1. Il Maestro dichiarò: “ Di Tàibó (1) si può certamente dire che pervenne alla Virtù. Rinunciò tre volte all’Impero senza che il popolo potesse lodarlo.”(2)
2. Il Maestro osservò: “ Senza lo spirito delle tradizioni, la cortesia diventa etichetta, la prudenza diventa titubanza, il coraggio diventa insubordinazione e la franchezza diventa grossolanità. (3) Se il principe è sincero con chi gli sta intorno, il popolo sarà virtuoso; se il principe non dimentica i vecchi amici, il popolo sarà onesto.”
3. Mortalmente malato, Zēng Zĭ (4) chiamò i suoi discepoli e disse loro: “Scopritemi i piedi! Scopritemi le mani! Il Libro delle Odi recita:’Attento e prudente , come sul bordo di un abisso, come su un sottile strato di ghiaccio’. (5) Ora so, miei giovani amici, che non corro più alcun pericolo.” (6)
4. Quando Mèng Jìng Zĭ (7) si recò al capezzale di Zēng Zĭ, che era gravemente malato, quest’ultimo gli disse: “Il canto di un uccello che sta per morire è triste, le parole di un uomo che sta per morire sono profonde”e gli spiegò:”Ci sono tre cose di cui un uomo per bene deve aver cura:egli deve sempre mantenersi composto evitando sia di esprimersi sia di agire con violenza, deve ispirare, quanto più possibile, il proprio atteggiamento alla sincerità e deve guardarsi dall’ira astenendosi dal compiere atti bassi e volgari. Quanto ai vasi per i sacrifici, questo è un problema da lasciare agli appositi funzionari che se ne occupano”. (8)
5. Zēng Zĭ ricordò: “Avevo un amico capace che non disdegnava di chiedere consiglio anche a chi valeva meno di lui. Era colto, eppure faceva
domande a chi sapeva poco; era pieno di ingegno, eppure non si metteva
in mostra; era solido ,eppure non lo dava a vedere. Quando veniva offeso, non replicava. Questo era il suo comportamento costante”. (9)
6. Zēng Zĭ osservò: “ Poniamo il caso di una persona a cui si possa affidare la tutela di un giovane principe (10) ed il governo di un piccolo Stato (11), senza temere che, nei momenti di grave crisi, venga meno ai suoi doveri (12). Si può dire che costui è un uomo di valore? Sì, è un uomo di valore.”
7. Zēng Zĭ disse: “Un galantuomo deve dimostrare grande perseveranza perché il suo fardello è pesante ed il suo cammino è lungo. Infatti, il suo fardello è la pratica della virtù – non è davvero pesante?- ed il suo cammino terminerà solo con la morte- non è davvero lungo?”.
8. Il Maestro osservò: “La poesia dischiude la mente. I riti formano il carattere. La musica orna lo spirito.”
9. Il Maestro disse: “Il popolo può essere indotto a seguire una linea d’azione, ma è vano illustrargliene le ragioni.” (13)
10. Il Maestro spiegò: “ All’origine delle ribellioni ci sono uomini coraggiosi che non sopportano la miseria oppure uomini malvagi che si vedono troppo emarginati.” (14)
11. Il Maestro dichiarò: “Uno potrebbe avere le doti del duca di Zhōu, ma, se fosse arrogante ed avido, questi vizi offuscherebbero tutti gli altri meriti.”
12. Il Maestro disse: “Non è facile trovare qualcuno che abbia studiato per tre anni senza pensare ad uno stipendio.”(15)
13. Il Maestro consigliò così i suoi discepoli: “ Dedicatevi allo studio con fede sincera e seguite il retto cammino sino alla morte.
Tenetevi lontani da un paese instabile e non soggiornate in un paese sconvolto dai disordini.
