Il signor Féng il quinto (1)
Il signor Féng il quinto è originario di Níngbō (2) nel Zhèjiāng. Nella sua famiglia ci sono sempre stati due generi di persone: coloro che si dedicavano agli affari e coloro che si occupavano degli studi letterari. I membri della famiglia Féng sono gente sveglia; le loro teste possono essere paragonate alle sfere d’avorio incise dal famoso Wēng Wŭzhāng di Guāngzhōu. (3) Quelli che si davano al commercio diventavano ricchi uomini d’affari, quelli che si davano agli studi diventavano famosi letterati e ricoprivano alte funzioni pubbliche. Il signor Féng era l’ultimo di cinque fratelli maschi ed aveva inoltre due sorelle. Alcuni dei fratelli si trasferirono a Shànghăi e a Tiānjīn, dove avviarono attività commerciali e si sistemarono rapidamente, rendendosi presto indipendenti. Soltanto il nostro Féng rimase in famiglia a studiare letteratura. Agli altri sembrava una carpa del Fiume Azzurro, con le ossa minute come una lisca di pesce e la carne tenera come lo stomaco di un pesce. Non aveva l’aspetto di chi pensa soltanto a guadagnare per diventare ricco, al contrario, appariva fatto per giostrare con la cultura e divertirsi con l’inchiostro. Mentre la gente comune, se vuole citare un passaggio di un libro che ha letto, deve andarselo a cercare di nuovo, lui ricordava a memoria tutto ciò che aveva letto, cosa di cui dicono che fosse capace soltanto Wáng Ānshí, vissuto all’epoca della dinastia Sòng. (4) Quando apriva la bocca parlava in poesia, la sua scrittura era un’opera d’arte; nessuno osava misurarsi con lui. Tutti dicevano che sarebbe stato la gloria della famiglia Féng.
All’età di venticinque anni, persi entrambi i genitori, Féng vendette la casa di famiglia e si trasferì a Tiānjīn, dove con l’appoggio dei fratelli e degli amici, contava di intraprendere una bella carriera.
Aveva, come è ovvio, alte ambizioni, ma Tiānjīn è una città commerciale, dove il pennello è usato soltanto per fare i conti, dove nessuno legge mai un libro e, naturalmente, nessuno può perdere tempo a studiare. Mettiamo che voi scorgeste abbandonati per terra dei soldi e dei libri; ditemi che cosa tirereste su!
Mentre gli altri si arricchivano, il signor Féng stava a guardare con invidia il loro successo.(5) Si mise a riflettere e gli venne l’idea di abbandonare la letteratura, per darsi agli affari.(6) Ma era un tipo d’attività di cui non sapeva nulla. Che cosa avrebbe potuto fare?
Quando un Cinese vuole far soldi, la prima cosa a cui pensa è aprire un ristorante. Il mangiare è una necessità inderogabile e far mangiare la gente è il modo più semplice per arricchirsi. Chiunque tu sia non puoi evitare di mangiare tre volte al giorno, altrimenti non stai più in piedi, ed i soldi che spendi per nutrirti vanno al proprietario del ristorante. Per di più, a Tiānjīn il denaro è nelle mani dei commercianti e gli affari, come è noto, si concludono il più delle volte a tavola. Bisogna inoltre sapere che a Tiānjīn si produce sale e si mangia molto salato, cosicché la cucina di Níngbō corrisponde esattamente ai gusti locali.(7) Perciò il signor Féng decise di aprire un ristorante all’insegna della “cucina di Níngbō”.
Il locale sorgeva nel centro commerciale di Măjiākŏu e si chiamava “Il Palazzo del Brillante Letterato”. (8) Si scelse un giorno fortunato, si appesero alle pareti festoni e ghirlande, si accesero i fornelli e si inaugurò il ristorante.
