堂 e da alcuni altri intellettuali.
A proposito della parola “tāmāde”
Capita spesso, se si vive in Cina, di sentire la parola “tāmāde” (1) o qualche altra espressione analoga. Penso che questa imprecazione si sia diffusa più o meno in qualsiasi luogo in cui i Cinesi sono riusciti a mettere piede. Il suo uso è corrente e temo che non risulti necessariamente inferiore a quello del più educato “nín hăo yā” (2). Se , come taluni affermano, la peonia è il nostro “fiore nazionale”, allora si può considerare che “tāmāde” è la nostra “imprecazione nazionale”.
Io sono nato nella parte orientale del Zhèjiāng, regione che il signor Xī Yìng chiama “una certa zona” (3). In tale regione la forma corrente dell’”imprecazione nazionale” è estremamente semplificata. Essa è infatti ridotta al solo “mā” (“madre”), senza che sia tirato in ballo nessun altro. Non appena ho cominciato a viaggiare e a conoscere altri posti, ho scoperto con sorpresa che, di questa imprecazione, esistevano numerose e sottili varianti: si poteva risalire agli antenati, deviare verso le sorelle, scendere verso i figli e i nipoti, inglobarci l’intera stirpe come “la Via Lattea di cui non si vede il capo né la coda”.(4) Inoltre, i destinatari dell’imprecazione, non erano soltanto gli esseri umani: la si poteva estendere anche agli animali. Due anni fa ho visto un carrettiere scendere furibondo da una carretta di carbone le cui ruote erano sprofondate in un solco della carreggiata e mettersi a frustare rabbiosamente il mulo urlandogli: “nĭ zĭzĭde” (“tua sorella”).
Non saprei dire se esistano cose simili in altri paesi. So che il norvegese Hamsun ha scritto un romanzo intitolato “Fame” (5) in cui non mancano i termini volgari, ma non vi ho trovato un’imprecazione di questo tipo. Nei romanzi di Gorky compaiono numerosi farabutti (da cui ci si può aspettare un linguaggio sboccato), ma, almeno nei libri che ho letto, non ho mai trovato tale forma di imprecazione. Solo Arcybašev, nella sua novella intitolata “L’operaio Ševirev” mette in bocca al pacifista Aladev l’espressione мать вашу! (“tua madre!”).(6) Ma questo personaggio aveva già deciso di sacrificarsi per amore, mentre noi continuiamo a ridere del suo paradossale coraggio.(7)
Questa espressione è assai facile da tradurre in cinese, molto meno in altre lingue, nelle quali si deve ricorrere a frasi lunghe e pesanti .Per esempio, in tedesco, la traduzione dà qualcosa che suona come “ho approfittato di tua madre”, in giapponese qualcosa che suona come “tua madre è la mia puttana”.
Dunque, anche i Russi conoscono questa imprecazione, ma restano comunque lontani dal dimostrare il nostro spirito e la nostra inventiva, cosicché è a noi che spetta incontestabilmente il primato in questo campo. Bisogna però riconoscere che questo non è, tutto sommato, un grande onore e non è quindi necessario che protestino. Ci mancherebbe ancora che il comunismo volesse imporsi anche in questa materia. Non bisogna spaventare a morte la gente agiata, celebre e ben sistemata che abbiamo in Cina.
È pur vero che, in Cina, sono soltanto i membri delle cosiddette “classi inferiori”, gente come i carrettieri, a pronunciare tali volgarità, mentre i rispettabili membri delle “classi superiori”, gente come i letterati e gli alti funzionari, non s’azzarderebbero mai a dire queste parolacce, e meno che mai a scriverle. Ma io, che “sono nato tardi” (8), che ho mancato la dinastia Zhōu (9), che non sono riuscito a diventare un alto funzionario, e nemmeno un letterato (10), io non ho avuto difficoltà a scrivere questa parolaccia, sebbene alla fine l’abbia un po’modificata, togliendo dall’”imprecazione nazionale” un verbo e un sostantivo e mettendola alla terza persona, forse perché, dopo tutto, non ho mai tirato un carretto in vita mia ed è quindi inevitabile che si sia conservata in me una traccia di nobiltà. Ciò premesso, visto che si tratta soltanto di una parte dell’intera espressione, è possibile che alcuni non la considerino più come una vera “imprecazione nazionale”, ma non è detto: le classi popolari contestano anche il ruolo della peonia, che pure è apprezzata dalla gente per bene come “il più nobile dei fiori”.