Dove e quando, nell’Impero, si rispetta la Via, manifestatevi. Altrimenti, conducete una vita ritirata. Infatti, se è vergognoso rimanere poveri ed insignificanti in un paese ben governato, ciò di cui ci si deve vergognare in un paese mal governato è proprio il fatto di ottenervi ricchezze ed onori.”(16)
14. Il Maestro disse: “Non occupatevi di ciò che non rientra nelle vostre competenze”.
15. Confucio ricordò: “Quando il maestro Zhì (17) attaccava il gran finale dei “Falchi Pescatori”, che oceano di suoni ci sommergeva”. (18)
16. Il Maestro osservò: “ Ci sono alcuni tipi di uomini che superano le mie capacità di comprensione: si tratta degli ambiziosi che vogliono fare grandi cose prescindendo dall’onestà, degli ignoranti che non si curano di imparare e degli stupidi che cercano di ingannare gli altri.”
17. Il Maestro esortò i suoi discepoli: “ Studiate come se non sapeste ancora nulla e come se aveste paura di dimenticare ciò che avete imparato”.
18. Il Maestro osservò: “Che grandezza! Shùn e Yu seppero reggere l’Impero con il più assoluto distacco”.(19)
19. “Yáo fu davvero un grande sovrano” osservò il Maestro “Quale maestà! Solo il Cielo è immenso e solo Yáo può essergli paragonato. La sua virtù fu così ampia che il popolo non riusciva a trovarle un nome.Quanto furono grandiose le sue imprese! Quanto furono brillanti le istituzioni a cui diede vita!”.(20)
20. Shùn governò l’Impero con cinque ministri. (21) Il re Wŭ di Zhōu affermava: “Ho dieci buoni ministri”. (22)
Confucio osservò: “ Trovare uomini di talento è veramente difficile! Se ne videro molti durante i regni di Táng e di Yú (23), ma sotto il re Wŭ, fra i ministri c’era una donna, e quindi, a rigore, ce furono soltanto nove.
I Zhōu continuarono a rendere omaggio alla dinastia Yīn, anche quando controllavano ormai due terzi dell’Impero. Ecco una dimostrazione di grandissima virtù, non è forse vero?” (24).
21. Il Maestro disse: “ In Yŭ non riesco davvero a trovare difetti. Mangiava e beveva con semplicità, ma dimostrava la sua pietà filiale nei confronti delle divinità e degli spiriti con splendide offerte. Vestiva poveramente, ma le corone e gli abiti di broccato che indossava in occasione delle cerimonie erano magnifici. Si accontentava di un piccolo palazzo e di stanze modeste, ma dedicava tutta la propria energia alla costruzione di dighe e di canali d’irrigazione. No, non gli trovo davvero alcun difetto.” (25)
NOTE
1) Tàibó 太 伯 , fondatore del regno di Wú 吳國 , era il figlio primogenito di Dănfù 亶 父 , poi ricordato come Zhōu Tài Wáng 周 太 王 (“Il Re Supremo di Zhōu”), che fondò il ducato di Zhōu negli ultimi decenni della dinastia Shāng 商 朝 . Rinunciò alla successione in favore del fratello Jìlì 季 歷 affinché questi potesse poi lasciare il trono al figlio Chāng 昌 , famoso per la sua saggezza. Quest’ultimo, in seguito ricordato come Zhōu Wén Wáng ( “Il Re Saggio di Zhōu”), ebbe come erede il figlio Fā 發 , passato alla storia come Zhōu Wŭ Wáng 周 武 王 (“Il Re Guerriero di Zhōu”), che, nel 1046 a.C., abbattè la dinastia Shāng e fondò la dinastia Zhōu. Da parte sua, Tàibó, insieme con il fratello 仲 雍 Zhòngyōng, abbandonò il paese e si rifugiò presso i barbari delle regioni meridionali, dove creò il regno di Wú. L’espressione “rinunciò tre volte all’Impero” va intesa, a mio avviso, nel senso che, rinunciando al trono in favore del fratello Jìlì, Tàibó rinunciò pure a qualsiasi futura rivendicazione nei confronti del nipote Chāng e del bisnipote Fā.
2) Confucio considera che, se non avesse rinunciato al trono, Tàibó sarebbe potuto diventare il primo imperatore della dinastia Zhōu. Poiché, al momento della rinuncia, nessuno prevedeva che i sovrani del piccolo ducato di Zhōu avrebbero conquistato l’Impero, il sacrificio di Tàibó parve modesto e nessuno lo lodò in modo particolare. Ciò proverebbe che Tàibó era effettivamente virtuoso, perché escluderebbe che egli potesse aver agito per desiderio di fama e di elogi. Il ragionamento presuppone tuttavia che Tàibó , a differenza degli altri, fosse in grado di valutare pienamente la portata della propria rinuncia, cioè di presagire che, in meno di tre generazioni, la sua famiglia avrebbe occupato il trono imperiale.