Il signor Féng indossava una tunica fiorata di un colore blu intenso e ostentava sul petto una luccicante catena per orologio da tasca, di oro puro. Aveva i capelli tagliati alla moda degli uomini d’affari che commerciavano con l’India (9) e abbondantemente impomatati. Era, insomma, la vera personificazione del padrone di un ristorante e , in piedi all’ingresso della sala, dava il benvenuto ai clienti, facendosi in quattro per occuparsi di tutti. Essendo una persona colta, aveva buone maniere, parlava in modo elegante e riusciva simpatico alla gente. Inoltre, il “Palazzo del Brillante Letterato” era l’unico ristorante che offriva contemporaneamente, a Tiānjīn, la cucina di Níngbō e le specialità locali, cioè i pesci di mare e i granchi di fiume, che, passando per le abili mani dei cuochi di Níngbō, avevano un sapore delizioso come se fossero stati appena pescati.
Perciò, quando, dopo un po’ di tempo, il signor Féng, che era stato presente in sala tutti i giorni e che aveva controllato tutte le sere la chiusura del locale, fece i conti e si accorse che le entrate non coprivano le spese, ne rimase sconcertato.
Dove finivano i soldi?
Decise che, in futuro, avrebbe dovuto prestare più attenzione alle fatture dei fornitori. Diamine! Non poteva andare in rosso!
Una volta, uno sguattero che era stato fatto venire da Níngbō si fece coraggio e , tutto tremante, gli riferì che soltanto pochi dei polli, delle anatre, dei pesci e dei tagli di carne che entravano in cucina finivano nella bocca dei clienti. Tutti gli altri, i cucinieri li mettevano da parte e li portavano via, per venderli a qualcuno con cui erano in combutta all’esterno.
Il “Palazzo del Brillante Letterato” disponeva di capitali sufficienti per tirare avanti nonostante queste ruberie quotidiane?
Il signor Féng si infuriò e non ebbe dubbi sulla propria capacità di affrontare la situazione. Uno che aveva imparato a memoria le “Ventiquattro Storie”(10) e conosceva perciò a fondo la realtà della vita, poteva forse non essere in grado di risolvere una simile faccenda di piatti e di cucina? Decise quindi di andar giù duro. Licenziò e rimpiazzò l’intero personale, fatta eccezione per quel grasso capocuoco, che era stato il suo cuoco di famiglia e che si era portato dietro da Níngbō, fece applicare griglie elettrizzate alle finestre della cucina, che davano sul retro del locale, e ritenne che, da quel momento, non avrebbe più avuto problemi.
Ciònonostante, i conti rimanevano in rosso. Che cosa stava succedendo?
Un giorno una vecchia che abitava nei pressi del ristorante gli sussurrò che, tutti i pomeriggi, quando arrivavano gli spazzini con il camion dell’immondizia e suonavano il campanello, venivano portate fuori dal ristorante diciotto casse di rifiuti, ma che solo alla superficie c’era un sottile strato di rifiuti, mentre al di sotto erano nascosti una gran quantità di scatolame, interi sacchi di pesce salato, bottiglie di vino pregiato e pacchetti di ottimi sigari. C’era evidentemente una collusione tra il personale del ristorante e complici esterni per far sparire la merce in questo modo.
Ciò non voleva forse dire che con la spazzatura se ne andavano, ogni giorno, un sacco di soldi?
Quando, uno dei pomeriggi seguenti, il signor Féng si precipitò a fare un controllo al momento del ritiro della spazzatura, dovette constatare che le cose stavano proprio come gli avevano raccontato. Inferocito, licenziò una seconda volta tutto il personale.
Nonostante questo provvedimento radicale, le cose continuarono ad andar male.
Il signor Féng non riusciva ad ammettere di essere un inetto.
Ogni giorno si recava al ristorante e stava con gli occhi bene aperti, controllava tutto all’interno e all’esterno, ma non scorgeva mai nulla di strano. Cominciò a pensare che stava sprecando il proprio tempo, che non capiva più che cosa accadeva intorno a lui (11) e che, anche se si credeva intelligente, era un vero stupido.
Il “Palazzo del Brillante Letterato” perdeva colpi e cominciava a decadere. Gli uomini d’affari si irritarono, ci furono scenate, ma chi poteva farci qualcosa?
I clienti diventavano sempre più rari. Mancava l’olio per cucinare. Aiutanti, sguatteri e camerieri scappavano via. Talvolta nel salone erano accese soltanto la metà delle luci.
