1. Quando i Jìsūn decisero di occupare Zhuānyú (1), Răn Yŏu e Zĭ Lù si recarono da Confucio e gli riferirono che i loro capi intendevano impossessarsi della città.
“Non ti sembra di avere un po’di colpa in questa faccenda, Qiú?”domandò il Maestro rivolgendosi a Răn Yŏu” Gli antichi re avevano assegnato a chi governava Zhuānyú il compito di celebrare i sacrifici sul Dōngmēng.(2) Inoltre la città fa parte del nostro territorio ed è soggetta al duca di Lŭ.(3) Che ragione di occuparla possono avere i Jìsūn?”.
“È il capo della famiglia che ha stabilito così.” protestò Răn Yŏu” Noi due lavoriamo per i Jìsūn, ma non siamo d’accordo con questa idea”.
“Qiú” gli disse il Maestro” ricordati le parole di Zhōu Rén (4): ‘Chi è capace di fare, faccia, chi non è capace, si tiri indietro.’ Di che utilità può essere chi vede uno in difficoltà e non lo aiuta, lo vede inciampare e non lo sostiene? Inoltre, ciò che tu dici è sbagliato: di chi è la colpa se una tigre o un rinoceronte scappano dalla loro gabbia, se una scaglia di tartaruga o un pezzo di giada sono danneggiati nel loro cofanetto? (5)
“Zhuānyú” si giustificò Răn Yŏu “ è una piazzaforte situata a poca distanza da Bì. Se i Jìsūn non la occupano ora, potranno avere dei guai in futuro.
“Qiú” lo ammonì il Maestro”non è da gentiluomo voler trovare una giustificazione a tutto. Ho imparato che i capi degli Stati e delle grandi famiglie non si preoccupano del numero dei sudditi, bensì delle disuguaglianze tra di essi, non s’inquietano della povertà, bensì della discordia. Infatti l’uguaglianza allontana la miseria, la concordia sopperisce alla scarsità di popolazione, la pace evita la rovina. Così è. Perciò se le popolazioni più lontane non riconoscono l’autorità di un sovrano, occorre attirarle con la cultura, e, dopo averle attirate, garantir loro la pace e la tranquillità.(6) Ora,il signore di cui voi due, Yóu e Qiú, siete al servizio, non sa attirare coloro che non vogliono sottomettersi spontaneamente a lui, anzi, divisioni e congiure, diserzioni e dissidi minano il suo potere e, nonostante ciò, egli intende usare la violenza all’interno dello Stato. Temo proprio che i problemi dei Jìsūn non provengano da Zhuānyú, ma da ció che succede in casa loro.” (7)
2. Il Maestro osservò: “Quando l’Impero è ben governato è lo stesso Figlio del Cielo che celebra i riti, stabilisce le festività e decide le spedizioni militari. Quando l’Impero è mal governato sono i vari signori feudali che si arrogano il diritto di celebrare i riti, stabilire le festività e decidere le spedizioni militari. L’usurpazione del potere da parte dei principi dura raramente più di dieci generazioni. Se l’abuso è compiuto dai primi ministri, raramente la loro famiglia mantiene il predominio per più di cinque generazioni. Infine, è difficile che un colpo di stato compiuto da un dignitario di minor rango assicuri un trono alla sua famiglia per più di tre generazioni.(8)
In uno Stato ben governato non sono i ministri a comandare.(9)
In uno Stato ben governato il popolo non discute.(10)
3. Il Maestro disse: “ Da cinque generazioni il controllo delle entrate fiscali è sfuggito al duca di Lŭ. Da quattro il governo è passato ai grandi consiglieri. Per questo i discendenti delle Tre Famiglie Huán sono ormai in declino. (11)
4. Il Maestro spiegò: “ Ci sono tre tipi di amicizia utili e tre tipi di amicizia dannosi. È utile l’amicizia con le persone oneste, con le persone sincere e con le persone colte. È dannosa l’amicizia con gli ipocriti, con gli adulatori e con i bei parlatori ”.
