Zhuāngzĭ
Capitolo 2
UNA COSA VALE L’ALTRA
Piegato sul suo tavolinetto (1), Nánguō Zĭqí (2) fissava il vuoto e respirava appena, assorto come se fosse in trance.
“Che sta succedendo?” esclamò, di fronte a lui, il discepolo Yànchéng Zĭyóu (3) “ Può il corpo diventare come un albero secco e la mente come cenere inerte? Non ho mai visto il Maestro piegato sul suo tavolinetto come lo vedo ora”.
“Fai bene, Yăn (4), a porti questa domanda” gli rispose Zĭqí. “Hai capito che proprio ora stavo uscendo da me stesso? Tu hai già sentito la musica dell’uomo, ma ti sfugge la musica della terra e, se per caso hai ascoltato la musica della terra, non hai mai udito la musica del cielo.” (5)
“Spiegatemi che cosa intendete dire.” lo pregò Zĭyóu.
E Zĭqí spiegò: “Il respiro della massa terrestre è chiamato vento. Talvolta non soffia, ma, se soffia, si sente uscire da innumerevoli aperture un suono rabbioso. Non ne hai mai udito il sibilo prolungato? Prendi lo spettacolo impressionante di una foresta di montagna: le fessure e le cavità che trovi nei suoi maestosi alberi, dai tronchi larghi centinaia di spanne, sono per loro come il naso, la bocca, le orecchie, ora fusiformi (6), ora tonde come un mortaio o come un pozzo, ora paragonabili a una pozzanghera. (7) I suoni che ne escono sono simili a uno scroscio di pioggia, a un mormorìo, a un urlo, a un gorgoglìo, a un grido, a un ruggito, a un ululato, a uno stridulo lamento. (8) Essi sono dapprima leggeri, ma poi si intensificano, sempre in armonia tra di loro. La mite brezza genera una tenue melodia, il soffio impetuoso produce una musica possente. Quando le raffiche di vento si allontanano, tutte le cavità rimangono vuote. (9) Non hai mai visto le fronde stormire, le foglie vibrare?”.
Zĭyóu osservò: “ La musica della terra è dunque quella che proviene da tutte le sue cavità, così come la musica dell’uomo è quella che proviene dalle canne di bambù. Ma vorrei ancora chiedervi: ‘Che cos’è la musica del cielo?’”.
“La musica del cielo” gli rispose Zĭqí “ soffia in innumerevoli modi ed è tale che ciascun essere risuona secondo la propria natura (10). Ma tutta questa armonia si sviluppa da sola o c’è qualcuno che la crea?”. (11)
La sapienza è studio e riflessione. La pedanteria è ozio e vanità. (12) (13) (14)
Le grandi idee sono fiamma. Le piccole idee son chiacchiere. (15)
L’anima comunica nel sonno. Il corpo si esprime nella veglia.
Interazione con il prossimo. Confronto costante di nature.
Caratteri semplici. Caratteri profondi. Caratteri sottili.
I piccoli crucci inquietano. Le grandi paure calmano.
Persone le cui parole saettano come frecce da un arco.
Persone che si ritengono autorizzate a trinciare giudizi. (16)
Irremovibile come chi ha giurato
Indica chi sta fermo sulle sue posizioni, intenzionato a prevalere.
Declina come l’autunno e l’inverno.
Indica ciò che si deteriora di giorno in giorno. Non si può recuperare ciò che è stato sommerso dall’acqua.
Sazio come una lettera sigillata.
Indica che l’energia vitale del vecchio è esaurita come un fosso che si è seccato. Quando il cuore si avvicina alla morte, nulla può ridargli forza. (17)
Gioia e dolore, tristezza e allegria, speranza e rimpianto, volubilità e fermezza, operosità e indolenza, vivacità e posatezza sono tutte come il suono che esce da una cavità o come la muffa che si forma su una superficie umida. Incessantemente si alternano dinanzi a noi, senza che noi sappiamo donde provengano. Basta! Basta! Riusciremo mai a sapere come nascono?
Se non ci fosse un altro, non ci sarei io; se non ci fossi io, non ci sarebbe distinzione. (18)
Anche se il mondo ci è vicino, non sappiamo chi lo muove. Dovrebbe davvero esserci qualcuno che lo regge, ma non ne troviamo traccia. Crediamo nella sua azione, ma non percepiamo la sua forma. È un essere che ha sentimenti, ma che non ha forma.
Prendiamo il nostro corpo. Centinaia di ossa, nove orifizi, sei organi interni, esistenti e funzionanti. Con quale di essi sono più in confidenza? E tu? Vuoi bene a tutti o ne preferisci uno agli altri? Non sono forse tutti al tuo servizio? Se così è, perché uno di essi dovrebbe dirigere gli altri? Può darsi che comandino e obbediscano a turno o può darsi che davvero uno di essi guidi gli altri, ma, che tu riesca a individuarlo o no, ciò non t’apporterà alcun profitto ne t’arrecherà alcun danno.(19)
Una volta che il corpo ha assunto la sua forma perfetta, i suoi organi non vengono meno alle loro funzioni sino alla fine. E le cose, ora affrontandosi ora allontanandosi l’una dall’altra, si affrettano verso il loro termine come cavalli al galoppo, che non è possibile fermare. Non è veramente una tristezza? Lavorare, lavorare, e non vedere il frutto dei propri affanni. Essere abbrutiti dal lavoro, debilitati dalla fatica, senza sapere come andrà a finire. Non è davvero una miseria? “Comunque, siamo vivi!” si consolano. Ma è proprio un vantaggio? La morte cambia la condizione del corpo e quella dello spirito. Non dovrebbe essere una grande calamità? È vero che la vita umana è così priva di senso? E sembra tale solo a me oppure anche agli altri? (20)
Se avessimo la “mente perfetta”(21) e ci affidassimo ad essa, chi si ritroverebbe solo e senza maestro? Che bisogno ci sarebbe, in tal caso, di conoscere i processi di cambiamento? Anche gli stupidi avrebbero la “mente perfetta”. Ma esprimere un giudizio senza avere la “mente perfetta” è come dire “sono partito oggi per Yuè e ci sono arrivato ieri”. Significa trasformare cio che non è in ciò che è. Ora, anche il divino Yù (22) si sarebbe trovato in difficoltà nel compiere un simile esercizio. Come potrebbe riuscirci gente come noi?
Le parole non sono soffi d’aria.(23) Chi parla intende esprimere qualcosa. Ma, se non ci riesce, che frutto hanno parole senza senso? Non esperimenta parole incoerenti? Vorrebbe che ciò che dice fosse diverso dal pigolìo di un pulcino, ma il suo è un parlare o non lo è? Come può la Via essere così confusa da contenere in sé il vero e il falso? Come può un discorso essere così fumoso da contenere in sé il “sì” e il “no”? Come può la Via essere così torbida da esistere e non esistere? Come possono le parole essere così oscure da esistere e non esistere? La Via è resa oscura dalla imperfezione della mente. Le parole sono rese oscure dalla vanagloria di chi parla (24).