Nel suo intimo il signor Féng continuava a rifiutarsi di accettare tale situazione.
Un giorno, il ragazzo che gli faceva da domestico gli raccontò che fuori si mormorava che il peggior ladro all’interno del ristorante non fosse altri che quel grasso cuoco che lo stesso signor Féng aveva portato con sé da Níngbō. Si diceva che fosse un virtuoso del furto: non lasciava passare un giorno senza rubare, rubava in qualsiasi momento, rubava qualsiasi cosa, ogni sera tornando a casa si portava via qualche “ricordino” , rubava enormemente, ma non si faceva mai cogliere con le mani nel sacco.
Il signor Féng non voleva crederci. Quel grasso cuoco era stato il cuoco di suo padre e il padre del cuoco era stato il cuoco di suo nonno. La famiglia del cuoco era legata alla sua da generazioni. Se era un ladro, allora non ci si poteva più fidare di nessuno.
In ogni caso, in due anni di attività nel campo della ristorazione, il signor Féng aveva visto più sogghigni che sorrisi sinceri e sentito più falsità che verità ed anche lui era ormai diventato sospettoso. Perciò, quello stesso giorno, venuta la sera, all’ora della chiusura del ristorante, prese con sé il ragazzo e si piazzò nell’atrio del locale, accanto all’uscita. Si sedette su una sedia di vimini, in un angolo un po’ ventilato, e restò in attesa, dicendo al ragazzo di godersi il fresco (12): questa volta il ladro era in trappola.
Dopo un po' di tempo, videro il grasso cuoco che, spenti i fornelli, usciva dalla cucina per andare a casa. Era a capo scoperto, cosa che metteva in mostra la sua calvizie, e indossava soltanto dei calzoni corti, bianchi, e un paio di pantofole scalcagnate. Aveva un asciugamano arrotolato sulla spalla e portava in mano una lanterna di carta.(13) Quando scorse il padrone, non mostrò alcuna fretta di allontanarsi, ma si fermò e gli disse in tono scherzoso: “Avanti! Controllatemi pure!”.
Il signor Féng era imbarazzato, mentre i suoi occhi da letterato scrutavano attentamente il cuoco, e si domandava tra sé: “Dove potrebbe nascondere la refurtiva quest’uomo seminudo e a capo scoperto?”.Nelle pantofole scalcagnate non si poteva celare nemmeno un pacchetto di sigarette! La lanterna di carta era trasparente ed emanava una luce bianca come la neve, che avrebbe illuminato qualsiasi oggetto ci fosse stato nascosto dentro. I calzoni erano ampi, ma la corrente d’aria che usciva dalla cucina li faceva aderire al corpo, mostrando chiaramente la linea delle cosce e del deretano. Che cosa avrebbe potuto nasconderci? C`era qualcosa avvolto nell’asciugamano posato sulla spalla? Intuendo il suo sospetto, il cuoco prevenne la domanda e, preso l’asciugamano che aveva sulla spalla, lo gettò al ragazzo dicendogli: “Fuori fa freddo ed è per questo che avevo portato con me questo grosso asciugamano. Va’ a riappenderlo sullo stendino nel cortile!” Detto ciò, salutò il signor Féng, riprese in mano la sua lanterna e se ne andò via a passo lento e con un sorrisetto sfottente sulle labbra.
Il signor Féng ordinò al ragazzo di srotolare l’asciugamano. Dentro non c’era niente. Avevano sospettato a torto di una brava persona!
Ma il giorno seguente, il ragazzo scoprì che la sera prima il cuoco li aveva presi per i fondelli e che il trucco stava proprio nella lanterna.
Il candeliere in cui era infissa la candela di cera non era fatto di legno. Si trattava invece di un taglio di carne, del peso di un chilo, che era stato prima abilmente modellato a forma di candeliere e poi congelato.
Il furbone abitava poco lontano dal signor Féng. Chissà quante volte, con incredibile sfrontatezza, era passato sotto gli occhi di quest’ultimo tenendo in mano la lanterna accesa? C’era veramente da piangere!
