La “Grande Fame” (大饥荒 “dà jīhuang”) degli anni 1959-1961 fu la più disastrosa conseguenza del “Grande Balzo in Avanti “ (大跃进 “dà yuèjìn”), l’ambizioso piano quinquennale che, nel giro di pochi anni (1958-1963), avrebbe dovuto fare di un paese agricolo e arretrato come la Cina una moderna potenza industriale.
La fame imperversò soprattutto nelle campagne. Il piano quinquennale dava infatti per scontato un grandioso incremento della produzione agricola che doveva servire anche a nutrire senza problemi la popolazione delle città. Quando i responsabili locali si resero conto che i raccolti effettivi non corrispondevano affatto alle loro aspettative trionfalistiche, non ebbero il coraggio di ammettere il fallimento del piano e comunicarono al governo cifre che si discostavano, talvolta enormemente, dalla realtà. Di conseguenza, le quote prelevate per il rifornimento dei centri urbani risultarono molto superiori a quanto avrebbero dovuto essere.
L’intensità della carestia che si manifestò subito nelle regioni agricole variò in funzione del comportamento delle autorità locali: dove erano state dichiarate cifre non troppo lontane dalla realtà, come nello Shănxi, la quota di provviste lasciata ai contadini fu sufficiente almeno ad evitare la fame; dove invece il divario tra la produzione dichiarata e quella effettiva era enorme, come nel Gānsū, ai contadini non rimase nulla o quasi nulla da mangiare.
Il disastro fu tenuto segreto per lungo tempo e parlarne era ancora tabù anche in anni relativamente recenti.
Soltanto nel 2008 un libro di Yáng Jìshéng 杨 继 绳, intitolato “Pietre Tombali” (墓 碑 “mùbēi”), nato da lunghe ed accurate ricerche, cominciò a gettar luce su questi avvenimenti mettendo in evidenza che erano chiaramente il risultato di una azione politica e non di fenomeni naturali, come si poteva invece leggere nei libri di storia, dove si parlava di “tre anni di difficoltà” (三 年 困 难 时 期 “sān niàn kùnnán síqí”) o di “tre anni di catastrofi naturali”.(三 年 自 然 灾 害 “sān nián zìrán zāihài”).
Nella scia di Yáng Yìshéng s’è mossa Yī Wá 依 娃 , l’autrice del testo di cui riporto qui di seguito la traduzione.
Yī Wá è lo pseudonimo di Sòng Lín 宋 林 , nata in una famiglia contadina nel distretto di Fùpíng 富 平 县, prefettura di Wèinán 渭 南 市 , regione dello Shănxī 陕 西.
Adottata da una sorella del padre, ha potuto studiare e diplomarsi. Dopo aver lavorato alcuni anni in un organismo finanziario, si è trasferita con il marito negli Stati Uniti e vive attualmente nel Massachusetts, pur soggiornando spesso nel suo paese d’origine.
È proprio durante un soggiorno in Cina che Yī Wá, incuriosita dalle ricerche di Yáng Yìshéng, s`è resa conto, ripensando con più attenzione ad alcune parole udite una volta in famiglia, che sua madre non era, come aveva sempre creduto, una contadina dello Shănxī e, dopo averla interrogata, ha scoperto che era una donna fuggita dal Gānsū al tempo della “Grande Fame”.
Prendendo le mosse dalla testimonianza della propria madre, Yī Wá ha intervistato durante un triennio, nello Shănxī e nel Gānsū, oltre 200 persone tra i 58 e i 95 anni d’età ed ha poi pubblicato nel 2013 le 50 interviste più significative in un libro intitolato “Alla ricerca dei sopravvissuti della Grande Fame” (寻 找 大 饥 荒 幸 存 者“ “xúnzhǎo dà jīhuang xìngcún zhě”).
Ha poi usato lo stesso metodo per realizzare un secondo libro, pubblicato verso la fine del 2014 ed intitolato ”Alla ricerca delle donne e dei bambini che hanno fuggito la Grande Fame” (寻 找 逃 荒 妇 女 娃 娃 “xúnzhǎo táohuāng fùnǚ wáwá”).
È la tragica storia delle donne che, spesso accompagnate dai figli, erano fuggite dal Gānsū nella regione limitrofa dello Shănxī per evitare di morire di fame, compiendo un lungo viaggio pieno di rischi e di peripezie ed andando incontro ad un futuro più che incerto.
Il libro è preceduto da una breve, ma intensa introduzione, intitolata “Alla ricerca della storia di mia madre”(寻找母亲的历史 ”xúnzhǎo mǔqīn de lìshǐ”), in cui Yī Wá descrive con passione e commozione in qual modo sia venuta a poco a poco a conoscenza della storia segreta di sua madre.
“Alla ricerca delle donne e dei bambini che hanno fuggito la Grande Fame”
“Alla ricerca della storia di mia madre”
Le nazioni hanno una storia, i grandi uomini hanno una storia, ma che storia può avere una madre analfabeta, che non è mai andata a scuola, che in vita sua non ha mai fatto altro che coltivare la terra e tirar su un paio di bambini?
Per molti anni ho pensato che mia madre fosse una persona insignificante in cui non c’era nulla che potesse destare il minimo interesse.