5. Il Maestro spiegò: “Ci sono tre tipi di piaceri utili e tre tipi di piaceri dannosi. Sono utili i piaceri che si provano nell’assistere ai bei riti e nell’ascoltare la buona musica, nel lodare gli uomini virtuosi e nell’avere molti degni amici. Sono dannosi i piaceri legati all’ostentazione, all’ignavia ed alla dissolutezza.”
6. Il Maestro disse: “ Tre sono gli errori che chi sta al servizio di un sovrano dovrebbe evitare.
Dare consigli senza esserne richiesti è precipitazione.
Tacere quando si è richiesti di un consiglio è inaffidabilità.
Dare consigli quando si capisce che il sovrano non vuole ascoltarli significa essere ciechi.”
7.Il Maestro spiegò: “Tre sono le cose da cui un uomo di valore deve guardarsi.
Quando è giovane, nel ribollire del sangue e degli istinti, deve guardarsi dalle passioni della carne.
Nel pieno vigore della maturità, deve guardarsi dall’aggressività.
Raggiunta la vecchiaia, raffreddatosi il sangue e calmatisi gli istinti, deve guardarsi dall’avidità.”
8. Il Maestro disse: “ Tre sono le cose che un uomo virtuoso deve rispettare: i voleri del Cielo, le grandi personalità e le parole dei saggi.
L’uomo dappoco ignora i voleri del Cielo e non li rispetta, non mostra alcuna deferenza verso gli uomini eccellenti e disprezza gli insegnamenti dei saggi.”
9.Il Maestro disse: “Gli uomini migliori sono quelli in cui la saggezza è una dote innata. Ci sono poi coloro che pervengono alla saggezza con lo studio. Seguono quelli che si dedicano allo studio perché vi sono spinti dalle difficoltà della vita. Gli ultimi sono quelli che non studiano nemmeno nelle difficoltà”. (12)
10. “L’uomo di valore” disse il Maestro” fa attenzione a nove cose. Si preoccupa infatti di vedere chiaro, di sentire bene (13), di comportarsi affabilmente, di mostrarsi rispettoso, di essere sincero. È scrupoloso nell’agire. Nel dubbio è disposto a chiedere consiglio. Quando si sente prendere dall’ira pensa alle conseguenze e , quando c’è da guadagnare, non dimentica la giustizia.”
11. Il Maestro raccontò: “ Ho sentito dire che occorre inseguire il bene come se non si fosse mai in grado di raggiungerlo ed allontanarsi dal male con la stessa prontezza con cui si ritrae la mano dall’acqua bollente ed ho incontrato uomini che mettevano in pratica questi precetti. Ho anche sentito dire che occorre ritirarsi dal mondo per perseguire i propri ideali e vivere secondo giustizia per realizzare in sé la Via, ma non ho ancora incontrato nessuno che applicasse questa massima.(14)
12. Il duca Jĭng di Qí possedeva mille quadrighe (15), ma, quando morì, la gente non trovò nulla per cui lodarlo. Bó Yí e Shū Qí morirono di stenti ai piedi del monte Shōuyáng (16), ma ancor oggi la gente canta le loro lodi. Ecco la spiegazione del detto popolare. (17)
13) “ Chén Kàng (18) chiese a Bóyú (19) se suo padre gli avesse mai insegnato qualcosa in privato.
“No,” gli rispose Bóyú” ma, una volta che era solo, mentre io stavo attraversando a passi svelti il cortile di casa, mi domandò: “Hai letto il Libro delle Odi?” e, alla mia risposta negativa, aggiunse:”Se non avrai letto il Libro delle Odi, non sarai in grado di sostenere una conversazione”.
Mi ritirai e cominciai a studiare le Odi.
Un’altra volta, di nuovo mentre attraversavo il cortile, mio padre, che era solo, mi domandò: “Hai letto il Libro dei Riti?”. Gli risposi di no ed egli allora mi disse: “Se non avrai letto il Libro dei Riti, non avrai mai una formazione solida”.