Il signor Féng ascoltò, rimase tre giorni senza parlare e, il quarto giorno, chiuse il “Palazzo del Brillante Letterato”.
Qualcuno gli suggerì di ritornare alla letteratura e agli studi, ma egli scosse la testa sospirando: “Lo studio ti fa credere a tutte le cose che raccontano i libri, con la bella conseguenza che i dotti non vedono ciò che persino gli ignoranti riescono a vedere.(14) A che cosa mi servirebbe studiare ancora?”
NOTE
1) L’aggiunta di un aggettivo numerale al nome di una persona era un uso tipico dell’antica Cina che si applicava soltanto ai maschi. In una società patriarcale caratterizzata dalla presenza di famiglie molto numerose e dal rispetto di una rigida etichetta era infatti importante conoscere l’ordine di nascita di un individuo per poterne stabilire il rango. Oggi, tale uso è caduto in desuetudine, anche per il fatto che attualmente, in seguito ad una precisa politica perseguita per decenni dal governo, l’enorme maggioranza delle famiglie cinesi ha un solo figlio. Nella traduzione ho omesso l’aggiunta del numerale, che appesantisce le frasi, senza migliorare in alcun modo la comprensione del testo.
2) Níngbō 宁 波 è una città costiera situata nella regione del Zhèjiāng 浙 江. Dista un po’ più di 1000 chilometri da Tiānjīn 天 津.
3) Le sfere d’avorio cinesi sono oggetti costituiti da numerose sfere, contenute l’una nell’altra e diversamente decorate, le quali hanno la particolarità di essere tutte ricavate dallo stesso pezzo d’avorio, che è stato lavorato scavando, dall’esterno verso l’interno, un certo numero di aperture. Sono innanzitutto pregiate opere d’arte, ma vengono usate anche come passatempo o rompicapo perché, con un certo sforzo di riflessione ed una certa applicazione, si riesce a far coincidere tutte le loro aperture. L’intelligenza a cui ci si riferisce qui non è però quella di chi gioca con il rompicapo, ma di chi lo ha costruito con un lavoro di una delicatezza e di un’inventiva impareggiabili. Tali sfere d’avorio erano tradizionalmente prodotte dagli artigiani del Guăngzhōu, ma la loro produzione e la loro esportazione hanno subito un colpo mortale in seguito al divieto internazionale del commercio dell’avorio. Wēng Wŭzhāng è famoso perché fabbricò una sfera d’avorio in cui lui stesso e le successive generazioni della sua famiglia riuscirono ad incidere ben 44 sfere più piccole.
4) Wáng Ānshí 王 安 石(1021 d.C.-1086 d.C.) fu un importante letterato e uomo politico.
5) Invidiare la fortuna altrui è reso nel testo con l’espressione idiomatica “avere gli occhi infiammati” ( “yăn rè” 眼热) che corrisponde all’espressione, di analogo significato, “avere gli occhi rossi” (“yăn hóng” 眼红).
6) Abbandonare il proprio lavoro per tentare la fortuna in una nuova attività è reso con un’altra espressione idiomatica: ”andar per mare” (下 海“xià hăi”).
7) Tiānjīn e Níngbō sono entrambe città costiere. Di conseguenza, le loro cucine sono abbastanza simili, con prevalenza dei piatti di pesce.
8) Il signor Féng ha voluto ricordare, nel nome del ristorante la sua esperienza di letterato. Il termine 状 元 (“zhuàngyuán”) designava il primo classificato del concorso nazionale per l’accesso alla funzione pubblica, concorso che era detto l'“esame imperiale”.
9) L’espressione 中 印 (“zhōng yìn”) vale a dire Cina e India, indica i rapporti tra questi due paesi, specialmente in materia commerciale. Applicato ad un abito o ad un taglio di capelli designa l’abbigliamento o l’acconciatura di moda presso gli uomini d’affari che si occupano del commercio internazionale, come quello tra Cina e India.
10) Si indicano con il termine “Ventiquattro Storie” ( 二十四史 “èrshísì shĭ”) i ventiquattro libri di storia che coprono nel loro complesso il periodo che va dal 3000 a.C. al 17° secolo d.C. Il sig Féng è convinto, a torto, che le sue conoscenze, amplissime, ma puramente libresche, lo abbiano reso capace di affrontare con successo le insidie della vita reale.