Quanto all’origine di tale espressione, brancolo nel buio. Nei classici e nei libri di storia gli insulti più correnti sono “servo”, ”schiavo” , ”carogna”. Si passa poi a “cane rognoso” e “topaccio” (11), e si arriva infine agli insulti più atroci, quelli che mettono in causa i genitori e gli antenati, come “figlio di una serva “ e “rampollo di sporchi eunuchi”(12).
Tutto qui! Non ho mai visto un insulto come “tua madre” o qualcosa di simile, forse perché i letterati e gli alti dignitari consideravano tabù scrivere porcherie di questo genere.(13) Tuttavia, nel settimo volume del Guănghóngmíngjí (14) leggiamo che Xing Zĭcài (15), generale dei Wèi Settentrionali, “ritenendo che non si dovesse avere fiducia nelle donne, domandò un giorno al suo amico Wáng Yuánjìng (16) se il suo cognome fosse veramente Wáng. Il volto di Yuánjìng si imporporò, ma Zĭcài continuò: “Anche per me vale lo stesso discorso. Dovrei veramente chiamarmi Xìng? Non sono sicuro di poter garantire la purezza del mio lignaggio su cinque generazioni”. È questo un aspetto delle cose sul quale si può riflettere.(17)
Già sotto la dinastia dei Jìn (18), il lignaggio aveva molta importanza, persino troppa. I membri di famiglie illustri facevano carriera, i loro figli accedevano facilmente alle cariche statali, anche se erano totalmente incapaci e buoni soltanto a gozzovigliare. Sebbene le regioni vicine alla frontiera settentrionale fossero state invase dalle tribù dei Tuòbá (19), i letterati s’impuntavano ancor più insensatamente in una difesa accanita dei privilegi legati alla nascita e delle distinzioni di rango Anche se nei ceti popolari c’erano persone di talento, costoro non avevano alcuna possibilità di competere con i “grandi nomi”. Le grandi famiglie sfruttavano il prestigio degli antenati per lanciare in carriera individui arroganti e mediocri, privi di capacità, ma ricchi d’ambizione, e ciò, come è naturale, era mal sopportato dalla gente. Di conseguenza, gli “antenati” , se erano usati come “numi tutelari” (20) dalla classe dirigente, erano invece considerati con ostilità dal popolino oppresso. Le parole di Xìng Zĭcài, sebbene non si possano attribuire con certezza ad un moto di indignazione o di sdegno, rappresentano senza dubbio un colpo mortale inferto a coloro che si nascondevano sotto lo schermo di una “ nobile nascita”. Il potere e la reputazione erano fondati esclusivamente sugli “antenati”. Erano costoro il solo talismano e la sola garanzia dell’esistenza. Se venivano a mancare gli “antenati”, crollava tutto. Era questo il rischio da correre per passare la vita sotto l’ombra protettrice della famiglia.
Se un membro delle “classi inferiori”, una persona priva delle capacità espressive di Xìng Zĭcài, avesse voluto esprimere la stessa idea, avrebbe detto “tāmāde”. Qualora si voglia attaccare il solido e munito bastione delle “grandi famiglie”, prenderne di mira la purezza del sangue è una strategia che si può dire veramente astuta. Il primo a cui è venuta in mente l’espressione “tāmāde” può davvero essere considerato un genio, seppure un genio ignobile.
Dopo i Táng,l’uso di inorgoglirsi del proprio lignaggio gradualmente sparì. Con l’arrivo dei Jīn e poi degli Yuán (21), ci furono addirittura dei barbari che occuparono il trono imperiale e non ci si stupì che macellai e commercianti prestassero servizio come ministri e funzionari. Le distinzioni di rango erano ormai diventate piuttosto difficili da definire, eppure c’era ancora gente che, con grande caparbietà, voleva accedere ai “gradi superiori”. Nei testi di Liú Shìzhōng(22) si legge:
“Se c’è qualcosa di ridicolo, questo è avere rapporti con la gente ordinaria dei quartieri commerciali. Non c’è alcun vantaggio ad essere amici di quei poveracci che non contano nulla. (23) Per far carriera occorre uno pseudonimo (24), un titolo, buone maniere e parlare forbito. Occorre domandare spesso, ma saperlo fare con parole eleganti.“ ( dall’opera “Il diplomato Táng).