3) Troviamo qui ribadito un concetto tipico del pensiero confuciano: la “forma” non ha alcun valore senza la” sostanza”, i “riti” devono esprimere i valori fondamentali della società e non sarebbero altro che un guscio vuoto, pura ipocrisia, se chi li compie non sentisse nel proprio animo tali valori. Doti naturali positive come rispetto, coraggio, prudenza, franchezza rischiano facilmente di trasformarsi in difetti ( pedanteria,ribellione, irresolutezza, grossolanità) se non sono vivificate da una sincera adesione alla virtù.
4) Si tratta di Zēng Shēn 曾 參 , detto Zĭ Yú子 輿 , uno dei più dotati tra i discepoli di Confucio. La tradizione lo ritiene autore del “Classico della Pietà Filiale” 孝 經 (Xiào Jīng”).
5) Il verso citato chiude la decima ode della Decade di Xiăo Mín 小 旻 之 什 (ode n.195), dal “Shī Jīng” 詩 經 ﹐ Xiăo Yă 小 雅 (“Piccole Odi”).
6) Alcuni commentatori mettono qui in evidenza il valore allegorico del gesto e delle parole di Zēng Shēn. Mostrando le proprie membra, egli prova di aver saputo conservare integro il corpo che gli è stato dato dai genitori e di aver così rispettato i doveri legati alla pietà filiale; dicendo di essere sempre stato attento ai pericoli della vita e di avere ormai superato la prova, dimostra di aver seguito la via della virtù.
7) Mèng Jīng Zĭ 孟 敬 子 , dignitario del ducato di Lŭ, era figlio di Mèng Wŭ Bó 孟 武 伯 e nipote di MèngYì Zĭ 孟 懿 子 , che compaiono, entrambi, nei Dialoghi come interlocutori di Confucio.
8) Le parole di Zēng Zĭ sembrano riassumere alcune regole fondamentali che il saggio deve seguire nella propria vita: rifiuto di ogni forma di violenza (fisica o verbale), pratica della sincerità e rispetto del decoro e delle buone maniere. Il riferimento ai vasi rituali, di cui si occupano appositi addetti, può significare che non è necessario perdersi in questioni di scarsa importanza.
Alcuni commentatori hanno interpretato queste parole anche come un insegnamento politico (impartito a Mèng Jìng Zĭ): l’uomo di Stato deve limitarsi a tracciare , nel rispetto di taluni princìpi fondamentali, le grandi linee della propria azione politica ed amministrativa, lasciando ai collaboratori l’esecuzione dei dettagli.
9) La tradizione vede raffigurato in questo ritratto di intellettuale umile e modesto Yán Huí 顏 回 , detto Zĭ Yuān 子 淵 , il discepolo prediletto di Confucio.
10) Il termine usato nei Dialoghi 六 孤 (“liù gū”),vale a dire “orfano di sei piedi”, richiede una spiegazione piuttosto dettagliata.
Come risulta dal Dào Dé Jīng 道 德 經, il termine 孤 “gū”, cioè “orfano”, era una delle formule con cui, per modestia, i sovrani indicavano se stessi negli atti ufficiali.
Una statura di “sei piedi” (144 cm) poteva essere la statura media di un adolescente.
Si può quindi pensare che si voglia indicare in questo modo un sovrano ancora minorenne, giovane ed inesperto.
11) Uno “Stato di cento lĭ” ( 百 里 國 “băi lĭ guó”) è uno Stato le cui frontiere distano dal centro una cinquantina di chilometri, cioè un piccolo Stato.
Perché i Dialoghi si riferiscono ad un piccolo Stato? Forse perché usurpazioni ed abusi dovrebbero, almeno in teoria, risultare più difficili in un grande Stato nel quale l’esistenza di numerosi organi dotati di poteri diversi consente di mettere un atto un controllo reciproco tra le diverse autorità.
