Come si devono comportare i sovrani
Niè Quē pose a Wáng Ní quattro domande alle quali quest’ultimo non seppe rispondere. Saltando di gioia Niè Quē andò a riferirlo a Púyī Zĭ. (1)
“Te ne sei accorto solo ora?” gli rispose Púyī Zĭ “ L’imperatore Shùn (2) non è paragonabile all’imperatore Fúxī.(3) Shùn pensava di conquistare gli uomini con la virtù della benevolenza e ci riuscì, ma non cominciò neppure a liberarsi dalla condizione umana.(4) Fúxī dormiva serenamente e si svegliava tranquillo, conscio del fatto che sarebbe potuto essere un cavallo o un bue. (5) La sua sapienza era chiaramente genuina, la sua virtù era assolutamente reale. Eppure non aveva nemmeno incominciato a penetrare in ciò che non è umano. (6)
Jiān Wú andò a trovare Jiē Yŭ, il matto (7), che gli domandò: “ Che cosa t’ha detto Rì Zhōngshí?”.
Jiān Wú gli rispose: “ M’ha detto che se i sovrani emanassero essi stessi regole di comportamento e giuste leggi, nessuno oserebbe violarle e tutto cambierebbe!”.
“É l’illusione della virtù” osservò allora Jiē Yŭ “ Chi crede che sia questo ciò che serve per governare il mondo, può anche credere che si possa traversare l’oceano a guado o prosciugare il grande fiume (8) o caricare una montagna sul dorso di un moscerino. Colui che governa saggiamente, governa forse con l’azione? (9) Ciò che importa è la sua intima correttezza; il resto segue naturalmente. È così che egli ha successo in tutto ciò che intraprende. Pensa agli uccelli che volano alti nel cielo per non essere colpiti dalle frecce dei cacciatori o ai topolini che scavano profondi cunicoli sotto la collina sacra (10) per sfuggire al rischio di essere trafitti dai bastoni appuntiti o soffocati dal fumo. E i governanti non saprebbero ciò che sanno queste semplici creature? (11)
Arrampicandosi sulle pendici meridionali del monte Yīn, Tiān Gēn giunse al ruscello delle persicarie (12), dove incontrò un eremita di cui non ci è stato tramandato il nome, al quale domandò: “ Dimmi, ti prego, che cosa occorre fare per governare il mondo”.
L’innominato gli rispose: “Vattene via, buzzurro! (13) Come puoi rivolgermi una domanda di cui non cogli nemmeno la portata? Ho voglia di fare come il Creatore dell’universo, che, quando viene disturbato, salta in groppa all’uccello Măngmiăo (14) e se ne scappa fuori del mondo vagando nelle regioni del non essere per restar solo in mezzo ai deserti. Come osi ancora venirmi ad annoiare per sapere da me in che modo si deve governare il mondo?.
Tiān Gēn ripetè la domanda.
Allora l’innominato gli spiegò: “Lascia che la tua mente fluttui nell’indistinto (15), confonditi con lo spirito dell’universo fino a sentirti distante da tutto (16), segui il corso spontaneo delle cose, non pensare più a te stesso, e governerai il mondo”.
Yáng Zĭjū incontrò Lăo Dān (17) e gli domandò: “Immaginiamo un uomo di potere forte e sveglio in tutte le cose, intelligente e di chiare vedute, indefesso nello studio (18). Potremmo compararlo ad un sovrano illuminato?”. (19)
Lăo Dān gli rispose:”Di fronte ad un sovrano illuminato un uomo simile non è altro che un modesto funzionario (20), il quale si affanna a mettersi in mostra, affaticando il corpo e la mente. Inoltre le tigri e i leopardi vengono cacciati per la bellezza delle loro pelli, le scimmie vengono tenute al laccio a causa della loro agilità ed i cani vengono legati perché inseguono gli yak. (21) Come potrebbe una persona dotata di queste qualità essere paragonata ad un saggio monarca?”. (22)
Sconcertato dalla risposta, Yáng Zĭjū obiettò: “Ma, allora, come governano i sovrani illuminati?”.
“Il governo dei sovrani illuminati “gli rispose Lăo Dān “ sparge i suoi benefici su tutto l’Impero, ma ciò non è riconducibile al loro agire. La loro influenza cambia il mondo, ma il popolo non conta sulla loro azione. Non si ricorda nessuna loro impresa, ma riempiono di gioia gli uomini e le cose. Non si può misurare quale sia la loro posizione perché spaziano nelle regioni del non essere.” (23)
Nel regno di Zhèng (24) viveva uno stregone chiamato Jì Xián (25), il quale era in grado di presagire la nascita e la morte delle persone, la loro sopravvivenza e la loro rovina, le loro fortune e le loro digrazie, la durata, lunga o breve, della loro vita. Come se avesse poteri sovrannaturali, egli era capace di prevedere con esattezza l’anno, il mese, il periodo del mese e persino il giorno in cui un evento si sarebbe verificato. Quando la gente lo scorgeva di lontano, cambiava strada per evitare di incontrarlo.