“Ascolta questa mia enumerazione: un venditore di riso può essere rispettabile, un macellaio può essere onorato, un conciapelli può essere un uomo di talento, una persona onesta può senza dubbio svolgere bene attività di commercio, un venditore d’olio può godere di un’ottima fama, un venditore di sale può essere considerato un valentuomo, anche se in ambito popolare, ma è il nome d’arte che aiuta ad accumulare ricchezza e riempie i depositi, è il nome di cortesia che procura le scorte di pesce salato, è chi può mettere in vendita grandi quantità di cibo che è chiamato “nobile signore”, è chi si infarina il volto salendo su dal fondo dello staccio che è definito un “uomo virtuoso”. Non è forse vero? (dal dramma “La palla di seta ricamata”).(25)
Ecco come erano ributtanti i nuovi ricchi di quel periodo.
Prima di far fortuna un “uomo del popolo” avrà naturalmente avuto sulle labbra un buon numero di “tāmāde”, ma, se gli si presenterà una buona occasione e, per caso, arrafferà un posto ed imparerà a scarabocchiare un paio di caratteri, allora si darà arie di compito gentiluomo: sceglierà un nome elegante , salirà nella scala sociale, s’inventerà un albero genealogico e si cercherà un capostipite, possibilmente un letterato illustre, sennò almeno un celebre ministro. A questo punto, trasformatosi in “membro della classe superiore”, proprio come i suoi eminenti predecessori, ispirerà ogni sua parola ed ogni suo gesto al massimo della raffinatezza e della distinzione. (26) Però anche il popolo ignorante è, in fin dei conti, abbastanza sveglio e, presto o tardi, si accorgerà del trucchetto. Ecco spiegata l’origine del proverbio:” A parole sono umani, giusti, educati e saggi (27), ma, nell’animo, gli uomini sono dei briganti e le donne delle puttane”. La gente del popolo ha capito tutto molto bene ed è per ribellarsi a questo che essa dice “tāmāde”.
Gli uomini però non sono capace di rinunciare alle prerogative di un tempo e agli antichi privilegi, facendone piazza pulita , e si ostinano a svillaneggiare gli antenati altrui, senza tener conto del fatto che un simile atteggiamento è sempre miserabile. A volte la parola “tāmāde” viene pronunciata in circostanze in cui la sua violenza risulta accentuata, ma, in generale, si approfitta semplicemente dell’occasione per lanciare questa imprecazione, anche se non è il momento adatto, ed è pur sempre un fatto penoso.
Ancor oggi ci sono in Cina innumerevoli “ranghi”, ancora si tengono in conto gli alberi genealogici, ancora si invocano illustri antenati. Finché questa situazione non cambierà, continuerà ad esistere, pronunciato o non pronunciato, il nostro “insulto nazionale”. È così che il termine “tāmāde” ci ha circondati, dall’alto in basso e da tutti i lati, come è ancora necessariamente accaduto al tempo dei Tàipíng. (28)
Può nondimeno anche accadere che “tāmāde” sia usato, in via eccezionale, per esprimere sorpresa oppure emozione. Mi ricordo di aver visto in un villaggio un contadino che stava pranzando con suo figlio. Mostrandogli una tazza di zuppa di verdure, il figlio gli disse:”Non è male, figlio di buona donna (“māde”). Assaggiala!” e il padre gli rispose: “Non ne voglio, figlio di buona donna (“māde”). Finiscila tu!”. In casi come questo, l’espressione “tāmāde” si è così raffinata (29) da assumere ormai il significato dell’espressione “mio caro”, oggi di moda.
NOTE
1) Il termine “tāmāde”他 妈 的 (letteralmente: “di sua madre”) è una versione abbreviata ed edulcorata di “cào ní mā de bī” 操 你 妈 的 屄(letteralmente: “penetro nella vagina di tua madre”), insulto che equivale al nostro “figlio di puttana”.
2) ”Nín hăo” 您 好 o “ní hăo” 你 好 è la formula usuale di saluto in lingua cinese. (牙 “yā” è una particella finale corrispondente al nostro “neh”). Se “tāmāde” si sente più spesso di “ní hăo”, ciò significa che è la parola più frequentemente pronunciata in cinese.