Non aveva l’estro e l’abilità manuale (1) della nostra vicina Zia Chūnfāng che sapeva tessere ed era capace di ritagliare fiori di carta per ornare le finestre, e, meno ancora, il carattere deciso e risoluto dell’altra vicina Mamma Kŏngquè (2).
Sopportava tutto e lavorava duro: mi ricordo di averla vista una volta tirarsi dietro due grosse gerle piene di fieno per gli animali.
Era d’animo semplice, fragile di costituzione, e non sapeva far altro che cucinare, pulire le pentole, lavare i panni e rammendare gli abiti. Non attirava l’attenzione più di una zolla di terra in un campo.
Quando ho compiuto quarant’anni, ho cominciato a poco a poco a rendermi conto che non conoscevo mia madre, che ignoravo il suo passato, che non sapevo che tipo di persona fosse. Ho pensato che un tempo ero stata legata al suo corpo dal cordone ombelicale e che perciò anche il suo passato era qualcosa che senza dubbio mi riguardava. Non avevo mai avuto alcuna curiosità nei riguardi di mia madre, ma allora, d’un tratto, ho cominciato ad interessarmi della sua storia, che era anche la mia storia.
La storia di un paese...non è forse ciò che hanno vissuto le madri? Per tanti anni, io non le avevo mai domandato nulla sulla sua vita.
Ho ripensato con cura ai momenti trascorsi con mia madre e ho cercato di recuperare dai recessi della memoria una ragnatela di indizi ai quali non avevo mai prestato attenzione.
Mi sono ricordata che una volta, a casa, quando ero bambina ed eravamo tutti seduti a tavola per il pranzo, il capo della brigata del villaggio (3), Chéng Lín, che era nostro ospite, s’era messo a scherzare e, ridendo, aveva detto a mia madre: “Tu che sei del Gānsū, cosa sei venuta a fare nello Shănxī? Non dovresti ritornare al tuo paese?”. Mia madre , era arrossita fino alle orecchie come una giovane sposa e s’era limitata a sorridere imbarazzata senza dire una sola parola.
“Sono una vagabonda! Sono una vagabonda!”
“Vagabondo “ è il termine che noi del Shănxī usiamo per indicare i mendicanti.
Di fatto, avevo udito per anni questa frase nella bocca di mia madre, ma non le avevo mai dato peso pensando che per lei fosse semplicemente un modo di lamentarsi della propria miseria. Crescendo, mi ero resa vagamente conto che mia madre non era originaria dello Shănxī, ma non le avevo mai domandato da dove venisse né perché fosse finita da noi.
“Mamma, di dove era la tua famiglia?”.
“Abitavamo nel Gānsū, nel distretto di Qín ‘Ān, lontano tra i monti, un posto miserabile”.
“Ma perché sei venuta nello Shănxī? Chi ti ci ha portata? Quando sei arrivata?”
“Perché me lo chiedi?”.
“Sono tua figlia. È normale che io voglia saperlo. Su, dimmelo!”
“Quell’anno non c’era più niente da mangiare. La gente moriva di fame. Allora un trafficante (4 ) ci ha portati via. C’erano anche tua nonna e tuo zio. Siamo venuti via in treno. Se non fossimo scappati di lì, saremmo morti di fame anche noi...Eravamo nel “61. Avevo 17 anni”.
Nel giugno del 2011, su mia insistenza, mia madre è ritornata con me a rivedere la sua famiglia che aveva lasciato ben cinquant’anni prima...al villaggio di Xiàdiàn, frazione del comune rurale di Luòdiàn, circoscrizione di Wángbăo, distretto di Qín’Ān, nella regione del Gānsū. (5).
Non avevo in mente, a quell’epoca,di raccogliere informazioni che potessero servirmi per scrivere questo libro. Volevo soltanto vedere dove avevano abitato un tempo mia madre e mia nonna, sapere che aspetto avesse realmente questo posto, scoprire come erano vissute prima di scappare di fronte alla carestia, chiarire perché se ne erano andate. Si agitavano nel mio cervello innumerevoli domande alle quali volevo trovare una risposta. In quanto figlia, volevo conoscere il passato di mia madre.
“Ecco la mia vecchia casa. In tutti questi anni non è cambiato nulla.” ha detto mia madre scendendo dal treno nella stazione sul pendio della montagna ai piedi della quale si scorgeva il villaggio, circondato di campi e di alberi.
Cammin facendo, io non ho mai cessato di interrogarla ed ho così appreso che, prima della Liberazione (6), la sua famiglia era ricca e prospera, che possedevano più di cento "mù" (7) di terra ed una bella casa, che avevano persino un garzone. (8) L’anno della riforma agraria, il governo dichiarò che appartenevano alla classe dei “contadini ricchi” (9). Gli attivisti arrestarono suo nonno, vale a dire il mio bisnonno materno, e lo appesero ad una trave torturandolo per fargli dire dove aveva nascosto i suoi soldi. Il mio bisnonno, torturato fino a perdere conoscenza, con la bava alla bocca, non resse a quella terrificante esperienza e impazzì. La famiglia fu privata della sua terra e le fu sequestrato tutto ciò che possedeva: provviste, denaro, animali da soma, vestiti e tessuti per gli abiti.