Lièzĭ (26) andò a trovarlo e fu molto colpito dalle sue doti divinatorie. Ritornò da Húzĭ e gli disse: “ Ritenevo che voi foste il più sapiente, o Maestro, ma ho trovato qualcuno che ne sa più di voi”.
Húzĭ gli rispose: “Finora, io t’ho solo comunicato gli aspetti esteriori della mia dottrina, non la sua intima sostanza (27), e tu già credi di conoscerla perfettamente. Per quanto siano numerose le galline, se non c’è il gallo, dove troverai le uova fecondate? Con quel poco che avevi imparato, sei andato in giro a pavoneggiarti, sicuro di te, e quell’uomo ha potuto leggerti in faccia come in un libro aperto. Cerca di portarlo da me in modo che io possa farmi vedere da lui.” (28)
Il giorno seguente, Lièzi accompagnò l’uomo dal suo maestro. (29)
Terminata la visita, dopo che furono usciti dalla casa di Húzĭ, lo stregone esclamò:” Ahimè! Il vostro maestro è un uomo morto! Non tirerà avanti altri dieci giorni! Ho avuto una visione strana: ho visto dell’acqua versata sulle sue ceneri.” (30)
Lièzĭ ritornò tutto piangente da Húzĭ e gli raccontò ciò che lo stregone gli aveva detto.
Húzĭ gli spiegò (31): “ Mi sono mostrato a lui sotto l’aspetto della terra nel periodo in cui nulla ancora germogliava (32). Perciò gli è sembrato che io fossi quasi morto. Riportalo da me domani”.
Il giorno seguente, Lièzĭ riaccompagnò lo stregone dal Maestro.
Terminata la visita, lo stregone gli disse: “Che fortuna che il vostro maestro mi abbia di nuovo voluto vedere! Fategli sapere che sta meglio e che non c’è più rischio per la sua vita. Ho visto che le sue radici sono robuste”.
Lièzĭ riferì queste parole a Húzĭ, che gli spiegò:”Oggi mi sono mostrato sotto la forma di cielo e terra. Non ho avuto bisogno di parlargli né di compiere alcun gesto concreto .(33) È l’energia del respiro che proviene dai talloni.(34). Questo è il motivo per cui ha creduto di vedere che i miei organi funzionavano bene. Riportalo ancora da me domani.”
Il giorno seguente, Lièzĭ accompagnò per la terza volta lo stregone dal Maestro.
Terminata la visita, lo stregone gli confidò : “Il vostro maestro mi appare diverso ogni volta che lo vedo. Così non riesco a valutare le sue condizioni. Cercate di fare in modo che si stabilizzi e potrò di nuovo formulare una diagnosi”.
Quando Lièzĭ gli riportò queste parole, Húzĭ osservo: “Oggi mi sono presentato al nostro visitatore sotto la forma del grande flusso (35) in cui nessun elemento si distingue. Ha perciò avuto l’impressione che le mie condizioni fossero in equilibrio. La massa dei vortici d’acqua è un abisso, la massa dell’acqua stagnante è un altro abisso, la massa dell’acqua che scorre è un terzo abisso. In tutto ci sono nove abissi (36) ed io, finora, gliene ho mostrati soltanto tre. Fallo venire da me ancora una volta”.
Il giorno seguente, Lièzĭ accompagnò ancora un’ultima volta lo stregone da Húzĭ, ma, prima ancora di essersi seduto, l’uomo perse il controllo di sé e scappò via di corsa.
“Riportalo da me!” ordinò Húzĭ a Lièzĭ, che corse dietro all’uomo, ma non riuscì a raggiungerlo.
Lièzĭ ritornò da Húzĭ e gli disse: “ È sparito! Deve aver perso la testa! Non sono più riuscito a trovarlo!”.
Allora Húzĭ gli spiegò: “Mi sono presentato al nostro visitatore sotto l’aspetto dell’antenato che esisteva prima che chiunque esistesse. (37) Mi sono mostrato a lui nella forma del vuoto (38) e nelle sembianze del serpente avvolto su sé stesso (39) Non sapeva chi o che cosa io potessi essere. Ora gli sembrava di trovarsi in mezzo a sconvolgimenti strani e rovinosi, ora in mezzo alla calma, ora gli pareva che io fossi un’onda sul punto di travolgerlo.(40) Per questo è scappato.”.
Dopo questo fatto, Lièzĭ si convinse che non aveva neppure incominciato a capire la dottrina del suo maestro e, ritornato a casa propria, non ne uscì più per tre anni.
Cucinava per la moglie, dava da mangiare ai maiali come se avesse nutrito degli esseri umani. Non si curava più delle cose del mondo. Abbandonò ogni artificio e ritornò alla semplicità originaria. (41) Il suo corpo era inerte e lontano come una zolla di terra.(42) Impermeabile alle sollecitazioni esterne (43), visse così sino al termine della sua esistenza.