Prendete, per esempio, i Confuciani e i Mohisti (25). I primi affermano ciò che i secondi negano, e viceversa. Se vogliamo pronunciarci sulle rispettive affermazioni e negazioni, per farlo non c'è nulla come la chiarezza della mente. (26)
Non c’è nulla che non sia “quello” e non c’è nulla che non sia “questo”. (27) “Quello”, io non lo vedo ma la conoscenza mi fa sapere che c’è. Perciò si dice: ” ‘Quello’ si trasforma in ‘questo’ e ‘questo’ viene da ’quello’. (28) Una cosa e il suo opposto: ecco la spiegazione del divenire. Nondimeno, si passa dalla vita alla morte e dalla morte alla vita, dal possibile all’impossibile e dall’impossibile al possibile, dall’affermazione alla negazione e dalla negazione all’affermazione. Tale è la ragione per cui il saggio non giudica, ma si lascia ispirare dal Cielo nel determinare ciò che è giusto. “Questo” è anche “quello” e “quello” è anche “questo”. “Quello” contiene in sé il “sì” e il “no” e anche “questo” contiene in sé il “sì” e il “no”. (29) Esistono dunque “questo” e “quello” oppure non esistono? Da soli, “questo” e “quello” non riescono a raggiungere il loro punto di equilibrio, che è chiamato “il cardine della Via”. Solo se troviamo il cardine possiamo giungere al centro del cerchio che dà tutte le risposte, a tutte le infinite affermazioni e a tutte le infinite negazioni.Perciò si dice: “Non c’è nulla come la chiarezza della mente”.
Per spiegare che un dito non è un dito, è meglio usare un non-dito che un dito. (30)
Per spiegare che un cavallo non è un cavallo, è meglio usare un non-cavallo che un cavallo.
L’esempio del dito può applicarsi a tutto ciò che sta in cielo e in terra.
L’esempio del cavallo può applicarsi a tutte le cose.
Se si può affermare che una cosa è una data cosa, lo affermo.
Se non si può affermare che una cosa è una data cosa ,non lo affermo.
Un sentiero si forma perché la gente cammina sul terreno.
Una cosa assume una certa natura perché la gente la chiama in un certo modo.
Ha una certa natura? Se ce l’ha, (la chiamo) in questo modo.
Non ha una certa natura? Se non ce l’ha, non (la chiamo) in questo modo).
Ogni cosa ha la sua natura.
Ogni cosa ha le sue proprietà.
Non c’è cosa senza una sua natura.
Non c’è cosa senza sue proprietà.
Se così è, prendiamo uno stelo d’erba e una colonna, una persona di aspetto repellente e Xī Shī (31), ciò che è saldo e ciò che vacilla, ciò che è forte e ciò che è anomalo, e vedremo che, alla luce della Via , diventano una cosa sola. (32)
Ciò che è frazionato si completa,
ciò che è completo si fraziona,
ma le cose non sono né complete né frazionate e possono tutte essere ricondotte ad unità. (33)
Solo il saggio sa ricondurre le cose ad unità.
Chi si impunta nelle proprie ragioni rimane attaccato alle opinioni comuni. (34)
Le opinioni comuni conducono all’uso, l’uso conduce al senso, il senso conduce al risultato. (35)
Ma quanti sono i risultati soddisfacenti?.
Chi è capace di adeguarsi porta le cose a compimento.
Se si portano le cose a compimento senza nemmeno rendersene conto, questa è la Via.(36)
Se, invece, si logorano spirito e intelligenza per ridurre ad unità le cose, senza percepire che esse sono già un solo insieme, ciò fa venire in mente la storia dei “Tre il mattino”.
Che cosa significa: “Tre il mattino”?
Si narra che un addestratore di scimmie propose ai suoi animali di distribuire loro la razione giornaliera di ghiande (37) secondo il seguente schema: “Tre il mattino e quattro la sera”. Tutte quante le scimmie protestarono.”D’accordo.” si corresse l’addestratore” Allora facciamo così: ‘Quattro il mattino e tre la sera’”. Tutte le scimmie ne furono soddisfatte. Senza cambiare né la forma né la sostanza della cosa, l’addestratore seppe sfruttare a proprio vantaggio la contentezza e la rabbia delle scimmie. Questo si chiama capacità di adattare le proprie convinzioni. Così il saggio concilia affermazioni e negazioni e si fonda sulla bilancia del Cielo che tutto eguaglia. (38) Ciò è chiamato “il doppio cammino”.
Il sapere degli Antichi raggiunse un certo sviluppo, ma fin dove si spinse?
Dapprima ci fu chi ritenne che le cose non esistessero. Questa era una conclusione cui non si poteva più aggiungere nulla.
In seguito, altri stimarono che le cose esistessero, ma non si potessero individuare.(39)
Altri ancora, più tardi, furono dell’opinione che si potessero individuare, ma che non fosse possibile esprimere su di esse dei giudizi .
Apparvero l’affermazione e la negazione e la Via decadde.
La Via decadde e si formarono le passioni.(40)
Qual è dunque il risultato dell’esistenza di affermazione e negazione?
Qual è dunque il risultato della mancanza di affermazione e negazione?(41)
L’esistenza di affermazione e negazione è rappresentata da Zhào(42) quando suona la cetra.
La mancanza di affermazione e negazione è rappresentata da Zhào quando non suona la cetra.(43)
Zhāo Wén che suonava la cetra, Shī Kuàng che dirigeva l’orchestra (44), Huìzĭ che insegnava all’ombra di una sterculia. (45) Ecco tre maestri le cui conoscenze erano quasi perfette. Ciascuno di loro era uno specialista della propria arte e la praticò sino ai suoi ultimi anni. Essi amavano la propria arte, perché era ben superiore a quella degli altri. La amavano e avrebbero voluto insegnarla agli altri. Ma non riuscirono trasmetterla anche se ci provarono e il risultato finale furono oscuri sofismi sul “solido” e sul “bianco” (46).I discepoli di Wén (47) si esercitarono con gli strumenti a corda, ma, nemmeno essi alla fine riuscirono a raggiungere la perfezione.
Se, così stando le cose, si potesse dire che hanno raggiunto la perfezione, allora anche noi saremmo perfetti.
Se, così stando le cose, non si può dire che hanno raggiunto la perfezione, allora nessuno è perfetto. (48)
Ecco perché il balenare della scivolosità e del dubbio è la carta da cui si fa guidare il saggio. Egli non sostiene di aver ragione, ma si adegua all’opinione comune.(49) Ciò è detto “avere le idee chiare”.
A questo riguardo c’è ancora una teoria di cui non sappiamo se sia della stessa natura delle precedenti oppure no. Poco importa. Sebbene essa abbia il proprio carattere, è una teoria come le altre. Vediamo dunque di esporla.
C’è stato un momento in cui le cose hanno cominciato ad esistere, ma, prima, c`è stato un momento in cui le cose hanno cominciato a non esistere, e, prima ancora, c’è stato un momento che ha preceduto quello in cui le cose hanno cominciato a non esistere. (50) Se c’è l’essere, c`è il non essere. Se non c`è il non essere, non c’è neppure il non essere del non essere. (51) Se ci trovassimo d’improvviso di fronte al non essere, non sapremmo dire se esso proviene dall’essere o dal non essere.(52)
Ora, ci sono espressioni che noi usiamo senza sapere se sono corrette o no.
“Non c’è al mondo nulla di più grande della punta di un pelo, mentre il Monte Tài è piccolo”. “Non c`è nessuno più vecchio di un bambino nato senza vita, mentre Péng Zū (53) è morto giovane”. “Noi siamo nati insieme con il Cielo e con la Terra, e noi e l’universo siamo la stessa cosa”.(54)
Se l’universo è un tutto unico, c`è bisogno della parola? (55)
Ma, nel momento in cui dichiariamo che l’universo è un tutto unico, come possiamo fare a meno della parola? (56)
Il tutto unico e la parola fanno due. Due più uno fa tre. (57) E così via, finché anche il più abile calcolatore perderebbe il filo, per non parlare della gente comune.