“Li guardammo, mentre ci portavano via tutto, e li lasciammo fare, senza osar dire una sola parola.” mi ha raccontato mia madre” La sera, non osammo neppure accendere una lampada: vedendo le luci accese, le pattuglie notturne avrebbero potuto pensare che noi ci preparassimo a trafugare qualcosa di prezioso e sarebbero venute a bussare alla porta per controllare. Nascondemmo le lampade sotto uno schermo perché non si scorgesse alcuna luce dall’esterno.
Da bambina ignorante (10) quale ero, cantavo entusiasta con i miei compagni di scuola: ‘ Abbasso i latifondisti! Abbasso i latifondisti! (11) Dividiamo le terre! Dividiamo le terre! Vogliamo diventare padroni anche noi! Vogliamo diventare padroni per essere felici!’”.
In quel periodo, nell’intero paese, vennero giustiziati più di un milione di “latifondisti sfruttatori” (12) ed innumerevoli contadini agiati, come il mio bisnonno, furono picchiati, torturati, spogliati con la violenza di ogni loro bene.
“Mamma, non camminare così svelta!” le ho detto io che portavo sulle spalle un grosso zaino.
Il sentiero che conduceva dalla stazione al villaggio non era più largo di trenta centimetri, e in certi punti era molto accidentato, ma mia madre, quasi settantenne, lo percorreva senza sforzo, precipitandosi giù per il pendio.
“Quante volte l’ho fatto quand’ero bambina.”mi ha detto “Potrei percorrerlo tutto, avanti e indietro, ad occhi chiusi”.
Il giorno seguente, mia madre ha preparato le offerte per i defunti (13), l’incenso, dei frutti e dei ravioli (14), da portare sulla tomba di mio nonno. È solo allora che ho appreso che avevo avuto un nonno materno. Si chiamava Niú Zhìhéng ed era morto cinque anni prima della mia nascita, nel fiore dell’età: aveva appena 42 anni.
Mia madre si è avviata ed io l’ho seguita . Ai due lati del sentiero si stendevano campi di granoturco e di sesamo sui quali erano sbocciati a profusione i fiori violetti dell’erba medica. (15) Passando, ne ho raccolti alcuni da portare a mio nonno.
“Mamma, ti ricordi ancora come è morto mio nonno?”
“ Sicuro che me lo ricordo! Non lo dimenticherò fino al giorno della mia morte. Eravamo nel “58, l’anno della creazione delle comuni popolari. (16) Per non so quale ragione era proibito cucinare in casa propria, così ogni famiglia doveva portare le sue provviste di grano alla mensa collettiva e si mangiava tutti insieme. Tutte le pentole erano state mandate all’ammasso per fonderle e farne delle lamine d’acciaio.(17) A nessuno era più permesso di usare la stufa per cucinare. Tua nonna, però, aveva nascosto un pentolino e continuava a fare un po’ di cucina. Quando i responsabili del villaggio se ne accorsero, le portarono via il pentolino. Tua nonna pianse, li rincorse, voleva che le restituissero il pentolino...Non so come fosse, passavamo metà del nostro tempo alla mensa ed avevamo sempre fame. Ci davano due tazze di zuppa al giorno, ma era un brodino trasparente in cui ci si poteva specchiare, come avrebbe potuto saziarci? Tuo nonno, che era un uomo piuttosto robusto ed aveva un buon appetito, non riusciva mai a mangiare a sufficienza. A quarant’anni camminava già appoggiandosi ad una canna.A furia di non mangiare abbastanza si ammalò; le sue guance erano gonfie come bacinelle; le gambe erano coperte di piaghe da cui colava un liquido giallastro.”
“Non avreste potuto chiedere delle razioni un po’ più abbondanti?”
“A chi avremmo dovuto chiedere? Non c’era nessuno a cui rivolgersi. A quel tempo eravamo ormai dei senza tetto. Eravamo stati cacciati via dalla nostra bella casa, che era stata requisita dalla comune popolare, e passavamo qualche giorno qui, qualche giorno là...eravamo ridotti veramente male. Quando tuo nonno è morto di fame, me ne ricordo molto bene. Quel giorno era un po’nevicato, la mattina presto. Quando mi svegliai, vidi che aveva le spalle scoperte, anche se abitualmente si copriva bene. “Perché oggi non l’ha fatto?” pensai. Mi avvicinai a lui per rimboccargli la trapunta, ma era già rigido, doveva esser morto durante la notte.”
Mia madre mi ha portato dinanzi alla sua tomba, ma non c’era altro che un piccolo tumulo di terra tra le sterpaglie. Non c’era una lapide né un cipresso ed il suolo era ricoperto d’erbacce.
Mia madre ha bruciato qualche biglietto (18) e lo ha lasciato cadere sulla tomba dicendo: “ Padre (19), ecco del denaro per te. Spendilo!”. Io l’ho imitata, in silenzio, poi ho offerto a mio nonno i frutti e i ravioli, e mi sono inginocchiata tre volte (20), dicendogli “ Nonno, siamo venute a farti visita, siamo venute a farti visita”. Il vento che soffiava dalla montagna ha fatto volar via i pezzi di carta bruciacchiati, portandoli lontano.
I parenti di mia madre ci hanno ospitati in casa loro, nella stanza migliore (21), e ci hanno messo a disposizione un letto con le lenzuola pulite. Mia madre ed io ci siamo coricate fianco a fianco, ma, sebbene avessi camminato tutto il giorno, su e giù per la montagna, non riuscivo a prendere sonno. Guardavo mia madre, come se non l’avessi mai conosciuta.
