POESIA DI NATALE
Dedico a mia moglie Raffaella la traduzione di una poesia: 马槽 (”măcáo”,”La Mangiatoia”) che il poeta Aì Qīng 艾 青 (1910-1996) scrisse in occasione del Natale 1936.
Terminato il lavoro, ho constatato che due versi risultavano identici o quasi a quelli della traduzione già esistente di A.Bujatti. Preferisco darne atto piuttosto che cercare formulazioni alambiccate per apparire originale a qualsiasi costo.
LA MANGIATOIA
Per ricordare la nascita di un Nazareno
Ma perché continua a nevicare?
Appollaiato sulla staccionata di legno
un passerotto guarda il cielo ancora buio.
C’è gente che passa accanto alla mangiatoia
e, china sulla mangiatoia,
c’è una donna che piange
come se neppure le lacrime d’umiliazione
versate per tutta la notte
fossero bastate ad inumidire
il suolo indurito dal freddo dell’inverno.
La gente passa oltre la mangiatoia,
dalla quale si levano gemiti che strappano il cuore,
ma, ahimè, quanti puntano il dito,
quanti si mostrano l’un l’altro la fanciulla perduta
e la dileggiano come una svergognata.
Nessuno che le porga almeno una bacinella
per lavar via il sangue.
Nessuno che pensi a portarle
un secchio di acqua tiepida.
Il vento si insinua
nelle fessure del muro di fango
con il suo gelido sogghigno,
e lei lotta,
lotta,
continua a lottare,
la testa appoggiata alla staccionata.
Guarda! Tra quei capelli arruffati e scomposti
brillano due occhi allucinati.
Questa povera donna è stata cacciata da Betlemme,
perseguitata dal disprezzo delle persone per bene,
abbandonata agli sguardi astiosi
di una folla incattivita.
Tutto il suo corpo è un bagno di sudore.
Soffia, o vento, soffia ancora con rabbia!
Perché ti sei placato?
Ascolta!
Non senti provenire
da sotto il suo volto
il suono di teneri vagiti?
Il sangue della donna che ha appena partorito
ha seminato il più splendido fiore
in quella mangiatoia
da cui nulla era mai sbocciato.
Quella piccola vita
ha ridestato in lei
tutta l’energia che le resta.
Sul mucchio di paglia
braccini e gambette si agitano.
La gente passa accanto alla mangiatoia:
alcuni guardano di sbieco,
altri arricciano il naso,
altri ancora non nascondono
un glaciale sorriso di scherno.
Il bimbo appena nato
strilla spaurito
ritrovandosi all’improvviso
in questo mondo estraneo.
Risvegliandosi dall’intorpidimento,
Maria ritorna in sé,
china verso di lui il volto esangue
e gli parla, tra le lacrime che cadono
dagli occhi gonfi di pianto:
“Bambino mio,
a Betlemme
non ci vogliono più vedere.
Dovremo andarcene.
Crescerai in giro per il mondo, senza un tetto.
Ecco, ora, ci mettiamo in cammino.
Ricordati
che sei nato in una mangiatoia,
figlio di una donna cacciata di casa,
che ti ha generato nella sofferenza e nell’abbandono.
Un giorno, quando potrai,
dovrai espiare con le tue lacrime
le colpe di ogni uomo”.
La poveretta si risolleva,
stringendosi al petto il neonato,
e si allontana tristemente dalla mangiatoia.
Fiocchi di neve danzano
sui suoi capelli scarmigliati
e, senza una parola,
la donna va via.
Natale 1936
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