È il non agire che procura fama, è il non agire che è il migliore dei piani, è il non agire che rende atti a occuparsi degli affari di stato, è il non agire che dà il possesso della saggezza.(44) Opera senza lasciar traccia, ma i suoi effetti sono inesauribili. Porta a termine ogni compito che gli è stato affidato dal Cielo, ma lo fa come se non avesse ricevuto alcun mandato. La sua caratteristica è il vuoto. Il saggio utilizza il proprio intelletto come uno specchio. Non agisce né reagisce. Riflette ciò che gli sta davanti, ma non se ne impadronisce. Perciò è in grado di affrontare ogni evenienza e non reca offesa a nessuno.(45)
Shū, il Signore del Mare Meridionale, e Hú, il Signore del Mare Settentrionale, erano spesso ospiti di Hùndùn (46), il Signore delle Regioni Centrali, che li accoglieva sempre con estrema cortesia. Desiderosi di ricambiare tanta gentilezza, essi si consultarono fra di loro dicendo: “Tutti gli uomini hanno sette orifizi per vedere, sentire, mangiare e respirare. Soltanto il nostro amico non li ha. Facciamo dunque in modo che li abbia anche lui”. Praticarono dunque ogni giorno un foro nel suo corpo. Il settimo giorno Hùndùn morì.(47)
NOTE
1) I nomi dei personaggi che compaiono nei dialoghi del Zhuāngzī sono spesso allegorici e qualche antico commentatore svolge anche ampie considerazioni a tale riguardo. In questo paragrafo è sufficiente osservare che il nome Púyī Zĭ 蒲衣子( letteralmente “il maestro dal mantello di paglia”) si riferisce, senza alcun dubbio, ad un saggio eremita taoista.
2) Yŏuyú 有 虞 è il nome portato all’interno del suo clan (氏” shì”) dall’imperatore Shùn 舜 帝 , il quale , secondo la tradizione, regnò dal 2233 a.C. al 2184 a.C. I filosofi confuciani lo celebrarono per le sue virtù, tra cui spiccavano la modestia e la pietà filiale.
3) Secondo un antico commento, il nome Tài 泰 corrisponde a Tài Hào 太昊, cioè al nome portato nell’ambito del proprio clan (氏 ”shì”) dal mitico imperatore Fúxī 伏 羲 , il cui regno si perde nella notte dei tempi. In questo paragrafo Fúxī viene contrapposto a Shùn, modello di virtù confuciane, come esempio di un sovrano che avrebbe praticato la dottrina taoista.
4) La dottrina confuciana, qui impersonata da Shùn, non permette “nemmeno di cominciare a uscire (fuori di sé) per penetrare in ciò che non è umano” ( 而 未 始 出 於 非 人 “ér wèi shĭ chū yú fēi rén”) e non consente dunque a chi la pratica di cogliere la vera realtà dell’universo.
5) La percezione dell’unità del creato fa sì che il saggio esca da sé stesso e si renda conto, senza turbamento, che avrebbe anche potuto nascere o che potrebbe reincarnarsi nel corpo di un cavallo o di un bue. Il riferimento al sonno sereno e ad un risveglio “illuminante” lascia pensare che Zhuāngzī accenni qui implicitamente alla tecnica di meditazione detta “zuòwáng” 坐 忘 , che conduce ad uno stato di trance, nel quale il saggio perde la nozione della propria identità personale e si oggettiva nell’universo.
6) La frase 而未始入 於非人 (“ér wèi shí rù yú fēi rén”), letteralmente “ma non aveva neppure cominciato a penetrare in ciò che non è umano”, suscita qualche dubbio di interpretazione. Essa corrisponde infatti quasi esattamente ad una frase precedente riferita a Shùn, nella quale figura però il termine 出 (“chū”, “uscire”) anziché il termine 入 (“rù”, “entrare”). Ora, se il difetto di Shùn era quello di non aver saputo oggettivarsi “uscendo (da sé stesso) verso ciò che non è umano”, sarebbe logico attendersi che il pregio di Fúxī fosse quello di aver saputo “penetrare in ciò che non è umano”, cioè di aver saputo cogliere la realtà unitaria del cosmo.
Il Legge (“The Sacred Books of China, The Texts of Taoism, Part.I, The Tao Teh King, The Writings of Kwang–dse , Oxford 1891) fornisce appunto una traduzione che va in questo senso: “(Shùn) did win men, but he had not begun to proceed by what did not belong to him as a man. ...(Tài) had not begun to proceed by what belonged to him as a man”, ma il testo cinese non sembra fornire molti appigli per una simile interpretazione.
A meno di pensare ad una distrazione del copista, si potrebbe cercare di spiegare l’incoerenza supponendo che Zhuāngzĭ abbia inteso dire che Fúxī, sebbene più avanzato di Shùn nella conoscenza della Via , non pervenne neppure lui ad una perfetta comprensione dell’universo.
