Ho tradotto un testo che metteva insieme alcune considerazioni di Lŭ Xùn 魯迅 (1881-1936) sul famoso libretto intitolato “Ventiquattro esempi di pietà filiale”( 二十四孝 ” èrshísì xiào” ). Tali considerazioni sono tratte dallo scritto intitolato ”Ventiquattro immagini che illustrano esempi di pietà filiale. Testo originale e valutazione critica” (《二十四孝图》》原文与赏析 “èrshísì xiào tú”” yuánwén yǔ shǎngxī”). (1)
Il mio primo libro illustrato lo ricevetti in regalo da un anziano signore; si intitolava “Ventiquattro esempi di pietà filiale”. (2) Era un libriccino smilzo, ma io ero molto contento di possederlo, perché i testi erano accompagnati da illustrazioni in cui erano raffigurati più esseri umani che diavoli (3) e perché quel libriccino era di mia esclusiva proprietà. Sembrava che tutti conoscessero quelle storie. Persino degli analfabeti, come la nostra domestica Āzhăng, erano capaci di raccontarle nei minimi dettagli. Tuttavia, la mia felicità lasciò presto il posto ad una profonda delusione. Quando qualcuno mi ebbe spiegato tutte le ventiquattro storie, mi resi infatti conto che la pietà filiale era qualcosa di così impegnativo da rendere completamente vana la mia primitiva ambizione di diventare un figlio modello.(4)
Cominciamo col domandarci se gli esseri umani siano buoni per natura. Non è di certo un problema da discutere in questa sede (5), però ricordo ancora vagamente che, da piccolo, non solo non disubbidivo mai di proposito, ma avevo anche una lodevole disposizione a mostrare rispetto e amore filiale nei confronti dei miei genitori. Tuttavia, essendo giovane ed ignorante, avevo un’idea distorta della “pietà filiale” pensando che consistesse soltanto nell’”obbedire agli ordini” , quando si era bambini, e nell’occuparsi del decoroso sostentamento dei genitori anziani, quando si diventava adulti. Dopo che ebbi ricevuto in dono quel libriccino sulla pietà filiale, mi resi conto che la cosa non era così semplice. Era dieci, cento volte più difficile! Naturalmente, alcuni degli esempi riportati nel libriccino potevano essere imitati. È possibile infatti comportarsi come Zǐ Lù (6), Huán Xiāng (7) o altri protagonisti di talune storie. Non è difficile neppure nascondere nelle maniche del vestito dei mandarini, come ha fatto Lù Jī, se si è ospiti di una persona ricca. Il padrone di casa mi domanda: “Il signor Lŭ Xùn è mio ospite. Che bisogno c’era di prendere di nascosto dei mandarini?”. Rispondo con un inchino: “ A mia madre piacciono molto i mandarini. Volevo portargliene due perché li gustasse”. Il padrone di casa ammira molto la mia pietà filiale e tutto si risolve senza alcun problema. (8)
Nutro qualche dubbio sulla veridicità della storia che racconta come il pianto di Mèng Zōng facesse spuntare i germogli di bambù. (9) Temo che il mio pianto sincero non riuscirebbe a produrre tali risultati. Tuttavia, se con il tuo pianto non riuscirai a far germogliare i bambù, ti dispiacerà, ma se invece ti stenderai sulla superficie ghiacciata di un lago per pescare carpe (10), rischierai la vita. Il clima della mia città natale è mite ed anche nel pieno dell’inverno lo strato di ghiaccio che si forma sull’acqua è assai sottile. Anche se il bambino che ci si sdraia sopra è molto piccolo, il ghiaccio scricchiolerà, si romperà e il bambino cadrà in acqua prima ancora di aver intravisto una carpa..
È ovvio che si deve rischiare la vita per mostrare la propria pietà filiale e che al momento decisivo un miracolo risolverà la situazione nel migliore dei modi, ma, a quel tempo, io ero ancora un bambino e non capivo davvero queste cose.
Fra tutti gli esempi contenuti nel libriccino, i due che mi lasciarono più perplesso, per non dire disgustato, furono gli episodi di " Lái Zi che diverte i suoi genitori" e "Guō Jù che si prepara a seppellire suo figlio".