“Mamma, hai pianto quando è morto il nonno?”.
“No. Ero inebetita dalla fame. Non sapevo piangere, non ne avevo più la forza. Da qualche giorno non avevo più avuto nulla da mangiare, non c’era nemmeno più acqua da bere. Tuo zio ed io leccavamo ogni giorno dei ghiaccioli che s’erano formati all’esterno della casa. Ci chiedevamo soltanto se saremmo arrivati alla fine della giornata e, se fossimo sopravvissuti, che cosa avremmo fatto il giorno seguente. Come potevamo piangere? Il tuo povero nonno, quando morì, non ebbe neppure una bara. Gli uomini del villaggio erano così indeboliti dalla fame, che non avevano neppure la forza di scavare una fossa, perciò fu seppellito quasi a fior di terra.”
Durante i giorni che abbiamo trascorso al villaggio ho accompagnato mia madre a destra e a manca in visita alla parentela. Non appena varcavamo la soglia di una casa, ci facevano sedere sul “kàng” (22) e ci offrivano una tazza di tè, poi, le operose padrone di casa (23) ci porgevano una scodella di zuppa di scalogno, calda e fumante, un po’ acidula, che è un piatto tipico locale. Alcune vecchiette non riuscivano a trattenersi dal cianciare nemmeno mangiando e, sebbene si esprimessero nel dialetto locale, riuscivo a capirle senza problemi. Sedevo accanto al focolare ed ascoltavo, senza parere, le loro chiacchiere con mia madre.
“Non avevi una sorellina che è morta di fame? Come si chiamava già? Fòdài, non è vero?”
Una vecchia prozia (24) si è ricordata che Fòdài era la compagna di giochi di mia madre quando questa era bambina, una sorella minore di mia madre che io non ho mai conosciuto.
“Poveretta! Il giorno prima che morisse la vidi inginocchiata mentre strappava da terra piantine di erba medica e le masticava una ad una per placare i morsi della fame, ma non digeriva più ed un liquido verdastro le colava dal didietro. Quando vidi ciò, non potei fare a meno di pensare che non avrebbe tirato avanti un altro giorno. Aveva quattordici anni.”
“Mamma!” sono intervenuta io, indirizzandomi a mia madre in tono di rimprovero “Perché non mi hai mai raccontato tutto questo?”.
“A che cosa sarebbe servito raccontartelo. Sono passati tanti anni. Quanta gente è morta di fame a quel tempo, quanti cadaveri ho visto sui bordi dei sentieri. Le persone uscivano in cerca di cibo e camminavano...camminavano... finché non cadevano morte. Si sedevano un attimo a riposare e...non si rialzavano più. La bambina di cui parla la tua vecchia prozia era mia sorella Fòdài. Sarebbe stata tua zia. Ritornò a casa e si coricò sul “kàng”, la “stufa-letto”, domandandomi se l’erba medica era rossa: “Perché l’erba medica è rossa?”.(25) Aveva una gran sete, voleva soltanto bere.Tua nonna ed io corremmo alla fontana a cercare acqua, mentre tuo zio restava accanto a lei. S’era trascinata sul bordo della stufa, dove sperava di trovare una brocca d’acqua, ma non c’era alcuna brocca, né sulla stufa né ai piedi della stufa. Quando tua nonna ed io ritornammo affrettandoci per darle da bere, non serviva più. La sua bocca non poteva inghiottire più nulla. Era morta”.
“Come la seppelliste?”.
“ Mi ricordo che, con mio zio (26), prendemmo un lungo bastone, ci legammo il corpo e lo portammo via”.(27)
Il passato di mia madre mi si presentava d’un tratto davanti in tutta la sua cruda realtà. Ciò che mi raccontava mi scosse e mi rattristò oltre misura. Le lacrime mi sgorgavano dagli occhi, mi si stringeva il cuore nel sentire mia madre che parlava di questa mia piccola zia, morta a soli quattordici anni, quando era ancora una bambina, senza avere il tempo di divenire adulta, stroncata dalla fame come un fiore di campo falciato prima che potesse sbocciare. Ma chi mi faceva ancora più pena era mia madre che , a quindici anni, aveva dovuto sollevare il cadavere della sorella e portarlo via. Non osavo immaginarmi la scena. Non volevo ammettere che in questo mondo potessero accadere dei fatti così atroci. Ma i tormenti che aveva vissuto mia madre, questi avvenimenti di cui ero appena venuta a conoscenza, mi bruciavano il cuore come la punta di un ferro incandescente (28). Era una sofferenza impossibile da sopportare. Con la testa china appoggiata sulle mani, piangendo senza ritegno, singhiozzavo: “Mamma, oh mamma...!”.Piangevo per la bambina morta, piangevo per il nonno che se ne era andato, piangevo per mia madre.
“Non piangere! Non serve a nulla!” mi ha detto la prozia “ Sono storie vecchie che sono successe nel passato. Per noi anziani è difficile parlare di tutte queste cose quando ci incontriamo”.
“Se non ne parliamo, i giovani delle generazioni future non ne sapranno niente, ma, se ne parliamo, sarà duro per loro sentire queste cose”.