Una spiegazione più semplice consiste nel ricordare che Confucio ed i suoi discepoli erano naturalmente portati, nei loro discorsi, a riferirsi al paese in cui abitavano, il ducato di Lŭ, che era uno Stato di modeste dimensioni.
12) Il termine usato nell’originale( 奪 “duò”, vale a dire “rubare”,”impadronirsi con la forza ”) fa pensare innanzitutto ad un ministro che approfitti della situazione di crisi per usurpare il potere o per arricchirsi illecitamente. Si potrebbe però anche intendere, in senso più generale, come volto ad indicare un ministro incapace, di fronte alle difficoltà, di svolgere correttamente i propri compiti.
13) Questa osservazione, alquanto pessimistica, si fonda sulla sempre valida constatazione che le masse agiscono più per effetto della passione e della necessità che per ragionata convinzione. Come giustamente osservava Vincenzo Cuoco nel suo “Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli" (1799): “Il popolo non si muove per raziocinio, ma per bisogno”.
14) Confucio nota qui, con acutezza, che disordini e ribellioni non nascono necessariamente soltanto dalla rivolta contro le ingiustizie e la miseria. Possono infatti anche trarre origine dalla reazione di coloro che godono di ingiusti privilegi e che si vedano minacciati da un tentativo di stabilire una situazione più giusta.
15) Ecco un’altra massima da cui traspare una certa disillusione. Il commentatore Zhū Xī 朱 熹 ricorda che lo stesso Zĭ Zhāng 子 張 , uno dei migliori tra i discepoli di Confucio, mostrò di aver studiato per poter poi ottenere un impiego ben retribuito. L’espressione cinese è più colorita: “ Non è facile trovare tre anni di studio senza che si arrivi al grano”. Gli stipendi dei funzionari erano infatti, tradizionalmente, calcolati in “sacchi di grano”.
Occorre tuttavia osservare che le esigenze di Confucio sono troppo elevate. Anche oggi è assai difficile trovare chi ami lo studio come valore in sé, indipendentemente dai vantaggi pratici che se ne possono ricavare.
16) Confucio dissuade i suoi discepoli dal soggiornare e dall’intraprendere una carriera politica in uno Stato mal governato. In un paese nel quale non si rispetti la Via, il successo non dipende infatti dalle qualità di una persona bensì dalla sua capacità di intrigare, non è quindi dovuto alla Virtù, bensì al vizio ed alla corruzione.
17) È probabile che il maestro Zhì 摯 fosse il direttore dell’orchestra di Corte, che è citato, senza farne il nome, anche in altri passaggi dei Dialoghi.
18) Il termine 亂 “luàn”, che significa “disordine”, fa pensare al “gran finale” di un pezzo musicale in cui intervengono di solito i più svariati strumenti. (Si può ricordare in proposito il termine 亂 彈 “luàn tán”, che, nel linguaggio dell’opera cinese ,indica appunto un pezzo eseguito da un insieme di strumenti diversi- a corda, a fiato, a percussione).
Questa interpretazione sembra adattarsi bene agli ultimi versi della lirica “I Falchi Pescatori” 關 雎 , la prima del Libro delle Odi 詩 經 , in cui viene descritta l’allegra e rumorosa accoglienza che il villaggio del futuro marito riserva alla giovane fidanzata, tra il rullo dei tamburi ed il suono delle campanelle.
19) Le numerose interpretazioni di questa massima possono sostanzialmente essere suddivise in due grandi gruppi.
Taluni commentatori,richiamando quanto indicato nel paragrafo 4 di questo capitolo ed anche in altri passi dei Dialoghi, pongono in evidenza che l’essenza della politica consiste nell’enunciare i grandi princìpi ai quali si deve ispirare l’azione di governo, non nella dettagliata esecuzione di una infinità di provvedimenti concreti. Il sovrano che si occupa troppo dei dettagli della politica, ne sarà presto sommerso e non sarà più in grado di svolgere un’azione efficace. I mitici imperatori Shùn e Yŭ l’avrebbero perfettamente capito e si sarebbero limitati a fornire ai loro sudditi un modello di virtù da ammirare, lasciando ad una schiera di validi collaboratori il compito di mettere in pratica le loro direttive.
