Abbiamo già ricordato che la lingua cinese svolse per molti secoli nell’Estremo Oriente lo stesso ruolo del latino nell’Europa del Medioevo e del Rinascimento. Essa fu infatti l’idioma in cui si esprimevano abitualmente le classi colte dell’Indocina, della Corea e del Giappone. I letterati di questi paesi maneggiavano il cinese con grande facilità e spesso con una maestria non inferiore a quella degli autori di madrelingua.
Fra i poeti coreani che si espressero in cinese figura Kim “Sakkat” 김삿갓 (Kim “cappello di paglia”), pseudonimo di Kim Pyong-yon.
Kim naque nel 1807 in seno ad una famiglia nobile, che tuttavia cadde in disgrazia in seguito all’insurrezione del 1812 guidata da Hong Kyong-nae, in cui fu coinvolto il nonno del poeta.
Dopo che la rivolta fu repressa, i beni della famiglia furono confiscati e Kim e il fratello furono costretti a vivere nella casetta di un domestico.
Queste tristi vicende influirono pesantemente sulla vita e sul carattere del poeta.
Invece di formarsi una famiglia - anche se, ad un certo punto, si sposò ed ebbe pure un figlio - Kim cominciò a vagare per il paese munito soltanto di un bastone, di una bisaccia e di un cappello di paglia, da cui prese il suo soprannome, contando per il cibo e per il giaciglio sul buon cuore di coloro a cui chiedeva di volta in volta ospitalità. Ricambiava l’accoglienza improvvisando brillantemente poesie d’occasione, che lo resero molto popolare.
Morì nel 1863.
Nella seguente poesia, che si potrebbe intitolare “Vero e Falso” (是 非), Kim costruisce, sfruttando con maestria le diverse sfumature di significato di due soli caratteri: 是 (“shì”) e 非 (“fēi”) (1), un ragionamento che riecheggia il sillogismo aristotelico.
是 非
是 是 非 非 非 是 是
是 非 非 是 非 非 是
是 非 非 是 是 非 非
是 是 非 非 是 是 非
Vero e falso
Che il giusto sia giusto e che l’ingiusto sia ingiusto
non è sempre vero.
ergo
Che il giusto sia ingiusto e che l’ingiusto sia giusto
non è sempre falso. (2)
ergo
Che il giusto non sia ingiusto o che il giusto sia ingiusto
(l’uno e l’altro) può non essere falso.
ergo
Che il giusto sia giusto e che l’ingiusto sia ingiusto
può essere sia vero sia falso.
In un’altra poesia, Kim svolge un divertente esercizio di filologia analizzando con molto “humor” la formazione di alcuni caratteri cinesi:
仙 是 山 人 佛 不 人
鴻 惟 江 鳥 鷄 奚 鳥
氷 消 一 點 還 爲 水
兩 树 相 對 便 成 林
Un immortale è l’uomo della montagna,
ma il Buddha non ha la natura dell’uomo. (3)
Se l’oca selvatica è uccello di fiume,
le galline di dove son gli uccelli? (4)
Allorquando il ghiaccio comincia a sciogliersi
perde un puntino e si ritrasforma in acqua. (5)
Metti due alberi l’uno accanto all’altro
e ti ritroverai in mezzo alla foresta. (6)
La padronanza delle due lingue, cinese e coreana, permetteva a Kim di sfruttare i cosidetti “faux amis” per comporre frasi o poesie cinesi inserendovi termini che in cinese suonavano assolutamente inoffensivi, mentre in coreano potevano assumere un significato ridicolo, insultante o addirittura osceno.
Di questo procedimento egli si serviva spesso per farsi beffe, senza essere scoperto, di coloro che gli avevano rifutato l’elemosina o che l’avevano trattato con disprezzo.
Una volta, ad esempio, fu ospitato in un villaggio da un certo signor Chŏng che gli offrì soltanto gli avanzi della cena e lo mise a dormire in un angolo del cortile. Kim nascose la sua delusione per il cattivo trattamento, anzi, la mattina dopo, al momento di lasciare la casa, si dichiarò entusiasta dell’accoglienza ricevuta e propose al signor Chŏng di dipingere, in segno di riconoscenza, alcuni caratteri cinesi su una tavoletta di legno appesa sopra la porta d’ingresso.
La proposta fu accettata volentieri e Kim tracciò sulla tavoletta i caratteri 贵 乐 堂, che significano in cinese “dimora nobile e lieta”.
Soltanto più tardi, qualcuno spiegò al signor Chŏng che, letti in senso inverso, quei caratteri formavano la parola coreana “dangnagwi”, vale a dire “asino”.
Nello stesso spirito è composto il falso elogio di una scuola e del suo maestro, che evidentemente non doveva essere simpatico al poeta:
書 堂 乃 早 知
房 中 皆 尊 物
生 徒 諸 未 十
先 生 來 不 謁
Il testo cinese può essere tradotto così:
Conosco quella scuola da molto tempo.
Ogni cosa in quell’aula è degna di lode.
Non la frequentano più di dieci allievi,
ma il maestro non viene a salutare.
In coreano, sembra invece che il significato sia molto diverso (non conoscendo la lingua coreana devo ovviamente fidarmi di ciò che dicono le fonti da me consultate):
Quella scuola è un casino.
Una vera pattumiera.
Gli scolari son cialtroni.
Il maestro è un imbecille.
NOTE
1) Il carattere 是 (“shì”) può significare: sì, affermativo, giusto, corretto, vero. Il carattere 非 (“fēi”) può invece significare: no, negativo, ingiusto, inesatto, falso.
2) Questa riflessione non è estranea alla cultura occidentale. Basti ricordare in proposito l’antico adagio latino “summum ius, summa iniuria”.
3) Il carattere 仙 (xiān”) che significa “immortale” è composto dagli elementi 山 (“shān”=”montagna”) e 人 (“rén”=uomo), perché gli eremiti taoisti che si ritiravano sui monti per condurre una vita di meditazione raggiungevano spesso un’età venerabile e si favoleggiava tra il popolo che molti di essi fossero divenuti “immortali”. Il carattere 佛 (“fó”=”Buddha”) è composto dagli elementi 人 (“rén”=”uomo”) e 弗 (“fú=”non”) perché le virtù del Maestro erano così eccelse da far pensare che fosse impossibile ritrovarle in un uomo.
4) I caratteri che designano i nomi delle varie specie di uccelli recano quasi sempre il radicale 鳥 (“niăo”=”uccello”). Ad es. il carattere 鴻 (“hóng”=”oca selvatica”) contiene in sé gli elementi 江 (“jiāng”=”fiume”) e 鳥 (“niăo”=”uccello”), vale a dire che l’oca selvatica è designata come “l’uccello del fiume”( 江 鳥). Kim si domanda scherzosamente se i creatori del carattere 鷄 (“jī”=”gallina”) sapessero dove vivono le galline perché la lettura degli elementi che compongono il carattere ci dà l’espressione “uccello di che cosa?”(奚 鳥”).
5) Il ghiaccio (氷 “bīng”) non è che acqua (水 “shŭei”) allo stato solido. Poiché i due caratteri differiscono solo per un puntino, Kim osserva ironicamente che per ridiventare acqua il ghiaccio deve soltanto perdere il puntino.
6) Due alberi 兩 树 (“lián shù”), cresciuti l’uno accanto all’altro, formano un bosco (林 “lín”). Cinque alberi formano una foresta (森 林 “sēnlín”).
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