Il Wieger ( “Les Pères du système taoïste” 南 華 眞 經 “Nan-Hoa-Tchenn-King”, “L’Oeuvre de 莊子 Tchoang-tzeu”, 1913) ha cercato di superare la difficoltà scindendo i due termini dell’espressione 非人 (“fēi rén”), che ha interpretato come “ criticare la gente”: “Entiché des vertus qu’il croyat posséder, Chounn critiqua toujours les autres. ... Simple e paisible, (T’ai Cheu) ne critiquait personne”. Tale interpretazione riduce però il discorso di Púyī Zĭ ad una lezione di buone maniere, togliendogli la portata più profonda che esso intendeva certamente avere.
7) Jiē Yŭ 接 與 è il matto di Chū 楚 狂 (“chū kuáng”) , protagonista del famoso incontro con Confucio, narrato nel capitolo 18, paragrafo 6, dei “Dialoghi” (論 語 “lùn yŭ”).
8) Il testo cinese reca 鑿 河 (“záo hé”), letteralmente “forare il fiume”. Zhuāngzĭ ritiene insensato chi pensa di poter prosciugare un grande fiume praticando un foro nei suoi argini. Per “fiume” 河 (“hé”) si intende di certo il Fiume Giallo, il grande fiume che scorre nei territori in cui sorse la più antica civiltà cinese.
9) L’espressione “zhì wài” (治 外), letteralmente “governare dal’esterno”, significa in pratica “governare con l’azione”. Per il Taoismo, il governante migliore non è colui che cerca di imporre agli uomini la giustizia, il progresso e il benessere emanando leggi, impartendo ordini e infliggendo sanzioni in caso di disobbedienza, bensì colui che si sente intimamente in consonanza con la Via e che rispetta spontaneamente le regole poste dalla natura diventando perciò un esempio e un modello per i suoi sudditi.
10) La “collina sacra” (神 丘 “shén qiū”) potrebbe essere qualsiasi altura su cui sia stato costruito un tempio, un santuario o un mausoleo. Non sembra che Zhuāngzĭ faccia qui riferimento ad una località precisa.
11) Gli animali sanno sempre comportarsi nel modo giusto perché si muovono seguendo ciò che è loro ispirato dalla natura. Non sarebbe saggio per gli uomini, e ancor più per i governanti, fare altrettanto?
12) Ho tradotto in questo modo il termine 蓼 (“liăo”) che i dizionari inglesi rendono con “smartweeds” o “pinkweeds”. Le persicarie sono piccole piante erbacee, aromatiche e dalla tipica infiorescenza a spiga, così chiamate a causa del fatto che le loro foglie ricordano quelle del pesco.
13 ) Il termine 鄙人 (“bĭrén”) è un’espressione dispregiativa usata anticamente per indicare una “persona rozza”, un “campagnolo”, un “villano”, un “provinciale”.
14) Il termine 莽眇之鳥 (“măng miăo zhī niăo”), che designa un uccello mitico, figura soltanto in questo passo del Zhuāngzĭ. Nel commento di Chéng Xuányīng 成玄英, monaco taoista vissuto nella prima metà del VII° secolo d.C., a “măng miăo”è attribuito il significato di “alto”,”profondo”, “che giunge lontano”
15) Il carattere 淡 (“dàn”) esprime, secondo i contesti, l’idea di “pallido”, “tenue”, ”leggero”, “insipido”, “diluito”,”rarefatto”. Esso sembra qui riferirsi in modo abbastanza chiaro alla tecnica di meditazione che consiste nello svuotare la mente di qualsiasi pensiero.
16) Il carattere 漠 (“mó”) significa “separato”,”lontano”, “remoto”, “fisicamente ed emozionalmente distante” e descrive bene lo stato di assoluta astrazione dalla realtà cui perviene il saggio che pratica la meditazione.
17) Qualche commentatore identifica Yángzĭjū 陽子居 con Yáng Zhū 楊 朱 , filosofo del V° secolo a.C., sostenitore di una dottrina conosciuta come “egoismo etico”. In appoggio a questa identificazione, vengono fatte valere osservazioni di vario genere. In primo luogo, si ricorda che, nei tempi antichi, i caratteri 陽 e 楊 erano intercambiabili e che Yáng Zhū era comunemente conosciuto come il “Maestro Yáng”, cioè Yáng Zĭ 楊子. In secondo luogo, si rileva che la domanda posta da Yángzĭjū a Lăo Dàn in questo passo del Zhuāngzĭ appare compatibile con la valorizzazione delle qualità personali dell’individuo predicata da Yáng Zhū. Occorre tuttavia tener presente che, se Lăo Dān va identificato con Lăo Zĭ, il fondatore del Taoismo, vissuto nel VI° secolo a.C., l’ incontro fra Lăo Zĭ e Yáng Zhū può essere stato immaginato come cornice in cui presentare tesi filosofiche diverse, ma appare assai poco verosimile dal punto di vista storico.
