Lí Hè 李賀 (790 d.C-816 d.C.), conosciuto anche con il nome di cortesia di Chángjì 長吉, nacque a Chānggŭ 昌 谷 (oggi contea di Yíyáng 宜阳县, parte della città di Luòyáng 洛 阳 nel Hénán 河 南 ) in una famiglia che vantava lontani legami di parentela con la dinastia regnante.
Cominciò a scrivere versi all’età di sette anni e, secondo quanto si racconta, attirò già a quell’età l’attenzione del famoso poeta Hán Yù 韩 愈 in visita al suo villaggio.
Trasferitosi a Cháng’ān 長 安 nell’809 d.C.,quando stava per compiere vent’anni, trovò appoggio nel già citato Hán Yù e nel letterato Huáng Fŭshí 皇甫湜, che lo spinsero a presentarsi agli esami per l’accesso alla funzione pubblica che si sarebbero svolti l’anno successivo.
Gli fu tuttavia impedito di partecipare ai suddetti esami per una ragione che a noi oggi sembra ridicola, ma che tale non appariva agli occhi dei suoi contemporanei: un tabù onomastico. Per ragioni di rispetto che sconfinavano nella superstizione era infatti proibito pronunciare o scrivere i caratteri che formavano i nomi degli imperatori, di personaggi illustri (ad es. Confucio sotto la dinastia Jìn) nonché i nomi degli antenati sino alla settima generazione. Poiché il nome del padre di Lí Hè, Jìnsù 晋肅, conteneva il carattere 晋 (“jìn”) e gli esami imperiali permettevano di conseguire il diploma di “eminente studioso (进 士 “jìnshì”), l’eventuale superamento degli esami avrebbe consentito a Lí Hè di fregiarsi di un titolo la cui pronuncia avrebbe costituito per lui violazione di un tabù.
Hán Yù scrisse allora un saggio per contestare questo divieto, mettendo in luce l’assurdità del tabù, ma non ci fu nulla da fare e Li Hè non poté sostenere gli esami.
Dovette perciò accontentarsi di un impiego modesto e mal retribuito, quello di “assistente alla celebrazione dei riti” (奉 裡 郎 “fènglĭ láng”) presso il tempio Tàicháng 太 常 寺 di Cháng’ān, che gestiva le cerimonie religiose della famiglia imperiale.
Ammalatosi di tubercolosi, nell’814 d.C.diede le dimissioni dall’impiego e ritornò presso la madre a Chānggŭ, dove morì nell’816 d.C., appena ventisettenne, dopo aver affidato un manoscritto di sue poesie all’amico Shĕn Zĭmíng 沈 子 明 .
Questa precauzione si rivelò provvidenziale poiché si narra che un cugino del poeta, avendo trovato in casa del defunto altri manoscritti, li distrusse per impedire che la loro pubblicazione recasse disdoro alla famiglia. La poesia di Lí Hè appariva infatti già allora molto controversa.
Si racconta che il suo modo di comporre fosse piuttosto strano. La mattina usciva di casa a cavallo e andava in giro per tutto il giorno, seguito da un ragazzo che portava una borsa sulle spalle. Ogni volta che gli veniva in mente un verso, lo annotava rapidamente su un foglio di carta che gettava nella borsa. La sera, di ritorno a casa, svuotava la borsa e passava la notte a mettere insieme i singoli versi per farne delle poesie complete, nonostante gli ammonimenti della madre, la quale temeva, a giusto titolo, che questa vita sregolata potesse nuocere gravemente alla sua salute.
Tale racconto, nel quale non è da escludere che ci sia una parte di vero, mira a spiegare nel modo più semplice l’oscurità e l’evidente eccentricità delle poesie di Li Hè, le quali, ricche come sono di immagini fantasiose e di metafore, richiamano un po’ quello stile letterario che in Occidente fu conosciuto con il nome di “simbolismo”. Un certo disorientamento era provocato nei lettori anche dalla scelta inusuale dei soggetti che erano spesso temi inquietanti come la malattia, la morte o le visioni oniriche tipiche dell’esperienza sciamanica. Non per nulla, Lí Hè trasse inspirazione dai Canti di Chŭ 楚 歌 (“chŭ gē”) di Qū Yuán 屈 原 , che sono ritenuti descrivere gli incontri degli sciamani in stato di trance con esseri sovrannaturali, spiriti e divinità. J.Pimperneau, in “Biographie des regrets éternels”, pagg.105-106, nota n.3, evoca, a questo riguardo, una certa parentela con le fantasie pittoriche di Hieronymus Bosch o di William Blake. Per queste ragioni Lí Hè fu soprannominato “Il Fantasma della Poesia” ( 詩 鬼 “shī guĭ”).