Considerato che dalla contrapposizione tra essere e non essere nasce un terzo elemento, che cosa succederebbe confrontando tra loro essere ed essere? Non compariamoli e fermiamoci qui. (58)
La Via è sempre stata indistinta e le parole sono sempre state inadeguate. Facendo affermazioni si creano le distinzioni. (59) Vediamo dunque queste distinzioni: destra e sinistra, relazioni sociali, morale, divisione, discussione, competizione, contesa. Queste sono chiamate le “Otto Virtù”. (60) Al di fuori delle “Sei Direzioni” (61), il saggio vive ma non discorre. All’interno delle “Sei Direzioni”, il saggio discorre ma non giudica. Per quanto riguarda l’operato degli antichi re del Periodo delle Primavere e degli Autunni (62), il saggio giudica ma non disputa. (63) È per questo che divide senza dividere e contende senza contendere. Vi domanderete come riesca a farlo. Il saggio è riservato e tiene per sé la propria opinione, mentre la gente comune fa sfoggio delle proprie idee e cerca di convincerne gli altri. Ecco la ragione del proverbio: “Chi disputa mostra di non aver capito”.
La vera Via non ha nome. La vera persuasione non è facondia. La vera umanità non è cortesia. La vera modestia non è pitoccheria.Il vero coraggio non è temerarietà.
La via che viene celebrata non è la Via. Le parole che sono usate per disputare mancano il bersaglio. L’umanità che deve sempre essere messa in pratica si dimostra carente. La modestia di cui si deve sempre fare sfoggio non merita fiducia. Il coraggio che degenera in temerarietà è lontano dalla perfezione.
Ecco cinque cose che sono rotonde ma tendono a diventare quadrate. (64) Perciò la conoscenza che si ferma di fronte a ciò che non conosce è vera sapienza. Chi conosce la persuasione che non ha bisogno di parole e la Via che non ha bisogno di essere enunciata? Colui che è in grado di conoscere ciò merita di essere chiamato il “Tesoriere Celeste”. (65) La sua riserva è tale che in essa si può depositare quanto si vuole senza mai riempirla e da essa si può estrarre quanto si vuole senza mai svuotarla, e non si sa quale ne sia la causa . Ciò è chiamato “conservare la luce”. Perciò, nei tempi antichi, Yáo domandò a Shùn:”Vorrei soggiogare i sovrani di Zōng, Kuài e Xū Áo. (66) Questo pensiero mi tormenta anche quando siedo sul mio trono. Perché mi succede questo?”. Shùn gli rispose:” Sono tre principi i cui staterelli giacciono isolati tra i cespugli e le erbacce. Come è possibile che li abbiate sempre in mente? Un tempo c’erano dieci soli che sorgevano insieme e illuminavano l’universo, ma ora le vostre qualità brillano più di quei soli”. (67).
Niè Quē domandò a Wáng Ní (68): “Sapete, Maestro, che cosa hanno in comune tutte le cose?”.
“Non lo so proprio” rispose il Maestro.
“Sapete, Maestro, che cosa non sapete?” continuò Niè Quē.
“Non so nemmeno questo” rispose il Maestro.
“Allora, si deve concludere che nessuno sa nulla?”.
“Non lo so,” ripetè Wáng Ní “ Tuttavia cercherò di spiegare ciò che penso:
‘Come si fa a sapere se quando dico “so” io so davvero e quando dico “non so” davvero non so?.(69).
Lascia che sia io a porti qualche domanda. Se un uomo dorme in un locale umido gli verrà il mal di schiena e si risveglierà tutto contorto e indolenzito, ma succederà così anche ad un’anguilla nell’acqua? Se un uomo si arrampica su di un albero avrà paura e tremerà, ma succederà così anche ad una scimmia? Quale dei tre conosce il posto più adatto in cui stare?
L’uomo mangia gli animali (70), il cervo bruca l’erba, il centopiedi si nutre di vermi (71), il gufo e il corvo sono ghiotti di topi. Chi di tutti questi sa qual è il gusto giusto?
Il gibbone si trova bene col mandrillo (72), l’alce coabita col cervo, l’anguilla convive con gli altri pesci.
La signora Máo e la signora Lĭ (73) sono ritenute dagli uomini donne particolarmente attraenti, ma, se le vedessero i pesci, si immergerebbero nelle acque più profonde, se le vedessero gli uccelli volerebbero il più alto possibile, se le vedessero i cervi, si darebbero a fuga precipitosa. Quale delle quattro specie conosce la vera attrazione?.
Per quanto ne so io, umanità e giustizia si toccano, affermazione e negazione si appiccicano l’una all’altra, mescolandosi e confondendosi. Come potrei riuscire a distinguerle?’”. (74)
Allora, Niè Quē gli domandò : “ Se voi, Maestro, non sapete distinguere tra il bene e il male (75), ne devo dedurre che nemmeno il Saggio è in grado di operare tale distinzione?”.
Wáng Ní gli rispose: “Il Saggio è spirito. La canicola potrà far ribollire le paludi, ma egli non sentirà il caldo, l’inverno potrà far gelare i fiumi (76), ma egli non soffrirà il freddo, i fulmini potranno frantumare le montagne, le tempeste potranno sconvolgere l’oceano, ma egli non proverà paura. Così come è , egli sale sulle nuvole, guida il carro del sole e della luna, si spinge a suo agio al di là dei quattro mari. Non è turbato né dalla vita né dalla morte. Che interesse potrebbe dunque avere per lui la distinzione tra il bene e il male?.” (77)
Il discepolo Qū Què domandò al discepolo Cháng Wú (78): ”Ho udito il Maestro menzionare questa frase:’Il saggio non si cura delle cose di questo mondo, non cerca i vantaggi, non tenta di evitare gli svantaggi, non ama chiedere, segue la propria via (79), parla quando tace, tace quando parla, e vive al di fuori della polvere e della sporcizia.' (80) Il Maestro ritiene che si tratti di affermazioni senza senso (81), ma, secondo me, esse descrivono il percorso della Via Misteriosa. (82) Tu, che cosa ne pensi?”.
Cháng Wú gli rispose: “Persino l’Imperatore Giallo sarebbe rimasto confuso ascoltando queste parole. Come potrebbe Qiú essere in grado di comprenderle? Tu, poi, hai troppa fretta di arrivare alle conclusioni. Vedi un uovo e vuoi subito sentire il canto del gallo (83), vedi un arco e cerchi subito il piccione arrosto. Cercherò di spiegarti con semplicità ciò che sembra assurdo. Sei pronto ad ascoltarmi con uguale disposizione d’animo? Come si può immaginare che qualcuno stia a fianco del sole e della luna e domini lo spazio e il tempo? Ciò vuol semplicemente dire che il saggio si adegua, evita ciò che è scivoloso e confuso, è servizievole e rispettoso con gli altri. (84) La gente comune si affanna per mostrarsi intelligente e attiva, il saggio sembra lento e stupido, ma raggiunge la perfezione della purezza facendo propria l’esperienza di un tempo immemorabile.Tutti gli esseri seguono il proprio destino e il saggio ne coglie il reciproco interagire.