Per altri, l’essenza della politica consiste invece nel conformarsi alle leggi della natura e lasciare che le cose seguano per quanto possibile il loro corso. Avranno quindi il maggiore successo in politica, coloro che sapranno vedere le cose con maggiore distacco e quindi con maggiore lucidità.
È comunque fuor di dubbio che , in qualsiasi modo venga interpretata,la massima esprime una visione politica largamente influenzata dalla dottrina taoista, il cui testo fondamentale,il Dào Dé Jīng 道 德 經 venne elaborato più o meno nello stesso periodo in cui furono composti i Dialoghi.
Per mettere in evidenza questa consonanza di vedute, basti citare alcuni passi del Dào Dé Jīng:
“Opera senza pretendere. Guida senza dominare. Ecco quello che chiamano il ‘Potere Arcano’(Cap.X)
“Al saggio che tratta il mondo come il proprio corpo (vale a dire con ‘sereno distacco’ N.d.Tr.), possiamo affidare l’Impero” (Cap.XIII)
“Il miglior governante è quello di cui il popolo neppure si accorge.” (Cap.XVII)
“Coloro che sono giunti ai vertici dell’Impero, vi si sono quasi lasciati condurre dagli eventi. Se si fossero dimenati per ottenere il potere, non sarebbero mai riusciti ad impadronirsene.” (Cap.XLVIII).
20) Il mitico imperatore Yáo 堯 regnò, secondo la tradizione, dal 2356 a.C. al 2255 a.C. Confucio lo paragona al Cielo, perché, come il Cielo, governò in modo spontaneo e naturale.
21) La fonte a cui si richiama Confucio che affermare che il mitico imperatore Shùn 舜 , il quale, secondo la tradizione, regnò dal 2255 a.C. al 2205 a. C., avrebbe disposto di soli cinque ministri, risulta contraddetta dal Canone di Shùn 舜 典 (“Shùn Diăn”) , testo contenuto nel Libro dei Documenti 書 經 , in cui è elencato, ai paragrafi 9-18, un numero maggiore di ministri.
22) Il re Wŭ di Zhōu regnò dal 1046 a.C. Egli affidò il governo di una città alla moglie Jiáng Yì 姜 邑 , figlia del famoso generale Jíáng Zĭyá 姜 子 牙 , la quale esercitò quindi importanti funzioni politiche ed amministrative. Le considerazioni di Confucio, che, invece di esaltare le capacità di Jiáng Yì, mette in dubbio la possibilità di ritenerla un vero ministro, vanno ovviamente inquadrate nella mentalità patriarcale dell’epoca.
23) Táng 唐 è il nome personale dell’imperatore Yáo. Yú 虞 è uno dei nomi con cui cui è conosciuto Shùn, che fu investito da Yáo del feudo di Yú.
24) Alcuni commentatori hanno ipotizzato l’esistenza di una lacuna in questo brano, nel quale il secondo tema trattato ( la virtù dei Zhōu ) non sembra avere alcun legame logico col primo ( la scarsità di uomini di talento).
Il re Wén di Zhōu viene indicato come esempio di lealtà e di fedeltà perché, pur essendo divenuto molto potente, non si ribellò alla dinastia Shāng, sebbene questa fosse ormai in piena decadenza.
25) Ciò che Confucio ammira nel mitico imperatore Yŭ 禹, il quale regnò, secondo la tradizione, dal 2205 a.C. al 2147 a.C., è la capacità di distinguere in modo rigoroso tra la sfera pubblica e la sfera privata.
Yŭ viveva personalmente in maniera modesta e frugale , ma non risparmiava spese quando si trattava di agire nell’interesse dello Stato offrendo splendidi sacrifici alle divinità, celebrando sfarzose cerimonie e, soprattutto, realizzando grandiose opere pubbliche. La fama di Yŭ è infatti legata ai primi imponenti lavori di sistemazione idrica del territorio cinese, che consentirono, grazie ad una rete diffusa di canalizzazioni, di controllare le piene stagionali dei grandi fiumi, utilizzandone l’acqua per l’irrigazione dei campi.