Quanto sopra spiega la scarsa considerazione di cui l’opera di Lí Hè godette sino a poco tempo fa nella storia letteraria della Cina. Sebbene fosse stimato da Dù Mù 杜 牧 , che scrisse la prefazione di una sua antologia, e da Lĭ Shāngyĭn 李 商 隱 , che ne compose una breve biografia, le sue poesie non entrarono a far parte della tradizione canonica e nessuna di esse figura nelle raccolte più popolari quali “Le Trecento Poesie dell’Epoca Táng” (唐 詩 三 百 首 “táng shī sānbăi shŏu”). Ciò non toglie che, di tanto in tanto, voci isolate riconoscessero espressamente l’ importanza della sua creazione. Nel “Nuovo Libro dei Táng” (新 唐 書 “xīn táng shū”), opera storica dell’11° secolo, curata da Ōuyáng Xiū 歐陽脩 e da Sòng Qí 宋 祁, si legge, ad esempio, che le poesie di Lí Hè sono “ di una originalità impressionante, che rompe con la tradizione letteraria consolidata”.
È significativo che Lí Hè sia stato rivalutato verso la fine del 19° secolo quando, come scrive il sinologo François Jullien in “Detour and Access: Strategies of Meaning in China and Greece”, pag.73 (MIT Press, 2004.),” . Western notions of romanticism [ allowed] the Chinese to reexamine this poet, allowing the symbolism of his poems to speak at last, freeing his imaginary world from the never-ending quest for insinuations”( ”il romanticismo occidentale indusse i Cinesi a riesaminare questo poeta, apprezzandone infine il simbolismo e liberando il suo mondo immaginario da un’interminabile ricerca di insinuazioni”). Curiosamente, uno dei più recenti ammiratori di Lĭ Hè fu il presidente Máo Zédōng 毛 澤 東 , che lo annoverava tra i suoi poeti preferiti.
Di Lí Hè ci sono rimaste circa 240 poesie, che furono pubblicate per la prima volta quindici anni dopo la sua morte con una prefazione di Dù Mù, il quale così scriveva:
“Non bastano le nubi e la nebbia in continuo movimento per descrivere la sua immaginazione; i meandri contorti dei fiumi per descrivere i suoi sentimenti; la primavera verdeggiante per descrivere il suo ardore; il limpido autunno per descrivere il suo stile; una vela al vento, una carica di cavalleria per descrivere il suo vigore; i sarcofagi d’argilla e i tripodi ornati di sigilli per descrivere la sua antichità; i freschi boccioli e le dolci fanciulle per descrivere il suo fascino; gli imperi distrutti, i palazzi saccheggiati, le macchie di rovi e i tumuli funerari per descrivere la sua sofferenza e il suo dolore; le balene che soffiano, le tartarughe che vanno all’attacco, i fantasmi con la testa di un bue e gli spiriti con il corpo di un serpente per descrivere il suo amore di tutto ciò che è stravagante ed irreale”.
Nella raccolta pubblicata da Dù Mù compaiono due serie di tredici poesie ciascuna:
“I canti sui dodici mesi e sul mese intercalare scritti per gli esami provinciali del Hénán” (河 南 府 試 十 二 月 樂 辭 並 閏 月 “hénán fŭshì shí èr yuè yuè cí bìng rùn yuè), composti nell’809 d.C.,
e
“I tredici canti del giardino meridionale” (南 園 十 三 首 “nán yuán shí sān shŏu”), composti nell’814 d.C.
La poesia qui sotto riportata non fa invece parte di alcuna serie.
Essa potrebbe essere considerata,a prima vista, una semplice mostra di erudizione, un piccolo florilegio di allusioni ad antiche opere letterarie in cui sono menzionate le tigri.
L’apparente incoerenza lascia però scorgere alcune precise linee di pensiero.
L’ appassionato elogio del coraggio della tigre nei primi versi ci fa pensare che il poeta amerebbe scorgere più spesso questa virtù anche negli uomini.