3) Lŭ Xùn fa qui riferimento ad una polemica che lo aveva opposto allo scrittore Chén Xīyìng 陈 西 滢, nel corso della quale quest’ultimo lo aveva provocatoriamente definito come una persona proveniente da “una certa zona”.
4) La citazione è tratta da un passo del primo capitolo dello Zhuāngzĭ:” Jiān Wú disse a Lián Shū : “Ho ascoltato i discorsi di Jiē Yú. Tante parole, reboanti ma prive di sostanza, che mi hanno spaventato perché somigliano alla Via Lattea, di cui non si vede il capo né la coda, ingarbugliate e lontane dall’esperienza umana”.
5) Knut Hamsun (1859-1962) pubblicò nel 1890 il suo famoso romanzo “Sult” (“Fame”).
6) Michail Petroviĉ Arcybašev (1878-1927), nella sua novella “L’operaio Ševirev” ( “Рабочий Шевырёв”) del 1905, fa esclamare al pacifista Aladev :”Va’ al diavolo! Tua madre!.”( Пошли к черту , мать вашу!)
7) Lŭ Xùn intende probabilmente dire che, nella novella russa, Aladev pronuncia la frase in circostanze tragiche che le conferiscono una paradossale grandezza, mentre i Cinesi non ne colgono, normalmente, altro che l’aspetto volgare.
8) La frase “sono nato tardi” figura tra virgolette. Deve quindi trattarsi di una citazione letteraria o di parole pronunciate da un personaggio molto conosciuto.
9) La dinastia Zhōu 周 朝 aveva, secondo Confucio, fornito il meglio di quanto la civiltà cinese fosse riuscita a realizzare fino ai suoi tempi. Imitare i Zhōu doveva quindi essere l’obiettivo di ogni persona saggia e colta. Dicendo che ha “mancato” la dinastia Zhōu, Lŭ Xùn intende verosimilmente sottolineare, in modo ironico, che non ritiene di appartenere alla categoria dei sapienti e dei letterati. C’è forse anche un gioco di parole sul termine. Zhōu è infatti il nome di famiglia di Lŭ Xùn, che si chiamava in realtà Zhōu Shùrén 周 树 人 .
10) Lŭ Xùn accenna qui alla propria esperienza personale. Nato in una famiglia di proprietari terrieri e di funzionari, la cui prosperità economica declinò durante la sua giovinezza, avrebbe desiderato prepararsi all’esame d’ammissione al pubblico impiego che l’apriva la via della carriera amministrativa statale, ma fu costretto, per mancanza di mezzi, a frequentare una scuola pubblica in cui veniva impartito un insegnamento di tipo “occidentale”.
11) L’enciclopedia “on line” Băidù Băikē百 度 百 科 ci fornisce, nel suo commento a questo articolo, le fonti degli insulti citati da Lŭ Xùn.
“Servo” ( 役 副 “yìfu”) figura nello Zuŏzhuăn 左 转 , opera storica del 5° secolo a.C.
“Carogna” (死 公 “sīgōng”) è tratto dal “Libro dei Hàn Posteriori” 后 汉 书 (5° secolo d.C.)
“Cane rognoso” (老 狗 “lăogŏu”) è usato nella “Storia dell’imperatore Xiàowŭ della dinastia Hàn” 汉 孝 武 故 事 di Bān Gù. 班 固 (1° secolo d.C)
“Topaccio” (貉子“hàozi”) appare nel testo intitolato “Aneddoti contemporanei e nuovi discorsi” 世说新语 ( 5° secolo d.C.). Il termine ”hàozi” 貉子 designa, a stretto rigore, il cane procione o cane viverrino, una specie di cane dall’aspetto curioso, piuttosto simile a quello del procione o del tasso.
“Figlio di una serva”( 而母婢也 ”érmŭbìyĕ”) si trova nella “Strategia degli Stati combattenti” 战 国 策, opera composta fra il 3° e il 1° secolo a.C.
“Rampollo di sporchi eunuchi” (赘阉遗丑 ”zhuìyān yíchŏu”) fa capolino in un trattato del 3° secolo d.C.
12) Questo insulto un po’ surreale si spiega con il marcato disprezzo che la società antica aveva nei confronti degli eunuchi, considerati esseri spregevoli e pieni di vizi.
13) Si può cogliere in questa frase una critica di Lŭ Xùn alla letteratura cinese che fu, fino a tempi abbastanza recenti, non diversamente del resto da molte altre, appannaggio di élites intellettuali ben lontane dalla sensibilità e dalle esigenze delle masse.