Durante questo viaggio di ritorno al villaggio di mia madre nel Gānsū, ascoltando quanto lei diceva in diverse occasioni, ho capito che, durante gli anni della carestia,nella sua famiglia, erano morte di fame ben cinque persone: suo nonno, suo padre, una sorella di quattordici anni, un fratellino di otto anni ed una sorellina di pochi anni, alla quale non avevano ancora neppure dato il nome definitivo.
La gente del villaggio mi raccontava: “ A quel tempo, su dieci case, nove non avevano più abitanti. Le porte erano sbarrate; le famiglie estinte. Era una cosa inimmaginabile”.
Più tardi ho letto in una ricerca storica che nel distretto di Qín’Ān erano morte di fame parecchie decine di migliaia di persone. Nella regione del Gānsū, i morti erano stati un milione e trecentocentomila. In tutta la Cina, in un quinquennio, le vittime della carestia erano state calcolate fra i 36 e i 45 milioni, in grande maggioranza contadini.
La zappa va bene per tirar fuori dalla terra le patate dolci, non per riesumare nei dettagli la storia di mia madre.(29) Allora, negli anni successivi, ogni volta che avevo un po’di tempo libero, sono andata a farle visita. Seduta su uno sgabello scegliendo le foglie di erba cipollina oppure passeggiando a braccetto con lei o ancora, la sera, distesa con lei sul “kàng”, le facevo qualche domanda. Come era fuggita dal Gānsū? Come era riuscita ad arrivare nel nostro villaggio? E, ancora, come aveva sposato mio padre?
Mia madre è come un vecchio albero ed io sono un suo piccolo ramo. Tutto ciò che le è successo nella vita mi riguarda. Voglio saperlo.
NOTE
1) L’espressione 心 灵 手 巧 (“xīnlíng shŏuqiăo”), letteralmente “mente sveglia, mano abile”, è usata per indicare “destrezza”,”abilità”, “capacità”.
2) I termini “zia” (嫂 “săo”) e “mamma” (妈 “mā “) non si riferiscono qui a rapporti di parentela, ma sono l’equivalente popolare e affettuoso di “signora”.
3) Il termine 小队长 (“xiăoduìzhāng”) indicava il responsabile della produzione nell’ambito di una “brigata di villaggio” (大 队 “dàduì”), suddivisione di una “comune agricola” (公 社 “gōngshè”)
4) Il termine 贩子 (“fànzi”) indica, in senso deteriore, il “rivenditore ambulante”, il “piccolo trafficante” i cui affari non sono sempre limpidi. Pronunciato col terzo tono (“fànzĭ”) assume un significato ancora peggiore: il trafficante di bambini e, specialmente di bambine. Poiché i contadini non potevano spostarsi liberamente all’interno del paese, per poter fuggire dal Gānsū dovevano ricorrere ad ogni sorta di stratagemmi ed erano spesso costretti ad affidare la propria sorte ad individui senza scrupoli. Talvolta, una fanciulla veniva accompagnata nello Shănxi e venduta come giovane sposa in una famiglia di contadini per una piccola somma che serviva a nutrire il resto della famiglia.
5) La contea di Qín’Ān 秦 安县 nel Gānsū 甘 肃 dista circa 500 chilometri dalla contea di Fùpíng 富 平县 nello Shănxĭ 陕 西 dove è nata l’autrice di questo testo.
6) Per “Liberazione” (解 放 “jiĕfàng”) si intende qui la vittoria militare sul Guómíndăng 国 民 党 che nel 1949 permise al Partito Comunista di estendere il proprio governo all’intero territorio cinese, salvo l’isola di Tàiwān 台 湾 .
7) Un 亩 (“mù”) è un’unita di misura agraria che corrisponde a 666 metri quadrati. Una superficie di 100 mù equivale quindi a 6,66 ettari di terreno coltivabile. La famiglia di Yī Wá era dunque una famiglia di contadini agiati.
8) Ho tradotto con “garzone”, visto che ci si riferisce ad un’azienda agricola, il termine 伙 计 (“huŏjì”) che i dizionari rendono in modo più generico con “assistente”, “lavoratore subordinato”.
9) Uno dei primi provvedimenti adottati dal governo comunista, nell’abito della riforma agraria del 1950, fu la suddivisione dei contadini in quattro classi: poveri, modesti, mediamente agiati e ricchi. Chi non veniva iscritto in una di queste classi era considerato un “latifondista”. Spesso, se in una determinata zona non si trovavano dei “latifondisti”, venivano considerati tali i “contadini ricchi”. I “latifondisti” costituirono l’oggetto di “processi popolari”, conosciuti come “riunioni in cui si esprime l’amarezza degli sfruttati”( 訴苦会 “sùkŭhuì”), nei quali il fatto stesso di essere considerati ricchi implicava l’accusa di nutrire idee controrivoluzionarie. Tali processi si concludevano usualmente con l’esecuzione degli accusati.
10) La madre dell’autrice si definisce “bambina ignorante”( 蒙童“méngtòng”), perché all’epoca della riforma agraria aveva appena sei anni e non era assolutamente in grado di capire ciò che stava succedendo.
11) Si indicavano con il termine 土豪 (“tŭháo”) i notabili locali, che erano in genere i proprietari terrieri.
11) Ho tradotto con “latifondisti sfruttatori” l’espressione (恶霸地主 “èbà dìzhŭ”) usata, all’epoca della riforma agraria, per indicare i “proprietari terrieri che agivano da despoti”.