I versi successivi sembrano creare una contrapposizione fra la tigre vista come simbolo della giustizia (lo “zōuyú" 騶虞, animale mitico dall’aspetto di tigre che si mostrava, come l’unicorno, soltanto durante il regno di un sovrano giusto) e la tigre vista come simbolo di bestiale ferocia ( l’uomo-tigre Niú Ài, equivalente cinese del licantropo o lupo mannaro che si ritrova nella mitologia e nel folclore dei popoli europei).
I versi finali sono una dura critica dei governi autoritari e oppressivi che il poeta condanna citando una frase attribuita a Confucio e divenuta in seguito proverbiale:”I tiranni sono più feroci delle tigri”.
LA BALLATA DELLA TIGRE FEROCE
猛虎行
mĕng hŭ xīng
La Ballata della Tigre Feroce
Non la incalzano con le lunghe lance,
non la bersagliano (1) con le balestre. (2)
Nutre ed alleva la sua progenie,
educandola ad essere feroce.
Quando solleva la testa è un muro,
quando agita la coda è una bandiera.
Anche il prode Huáng del Mare Orientale (3)
temeva il suo incontro nell’oscurità.
Una tigre giusta sulla sua strada (4)
avrebbe terrorizzato anche Niú Ài.(5)
Quale utilità può avere il pugnale
se rimbomba come tuono sul muro?(6)
Quando dalle pendici del monte Tài
ci giungono i lamenti d’una donna,(7)
l’ordine delle autorità è formale:
che nessun funzionario osi ascoltarli.(8)
cháng gē mò chūn qiáng nŭ mò pēng 長 戈 莫 舂,強 弩 莫 抨
rŭ sūn bŭ zĭ jiāo dè shēng 乳 孫 哺 子,教 得 生 獰
jŭ tóu wéi chéng diàowĕi wéi jīng 舉 頭 為 城,掉 尾 為 旌
dōng hăi huáng gōng chóu jiàn yè xíng 東 海 黃 公, 愁 見 夜 行
dào féng zōu yú niú ài bú píng 道 逢 騶 虞, 牛 哀 不 平
hé yòng chĭ dāo bì shàng léi míng 何 用 尺 刀, 壁 上 雷 鳴
tài shān zhī xià fù rén kū shēng 泰 山 之 下, 婦 人 哭 聲
guān jiā yŏu chéng lì bù găn tīng 官 家 有 程, 吏 不 敢 聽
NOTE
1) Il termine 舂 (“chūn”) ha, presso gli autori antichi, anche il significato di “attaccare”,”assalire”,”caricare”. Si veda, a questo riguardo, il paragrafo 41 del trentatreesimo volume delle “Memorie Storiche” (史 記 “ shĭ jì”) di Sīmă Qiān 司 馬 遷, intitolato “ La casa ereditaria del duca Zhōu di Lŭ “(鲁周公世家 “lŭ zhōu gōng shìjiā), in cui si legge:”L’undicesimo anno di regno del duca Wén (616 a.C.), il decimo mese, nel giorno detto “jiăwŭ”, l’esercito di Lŭ sconfisse i barbari Dì a Xián. Il capo dei Cháng Dì, Qiáorú, fu circondato e Fùfù Zhōngshēng lo colpì con la lancia alla gola per ucciderlo” (十一年十月甲午,魯敗翟于咸,獲長翟喬如,富父終甥 舂其喉以戈殺之.”shì yī nián shì yuè jiă wŭ lŭ bài dí yú xiàn huó cháng lì qiáo rú ,fù fù zhōng shēng chūn qì hóu yĭ gē shă zhī.”)
2) Il termine 弩 (“nŭ”) indica la balestra che era preferita all’arco nella caccia alla tigre perché aveva una maggiore gittata e un tiro più potente.
3) Secondo una leggenda popolare, Huáng Gōng 黃公, un uomo che abitava sulle rive del Mare Orientale ai tempi della dinastia Qín 秦 朝 , affrontò una tigre bianca sperando di vincerla con le arti magiche che aveva praticato sin da bambino, ma la magia non funzionò e Huáng Gōng fu sbranato.