11) Il testo cinese reca l’espressione 真 落 到 生 活 的 万 花筒 里 (“zhēn luò dào shēnghuó de wànhuātǒng lǐ”), letteralmente “è davvero caduto nel caleidoscopio della vita”. Come le immagini di un caleidoscopio cambiano ad ogni istante, allo stesso modo le circostanze della vita reale sono così mutevoli e multiformi da disorientare e sconvolgere chi, semplicisticamente, creda di poterle controllare.
12) L’espressione 歇 凉 (“xiēliáng”), letteralmente “riposarsi al fresco”, significa ovviamente “attendere con calma”, “stare tranquillo”.
13) Si tratta della tipica lanterna cinese, in cui il candeliere è circondato da un involucro trasparente di carta dipinta a vivaci colori.
14) Il signor Féng si riferisce qui, con amarezza, al proverbio che suona: 尽 信 书 不 如 无 书 ( “ jìn xìn shū bùrú wú shū”), cioè: ”credere a tutto ciò che dicono i libri è peggio che non leggerne nessuno”. L’origine di questo proverbio sembra da ricercarsi in una massima del filosofo Mencio 孟 子 :”Credere a tutto ciò che dice il “Libro dei Documenti” è peggio che non sapere nemmeno che cosa sia”.(盡信《書》,則不如無《書》”jìn xìn “shū”, zé bùrú wú “shū”).
冯五爷
冯五爷是浙江宁波人。冯家出两种人,一经商,一念书。冯家人聪明,脑袋瓜赛粤人翁伍章雕刻的象牙球,一层套一层,每层一花样。所以冯家人经商的成巨富,念书的当文豪做大官。冯五爷这一辈五男二女,他排行末尾。几
位兄长远在上海天津开厂经商,早早的成家立业,站住脚跟
。惟独冯五爷在家啃书本。他人长得赛条江鲫,骨细如鱼刺,肉嫩如鱼肚,不是赚钱发财的长相,倒是舞文弄墨的材料。凡他念过的书,你读上句,他背下句,这能耐据说只有宋朝的王安石才有。至于他出口成章,落笔生花,无人不服。都说这一辈冯家的出息都在这五爷身上了。
冯五爷二十五,父母入土,他卖房地、携家带口来到天津卫,为的是投兄靠友,谋一条通天路。
他心气高,可天津卫是商埠,毛笔是用来记帐的,没人看书,自然也没人瞧得起念书的。比方说,地上有黄金也有书本,您捡哪样?别人发财,冯五爷眼热,脑筋一歪,决意下海做买卖。但此道他一窍不通,干哪行呢?
中国人想赚钱,第一个念头便是开饭馆。民以食为天,民为食花钱;一天三顿饭,不吃腿就软,钱都给了饭馆老板。天津的钱又都在商人手里,商界的往来大半在饭桌上。再说,天津产盐,吃菜口重,宁波菜咸,正合口味。于冯五爷拿定主意,开个宁波风味的馆子,便在马家口的闹市里,选址盖房,取名“状元楼”。择个吉日,升匾挂彩,燃鞭放炮,饭馆开张了。冯五爷身穿藏蓝暗花大褂,胸前晃着一条纯金表链,中印分头,满头抹油,地道的老板打扮,站在大厅迎宾迎客,应付八方。念书的人,讲究礼节,谈吐又好,很得人缘。再说,状元楼是天津卫独一家宁波馆,海鱼河虾都是天津人解馋的食品,在宁波厨子手里一做,比活鱼活虾还鲜。故此开张以来,天天坐满堂,晚上一顿还得“翻台”,上一长,赚钱并不多。冯五爷纳闷,天天一把把银钱,赛一群群鸟飞进来,都落到哪儿去了?
往后再瞧帐,哟,反倒出了赤字!
一日,一个打宁波帮工来的小伙计,抖着胆子告诉他,厨房里的鸡鸭鱼肉,进到客人嘴里的有限,大多给厨子伙计们截墙扔出去,外边有人接应。状元楼有多少钱经得住天天往外扔?