Mi ritirai e mi misi a studiare i Riti.
Ecco i soli insegnamenti che ho ricevuto da mio padre.”
Chén Kàng si ritrasse soddisfatto pensando:” Con una sola domanda ho avuto tre risposte: ho saputo che cosa il Maestro pensa del Libro delle Odi, ho saputo che cosa pensa del Libro dei Riti ed ho capito che il saggio mantiene un certo distacco anche nei confronti dei suoi figli.”
14) Un sovrano chiama la propria moglie “la mia consorte”, ma il termine con cui ella si riferisce a sé stessa è “questa fanciulla”. I sudditi del sovrano la chiamano “la consorte del principe”, ma quando parlano con uno straniero le attribuiscono il titolo di “damigella”. Gli stranieri la chiamano “la consorte del principe”. (20)
NOTE
1) Zhuānyú 顓 與 era una città situata presso il monte Dōngmēng 東 蒙 , non lontana da Bì 費 , che era controllata dai Jìsūn. Questi ultimi volevano ampliare il territorio in loro possesso per poter resistere meglio ad eventuali attacchi.
2) Il monte Dōngmēng 東 蒙 sorge nella parte sud-occidentale dello Shāndōng, nel territorio dell’attuale contea di Mēngyīn 蒙 阴
3) L’espressione usata per indicare la dipendenza di Zhuānyú dal ducato di Lŭ è la seguente: “è suddita del dio del miglio” ( 是 社 稷 之 臣 “shì shè jì zhī chén”). Il termine “dio del miglio”è infatti una metafora che designa l’autorità statale.
4) Zhōu Rén 周 任 , uomo politico e storico del periodo delle Primavere e degli Autunni 春 秋 时 , è menzionato nello Zuŏ Zhuàn 左 傳 ( “Anno sesto del duca Yīn” par.2 陰 公 六 年 “Anno quinto del duca Zhāo”, par.1 昭 公 五 年 ).
5) Viene qui affrontata la questione sempre attuale della responsabilità personale e dell’obbedienza agli ordini. Răn Yŏu e Zĭ Lù ritengono di mettersi la coscienza a posto esercitando la facoltà di rimostranza: fanno rilevare che l’ordine ricevuto è illegittimo e che non lo approvano, ma tuttavia lo eseguono. La posizione di Confucio è molto più rigorosa: il funzionario che non riesce a dissuadere i propri superiori da iniziative riprovevoli deve dimettersi.
6) Confucio esprime in questa osservazione un tratto tipico dell’antica cultura cinese. Gli altri popoli devono essere attratti verso la Cina dall’ammirazione per la sua civiltà, non sottomessi con la forza delle armi.
7) Il termine qui usato per indicare la casa è “muro di rispetto”(蕭 牆 “xiāo qiāng”). Con questo termine si designavano le residenze dei sovrani e dei nobili, che erano le uniche ad essere circondate da muri.
8) L’impero Zhōu era organizzato secondo uno schema assai simile a quello che si sviluppò in Europa durante l’epoca carolingia. I membri della famiglia imperiale 候 (“hòu” “marchesi” ) ricevevano in feudo grandi territori, che suddividevano poi tra i loro ministri 大 夫 (“dà fū”), i quali, a loro volta, investivano i loro collaboratori 臣 (“chén”). Il difetto implicito nel sistema era che ogni feudatario, quale che fosse il suo rango, tendeva alla lunga a rendersi indipendente e ad esercitare in modo autonomo i poteri civili e militari che sarebbero spettati ai suoi superiori. Confucio condanna queste usurpazioni di potere, asserendo che non sono destinate a durare a lungo. Occorre tuttavia osservare, in proposito, che non fu un buon profeta: gli imperatori Zhōu persero a poco a poco qualsiasi autorità effettiva, conservando alla fine funzioni puramente cerimoniali.