Ricordo ancora il senso di disagio che provai guardando le illustrazioni che mostravano, l’una, un vecchio disteso per terra dinanzi ai suoi genitori, l’altra, un bambino in braccio alla madre. Entrambi tenevano in mano un “gῡdōng” (11). È un giocattolo carino, che a Pechino chiamano “tamburello”. Si tratta probabilmente dello stesso oggetto che Zhῡ Xī (12) definisce “un tamburello a sonagli”. Se lo tieni per il manico e lo scuoti, i sonagli battono sulla pelle del tamburo, producendo un suono scoppiettante. Tuttavia un tale oggetto sta male nelle mani del vecchio Lài Zi, che dovrebbe invece appoggiarsi ad un bastone. L’atteggiamento di Laizi appare manifestamente innaturale ed i bambini, guardandolo, si sentono presi in giro. Ogni volta che sfogliavo il libriccino e giungevo a questa pagina, passavo oltre senza guardare.
Quella copia dei “Ventiquattro esempi di pietà filiale” è andata perduta da lungo tempo. Ora, ho in mano soltanto un esemplare dell’edizione illustrata dal disegnatore giapponese Oda Kaisen. (13) Vi si legge:” Lài Zi aveva quasi settant’anni, ma non riconosceva mai di essere vecchio. Indossava sovente abiti di colori vivaci ed in presenza dei suoi genitori giocava come un bambino. Spesso andava a prendere acqua e, per divertire i suo genitori, faceva finta di scivolare e di cadere per terra, strillando come un bambino.” Anche versioni più antiche di questa storia descrivono probabilmente la stessa scena. Già allora trovavo penosa la frase “faceva finta di scivolare”. Che si tratti di figli modello o di ragazzi disobbedienti, la stragrande maggioranza dei bambini non fa mai “finta” di fare qualcosa e non ama neppure le storie che puzzano d’artificio. Chiunque abbia mai prestato un minimo di attenzione alla psicologia infantile è in grado di confermarlo.
Tuttavia, una volta che andai a leggermi la storia di Lài Zi in un testo più antico, constatai che era raccontata in modo più sobrio. Nelle sue “Vite di figli esemplari”, Shī Juéshòu (14), vissuto nel 5° secolo d.C., si limita a scrivere quanto segue: “Il vecchio Lài Zi indossava spesso abiti di colori vivaci. Una volta che era andato a prendere acqua per i suoi genitori, scivolò e cadde a terra. Non volendo che i suoi genitori si inquietassero, si distese sul pavimento e si mise a strillare come un bambino. “(Rotolo 413 del Tàipíng Yùlǎn). (15) Raccontata così, la storia sembra un briciolino più logica di quel che risulta dalla versione più tardiva. (16) Per non si sa quale motivo, alcune persone sentirono in seguito un irresistibile bisogno di intervenire e di modificare il racconto, spiegando che Lài Zi “fece finta” di cadere.
Per quanto riguarda la storia di Déng Bódào (17) (4° secolo d.C.), che abbandonò il figlio per salvare il nipote, si può presumere che “lasciasse solo il figlio”, ma non è necessario pensare addirittura che lo “legasse ad un albero”, come hanno scritto alcuni signori dalle idee contorte che non si sono dati pace finché non han potuto mettere nero su bianco che Déng Bódào fece tutto il possibile per impedire al figlio di salvarsi. Chi ha il coraggio di scrivere cose simili si pone sullo stesso piano di chi considera divertente un adulto che scimmiotta i bambini, e riesce a trasformare gli imperativi morali in qualcosa di grottesco e di assurdo, calunniando gli antichi e offrendo ai posteri una visione distorta della realtà. Il caso del vecchio Lài Zi ne è un esempio illuminante. Mentre i “Ventiquattro esempi di pietà filiale” considerano Lài Zi un modello di virtù, questo personaggio non desta la minima simpatia nella mente di un bambino.