冯五爷盛怒之后,心想自己嘛脑袋,《二十四史》背得
滚瓜烂熟,能拿这帮端盘子炒菜的没辙?这就开刀了。除去那个打宁波老家带来的胖厨子没动,其余伙计全轰走,斩草除根换一拨人,还在后院墙头安装电网,以为从此相安无事,可帐上仍是赤字,怎么回事?
又一日,住在状元楼邻近一位婆子,咬耳朵对他说,每天后晌,垃圾车一到,一摇铃铛,打状元楼里抬出的七八个土箱子,只有上边薄薄一层是垃圾,下边全是铁皮罐头、整袋咸鱼、好酒好烟。原来内外勾结,用这法儿把东西弄走。这不等于拿土箱子每天往外抬钱吗?冯五爷赶在一个后晌倒垃圾的时候,上前一查,果然如此。大怒之下,再换一拨人。人是换了,但帐本上的赤字还是没有换掉。
冯五爷不信自己无能。天天到馆子瞪大眼珠,内内外外巡视一番,却看不出半点毛病。文人靠想象过日子,真落到生活的万花筒里,便是“自作聪明真傻瓜”。状元楼就赛
破皮球,撒气露风,眼瞅着败落下来。买卖赛人,靠
一股气儿活着,气泄了,谁也没辙。愈少客人,客人愈少;油水没油,伙计散伙。饭厅有时只开半边灯了。
冯五爷心里只剩下一点不服。
再一日,身边使唤的小僮对他说,外头风传,状元楼里最大的偷儿不是别人,就是那个打老家带来的胖厨子。据说他偷瘾极大,无日不偷,无时不偷,无物不偷,每晚回家必偷一样东西走,而且偷术极高,绝对查看不出。冯五爷不肯相信,这胖厨子当年给自己父亲做饭,胖厨子的父亲给自己爷爷做饭,他家的根早扎在冯家了。倘若他是贼,谁还会不是贼?
但是,冯五爷究竟干了两年的买卖,看到的假笑比真笑多,听到的假话比真话多,心里也多了一个心眼儿了。当日晚上,状元楼该关灯闭门时候,冯五爷带着小僮到饭馆
前厅,搬一把藤椅,撂在通风处,仰面一躺,说是歇凉,实是捉贼。
等了不久,胖厨子封上炉火,打后头厨房出来,正要回家。他光着脑袋一身肉,下边只穿一条大白裤衩,趿拉一双破布鞋,肩上搭一条汗巾,手提一盏纸灯笼。他瞅见老板,并不急着脱身离去,而是站着说话。那模样赛是说:“您就放开眼瞧吧!
冯五爷嘴里搭讪,一双文人的锐目利眼却上上下下打量他,心中一边揣度--这光头光身,往哪儿藏掖?破鞋里也塞不了一盒烟呵!
灯笼通明雪亮,里头放点嘛也全能照出来。裤衩虽大,但给大厅里来回来去的风一吹,大腿屁股的轮廓都看得清清楚楚,还能有嘛?是不是搭在肩上那条擦汗的手巾里裹着点什么?心刚生疑,不等他说,胖厨子已把汗巾从肩上拿下,甩手扔给小僮,说道:“外边都凉了,我带这条大毛巾做什么,烦你给搭在后院的晾衣绳上吧!”说完辞过冯五爷,手提灯笼,大摇大摆走了。
冯五爷叫小僮打开毛巾,里头嘛也没有,差点冤枉好人。
可是转天,这小僮打听到,胖厨子昨晚使的花活,在那灯笼上。原来插洋蜡的灯座不是木头的,而是拿一块冻肉镟的,这块肉足有二斤沉!可人家居然就在冯五爷眼皮子底下,使灯照着,大模大样提走了,真叫绝了!
冯五爷听罢,三天没说话,第四天就把状元楼关了。有人劝他重返文苑,接着念书,他摇头叹息。念书得信书。他连念书的人能耐还是不念书的人能耐都弄不清,哪还会有念书的心思?
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