18) Non ho menzionato la parola “Via” traducendo l’espressione 學道不倦 (“ xué dào bù juàn”), letteralmente “indefesso nello studiare la Via” o “che non si stanca nel cercare di comprendere la Via”, per evitare equivoci. Infatti, se si intendesse il termine “Via” nel senso della dottrina taoista, diventerebbe poi difficile capire la risposta di Lăo Dān. Il significato dell’aneddoto appare chiaro se si tiene conto del fatto che ogni scuola filosofica cinese dava una diversa definizione della “Via”: per il Confucianesimo “seguire la Via” corrispondeva infatti a praticare lo studio e coltivare la virtù, per Yáng Zhū poteva essere sviluppare i talenti individuali al fine di avere successo, per il Buddhismo, secoli più tardi, la “Via “ avrà ancora un altro significato, del tutto diverso dai precedenti.
19) Il termine 明王 (“míng wáng”) designa i mitici “re saggi” che, secondo il taoismo, avrebbero regnato ai primordi della civiltà. Molti secoli più tardi, nell’ambito del Buddhismo, esso sarà usato per indicare i “vidyarajas”, le divinità corrucciate che combattono i demoni e terrorizzano gli increduli.
20) Il testo cinese reca il carattere 胥 (“xū”), che indicava un funzionario di grado piuttosto basso incaricato di arrestare i ladri, una specie di commissario di polizia.
21) I dizionari cinesi danno, fra l’altro, al termine 嫠 (“lì”) il significato di “yak” (氂 牛 “máo niú”).
22) La risposta di Lăo Dān è sprezzante: le qualità che Yángzĭjū tiene in grande stima non sono meglio della bellezza delle tigri, dell’agilità delle scimmie o dell’irruenza dei cani. Come queste doti portano i suddetti animali ad essere gli uni cacciati, gli altri tenuti al guinzaglio, così le capacità elogiate da Yángzĭjū sono dannose per l’uomo giacché non lo aiutano minimamente a comprendere la realtà dell’universo.
23) Ho usato il tempo presente perché la figura del sovrano ideale è un modello valido in qualsiasi momento. Occorre tuttavia ricordare che nella tradizione cinese i “re saggi” si incontrano esclusivamente nell’età mitica della fondazione dei primi Stati, forse perché i filosofi che, in epoca storica, elaborarono tali modelli provavano qualche difficoltà a trovare tante virtù nei sovrani loro contemporanei.
24) Il regno di Zhèng 鄭 國 , fondato nell’806 a.C., fu annesso dal regno di Hán 韓 國 nel 375 a.C. Occupava la parte centrale dell’attuale provincia di Hénán 河 南 .
25) I precedenti paragrafi del settimo capitolo mostrano la superiorità del Taoismo rispetto al Confucianesimo e alla dottrina propugnata dal filosofo Yángzĭ. Il presente paragrafo mette invece a confronto il Taoismo, qui rappresentato da Húzĭ, con una forma tradizionale e antichissima di conoscenza: lo sciamanesimo, qui rappresentato da Jì Xiáng. Si riteneva che gli sciamani, dopo essere pervenuti ad uno stato di trance grazie a varie tecniche, tra le quali era molto frequente l’uso di sostanze allucinogene, potessero svincolarsi dal proprio corpo e penetrare nel mondo degli spiriti. I loro viaggi nell’aldilà permettevano agli sciamani di prevedere il futuro e di scoprire le cause delle malattie, spesso collegate nella credenza popolare all’azione di spiriti maligni, motivo per cui essi svolgevano abitualmente le funzioni di indovini e di guaritori. È proprio con il pretesto di essere malato che Húzì fa venire lo stregone a casa sua e, in seguito, lo confonde con la propria sapienza.
26) Lièzĭ 列 子 , cioè il Maestro Liè, è il nome con cui è noto Liè Yŭkòu 列 禦 寇 , filosofo taoista, autore del libro intitolato “Lièzĭ” 列 子. Dovrebbe essere vissuto nel V° secolo a.C., ma le fonti storiche non riportano alcuna notizia a suo riguardo e alcuni studiosi hanno addirittura ipotizzato che non sia mai esistito. È interessante notare che l’aneddoto qui riportato figura tale e quale nel “Lièzĭ”, cap.2, par.13. Poiché il Lièzĭ è generalmente ritenuto anteriore al Zhuāngzĭ, si può supporre che quest’ultimo abbia ripreso il testo che figura nel Lièzĭ, ma tale ipotesi non è suffragata da alcun elemento di prova, visto che entrambe le opere sembrano essere compilazioni di diversi testi formatesi in un lungo periodo di tempo.
27) Il Wieger (op.cit.) traduce: “...vous avez reçu seulement mon enseignement exotérique, et non encore l’ésotérique...”.
28) Il testo cinese dice 於 予 示 之 (“yú yŭ shì zhī”), cioè “ perché io possa mostrarmi a lui”, frase che può senz’altro essere intesa nel senso di “ perché io possa farmi visitare da lui”. Dal momento che gli sciamani erano abitualmente apprezzati guaritori, un buon pretesto per un incontro era quello di chiedere una visita medica. La frase ha però, indubbiamente, anche un secondo significato, poiché, come vedremo, Húzĭ approfitta degli incontri con lo sciamano per “mostrarsi” a quest’ultimo nelle diverse forme che l’universo ha assunto durante il suo sviluppo.