12) Ho tradotto con “offerte per i defunti” l’espressione 冥纸 (“míngzhĭ”), cioè “carta per l’Aldilà”), equivalente a 紙 錢 (“zhĭqián”), termine che designa le false banconote che, per tradizione vengono bruciate sulle tombe come offerta ai defunti. I Cinesi, popolo molto pragmatico, hanno probabilmente così trasformato un precedente uso di depositare sulle tombe vere monete o di bruciarvi vere banconote.
13) Ai defunti veniva offerto, perché potessero sopravvivere nell’Aldilà , anche del cibo. Tale cibo è qui rappresentato dai 馍馍 (“mòmo”), ravioli di verdure cotti al vapore, di origine tibetana.
15) L’erba medica ( nome scientifico: “medicago sativa”) è una pianta foraggera.
16) Le “comuni popolari” (人民公社 “rénmín gōngshè”), così chiamate in omaggio alla Comune di Parigi, furono create, nelle zone rurali, a partire dal mese di luglio del 1958. Esse costituivano il più elevato dei tre livelli amministrativi in cui era organizzata l’attività agricola. Furono abolite nel periodo che va dal 1982 al 1985.
17) Il “Grande Balzo in Avanti” prevedeva la creazione in ogni villaggio di “piccoli altiforni” che dovevano essere alimentati con tutto il metallo disponibile nella zona. La somma di infinite produzioni locali avrebbe portato ad un’enorme produzione nazionale d’acciaio che avrebbe in poco tempo trasformato la Cina in una potente nazione industriale. Questo tentativo velleitario e utopistico si concluse con un fallimento totale.
18) Come abbiamo già visto, una delle offerte tradizionali fatte ai defunti è costituita da finte banconote che vengono bruciate sulle tombe.
19) Il termine 大 (“dà”) ha, in alcuni dialetti, il significato di “padre”.
20) Troviamo qui menzionato il “kowtow” (叩 头 “kóutòu”), la triplice genuflessione con la fronte piegata fino a toccare la terra, che è il segno del massimo rispetto e della più intensa venerazione. L’unico essere vivente che, un tempo, aveva diritto al kowtow era l’Imperatore.
21) Il termine 上房 (“shàngfáng”) indica la stanza principale della casa ( rivolta verso sud e con la porta che dà sul giardino) che è al tempo stesso la stanza migliore.
22) Il termine ”kàng” 炕, che si potrebbe tradurre con “stufa-letto”, indica una piattaforma, costituita tradizionalmente da mattoni o da piastrelle di terracotta, sotto la quale viene canalizzato il calore prodotto da una stufa. Essa fornisce uno spazio costantemente tiepido sul quale si possono svolgere le attività quotidiane e serve altresì da letto per la notte. Quando copre la superficie di un’intera stanza, questa piattaforma è chiamata "dìkàng" 地炕. È in uso soprattutto nelle regioni settentrionali della Cina, dove il clima è molto rigido durante l’inverno.
23) Ho reso con “operose padrone di casa” l’espressione 麻利媳妇 (“málì xífù”). “Xífù” 媳妇 designa le “nuore”o, nell’uso dialettale, qualsiasi “donna sposata”. L’aggettivo “málì” vuol dire “sveglio”, “agile”,”efficiente”
24 Il termine 姑 ("gū") è qui usato in senso molto vago sia perché, in senso stretto, esso designa le parenti dal lato del marito o dal lato paterno ("cognata","suocera", "zia paterna"), sia perché l'autrice non fornisce alcun dettaglio sul rapporto di parentela che la lega alla vecchia. La parola "gū " potrebbe anche essere usata nel senso generico di "donna" ed in tal caso 老 姑 ("lǎo gū") significherebbe semplicemente "una vecchia". Tale ipotesi è però da escludere perché, poco dopo, la madre dice alla figlia: "la persona di cui parla la tua vecchia zia..." ( 你老姑说的 ”nǐ lǎo gū shuō de”.) Poiché risulta dal racconto che le sorelle della madre sono morte durante la carestia, potrebbe trattarsi di una sorella o di una cognata del nonno o della nonna.
25) La domanda dimostra che la bambina stava già delirando.
26) La madre dell’autrice si riferisce qui allo zio paterno. In alcuni dialetti il termine 四爸 (“sìbà”) significa infatti “il quarto zio paterno”. L’aggettivo numerale indicava, al tempo delle famiglie numerose, la posizione del singolo individuo nell’ordine di anzianità della famiglia. Esso è divenuto pressoché superfluo da quando la legge ha imposto, in linea generale, alle coppie di avere un solo figlio.
27) Ho attenuato, nella traduzione, la crudezza del testo originale, che dice letteralmente “buttarlo via” (扔掉 “rēng diào”). L’autrice ha infatti ricordato, poco prima, che la gente del villaggio non aveva più nemmeno la forza di scavare le fosse per seppellire i morti.
28) Il testo cinese usa il termine 烙 铁 (“làotiĕ”),il quale indica un attrezzo con una punta di ferro che viene resa incandescente per saldare i metalli.
29) L’autrice intende dire che, visto l’orrore delle vicende che sua madre aveva vissuto e che raccontava con grande sofferenza, non era opportuno interrogarla deliberatamente su tali fatti, ma era invece meglio ascoltare con pazienza e delicatezza le sue confidenze nei momenti in cui ricordava la sua giovinezza.