Il figlio di Guō Jù che giocava col tamburello in braccio alla madre e sorrideva felice ed ignaro, mentre il padre gli scavava la fossa, non poteva non destare una sincera compassione. Il testo che accompagnava l’immagine diceva: “Guō Jù, che visse ai tempi della dinastia Hàn, era molto povero. Aveva un figlioletto di tre anni e la nonna, che viveva con loro, si privava del cibo per darlo al bambino. Guō Jù disse alla moglie: “ Siamo troppo poveri per nutrire mia madre che si priva della sua razione di cibo per darla al bambino. Perché non ci sbarazziamo del bambino?”.
Le “Vite dei figli esemplari” di Liú Xiàng (77 a.C.- 6 a. C.) (18) ci forniscono tuttavia una versione leggermente diversa della storia. Secondo questa versione la famiglia di Guō Jù era ricca, ma Guō Jù, pur avendo un figlio di soli tre anni, aveva lasciato ai fratelli minori tutta l’eredità familiare. Il finale della vicenda è tuttavia simile nelle due versioni: “Quando la fossa che stava scavando raggiunse la profondità di due piedi, Guō Jù trovò una brocca piena d’oro su cui stava scritto: “Il Cielo destina questa brocca a Guō Jù. Che nessuno, né tra le autorità né tra i cittadini comuni, osi portargliela via!”.
Leggendo la storia, io mi angosciai veramente per la sorte del bambino e la mia angoscia si dissolse soltanto quando il padre trovò quella brocca piena di monete d’oro. Tuttavia, fu da quel momento che lasciai definitivamente perdere l’ambizione di diventare un figlio modello e cominciai anche a temere l’eventualità che mio padre fosse un figlio modello. La mia famiglia stava affrontando difficoltà economiche sempre maggiori ed io notavo che i miei genitori si ponevano ogni giorno il problema della spesa quotidiana. Inoltre, la nonna stava diventando vecchia. Se mio padre avesse deciso di seguire l’esempio di Guō Jù, non sarei stato io quello che avrebbe rischiato di essere sepolto vivo? Certo tutto sarebbe potuto finir bene, con la scoperta di una brocca piena di monete d’oro come nella storia di Guō Jù. Sarebbe stato un bel miracolo, ma io intuivo vagamente, nonostante la mia tenera età, che, in questo mondo, tali coincidenze non si verificano mai.
Ripensandoci ora, col senno di poi, mi rendo conto che ero uno stupidotto, perché in seguito ho imparato che nessuno metteva mai in pratica questi vecchi insegnamenti. Ma allora le cose erano diverse. Avevo veramente paura: E se la profonda fossa fosse già stata scavata? Se non si fosse trovata traccia della brocca piena di monete d’oro? Se il tamburello fosse finito nella fossa con il bambino, e se la fossa fosse stata riempita di terra, e se la terra fosse poi stata ben calpestata? Non successe mai nulla di tutto ciò, ma mi ricordo che, dopo aver letto quella storia, provavo sempre un po’ di paura quando pensavo alla povertà dei miei genitori o quando vedevo la nonna con i suoi capelli bianchi. Mi domandavo infatti se io e lei potessimo entrambi continuare a vivere o, almeno, se lei non rappresentasse in qualche modo un ostacolo alla mia esistenza. Più tardi questa inquietudine si attenuò a poco a poco, ma non sparì veramente del tutto finché la nonna non ci lasciò. Lo studioso che mi regalò una copia dei “Ventiquattro esempi di pietà filiale” non immaginò probabilmente mai che il suo dono potesse produrre simili effetti.
NOTE
1) Riporto, dopo la traduzione e le note, il testo originale completo dello scritto di Lŭ Xùn 魯迅
2) Il testo conosciuto come “Ventiquattro esempi di pietà filiale”( 二十四孝 ”èrshísì xiào” ) fu composto da Guō Jῡjìng郭居敬 all’epoca della dinastia Yuán 元朝 (1271 d. C.-1368 d.C. ). Ne esistono versioni precedenti, di cui la più antica, intitolata “Discorsi sui ventiquattro esempi di pietà filiale” (二十四孝押座文 “èrshísì xiào yāzuòwén”), figura in un manoscritto buddhista ritrovato nelle grotte di Dῡnhuáng 敦煌. Lŭ Xùn afferma di averne consultate alcune, senza però individuarle con precisione.