29) Se la cornice dell’incontro è una serie di visite “mediche”, la posta in gioco per ciascuno dei protagonisti è invece provare che la propria sapienza è enormemente superiore a quella dell’ ”avversario”. La fama dello stregone si fonda sulla sua presunta capacità di rispondere a qualsiasi domanda e di risolvere qualsiasi problema. Nel presente caso egli è convinto di poter facilmente confermare questa fama diagnosticando con esattezza la malattia di Húzĭ e il suo decorso e guarendola, se la cosa è possibile, grazie alle sue conoscenze di guaritore e alle sue doti magiche. Húzĭ , invece, si ripromette di confondere il suo concorrente facendo sfilare dinanzi a lui, come in un moderno documentario scientifico, tutte le fasi della creazione dell’universo. La sua vittoria è sicura, fin dall’inizio, perché chi riesce ad identificarsi con l’universo, dimostra necessariamente una conoscenza infinita incomparabilmente superiore a quella di chi conosce soltanto il mondo degli spiriti. Zhuāngzĭ non precisa in che modo avvengano queste “manifestazioni” della Via e mi sembra perciò inutile avanzare supposizioni a questo riguardo.
30) I due personaggi della storia si muovono su piani completamente diversi. Lo stregone è convinto di trovarsi di fronte ad un “caso clinico”, che risolverà grazie alla sua lunga pratica di guaritore, esperto delle erbe medicinali, alle sue “visioni” e alla sua conoscenza della psicologia umana.Nel corso della prima visita, ingannato dalla presenza di sintomi che ricordano la fase terminale di una grave malattia, pronostica a Húzĭ pochi giorni di vita, nella seconda scorge sintomi che gli fanno prevedere un rapido ristabilimento del malato, nella terza, sconcertato dall’osservazione di sintomi contraddittori, dichiara di aver bisogno che le condizioni del paziente si stabilizzino per poter formulare una diagnosi. Il suo linguaggio è puramente “medico”: 弗活 “fú huò”= “non sopravviverà”, 其杜權“qí dù quán”=”le sue radici sono potenti”, cioè “la sua costituzione è forte”, 不齊 “bù qí”= “non è in condizioni stabili”. È solo alla quarta visita che si accorge di essere stato attirato in un tranello e, rendendosi conto della dottrina infinitamente superiore di Húzĭ, della quale non riesce a capire nulla, fugge terrorizzato.
31) I termini filosofici usati nelle spiegazioni fornite da Húzĭ a Lièzĭ hanno indotto i commentatori a pensare-giustamente- che la storia qui raccontata non abbia un valore puramente aneddotico. Húzĭ non ha incontrato il guaritore per confonderne le capacità diagnostiche, ma per dimostrargli quanto la conoscenza del creato di cui dispone la dottrina taoista sia incomparabilmente superiore alle rozze concezioni degli sciamani. Il comportamento di Húzĭ nel corso delle quattro visite è una specie di recita nella quale egli “illustra” allo stregone la cosmologia taoista, risalendo indietro nel tempo per ripercorrere, una ad una , le tappe della formazione dell’universo.
32) L’espressione cinese è 萌乎不震不正(“méng hū bù zhèn bù zhèng”) ,vale a dire “ c’erano germogli, ma non si muovevano né crescevano”. Húzĭ si riferisce alla fase in cui la terra era già potenzialmente fertile,ma le piante non erano ancora spuntate, cosicché il suolo appariva privo di vita.
33) La frase ci dice che Húzĭ ha saputo ora presentarsi allo stregone come un uomo sano.La terra feconda è infatti un’allegoria della buona salute, così come gli organi che funzionano bene sono sintomi dell’assenza di malattie. È un po’ difficile interpretare l’inciso 名 實 不 入 (“míng shí bù rù”), che i vari traduttori hanno interpretato nei più diversi modi. Appoggiandomi alle traduzioni del Legge (op.cit.) : “neither semblance nor reality entered into my exhibition” e del Wilhelm ( “Das wahre Buch vom südlichen Blütenland”, ult.ed.. Nikol Verlag, Hamburg, 2017):” ohne dass von aussen her ein Begriff oder etwas wirkliches in ihn eingeht”, io l’ho inteso nel senso che il solo aspetto di Húzĭ, senza bisogno di parole né di gesti concreti, ha saputo ingenerare nello stregone la convinzione che egli fosse perfettamente sano.
34) Secondo la dottrina taoista (cap.6, par.1, del Zhuāngzĭ), “il respiro del saggio proviene dai talloni”( 真人之息以踵 “zhēnrén zhī xí yǐ zhǒng”). Alcuni commentatori ritengono di poter cogliere in questa espressione la prova di una profonda consonanza tra il pensiero taoista e l’antica saggezza indiana. Essi identificano infatti la pratica del “respiro che viene dai talloni” con il Śīrṣāsana शीर्षासन (da Śīrṣa शीर्ष “testa” e Āsana आसन “posizione”) o “posizione sulla testa”, una delle “posizioni capovolte” dello haṭhayoga हठयोग, che favorisce l’afflusso di sangue al cervello. Il respiro del saggio è quello di una persona che vive in perfetta consonanza con la natura ed è quindi necessariamente il respiro di una persona sana.