Come faccio ad essere sicuro che l’amore della vita non sia un inganno? (85) Come faccio ad essere certo che il timore della morte non sia la paura del bambino che si è smarrito (86) e che non si rende conto di trovarsi sulla strada di casa? La concubina Lì era figlia del guardiano della frontiera di Ài. Quando fu catturata dal re di Jìn, pianse fino a inzupparsi la veste di lacrime, ma dopo aver abitato nel palazzo reale, condiviso il letto con il sovrano e gustato cibi raffinati, si pentì di aver pianto. Come posso affermare con sicurezza che i morti non si pentono di essere stati attaccati alla vita? Coloro che, durante la notte, sognano di far festa, possono, giunto il mattino, ritrovarsi a piangere. Coloro che, durante la notte, fanno sogni brutti e tenebrosi, possono, giunto il mattino, ritrovarsi a partire allegri per la caccia. Quando dormono, non sanno che stanno sognando e cercano addirittura di immaginare che cosa succederà in seguito, ma, dopo essersi svegliati, si rendono conto che si è trattato soltanto di un sogno. Dopo il grande risveglio, anche noi comprenderemo che questa vita non è stata altro che un lungo sogno. Nel frattempo gli stupidi sostengono di essere svegli e affermano di esserne sicuri arrivando addirittura a recitare la parte dei principi o dei pastori. (87) Confucio sogna! Tu sogni! E io stesso, mentre ti dico che sogni, sto sognando anch’io! So che queste affermazioni sembrano paradossali, ma se, una volta nel corso di millenni, incontriamo un grande saggio che sa spiegarcene il senso, perché non dovremmo accettare questa spiegazione come una cosa assolutamente normale? (88)
Se tu hai intavolato una discussione con me e ritieni di aver argomentato meglio di me, ne dobbiamo concludere che tu hai ragione e che io ho torto? Se, invece, io penso di essere stato più brillante di te , ne dobbiamo dedurre che io ho ragione e che tu hai torto? (89) Chi ha ragione e chi ha torto? Oppure abbiamo entrambi ragione, o entrambi torto? Siccome noi due non saremo mai in grado di accordarci su questo punto, la questione rimarrà irrisolta. A chi dovremmo rivolgerci per risolverla correttamente? Se l’arbitro dà ragione a te, come può aver giudicato correttamente, dal momento che condivideva il tuo punto di vista? Se dà ragione a me, come può aver giudicato correttamente, dal momento che condivideva il mio punto di vista? Se dà torto ad entrambi, come può essere corretta una decisione che non dà ragione a nessuna delle parti?. Se dà ragione ad entrambi, come può essere corretta una decisione che non dà torto a nessuno dei contendenti? È quindi dimostrato che né io né tu né gli altri giungeremo mai ad un comune accordo. Si deve allora aspettare il Saggio? (90) Attendere qualcuno che ci spieghi come conciliare opinioni differenti equivale a non attendere nessuno. Concilia gli opposti grazie all’Azione del Cielo (91), che gioca sull’infinito, e vivi la tua vita. Che significa “ conciliare grazie all’Azione del Cielo”? Il sì si confonde con il no. L’affermazione si confonde con la negazione. (92) Se il sì fosse realmente tale, allora sarebbe così diverso dal no che non ci sarebbe più motivo di discutere. Se l’affermazione fosse realmente tale, allora sarebbe così diversa dalla negazione che non ci sarebbe più motivo di discutere (93). Mettiamoci al di fuori del tempo. Rinunciamo alle argomentazioni. Facciamo ricorso all’infinito, perchè nell’infinito troveremo la soluzione. (94)
La penombra (95) domandò all’ombra: “Prima camminavi ed ora ti fermi. Prima eri seduta ed ora ti alzi. Non puoi decidere tu stessa che cosa devi fare?” (96) L’ombra le rispose: “E se io dovessi aspettare che qualcuno si muova? E se quel qualcuno dovesse aspettare a sua volta che qualcun altro si muova? Che cosa devo aspettare: le scaglie di un serpente o le ali di una cicala? Come posso prevedere se farò una cosa o se non la farò? (97)
Una volta, Zhuàng Zhōu (98) sognò di essere una farfalla. Era una farfalla che volteggiava liberamente, appagata della propria condizione. Non sapeva di essere Zhōu. All'improvviso si svegliò e si accorse di essere Zhōu, con la sua forma. Non poteva dire se Zhōu avesse sognato di essere una farfalla, o se una farfalla stesse sognando di essere Zhōu. Tra Zhōu e la farfalla c'è una distinzione. Questo è ciò che si dice la trasformazione degli esseri.” (99)
NOTE
1) Nel periodo in cui fu scritto lo Zhuāngzĭ non si usavano ancora le sedie. Ci si sedeva per terra su una stuoia, a gambe incrociate. Di fronte alla persona seduta veniva posto un tavolinetto, che serviva, secondo le occasioni, da mensa o da scrivania.
2) Nánguō Zĭqí 南 郭 子 綦 significa, tradotto letteralmente ,“il maestro Qí dei sobborghi meridionali”. Questo personaggio non è menzionato da altre fonti e potrebbe essere stato inventato da Zhuāngzĭ. Le identificazioni proposte da diversi commentatori non appaiono molto convincenti.
3) Il commentatore Wáng Shūmín 王 叔 岷 osserva che il nome Yánchéng Zĭyóu 顏 成 子 游 risulta composto dal cognome del discepolo prediletto di Confucio Yán Huí 顏 回 e dal nome di cortesia di un altro discepolo Yán Yăn 言 偃 detto Zĭyóu 子 游. Anche Yánchéng Zĭyóu potrebbe quindi essere un personaggio di fantasia.
4) Yăn 偃 è il nome personale di Yán Yăn 言 偃.
5) “I flauti del cielo” (天 籟 “tiān lài”) è un’ espressione che ci ricorda “l’armonia delle sfere celesti” («Αρμονία των Σφαιρών») di Pitagora.
6) Il termine 枅 (“jī”) sembra significare “appuntito”, “a forma di fuso” e si riferisce pertanto a fessure lunghe e di forma cilindrica, la cui forma ricorda le canne di bambù.
7) Il carattere 污 (“wū), che significa letteralmente “sporco”,”inquinato”, “fangoso”, ha per radicale l’acqua 水 e può quindi facilmente essere inteso come “pozzanghera”, “stagno”, “acquitrino”. Zhuāngzĭ sta molto attento al paragone degli orifici del corpo umano con le cavità degli alberi, alle quali attribuisce- così almeno mi sembra di capire - forme allungate come quella delle narici, rotonde come quella della bocca e ovali come quella delle orecchie.
8) La descrizione è molto suggestiva, ma alcuni dei termini usati per indicare i suoni causati dal vento sono arcaici e di uso assai raro. Non è dunque facile interpretarli con sicurezza e ogni traduttore sembra intenderli in modo diverso.
Il termine 激 (“jī”), al quale i dizionari attribuiscono il significato di “intenso”,“rapido”,”violento”, può essere inteso come “pioggia battente”, “acquazzone”(激雨 “jīyŭ”), “corrente impetuosa”,”torrente”( 激流 “jīliú”), “cavallone”, “mare in tempesta” (激波 “jībō). Il rumore corrispondente può quindi essere uno scroscio di pioggia, il rombo di un torrente, il fragore di un uragano.
Il termine 謞 (“xiāo”) , per il quale entrano in considerazione traduzioni come “calunnia” o “scherni”, potrebbe essere interpretato come mormorìo o come fischio.
Il termine 叱 (“chì”) indica il rimprovero o l’ordine espresso con un urlo, ad esempio nell’ambito militare.
Il termine 吸 (“xī”) indica l’inspirazione d’aria o il risucchio di un liquido. Il suono corrispondente potrebbe essere un sibilo o un gorgoglìo.
Il termine 叫 (“jiào”) designa il grido, mentre il termine 譹 (“háo”) si riferisce ad un suono più profondo e terrificante che può essere reso con “ruggito”.
Il termine 宎 (“yăo”) viene spiegato dai dizionari come “il suono prodotto dal soffio del vento che penetra in una grotta”(风 吹 入 孔 穴 中 发 出 的 声 音).
Infine, sebbene il termine 咬 (“yăo”) significhi letteralmente “mordere”,”masticare”,”rosicchiare”, il Legge gli fa corrispondere un suono sibilante e lamentoso (“the sad and piping note”).
9) La spiegazione implicita contenuta in questa frase è che i rumori della natura (“la musica della terra”) sono prodotti dal passaggio del vento in una cavità proprio come la musica umana è prodotta, negli strumenti a fiato, dal passaggio dell’aria in una canna vuota.
10) Mi sono qui conformato, in parte, all’interpretazione proposta dallo studioso svizzero Jean François Billeter in un articolo pubblicato sulla rivista “East Asian History” (numeri 15-16, giugno-dicembre 1998).