14) Il “Guănghóngmíngjí” (广弘明集) è un’opera di ispirazione buddhista compilata all’epoca dei Táng. Contiene testi di circa centotrenta autori, che vanno dal periodo della dinastia Jìn晋 朝 fino agli inizi della dinastia T’ang.唐 朝
15) Di Xìng Zĭcài 邢 子 才 leggiamo nell’enciclopedia “on line” Băidù Băikē 百 度 百 科 quanto segue: “Xìng Zĭcài nacque nel 496 d.C. sotto il regno di Xiàowén 孝 文 della dinastia dei Wèi Settentrionali 北 魏 . È ricordato per la sua memoria prodigiosa. A dieci anni era già in grado di scrivere poesie. Recatosi in giovane età a Luòyáng 洛 阳 , una volta, non potendo uscire di casa a causa della pioggia, lesse in cinque giorni tutto il “Libro dei Hàn” 汉 书 . Servì sotto le dinastie dei Wèi Settentrionali 北 魏 e dei Qí Settentrionali 北 齐 .Fu , successivamente, generale al comando della cavalleria leggera, governatore dello Xīyānzhōu, primo segretario della cancelleria imperiale, rettore del collegio imperiale, consigliere speciale aggiunto, ecc. Insieme con Wèi Shōu 魏 收 e Wēn Zĭshēng 溫 子 昇 formò un gruppo di letterati che fu chiamato dai contemporanei “I Tre Talenti del Nord”.(北 地 三 才 “bĕidì sāncái”) Si ignora l’anno della sua morte. Lasciò trenta volumi di opere letterarie”.
16) Wáng Yuánjĭng 王 元景, originario di Bĕihăi 北海 nello Shāndōng 山东, venne nominato supervisore (太子詹事 “tàizĭzhānshì”) verso la fine dell’era Wŭdìng 武定 (543d.C-550 d.C.) sotto la dinastia dei Wèi Orientali 东魏. Fu amico di Xìng Zĭcài. Morì nel 559 d.C.
17) Questo aneddoto costituisce il punto di partenza di una lunga riflessione politica. Per la classe dominante, che fornisce anche l’élite intellettuale del paese, l’espressione “tāmāde” – osserva Lŭ Xùn - ha sempre rappresentato un tabù. Ciò è dovuto al fatto che, nel sistema di governo posto in essere da tale classe, l’accesso alle cariche pubbliche non dipende dai meriti effettivi degli individui, bensì dalle presunte capacità di cui essi disporrebbero in virtù della loro appartenenza a determinate famiglie. Ora, ciò che è adombrato nella parola “tāmāde” mette in dubbio il fondamento stesso di un criterio di selezione fondato sul lignaggio: la certezza della filiazione legittima ed ha, di conseguenza, una portata profondamente rivoluzionaria. Se ne ha la controprova constatando che, quando una persona riesce a passare dalle classi inferiori alla classe dominante, modera,per prima cosa, il proprio linguaggio, abbandonando,innanzitutto, il termine “tāmāde”.
18) La dinastia Jìn regnò dal 265 d.C. al 420 d.C.
19) I Tuòbá (拓跋/拓拔) erano un ramo degli Xiānbēi (鲜卑), popolazione nomade stabilitasi in Mongolia nel 2° secolo d.C., che invase, in seguito i territori cinesi situati a nord del Fiume Giallo e vi stabilì la dinastia dei Wèi Settentrionali 北魏,( 386 d.C-536 d.C.), con capitale Píngchéng (平城), dove oggi sorge la città di Dàtóng (大同).
20) Il termine 护符 (“hùfú”) designa gli amuleti, i talismani che venivano portati al collo o al braccio per proteggere dalla cattiva sorte. Per le famiglie nobili –osserva ironicamente Lŭ Xùn- questa funzione di portafortuna era svolta dagli illustri antenati.
21) La dinastia Jīn 金 朝 , fondata dal capo di un clan della tribù Jurchen, stanziata in Manciuria, regnò dal 1115 d.C. al 1234 d.C. sulla parte settentrionale della Cina. La dinastia mongola Yuán 元 朝 fondata da Kublai Khan ( in cinese 忽必烈 Hūbìliè) regnò dal 1271 d.C. al 1368 d.C. sull’intera Cina.