3) L’osservazione va probabilmente collegata al fatto che nei libriccini illustrati diffusi tra il popolo erano in gran voga le storie di mostri, di spiriti e di demoni. Per un bambino doveva quindi essere tranquillizzante trovarsi in mano un libro illustrato in cui erano disegnate quasi soltanto figure umane.
4) Lǔ Xùn riporta, forse a titolo d’esempio, una delle storie illustrate nel libriccino:” Wú Mĕng, di cui non ci è nota la città d’origine, apparteneva ad una famiglia povera, che non aveva i soldi per comprare una zanzariera. Mostrò fin dalla tenera età di otto anni una grande pietà filiale nei confronti dei suoi genitori. Nelle notti estive nugoli di zanzare non gli davano tregua. Il bambino lasciava che gli succhiassero il sangue a volontà e non faceva mai il minimo tentativo di scacciarle per paura che esse volassero a tormentare i suoi genitori. Nemmeno Zéng e Mĭn sarebbero stati capaci di tanta abnegazione.”
Zĕng Shēn曾參 (505 a. C.- 435 a.C. ) e Mĭn Sǔn 閔損 (536 a.C.- 487 a.C), entrambi discepoli di Confucio, sono i protagonisti di due delle storie di pietà filiale. Il primo amava talmente la madre da provare nel proprio corpo il dolore che la donna sentiva se, per esempio, si mordeva un dito; il secondo amava e rispettava profondamente la matrigna, nonostante costei lo trattasse con malvagità.
5) La questione ha fatto oggetto, sin dall’antichità, di approfonditi dibattiti filosofici.
6) Zhòng Yóu仲由 , più noto come Zǐ Lù 子路, era nato in una famiglia povera. Da giovane,spesso percorreva un lungo cammino per portare a casa un sacco di riso con cui nutrire i suoi genitori, accontentandosi, per quanto lo riguardava, di nutrirsi di verdure. Molti anni più tardi, dopo che era diventato un ricco e potente funzionario del regno di Chǔ e che i suoi genitori erano già morti da parecchio tempo, ricordava quei tempi con nostalgia: “ Ora non posso più mangiare verdure e portare a casa il riso per i miei genitori”.
7) Huáng Xiāng 黄香perse la madre all’età di soli otto anni e visse con il padre rimasto vedovo. Mosso da grande pietà filiale, il bambino, d’estate, rinfrescava con il ventaglio il cuscino del padre perché quest’ultimo potesse dormire confortevolmente e, d’inverno, riscaldava con il proprio corpo il lenzuolo sotto cui il padre dormiva, perché quest’ultimo non soffrisse il freddo.
8) Quando Lù Jī 陆绩 aveva sei anni, suo padre Lù Kāng 陆绩lo portò con sé in visita da Yuán Shù 袁术. Yuán Shù gli offrì dei mandarini. Lù Jī ne prese due e li nascose in una manica del suo vestito. Quando Lù Jī e suo padre si stavano congedando dal padrone di casa, i mandarini scivolarono fuori dalla manica del ragazzo. Yuán Shù si mise a ridere: “Sei venuto da me come ospite. Che bisogno avevi di nascondere i mandarini che ti ho offerto?”. Lù Jī rispose: “ A mia madre piacciono i mandarini. Volevo portargliene due da gustare”. Yuán Shù ammirò molto la pietà filiale del bambino
9) Il piccolo Mèng Zōng 孟宗 , orfano di padre, viveva con la madre. La madre si ammalò e il medico le suggerì come cura una dieta a base di zuppe di germogli di bambù. Tuttavia s’era d’inverno ed era impossibile trovare germogli di bambù. Disperato, Mèng Zōng si mise a piangere in mezzo ad un bosco di bambù. D’improvviso sentì un forte rumore e vide numerosi germogli di bambù che spuntavano dal suolo. Li raccolse e, tutto felice, ritornò a casa a preparare la zuppa per la madre, che seguì la cura prescritta e guarì.