4) Lo “zōuyú” 騶虞 è menzionato in numerosi antichi testi come un animale leggendario, il quale, a somiglianza dell’unicorno (麒麟 “qílín”) apparirebbe soltanto durante il regno di un sovrano buono e giusto. Per questa ragione è definito un animale “giusto”, terribile d’aspetto, ma mansueto e non sanguinario. Nel “Classico dei Monti e dei Mari” (山 海 經 “shān hăi jīng”) si legge﹕“Lo zōuyú è come una tigre multicolore”( 騶 虞 如 虎 五 色 “zōuyú rú hŭ wŭ sè”) Nel “Shuōwén Jiĕzì” 說文解字, dizionario del 2° secolo d.C., è descritto come una tigre bianca, maculata di nero, con una lunga coda (白虎黑文,尾長於身 ”bái.hŭ hēi wén, wĕi cháng yú shēn”.
5) Niú Ài 牛哀 è un personaggio menzionato nella “Rapsodia sulla Contemplazione del Mistero”( 思 玄 賦 “sī xuán fù”) di Zhāng Héng 張 衡, un poema fantascientifico che immagina un viaggio degli uomini nel cosmo.
In tale rapsodia si legge: “Niú Ài si ammalò e si trasformò in tigre. Quando incontrò suo fratello maggiore, lo divorò” (牛哀病而成虎兮,虽逢昆其必噬 “niú ài bìng yŭ chéng hŭ xī suī féng xiōng qī bì yăo”).
Secondo la leggenda, Ài Gōng Niú era un uomo che visse nel regno di Lŭ durante il Periodo delle Primavere e degli Autunni (770 a.C-476 a.C.).
Nel secondo capitolo della raccolta di saggi “I Maestri del Huáinán” (淮南子“huáinánzĭ”), intitolato “Il principio della realtà” (俶 真 訓 “chù zhēn xùn”), paragrafo 4, si legge:” Una volta, Gōng Niú Ài si ammalò e nel corso di una settimana si trasformò in una tigre. Il fratello maggiore uscì di casa e andò a cercarlo, ma la tigre lo aggredì e lo uccise” (昔公牛哀转病也,七日化为虎。其兄掩户而入觇之,则虎搏而杀之.”xī gōng niú ài zhuàn bìng yĕ, qī rì huà wéi hŭ.qí xiōng yăn hù ér rù tiē, zé hŭ bó ér shā zhī”).
6) Questo verso potrebbe essere un esempio del metodo estemporaneo di composizione usato da Lĭ Hè. Appare infatti piuttosto difficile trovargli un collegamento logico con il soggetto della poesia. Il motivo della spada appesa al muro che rimbomba fragorosamente ricorre in altre poesie, anche di epoca successiva. Si veda, ad es, ”La Canzone della Sciabola Giapponese” (日本刀歌 “rì bĕn dāo gē”) di Liáng Pèilán 粱佩蘭 in cui si legge: “Lampeggiando nel cuore della tempesta manda dal muro cupi brontolii” (風 雷 閃 怪 吼 牆 壁 “fēng léi shăn guài hŏu qiáng bì”).
7) Il “Libro dei Riti” (禮 記 “lĭ jì”) racconta, nel capitolo intitolato “L’arco di legno di sandalo” (檀 弓 “tán gōng”), parte seconda, paragrafo 193, che, un giorno, Confucio, camminando ai piedi del monte Tài, vide una donna in lacrime accanto a una tomba.Il Maestro si fermò e inviò Zĭ Lù a domandarle perché piangesse così disperatamente. La donna rispose:”Dapprima mio suocero è stato ucciso da una tigre, poi mio marito è stato vittima di una tigre, ed ora una tigre ha dilaniato anche mio figlio”. “Perché non te ne vai via di qui?” le chiese il Maestro. “Perché qui non ci sono tiranni.” gli rispose la donna. Allora Confucio , rivolto ai suoi discepoli, esclamò: “Ricordatevelo, ragazzi! I tiranni sono più feroci delle tigri”.( 小子識之,苛政猛於虎也 “xiăozĭ shí zhī, kēzhèng měng yú hǔ”).
8) I termini 官家 (“guānjiā) e 吏 (“lì”) hanno praticamente lo stesso significato: “i funzionari dello Stato”. Nel presente contesto si può intendere il primo, in senso più generico e astratto, come “il governo”, l’”amministrazione”,”le autorità”, il secondo , in senso più preciso e concreto, come i “singoli funzionari”. Un regime tirannico e oppressivo impedisce ai suoi funzionari di ascoltare le lamentele dei cittadini.
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