《寻找母亲的历史》
国家有历史,伟人有历史。一个大字不识,没有文化,种了一辈子地,生养了几个娃娃的母亲哪有什么历史?
很多年来,我心里多少有些轻看母亲,觉得她事事不如人。既没有隔壁春芳嫂的心灵手巧,会剪窗花会织布,也远没有邻居孔雀妈的泼辣能干,吃苦耐劳,一次能拔回来两大笼羊草。我的母亲性情笨拙,身体瘦弱,只会做饭刷锅,洗衣缝补。普通得就像地里的一块土疙瘩。
四十多岁后,渐渐觉得,我不了解母亲,不了解母亲的过去,更是不了解母亲是怎么样的一个人。我想,我的脐带曾经连接着她的身体,那么她的过去一定是和我有关系的。我对母亲,产生出一种从未有过的好奇心,促使着我开始探究母亲的历史,我觉得寻找母亲的历史,就是寻找我自己的历史。
母亲是从哪里来的?这么多年,我没有问过这个问题……
我细致地回想着儿时和母亲在一起的时光,琢磨着以往被我疏忽的蛛丝马迹。我想起来,小时候家里人围着小饭饭桌吃饭的时候,小队长成林坐在边上开玩笑;“你是甘肃人,来我们陕西弄啥?咋不回去哩?”母亲窘迫的两颊红红的像个新媳妇,只是笑笑,说不出话来。
“咱是个叫花子。”“咱是个叫花子。”
我们陕西人把乞丐、要饭的称作叫花子。其实,这句话在母亲嘴边挂了好几十年,但是我从不在意,想母亲在抱怨日子的熬煎。长大些后,我隐隐约约地知道,母亲不是陕西本地人,但是怎么来的?为什么来?我一点也不清楚。
“妈,你的老家在哪里呀?”
“甘肃,秦安县,远得很,山区,苦焦得很。”
“那你咋来的陕西?谁领你来的?哪一年来的?”
“问这弄啥?”
“我是你的娃,我想知道嘛。给我说一说。”
“那些年,没有吃的,饿死人哩。是一个人贩子领着我,还有你外婆、你舅舅坐火车来的,不出来饿死了……。我们是六一年跑出来的,那一年,我十七岁了。”
2011年的6月,在我的坚持下,我跟随母亲回到了她离别了整整五十年的老家___甘肃省秦安县王堡乡罗店大队下店湾村。我没有想着寻找素材,没有想着写作这码子事。我就想看看,外婆的老家,母亲的老家在哪里?到底是什么样子?还有,她们逃荒前发生了什么事情?她们怎么逃出来的?……。我的脑子里冒出无数的问号,需要解答。作为一个女儿,我想知道母亲以前所经历的事情。
“这就是咱老家,这么多年了,没有啥变化。”下了汽车,母亲站在山梁梁上说,山下是被田地和树木围绕着的村子。一路上,我不断的询问母亲,才得知解放前她家的家境富裕,有上百亩地和一个大庄子,还雇佣有伙计。土改那年,被政府划为富农成分,村里的积极分子把她爷爷,也就是我的曾外祖父吊在房梁上,拷问着:“银元埋在哪里?说!说!”外曾祖父被吊得昏死过去,口吐白沫,随后就疯癫了。家里的地没收了,粮食搜光了,银元、骡子和布匹都被拿去了。“咱眼看着让人家拿,一句话都不敢说,晚上灯都不敢点,巡夜的看见灯以为我们转移什么好东西,就敲门查哩。我们把灯放在斗里,外面看不见。”
原来,我蒙童时兴高采烈和小伙伴们唱的儿歌:“打倒土豪,打倒土豪,分田地,分田地,我们要做主人,我们要做主人,真欢喜,真欢喜!”是以全国枪毙了有上百万“恶霸地主”,吊打了包括我曾祖父在内无数的富农,暴力掠夺他们的全部财产为代价的。
“妈,慢些走。”我提着大包小袋,叮嘱着母亲。从山梁上去村里的路只有一尺宽,有的地方非常陡峭,但是年近七十的母亲毫不费力,小跑着下山。“小时候走惯的路,闭上眼睛都能摸回来”。
到老家的第二天,母亲准备了冥纸、香、水果和馍馍,说要领我去给外爷上个坟。我是近年才知道,我还有个外爷,名字叫牛志恒,在我出生的前五年就去世了,那时候他才四十二岁,还人在壮年……。母亲走在前面,我跟在后面,小路边田地里种着包谷、胡麻,一片片苜蓿盛开着雪青色的花,我顺手摘了一把苜蓿花,要带给外爷。
“妈,你记得外爷是怎么死的吗?”
“记___得!我到死都不得忘。那是五八年,就是人民公社成立那一年,不知道为啥,不让人在自己家做饭,家家户户的粮食都上交到公共食堂,统一吃。把锅都给拔了,摔成几片,上交大闹钢铁去了,不让个人家冒烟。你外婆藏下一个小锅,做了点饭,让干部发现了,连锅都端着去了。你外婆哭着撵着把锅要回来了……。不知道咋的,食堂吃了半年,也吃不成了,一天一个人就是两碗水汤,清得能看见鼻子眼睛的水汤,那能吃饱吗?你外爷个子大得很,饭量也好,吃不上,四十岁个人走路还要拄拐棍哩。饿着饿着就病倒了,脸肿得比脸盆大,腿上皮涨裂一个劲儿流黄水。”
“不能问队里要些粮吗?”