35) Assumendo l’aspetto del “supremo flusso “ (太 沖“tàichōng”), Húzĭ compie un’altro passo nel suo processo di identificazione con la Via, pervenendo alla fase che si caratterizza come stadio intermedio tra la realtà ormai formata ( cielo e terra) e il non essere che sta all’inizio di tutto.Con il termine “supremo flusso”, la dottrina daoista designa infatti il caos primordiale, che vede come un abisso di acque ora tempestose, spumeggianti , ribollenti, vorticose, che prorompono per ogni dove, ora calme e tranquille, che formano profonde pozze, stagni, paludi. (“È curioso constatare anche qui certe assonanze con il racconto biblico della creazione: “ e le tenebre coprivano l’abisso”). In questo caos acquatico i due princìpi distintivi, lo “yīn” 陰 e lo “yáng” 陽 ,operano attraverso la mediazione del “qí” 氣 , il soffio che crea le cose.
36) La dottrina taoista distingueva, nell’ambito del caos acquatico primordiale, nove abissi. Il Lièzi, nel passo ricordata alla nota n. 26, li enumera tutti:” abisso delle acque vorticose, abisso delle acque stagnanti, abisso delle acque che scorrono, abisso delle acque che straripano, abisso delle acque che irrigano, abisso delle acque che sgorgano dalle fonti, abisso delle acque sotterranee, abisso delle acque palustri, abisso delle acque lacustri: in tutto nove abissi” (鲵旋之潘为渊,止水之潘为渊,流水之潘为渊,滥水之潘为渊,沃水之潘为渊,氿水之潘为渊,雍水之潘为渊,汧水之潘为渊,肥水之潘为渊,是为九渊焉).
37) L’espressione 鄉吾示之以未始出吾宗 (“xiāng wú shì zhī yú wèi shĭ chū wú zōng”), vale a dire “gli sono apparso sotto l’aspetto dell’antenato che esisteva prima che noi esistessimo”, designa, in forma allegorica e figurata, ciò che esiste prima di qualsiasi essere, cioè il non essere. Con un salto vertiginoso al di là degli eoni, Húzì ci riporta indietro nel tempo al momento che precede non soltanto la formazione del mondo che conosciamo, non soltanto il caos primordiale ( 九淵 , “jiŭ yuān”, “i nove abissi”), ma addirittura la scintilla iniziale da cui ha avuto origine l’universo. È il momento in cui nulla esisteva e, di conseguenza, esisteva soltanto il Nulla. A questo punto, è superfluo ricordare che chi riesce a identificarsi con l’origine del mondo, conosce necessariamente il passato, il presente e il divenire dell’universo ed è quindi detentore della perfetta saggezza.
38) Un altro termine usato per definire il non essere è 虛 (“xū”), cioè il “vuoto”. Troviamo scritto nel Huáinánzĭ 淮 南 子 , cap.2, par.3: “La Via abita nel vuoto” (虛者,道之舍也 “xū zhĕ, dào zhī shè yĕ”).
39) Il serpente avvolto nelle proprie spire, in apparente inerzia, ma pronto a scattare da un istante all’altro, (委蛇“wĕi yí”) è un simbolo del momento che precede la nascita dell’universo, il quale è ancora racchiuso in sé, ma pronto ad espandersi, allo stesso modo in cui Pángŭ 盤 古 è ancora rannicchiato nell’uovo cosmico, in cui è rimasto nascosto diciottomila anni, un istante prima di emergerne e di creare tutte le cose. Usando una terminologia presa in prestito dalla scienza moderna potremmo dire che Húzĭ “fotografa” il momento che precede il “big bang”.
40) Guò Xiàng 郭象 (morto nel 312 d.C.), che effettuò la prima e più significativa revisione del Zhuāngzĭ, osserva con riferimento a questa espressione: “Mutamento, rovina e dispersione, flutto che inonda il mondo. Senza direzione e senza causa”( 变化頽靡,世事波流,无往而不因也 “biànhuà tuí mí, shìshì bō liú, wú wǎng ér bù yīn yě”). I termini sembrano descrivere le prime caotiche fasi della nascita dell’universo. Risulta da questa nota che il termine 弟(“dì” ) equivale a 頽 (“tuí ”).Chéng Xuányīng 成玄英, commentatore attivo tra il 631 d.C. e il 655 d.C., rileva a sua volta che “ciò che è indicato con il carattere 頽 (“tuí “) è ciò che si scatena senza barriere”( 頽者放任 “tuí zhě, fàngrèn”). Una difficoltà nasce però dal seguito del commento:”Ciò che è indicato con il carattere 靡 (“mĭ” ) è ciò che s’assoggetta a delle regole”( 靡者顺从 “mí zhě, shùncóng”). Per tener conto di questa interpretazione, ho pensato ad un alternarsi di momenti in cui gli elementi si scatenano con momenti di calma.