9) Questa affermazione va ovviamente intesa nel senso che i ministri non devono operare di propria iniziativa, bensì in conformità alle istruzioni del sovrano, al quale soltanto spetta il compito di indirizzare l’azione di governo. La dottrina politica di Confucio si fonda sul rigoroso rispetto delle competenze attribuite ai diversi organi dello Stato: in uno Stato ben ordinato ,” i sovrani fanno i sovrani, i ministri fanno i ministri”.
10) Non dobbiamo aspettarci da Confucio affermazioni conformi ai canoni della democrazia moderna, ma non è neanche necessario interpretare questo passo nel senso che, in uno Stato ben amministrato, il popolo non debba avere alcuna voce in capitolo. Si può invece pensare che un governo saggio ed equilibrato garantisca una certa prosperità ed attenui le tensioni sociali, eliminando in tal modo le occasioni di forti contrasti politici, di proteste e di rivolte.
11) Nel 609 a.C., alla morte di Wén, duca di Lŭ 魯 文 公 , i legittimi eredi furono eliminati da una congiura, che insediò sul trono un sovrano fantoccio, Xuān 魯 宣 公 , mentre il potere effettivo passò nelle mani di Jì Wén Zĭ 季 文 子 , capo della famiglia Jìsūn 季 孫 , al quale succedettero nel tempo, come primi ministri, Jì Wŭ Zĭ 季 武 子 , Jì Dào Zĭ 季 悼 子 , Jì Píng Zĭ 季 平 子 e Jì Huán Zĭ 季 桓 子 . Confucio vede nelle difficoltà incontrate alla fine del V° secolo a.C. dai Jìsūn e dalle altre famiglie che spartivano con loro il predominio sul ducato di Lŭ, una conferma della sua tesi secondo cui un’autorità illegittima non può durare a lungo.
12) Confucio ritiene che la saggezza sia per pochi fortunati una dote naturale, ma riconosce a tutti la possibilità di conseguirla mediante lo studio e l’applicazione.
13) “Vedere chiaro” e “sentire bene” sono metafore con cui il Maestro intende dire che l’uomo di valore non si lascia ingannare dalle apparenze.
14) Molti si sforzano di vivere rettamente, ma pochi spingono il desiderio di perfezione fino al punto di ritirarsi dal mondo. Lo stesso Confucio dichiara in Dialoghi 18.8, che,a sua conoscenza, soltanto sette persone hanno saputo farlo.
15) Il duca Jĭng di Qí 齊 景 公 regnò dal 547 a.C. al 490 a.C. Nel 1964 alcuni archeologi scoprirono presso il villaggio di Yátóu 崖 头 , non lontano dalla città di Línzī 临 淄 , corrispondente all’antica Yíngqiū 營 丘 , capitale del ducato di Qí 齊 國 , la sua tomba, circondata da una grande fossa nella quale erano stati sepolti più di seicento cavalli sacrificati in occasione della sua morte.
16) Il monte Shōuyáng 首 楊 山 sorge nella contea di Yŏnjì 永 济 nello Shānxī 山 西 .
17) Séraphin Couvreur nella sua traduzione dei Dialoghi (“Entretiens de Confucius et de ses disciples” in “Les Quatre Livres”, 1895) afferma che il detto cui si riferisce Confucio sarebbe tratto da due versi del Libro delle Odi, in cui si parla di persone lodate “ non a causa delle loro ricchezze, ma perché erano individui eccezionali”.
18) Chén Kàng 陳 亢, detto Zĭ Kàng 子 亢 , era uno dei discepoli di Confucio.
19) Bóyú 伯 魚 era il nome di cortesia di Kŏng Li 孔 鯉 , il figlio di Confucio, che morì relativamente giovane.
20) Queste riflessioni sull’etichetta sembrano un po’ fuori luogo in un capitolo nel quale si affrontano temi ben più rilevanti. Va però ricordato che la buona educazione è una caratteristica importante del gentiluomo e che un intero capitolo dei Dialoghi, il capitolo X, è dedicato ad insegnare il modo corretto di mangiare, di vestire e di comportarsi in società.