22) Liú Shízhōng 刘 时 中 (vero nome: Liú Zhì 刘致, nome di cortesia Shízhōng 时 中, pseudonimo Būzhài 逋 斋), originario di Níngxiāng 宁乡 presso Shízhōu石州, fu attivo nella prima metà del XIV° secolo all’epoca della dinastia mongola Yuán 元 朝 (secondo alcune fonti sarebbe morto nel 1338 d.C.). Fu poeta, autore di opere in musica e membro dell’Accademia Hanlin. (翰林院 “hànlín yuàn”). È ricordato un suo”divertimento”(套曲“tàoqū”) intitolato “Omaggio al supervisore Gāo”《上高监司 “sháng gāo jiānsī”),nel quale descrive, con accentuato realismo, le tristi condizioni di vita della gente comune durante un periodo di siccità e le vessazioni dei notabili e degli affaristi che approfittavano di questa calamità per opprimere il popolo.
23) Il termine “jiānghú” (江 湖 “letteralmente: “fiumi e laghi”) appare nello Zhuāngzĭ 庄 子 (“4° secolo a.C.), dove è usato per indicare i saggi eremiti che rinunciavano al mondo, abbandonando ogni attività politica ed ogni relazione sociale. Col passare del tempo, assunse un significato più negativo designando coloro che, per inadeguatezza intellettuale o difetti di carattere, non riuscivano a svolgere funzioni adeguate nella società. Più tardi estese la sua portata fino ad inglobare, in generale, i membri delle classi inferiori: mercanti, artigiani, venditori ambulanti e vagabondi. È questo il senso attribuito al suddetto termine nel passo citato. Un senso ancor più tardivo è quello che ricomprende nel termine anche fuorilegge e banditi, che creavano talvolta vere e proprie società parallele alla società ufficiale.
24) Il carattere 号 “hào” indica lo pseudonimo o nome d’arte, che, come il nome di cortesia (表 子”biăozĭ”), veniva un tempo usato per rivolgersi ad un individuo, essendo considerato poco cortese indirizzarsi ad una persona con il suo vero nome. La differenza tra “biăozĭ” e “hào” consisteva nel fatto che il primo era generalmente scelto dai genitori, il secondo dallo stesso interessato. Entrambe le consuetudini sono oggi cadute in disuso, salvo tra gli scrittori, che continuano ad utilizzare pseudonimi.
25) Lŭ Xùn cita, come fonte dei passi citati, l’antologia “Nuova compilazione di canti – Inizio di Primavera, Neve Brillante”(乐 府 新 编 阳 春 白 雪 “yuèfŭ xīnbiān yángchūn báixuĕ”), pubblicata intorno al 1324 d.C. Ho letto su Internet che la prima citazione sarebbe tratta dall’opera “Il diplomato Táng”( 倘秀才“tăng xiùcái”), la seconda dal dramma “La palla di seta ricamata”(滚 绣 球 “gŭn xiù qiú”).
26) L’espressione 温文尔雅 (wēnwén’ĕryă) serve ad indicare una persona gentile e beneducata, il cui comportamento non appare tuttavia sincero e spontaneo. Il riferimento all’”ĕryă” 尔雅 ,uno dei più antichi dizionari cinesi, fa pensare che si voglia alludere, con questa espressione, ad una persona il cui linguaggio elegante e forbito non è naturale, ma è stato accuratamente pescato nel vocabolario.
27) L’espressione 仁义礼智(rényìlĭzhì) cita quattro delle cinque virtù confuciane: benevolenza (仁 “rén”), giustizia (义 “yì”), cortesia (礼 “lĭ”) e saggezza (智 “zhì”). La quinta è l’”onestà” (信 “xìn”).
28) Penso che l’espressione 太 平 的 时 候 (“tàipíng de shìhòu”) si riferisca all’”epoca dei Tàipíng”, cioè alla cosiddetta “Rivolta dei Tàipíng” che scosse la Cina tra il 1851 e il 1864. È ovvio che , in un periodo di disordini e di guerra civile, nessuno badasse più molto all’eleganza del linguaggio.
29) Il termine 醇 “chún” indica l’alcool di buona qualità. Ricorrendo a questo termine, l’autore intende dire che l’uso generalizzato di “tāmāde” ha operato su questa parola come la distillazione opera sulla vinaccia, estraendone sensi “depurati”, per così dire, della volgarità originaria.