41) Il vero saggio è colui che ritorna alla semplicità della natura, abbandonando tutti gli inutili orpelli imposti dalle credenze religiose, dall’organizzazione sociale, dalla struttura statuale, dalle convenzioni culturali. Il termine “pezzo di legno grezzo” (樸 “pú”) che figura in questo passo ci ricorda le chiare affermazioni del Dào Dé Jīng: “Gli antichi saggi.erano persone colte...Erano semplici come un tronco di legno non lavorato”( 古之善为士者... 敦兮其若朴 “gǔ zhī shàn wéi shì zhě... dūn xī qí ruò pú” (cap. XV); “La Via è eterna, ma non ha nome. È semplice come legno grezzo, è la più piccola delle cose, ma nessuno è capace di soggiogarla” 道常无名朴虽小,天下莫能臣也.” dào cháng wúmíng. pú suī xiǎo, tiānxià mò néng chén yě “ (cap XXXII).
42) L’attenuazione delle percezioni sensoriali attraverso la riduzione delle attività corporee è una delle tecniche con cui la meditazione conduce alla perdita dell’autocoscienza e all’oggettivizzazione. Perdendo la coscienza della propria individualità ci si immedesima infatti con l’universo. Affermando che il corpo di Lièzi sembrava una zolla di terra, l’autore intende dire che egli si era completamente dedicato alla meditazione.
43) Letteralmente “disturbato ma chiuso”( 紛而封“fēn ér fēng”), vale a dire capace di isolarsi e di astrarsi anche in mezzo alla confusione.
44) Letteralmente: “il non agire è l’impersonatore della fama, il non agire è il magazzino dei progetti, il non agire è il sostegno degli incarichi pubblici, il non agire è il signore del sapere” (無為名尸,無為謀府,無為事任,無為知主 “wúwéi míng shī, wúwéi móu fǔ, wúwéi shì rèn, wúwéi zhī zhǔ”). Nell’espressione 名 尸 (“mīng shī”) il termine 尸(“shī”) designa una figura che appare negli antichi sacrifici ancestrali cinesi: l’impersonatore dell’antenato defunto. Si riteneva infatti che il defunto potesse cibarsi delle offerte sacrificali e inviare messaggi alla famiglia attraverso il discendente che lo impersonava nel corso della cerimonia. Il saggio “che non agisce” è la persona attraverso cui si manifesta la fama e la gloria.
45) Il ritratto del saggio che figura in queste righe corrisponde perfettamente a quello tratteggiato in numerosi passi del Dào Dé Jīng. L’idea dello specchio è ripresa nel cap.13 del Zhuāngzĭ, intitolato “La Via del Cielo” (天道 “tiān dào), nel cui primo paragrafo si legge : “La mente quieta del saggio è il riflesso del Cielo, lo specchio di tutte le cose” ( 聖人之心靜乎,天地之鑑也 萬物之鏡也 “shèngrén zhī xīnjìng hū, tiāndì zhī jiàn yě wànwù zhī jìng yě”).
46) Il termine 渾沌 (“hùndùn”) designa, nella cosmologia cinese, il caos primordiale. Etimologicamente, esso appare composto dal carattere 渾 (“hùn”), che significa “fangoso, torbido, confuso”) e dal carattere 沌 (“dùn”), che significa “disordinato, caotico”). L’origine del termine mostra quindi un chiaro riferimento allo stato dell’universo prima che cielo e terra si separassero, quando esisteva soltanto una massa informe e caotica d’acqua e di fango.
47) La breve parabola che conclude il capitolo può essere spiegata partendo dai nomi molto significativi attribuiti ai personaggi: 儵 (“shū”)= “rapido”,” affrettato”, 忽 (hú”) =“Improvviso”,”precipitoso”, 渾沌 (hùndùn)= “informe”” caotico”. Si può vedere in essa una allegoria della nascita del mondo e/o dell’origine del genere umano. Secondo Nicholas F. Gier (Spiritual Titanism. Indian, Chinese and Western Perspective”, published by State University of New York Press, Albany, 2000, pag. 211), Shū rappresenta lo yīn 陰 , Hú lo yáng 陽 e Hùndùn il caos primordiale, che i primi due eliminano dando così vita al cosmo, cioè ad un mondo ordinato in cui ogni cosa ha la sua distinta individualità. Il Gier cita, in tale contesto, un’osservazione di Max Kaltenmark : “An untimely zeal (of Shū and Hū) would wish to make it (Hùndùn”) like everibody else and initiate it into civilized life by giving it the sense organs that distroy its unity”. Traspare dalla parabola una chiara critica all’antropocentrismo: il peccato originale dell’uomo è quello di sentirsi diverso e di voler operare anche nella natura una serie di distinzioni che hanno soltanto un effetto negativo, mentre sarebbe invece per lui molto più naturale e spontaneo il sentirsi immerso nell’universo, indistinto ed onnicomprensivo.