“人家不给,没有人管。那时候不让在自己家住,把我们撵出来了,我们的大庄子被公家占了,我们一家子这里几天,那里几天,咱成分不好……。你外爷是饿死的,我记得清清楚楚。那天早晨下了点雪,我早晨醒来,看见他肩膀露在外面,我就想,平时他把自己盖得严严的,今天怎么了?我去给他盖被子,他人已经硬了,可能半夜就死了。”
母亲带领我来到外爷坟前,只不过是荒芜旷野上的一个小土堆,没有墓碑,没有松柏,上面长满了杂草。母亲点燃纸钱,撒向坟头,“大,我给你送些钱,你花上。”我默默地陪伴着母亲,给外爷供上水果、点心,我给外爷磕了三个头,对他说:“爷爷,我们回来看你,我们回来看你。”山间的风刮起了烧成黑色的纸钱,飘向远处。
本家亲戚让我和母亲睡在上房,给我们找出干净的被褥,我和母亲并排躺下,虽然跑了一天,爬山下沟的,却怎么也睡不着。我看着母亲,却好像不认识母亲。
“妈,外爷死的时候,你哭了吗?”
“没哭,饿瓜(傻)了,不知道哭,没有力气哭,那几天啥都没有吃,连喝的水都没有,我和你舅舅每天就唆几块外面的冰块块,就那么挨着,活一天算一天,还知道哭?……你外爷可怜,死的时候,连一副棺材都没有,人饿得没有力气给挖坑,就那么浅浅埋了。”
在老家短短的那么几天,我跟随着母亲东家西家的走亲戚。进了门,总是被让着上炕,先是喝茶,然后是麻利媳妇们端来热呼呼的,呛着绿葱花的桨水面,酸溜溜的,吃上特别解乏。几个老妇人吃着饭,嘴却是不闲的,虽然是地方口音,但我听懂没有问题。我坐在炕角,偷偷的听她们唠家常。
“你还有一个妹子也是饿死的,叫个啥?叫个佛黛吗?”一个老姑回忆到,她是母亲小时候的玩伴儿,她说的佛黛是我从未见过面的小姨。“娃娃死的前一天,我还在地里见了,啊呀,把娃娃饿的,拔一颗苜蓿吃一口,拔一颗吃一口,消化不好,屁股里一直流绿水。我看着就不得活了,怕是那一天回去就死了,才十四岁。”
“妈,你以前为啥不给我说这些?”我插话责备母亲。
“说这些干啥?那些年。咱这里饿死的人多了,我走在路上就看见过死人。人出门要饭走着走着,摔到就死了,坐下歇就死了……你老姑说的是我妹子佛黛,你要叫姨哩。娃回来睡在炕上,就说苜蓿怎么是红的?苜蓿怎么是红的?娃渴得很,要喝水,我就和你外婆去泉上抬水,你舅舅看着她,她在炕边爬,要往水缸边上爬,还没有爬到水缸边,就载下炕,我和你外婆一进门,赶紧给她灌水,就没有灌过来。眼看着找不上一口粮食,娃就给咽气了。”
“那我佛戴姨是怎么埋的?”
“我记得是我和我四爸把娃用个棍子抬出去,扔掉了。”
母亲的过去劈头盖脸地向我砸来,让我毫无防备。听到这里,我震惊和悲伤极了,刹间眼泪井喷般的冒出,心疼如绞。母亲说的是我的姨姨,她才十四岁,还是个小姑娘,还没有长大成人,就被活活饿死了,犹如一朵从没有盛开过的花骨朵儿。更让我难过不已的,是我当时只有十五岁的母亲得抬着妹妹的尸体扔出去,我不敢想象这样的画面,我不愿意接受人间这样悲惨的场景。可是,这就是我的母亲曾经经受的苦难,从我知道的那刻,就一块红通通的烙铁一样烙在我的心上,让我疼痛的难以忍受。我低下头,用双手捂住脸,任泪水流泻,嘴里喊着:“妈,妈呀……!”我为死去的小姨哭,为去世的外婆哭,为母亲哭。
“不哭,不要哭了。都是上辈子人的老故事,我们老年人好不容易见个面,就说这些。”老姑劝着我。
“咱不说,下一代的娃就不知道,一说,娃又难过。”
这一趟甘肃返乡之行,在母亲断断续续的讲述下,我慢慢打问清楚,在那几年,母亲家饿死了我的外曾祖父,外祖父,一个十四岁的姨姨,一个八岁的小舅,还有一个尚没有取名的小姨一共饿死了五口人。村里人说:“那时候是十室九空,好多都关门绝户了。那个了不得。”我后来从有关书籍中知道,秦安县饿死了好几万人,甘肃省饿死了一百三十万人,全中国五年之间饿死了3600__4500万人,大多数是种地的农民。
一镢头能挖出红薯,但一镢头挖不完母亲的历史。于是,随后的几年我都抽空回到母亲身边,坐在小凳上择韭菜的时候,拉着她的手散步的时候,夜晚躺在炕上歇凉的时候,我就慢慢地问母亲是怎么逃荒的?怎么到这个村子来的?又是怎么嫁给父亲的?……母亲就像一棵老树,我是她身上的一条枝桠,母亲的一切都和我有关系,我都想知道。