11) L’ultima frase del paragrafo introduce un dibattito che è, si può dire da sempre, al centro della riflessione filosofica: il contrasto fra determinismo e creazionismo.
12) Nella prefazione alla versione inglese dei primi sette capitoli del Zhuāngzĭ ( “Chang-Tsû “The Inner Chapters” Ed. Hackett 2001, 8 “The book Chuang-tsû and the problems of translation), il Graham osserva che una prima difficoltà di traduzione nasce dalla struttura del testo, che non è una trattazione logica di un preciso argomento, bensì una miscellanea di proverbi, versi, canzoni, storie , pensieri, abbozzi di riflessioni, commenti e obiezioni tenuti insieme dal riferimento ad un tema comune, diverso per ogni capitolo. A suo avviso, ogni tentativo di presentare tutto ciò in una veste unitaria, organica e coerente non può che essere destinato al fallimento. Altre difficoltà possono derivare dal lessico arcaico e, in larga misura, obsoleto, dalla presenza di materiale attribuibile ad altre scuole di pensiero (anche se ciò sembra da escludere per i primi sette capitoli) e dagli interventi dei primi “editori” Liú Xiàng 劉向 (77 a.C-6 a.C.) e Guō Xiàng 郭象( morto nel 312d.C.), che rimaneggiarono ampiamente il materiale a loro disposizione.
Queste difficoltà sono ampiamente presenti nel secondo paragrafo del capitolo 2, per il quale possiamo trovare la più ampia varietà di traduzioni.
Per quanto mi riguarda, ho seguito, nell’impostazione della traduzione, i consigli del Graham, mentre nella traduzione delle singole frasi mi sono affidato alla mia ispirazione, in mancanza di una traduzione generalmente accettata.
13) Il secondo paragrafo del capitolo 2 passa subito a un altro tema, interrompendo bruscamente il discorso sui diversi tipi di armonia iniziato nel paragrafo precedente. Ciò ha indotto alcuni studiosi a ritenere che il testo a noi pervenuto presenti qui una lacuna. Il Billeter, che si rifa in proposito al Graham, propone di colmarla inserendo, tra i due paragrafi, la parte iniziale del capitolo 14 “Il movimento del cielo”( 天 運 “tiān yùn”) che, nella sua interpretazione, è del seguente tenore:
”Il cielo ruota. La terra sta ferma. Il sole e la luna s’inseguono a vicenda. Ma chi presiede all’insieme? Chi dirige tutto ciò? C’è un primo motore infaticabile? C’è forse una sorta di molla che genera un movimento perpetuo? Oppure, tutto si muove da sé, automaticamente, senza sosta? Dalle nuvole cade la pioggia, dall’acqua della pioggia si riformano le nuvole. Ma chi è che mette tutto in azione? Che cos’è l’energia inesauribile che produce questo eccesso di gioia? I venti nascono nel nord, soffiano verso est, soffiano verso ovest, oppure, assumendo la forma di un vortice, salgono a grandi altezze. Ma chi è colui che li eccita e che li placa? Chi è colui che, senza sforzo, pone tutto in movimento, sottomette tutto al proprio agire? Domandiamocelo!”.
14) Il Legge traduce “Great knowledge is wide and comprehensive, small knowledge is partial and restricted”.Il Giles traduce: “Great knowledge embraces the whole; small knowledge, a part only”. Il Billeter traduce : “Great knowledge is ample, petty knowledge is narrow”. Per quanto mi riguarda, ho tentato un’interpretazione che mi sembra differire dalle altre più nella forma che nella sostanza e che può essere difesa con alcuni argomenti abbastanza validi.
Mi sembra legittimo identificare la “grande conoscenza” (大 知 “dà zhī”) con la sapienza, che è sapere conforme alla Via, fondato sullo studio e sulla meditazione, e la “piccola conoscenza”( 小 知 “xiăo zhī”) con la pedanteria, che è erudizione fine a sè stessa, vana saccenteria priva di riferimenti ideali.
Curiosamente, gli attributi che definiscono l’una e l’altra (rispettivamente 閑閑 e 閒閒) sono indicati nel testo con caratteri che presentano lo stesso radicale (”mén” 門 cioè “porta”), la stessa pronuncia (“xián”), un’”etimologia” analoga (“stare all’ombra degli alberi” 木 e “stare al chiaro di luna” 月 ) e, almeno secondo i dizionari, un significato sostanzialmente identico (“ozio”, “riposo”, “tranquillità”, “tempo libero”).
Il diverso significato che viene loro attribuito deriva quindi, a mio avviso, dalla sostanziale ambivalenza del concetto di “tempo libero dalle occupazioni materiali”, che può essere riempito in modo positivo con lo studio e la meditazione o in modo negativo , con attività futili e vane, tra cui può rientrare anche qualsiasi attività intellettuale che si risolva in uno sterile nozionismo.
È molto significativo che un’ambivalenza dello stesso tipo si ritrovi nel pensiero dell’antichità classica, in cui i termini “σχολή“ e “otium” possono avere ora un’accezione intellettuale e virtuosa, ora un’accezione banale o, addirittura, immorale.
15) Ho qui usato una metonimia, indicando il contenuto al posto del contenente. La “parola” o “discorso” (言 “yán”) è infatti il contenitore delle idee.
16) Tenendo conto del fatto che in numerosi passi della sua opera Zhuāngzĭ propugna una “sospensione del giudizio” simile alla “ἐποχή” degli Scettici, non mi sembra azzardato supporre che egli manifesti qui un’opinione negativa a proposito di coloro che esprimono giudizi netti e definitivi (是非之謂 “shì fēi zhī wèi” cioè “dire sì o no”), i quali potrebbero in seguito rivelarsi sbagliati. L’immagine delle frecce scoccate dall’arco ci ricorda un verso del Metastasio: “Voce dal sen fuggita poi richiamar non vale; non si trattien lo strale quando dall’arco uscì” ( Ipermestra, Atto II, Scena I ), che consiglia prudenza nelle parole e nei giudizi.
17) Letteralmente “nulla può farlo ritornare allo yáng”. ( 莫使復陽也 ”mò shĭ fù yáng yĕ” ).
18) Ritroviamo qui l’idea, già formulata nel Dào Dé Jīng 道 德 经 che un concetto può esistere solo se si contrappone ad un altro.
Come dice il Dào Dé Jīng al capitolo II:
“Ciascuno di noi è in grado di conoscere il bello perché esiste il brutto.
Ciascuno di noi è in grado di discernere il bene perché esiste il male”.
Se io fossi solo al mondo, non potrei avere coscienza della mia individualità, giacché il solo modo che ho per definirmi è quello di compararmi con gli altri.
Questa osservazione apre però la strada ad una più ampia riflessione che si svolge per tutto il capitolo 2 del Zhuāngzī e ne costituisce, in sostanza, il tema dominante:
La Via unisce tutte le cose in un solo abbraccio. La conoscenza conforme alla Via è quindi una visione d’insieme che può essere raggiunta soltanto prescindendo dalle distinzioni, di qualsiasi natura esse siano, e dalle alternative a cui esse conducono. La vera comprensione del mondo consisterà allora nel vedere le cose senza pregiudizi né preferenze; il vero sapere sarà un’ “illuminazione”, una sorta di esperienza mistica, un annullamento dell’”io” nell’unità indistinta dell’universo. Con ciò si spiega il titolo del capitolo 齊 物 論 (“qí wù lùn”) che può essere reso con “Discorso sull’egualizzazione delle cose” nel senso che “una cosa vale l’altra”.