10) La madre di Wáng Xiáng 王祥morì quando lui era ancora un bambino ed il padre si risposò. La matrigna non voleva bene a Wáng Xiáng e spesso lo criticava dinanzi al padre, che a poco a poco cominciò a trascurarlo. Ciononostante, il bambino era affettuoso con padre e matrigna e si dava da fare per loro quando erano malati. Una volta, durante l’inverno, la matrigna di Wáng Xiáng ebbe voglia di una carpa. Il bambino si recò sul fiume gelato, si denudò e si stese sul ghiaccio. Il calore del corpo fece sciogliere il ghiaccio, permettendo a Wáng Xiáng di pescare nel fiume due carpe che portò in dono alla matrigna.
11) Il termine 咕咚 (“gῡdōng”) è un’onomatopea che serve a designare una sorta di tamburello al quale sono appesi dei sonagli. Scuotendo il tamburello si ottiene un suono scoppiettante, che ricorda un po’quello delle nacchere o delle raganelle.
12) Zhῡ Xī朱熹 (1130 d.C.- 1200 d.C.) fu un celebre letterato, filosofo e uomo politico.
13) Il pittore giapponese Oda Kaisen 小田海僊 (1785-1862) illustrò nel 1859 un’edizione dei “Ventiquattro esempi di pietà filiale”, nota come “Kaisen jûhachi byôhô” 海僊十八描法
14) Shī Juéshòu 師覺授 visse, in un periodo non precisamente determinato, all’epoca delle Dinastie del Sud (南朝 “náncháo), vale a dire tra il 420 e il 589 d.C. Scrisse otto volumi di “Biografie di figli esemplari” (孝子傳 “xiàozǐ chuán”), che non sono giunti sino a noi.
15) Si intitola“Tàipíng Yùlǎn” 太平御覽 (“Letture dell’Era Tàipíng”) un’enciclopedia in 1.000 volumi compilata da un gruppo di studiosi tra il 977 d.C. ed il 983 d.C. Essa contiene citazioni da numerose opere letterarie che sono andate perdute nel corso del tempo.
16) Nella versione più tardiva il vecchio Lái Zi 老萊子bambineggia in modo deliberato per divertire i genitori, il che è puramente grottesco. Nella versione più antica Lái Zi, che inciampa e scivola a terra, ricorre, affinché i genitori non si inquietino, ad un espediente anch’esso grottesco, ma che ha una sua logica. Strillando e gesticolando come un bambino, volge subito la cosa in ridicolo e fa immediatamente capire ai vecchissimi genitori che non gli è successo nulla di grave.
17) Dèng Bódào 鄧伯道 è uno dei nomi con cui è conosciuto Dèng Yōu鄧 攸, che ricoprì alte funzioni pubbliche sotto l’imperatore Wǔ 武帝della dinastia Jìn 晉朝, il quale regnò dal 266 d.C. al 290 d.C.
Quando i barbari invasero l’Impero, Dèng Bódào fu costretto a fuggire a piedi portando con sé la moglie, il figlioletto ed un nipotino, orfano di un fratello. Poiché i due bambini piccoli rallentavano la fuga, Dèng disse alla moglie:”Non possiamo salvarci tutti. Occorrerà abbandonare uno dei bambini. Mio fratello è morto giovane lasciando questo unico figlio. Io potrò ancora avere altri figli, quindi devo assolutamente salvare la vita di mio nipote”. La moglie, piangendo, accettò la sua decisione. Allora Dèng legò ad un albero il figlioletto perché non potesse più seguirlo e se ne andò.
La storia non figura nei “Ventiquattro esempi di pietà filiale”, ma Lŭ Xùn la cita probabilmente per mostrare un altro caso in cui la cieca esaltazione di una presunta norma etica porta a risultati disumani e moralmente aberranti.
18) Liú Xiàng 劉向 (77 a.C.- 6 a.C.) scrisse un libro intitolato “Vite di figli esemplari”《孝子傳 “xiàozǐ chuán”).