19) La frase che leggiamo qui:”non sappiamo chi ne è la causa” (而不知其所為使 ”ér bù zhī qī suŏ wéi shĭ”) sarebbe per la filosofia occidentale, come ci insegnano Aristotele e Tommaso d’Aquino, la premessa di tutta una serie di ragionamenti sulla “causa prima” e il “motore immobile”. I Cinesi non sono però attratti dalla speculazione metafisica. Anche se, per un attimo, sembra sussistere la possibilità di uno sviluppo in tale direzione, Zhuāngzĭ chiude ben presto il discorso con un’osservazione molto pragmatica: Ammesso e non concesso che si riuscisse a individuare quale organo muova gli altri , ciò sarebbe irrilevante per il funzionamento di quella macchina perfetta e armoniosa che è il corpo umano. (無益 損”wú yì sŭn” cioè “non ti arrecherà né profitto né danno”). Allo stesso modo -dobbiamo intendere- non serve a nulla cercare di scoprire il “primum movens” di quella macchina perfetta e armoniosa che è l’universo.
20) Le domande che si pone Zhuāngzĭ sono qui accompagnate dalle risposte che fornisce loro il senso comune. Le risposte filosofiche saranno formulate più tardi, in questo stesso capitolo.
(21) L’interpretazione di questo passo dipende dal modo in cui occorre intendere l’espressione “mente perfetta”( 成 心 “chéng xīn”) che figura al suo inizio. Tenendomi lontano da un approfondimento filosofico che va oltre le mie capacità, ho cercato di dare coerenza all’insieme sulla base di una riflessione molto semplice e di una traduzione piuttosto libera.
Se esistesse la “mente perfetta”,che, comunque vada definita, implica la possibilità di conoscere la verità e quindi di raggiungere delle certezze, la formulazione di giudizi epistemologici e morali diventerebbe pienamente legittima.
Se tuttavia, come insegna la dottrina taoista alla quale Zhuāngzĭ si ispira, noi non possiamo avere certezze, non siamo neppure in grado di emettere giudizi. Nelle circostanze in cui ci troviamo, il farlo significherebbe fornire la soluzione di un problema prima ancora di conoscerne i termini, giudicare senza nemmeno possedere gli elementi di giudizio. In altre parole, ciò che deve venir dopo verrebbe prima, concetto che Zhuāngzĭ esprime efficacemente con una frase che ci ricorda i paradossi di Zenone: “Sono partito oggi per Yuè e ci sono arrivato ieri”.
(22) Yŭ il Grande (大禹 “dà yŭ”), mitico imperatore, che avrebbe regnato tra il 2200 a.C. e il 2100 a.C., fu considerato da Confucio e da altri filosofi come un modello assoluto di saggezza e di virtù
(23) È curioso notare come si incontrino talvolta nella filosofia cinese espressioni quasi identiche a quelle che troviamo nella filosofia occidentale. Ad esempio, quando Zhūangzĭ dice “le parole non sono soffi d’aria” ( 夫 言 非 吹 也 “fū yán fēi chuī yĕ”), non possiamo non pensare al termine “flatus vocis” con cui Roscellino di Compiègne ( 1150 circa-1220 circa) definì gli “universali”, a suo parere semplici “soffi di voce”, in quanto egli riteneva che esistessero soltanto singoli individui, non concetti generali. A prescindere dal contesto specifico della loro riflessione, Zhuāngzĭ e Roscellino sembrano porsi un problema sostanzialmente identico: se e entro quali limiti il linguaggio consenta di percepire correttamente la realtà.
24) Tutto il passaggio è costituito da un susseguirsi di parallelismi tra la Via e le parole. La Via risulta oscura perché l’insufficienza dell’intelletto umano non ci consente di capire la realtà del mondo. Le parole risultano oscure per una ragione analoga: L’incapacità di comprendere le semplici leggi della natura e di uniformarsi ad esse non permette all’uomo di esprimersi con chiarezza. La presunzione di sapere ciò che non sa lo porta a sviluppare un discorso oscuro, incoerente, sofistico.
25) I Mohisti erano i seguaci di Mòzĭ 墨 子 , filosofo vissuto nel V° secolo a.C. ( 470 a.C. circa- 391 a.C. circa). La loro dottrina si contrapponeva nettamente al Confucianesimo su numerosi punti.
26) Ci si può domandare che cosa significhi nel Zhuāngzĭ il termine 明 (“míng”). Mi sembra che l’”illuminazione” o “chiarezza della mente”sia l’atteggiamento mentale di colui che non giudica secondo criteri prestabiliti e assoluti, bensì adeguandosi spontaneamente alla natura e alle circostanze specifiche.
Riporto, qui di seguito (nella mia traduzione), alcune definizioni che possono essere utili per chiarire il concetto:
“Míng” è un processo di coltivazione spirituale che accantona percezione e intelletto e che, di conseguenza, conduce a uno stato di fusione spirituale con la Via, unica e indifferenziata”.
(Yuet Keung Lo “To use or not to use – The idea of ming in the Zhuangzi”, articolo pubblicato in Monumenta Serica, Vol.47 (1999),pp. 149-168).
Míng è uno “stato mentale che consiste nella capacità di coltivare il proprio processo decisionale in modo che la mente sia sgombra da ogni nozione assoluta e arbitraria dell’affermazione (“è”) o della negazione (“non è”) da applicarsi a specifiche situazioni. Trovarsi in uno stato di “chiarezza della mente” è come trovarsi “sul cardine della Via”, vale a dire essere liberi da pregiudizi ed essere perfettamente in grado di operare le proprie valutazioni nel modo più adatto a produrre il miglior risultato in una situazione concreta”. (David Atkinson “Zhuangzi- The non Post-Nietzschean Perspectivist”, Sewanee Senior Philosophy Essays, 2002),
27) La possibilità di distinguere “questo” (是 “shì”) e “quello” (彼 “bĭ”), “giusto” (是 “shì”) e “sbagliato” (非 “fēi”) è negata da Zhuāngzĭ, il quale esclude che l’uomo sia in grado di isolare completamente uno dei due poli acquisendo la certezza che in esso non ci sia la benché minima parte di ciò che gli si contrappone. È in fondo una semplice questione di prospettiva. Se io mi metto a riflettere, mi rendo immediatamente conto che, con il variare del punto di vista, variano anche i giudizi. La casa in cui abito, ad esempio, è per me “questa casa”, ma per chi abita anche solo all’altro capo del villaggio sarà “quella casa”. Allo stesso modo ciò che per me è “vero”, per un altro può essere “falso”, ciò che è “giusto”, “ingiusto”, ciò che è “bello”, “brutto”, e si potrebbe continuare così all’infinito. Come osservava Pascal (“Pensées”, parte prima, cap.”De la Justice. Coutumes et Préjugés”):»Vérité au deçà des Pyrénées, erreur au-delà». Si deduce da quanto precede una delle tesi fondamentali della dottrina taoista : l’impraticabilità di distinzioni nette, categoriche, assolute.
28) Numerosi sono i passi del Dào Dé Jīng ai quali potrebbe ispirarsi questa citazione. Accontentiamoci di ricordarne uno (Cap. 1, par.II):
“L’essere e il non essere nascono l’uno dall’altro,
Il facile e il difficile sono complementari,
il lungo e il corto si integrano a vicenda,
l´alto e il basso si sostengono mutualmente,
la voce e il tono si armonizzano tra di loro,
il prima e il dopo si alternano costantemente.”
29) Graficamente questa concezione è espressa dal 太極圖 (“tàijítú”), il simbolo taoista rappresentato da un cerchio diviso in due parti uguali ☯ ( una bianca al cui interno spicca un puntino nero e una nera al cui interno spicca un puntino bianco).La presenza del puntino di colore diverso significa che non ci sono realtà assolute ed esclusive, ma che ogni realtà contiene in sé, almeno in germe, la realtà che le si contrappone.
30) Il passo in cui Zhuāngzĭ afferma : ”Spiegare che un dito non è un dito grazie a un dito non è come spiegare che un dito non è un dito grazie a un non-dito”.( 以指喻指之非指,不若以非指喻指之非指也 ”yĭ zhĭ yù zhĭ zhī fēi zhĭ, bù ruò yĭ fēi zhĭ yù zhĭ zhī fēi zhĭ yě”) è stato oggetto di una miriade di interpretazioni.
Il Legge traduce, ad esempio: “ By means of a finger (of my own) to illustrate that the finger (of another) is not a finger is not so good a plan as to illustrate that it is not so by means of what is ( acknowledged to be) not a finger” vale a dire: “Spiegare con (il mio dito) che il dito (di un altro) non è un dito non va così bene come spiegarlo mediante ciò che è (riconosciuto come) un non-dito”.
Il più antico commento, quello di Guō Xiàng 郭象,vissuto verso la fine del III° secolo d.C., osserva quanto segue:
”Ciascuno di noi ha la propria idea di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato, giacché io e gli altri abbiamo mentalità diverse. Pertanto, se paragono il mio dito a quello di un altro e affermo che il suo non è un dito, necessariamente l’altro comparerà il suo dito con il mio e affermerà che il mio non è un dito. Tanto io quanto l’altro siamo convinti che noi abbiamo ragione e che il nostro interlocutore ha torto. Di conseguenza, se io confronto il mio dito con quello di un altro, è soltanto rispetto al mio che quello dell’altro non è un dito. In conclusione sia io sia lui siamo concordi nell’affermare che noi stessi abbiamo ragione e nel ritenere, mutualmente, che l’altro abbia torto. Essendo perciò entrambi dello stesso parere nel pensare che l’altro abbia torto, dobbiamo constatare che nel mondo non esiste la 'ragione'. Essendo d’altra parte entrambi persuasi di aver ragione, dobbiamo constatare che nel mondo non esiste il 'torto'.”
L’assurdità del risultato cui in tal modo si perviene mette in rilievo la relatività dei punti di vista individuali, che può essere superata solo grazie alla sintesi fornita dalla Via, nella quale si realizza ciò che potremmo chiamare, con un termine mutuato dalla filosofia occidentale, la “coincidentia oppositorum”.
Lo scambio delle prospettive individuali permette di constatare che ogni valutazione è influenzata dalla soggettività del giudicante. Per rendersene meglio conto è più opportuno mettersi nella pelle dell’altro. Come osserva il filosofo Qián Mù 錢 穆 (1895-1990): “ Ciò significa che stare nella mia posizione per capire che l’ altro non è me è meno fruttuoso (per me) che mettermi nella posizione dell’altro per capire che io non sono l’altro”. Si può perciò concludere il ragionamento con il commento di Hānshān Déqīng (1546-1623): “ Scambiando in questo modo le posizioni per esaminare la materia, si osserva che non c’è dualismo tra le dita o tra i cavalli, e ne consegue naturalmente la sparizione della ‘ragione’ e del ‘torto’ ”.
Per quanto mi riguarda, mi accontenterei delle spiegazioni che ho riferito.
Occorre tuttavia menzionare che altre interpretazioni vanno oltre, interessando anche i settori della logica e della linguistica.
È stato, ad esempio, osservato che l’elemento centrale del passo in esame è una citazione del filosofo Gōngsūn Lóng 公 孫 龍 (325 circa a.C-250 a.C.), esponente della Scuola dei Nomi ( 名 家 “míng jiā”), che si occupava in particolare di problemi di logica, del quale ci è pervenuta, in parte, un’opera conosciuta sotto il titolo di “Gōngsūn Lóng Zĭ” ( 公 孫 龍 子).
In uno dei saggi che compongono il “Gōngsūn Lóng Zĭ”, intitolato “Dialogo sulla classificazione delle cose” (指 物 論 “zhĭ wù lún”), leggiamo la seguente frase ( 物 莫 非 指, 而 指 非 指 “wù mò fēi zhĭ, ér zhĭ fēi zhĭ”).
Occorre qui osservare, preliminarmente, che il termine 指 (“zhĭ” “dito”) assume, nel linguaggio dell’antica logica cinese, anche il senso di “dito che indica”, cioè “indice”, “indicatore”, “designatore”, “classificatore” e quindi, per estensione, “classe d’oggetti”, “concetto generale”, “universale” (nel senso attribuito a questo termine dalla logica scolastica medievale”).
La frase andrebbe quindi tradotta come segue :” Di tutte le cose non ce n’è alcuna che non sia un Indice, ma un Indice non è un indice”.
Questa affermazione è comunemente intesa nel senso che ad ogni cosa concreta corrisponde un' “idea” della stessa, un “concetto generale”, ma che un concetto generale non è una realtà in quanto solo l’oggetto concreto ha esistenza propria. (per rendere graficamente l’idea ho utilizzato l’iniziale maiuscola quando si parla dell’”universale”, la minuscola quando si parla del “particulare”).
Zhuāngzĭ la condivide e cerca innanzitutto di renderla più chiara con due accorgimenti:
1) indicando la “classe “( 指 之”zhĭ zhī”, cioè “il fatto di essere un dito indice”) in modo diverso dalla “cosa” singola ( 指 ”zhĭ”, cioè “il dito indice”);
2) ripetendo l’esempio con un termine a proposito del quale non possa sorgere alcuna ambiguità di significato: 馬 (“mă” “cavallo”).
Se proviamo a sostituire “Indice” con “concetto generale” e “indice” con “cosa concreta”, la frase “Se si vuol spiegare che un Indice non è un indice, è meglio farlo ricorrendo a un non-Indice piuttosto che a un Indice” diventa “Se si vuol spiegare che un concetto generale non è una cosa concreta, è più fruttoso spiegarlo ricorrendo a ciò che non è un concetto generale piuttosto che a ciò che lo è”.
In altri termini- mi pare di capire – dal punto di vista metodologico è più facile e immediato cogliere la natura di un concetto generale confrontandolo con una cosa concreta che fornendo la definizione di “concetto generale”.
Per un esame più approfondito dell’argomento cfr. “Language and Logic in the Zhuangzi - Traces of the Gongsun Longzi”( intervento di E.-J. Vierheller, Amburgo, alla Aas Annual Conference, Philadelphia, 15 luglio 2010.)
31) Xī Shī 西 施 , vissuta nel V° secolo a.C., è la prima delle ”quattro famose bellezze” dell’antica Cina. Dice la leggenda che, alla sua vista, i pesci, sbalorditi, dimenticavano di nuotare e colavano a picco (沉 魚 “chén yú”).
32) Il ragionamento appare chiaramente ispirato alla dottrina taoista. L’universo è onnicomprensivo e indistinto (“La via è senza nome”) ed è l’uomo che, dando diversi nomi alle cose, crea distinzioni innaturali e arbitrarie. Chi riesce a cogliere le leggi perenni dell’universo, si rende anche conto di quanto sia assurda la trama di giudizi e di valutazioni in cui l’uomo cerca di imprigionare il mondo come in una camicia di forza. Di fronte alla Via il grande e il piccolo, il bello e il brutto, il ricco e il povero, il sano e il malato si confondono tra di loro e hanno esattamente la stessa importanza e lo stesso valore.
33) Zhuāngzĭ sembra qui intendere che tutte le cose sono, al tempo stesso, distinte e indistinte. Distinte perché l’uomo le individua con l’uso dei nomi, indistinte perché fanno parte di un unico insieme che sarebbe presuntuoso e arbitrario voler scindere e diversificare.
34) La Stanford Encyclopedia of Philosophy osserva che si desumono da questo passo due distinte modalità di conoscenza: quella adottata dal saggio e quella seguita dalla gente comune. La prima viene chiamata “yīn shì”( 因 是 “affermare adeguandosi”) e rappresenta, in sostanza, la capacità di prendere in considerazione le opinioni altrui e di adattarvisi; la seconda viene chiamata “wéi shì”( 為 是 “affermare con forza”) e rappresenta una forma rigida di conoscenza, strettamente legata alla prospettiva individuale. L’aneddoto conclusivo illustra perfettamente la differenza tra 為 是 e 因 是. Nel loro ostinato attaccamento ad un solo e unico metodo di distribuire la razione di ghiande, le scimmie simboleggiano le tradizioni intellettuali dell’epoca - Confucianesimo, Mohismo, Nominalismo - che argomentavano, ciascuna, la verità esclusiva delle proprie tesi e l’erroneità di qualsiasi altra opinione. Il padrone delle scimmie, viceversa, è capace di accettare senza difficoltà il punto di vista delle scimmie perché è libero da qualsiasi dogmatismo e sa - conformemente alla dottrina taoista- che la tesi della controparte non è altro che l’identica realtà osservata da una diversa prospettiva.
35) Ho esaminato numerose traduzioni in diverse lingue per vedere se esista un consenso di massima sul significato di questa frase e ho trovato le interpretazioni più disparate. Poiché il brano in cui essa figura espone i differenti approcci intellettuali del saggio, da una parte, e della gente comune, dall’altra, ho adottato una traduzione un po’vaga, che non contrasti con quanto risulta dal contesto..
36) Letteralmente: “ Abbiamo concluso e non sappiamo come: ciò è chiamato la Via”.( 已而不知其然,謂之道 “yĭ ér bù zhī qí rán, wèi zhī dào”.). La Via è la spontaneità della Natura e perciò l’atteggiamento di chi si conforma ad essa è quasi istintivo e non richiede, al limite, alcuna consapevolezza. Questo pensiero ritorna frequentemente nell’opera che enuncia i princìpi della dottrina taoista, il Dào Dé Jīng (道 德 經 ).
37) I traduttori usano qui, in genere, i termini “ghiande” o “castagne”. In realtà, il carattere 芧 (xù”) sembra riferirsi, secondo quanto riportano i dizionari, allo “scirpo marittimo”, pianta palustre i cui semi e le cui radici possono essere usati per l’alimentazione animale.
38) Il carattere qui usato (鈞 “jūn”) si riferisce a un’antica misura di peso. Dall’idea di “peso” si passa poi naturalmente all’idea di “pesare” e infine all’idea di “bilancia”. 天 鈞 (“tiān jūn”) è quindi “la bilancia del Cielo”, sui cui piatti tutte le cose vengono pesate e trovate uguali.
39) Ho tradotto con “individuare” il carattere 封 (“fēng”) che significa “conferire un titolo”, ”riconoscere un rango”, “attribuire un feudo”. L’uomo, nominando una cosa, la distingue dalle altre, come il sovrano, creando un nobile e concedendogli un feudo, lo distingue dagli altri signori e dalla massa dei sudditi.
40) Questo excursus sull’evoluzione del pensiero umano riflette chiaramente la dottrina taoista. Perdendo gradualmente la visione globale del mondo e cominciando a creare tra le cose distinzioni arbitrarie che lo conducono a formulare giudizi di valore, l’uomo rompe l’originaria simbiosi con la natura e smarrisce la ”Via”.
41) Il testo originale dice letteralmente: “Il frutto dunque della perfezione e della decadenza? Il frutto dunque della mancanza di perfezione e di decadenza?” ( 果 且 有 成 與 虧 乎 哉?果 且 無成 與 虧 乎 哉? ”guŏ qiě yŏu chéng yŭ kuī hū zāi? guŏ qiě wú chéng yŭ kuīhū zāi?".), riprendendo gli stessi termini in precedenza usati per indicare la decadenza della “Via” e la formazione delle passioni. Ho interpretato queste parole nel senso che con esse Zhuāngzĭ si domanda, rispettivamente, che cosa succederebbe se la “Via” fosse rimasta, intatta,se cioè gli uomini continuassero a percepire il mondo nella sua unità, e che cosa succede ora, dopo che gli uomini hanno introdotto le distinzioni tra le cose e i giudizi su di esse, che si esprimono in affermazioni e negazioni. Le risposte sono costituite dai due diversi atteggiamenti del musicista Zhāo.
42) Il carattere 氏 (“shì” “clan familiare”) posposto al nome di una persona può indicare che l’interessato è membro di una famiglia e riferirsi perciò ad un singolo individuo. Esso ha quindi il valore dei nostri appellativi “signore” o “signora”. Nei tempi antichi era particolarmente usato per le donne, che erano di solito chiamate con il nome della famiglia da cui provenivano.
43) Quando Zhāo suona, la sua interpretazione di un pezzo musicale è condizionata da una serie di scelte tecniche e stilistiche che si fondano sul sistema affermazione-negazione (“sì o no”). Di conseguenza, nemmeno la più splendida “performance” riuscirà mai a realizzare tutte le potenzialità insite nel pezzo. Quando Zhāo non suona, le infinite possibilità dello strumento e della musica rimangono intatte. Paradossalmente, il miglior concerto possibile è dunque quello in cui gli strumenti restano muti. ( Si vedano, a questo riguardo, le osservazioni di Roger T. Ames in “Wandering at ease in the Zhuangzi”, SUNY Series in Chinese Philosophy and Culture. 1998). Visto nella prospettiva filosofica, l’esempio pone in evidenza quanto la percezione del mondo nella sua globalità sia più ricca e feconda della percezione che si basa sulla distinzione tra le singole cose.
44) Shī Kuàng 師 曠 fu un famoso maestro di musica, fiorito all’epoca del duca Píng di Jìn 晉 平 公 , che regnò dal 557 a.C al 532 a.C.. Era cieco. È il protagonista di numerosi aneddoti raccontati nelle “Memorie Storiche” ( 史 記 “shĭ jì”) di Sīmă Qiān 司 馬 遷 e in altre opere.
45) Huìzĭ 惠 子 (c.380 a.C.- 305 a.C.) fu un filosofo della Scuola dei Nomi (名 家 .”míng jià”). Gli antichi saggi cinesi avevano l’abitudine di insegnare all’ombra di grandi alberi.
46) Sembra di poter leggere qui una critica a Gōngsūn Lóng (c.325 a.C.-250 a.C.), filosofo della Scuola dei Nomi, che fu probabilmente allievo di Huìzĭ e che scrisse un saggio intitolato appunto“Discorso sulla solidità e sul biancore”( 堅 白 論 ”jiānbái lùn” ).
47) Rendendo il termine 子 (“zĭ”) con “discepolo”, il termine 文 (“wén”) con “Wén” (nome personale di Zhāo Wén) e il termine 綸 (“lún”) con "corda", si ottiene una frase parallela alla precedente. Come i discepoli di Huìzĭ non sono riusciti ad ereditare la lucidità del maestro, ma si sono persi in oscuri sofismi, così i discepoli di Zhāo Wén non hanno mai saputo eguagliare la sua tecnica musicale.
48) Il testo cinese dice letteralmente:”gli esseri e io non siamo perfetti“ ( 物 與 我 無 成 也 “wù yŭ wŏ wú chéng yě”).
49) Zhuāngzĭ conclude il discorso ribadendo un concetto già espresso in precedenza. È inutile illudersi di raggiungere la perfezione seguendo il sistema dell’affermazione e della negazione, cioè cercando di far prevalere i propri giudizi di valore e respingendo quelli degli altri. Il saggio assume un atteggiamento del tutto differente. Egli parte dall’incertezza e dal dubbio e non ha difficoltà ad accettare le tesi degli altri (“le diverse opinioni comuni”), perché sa che nella globalità dell’universo tutti i punti di vista sono egualmente legittimi. Ciò gli permette di comprendere il mondo con chiarezza ( 明 “míng”).
(50) Letteralmente: “C’è un inizio dell’essere, c’è un inizio del non essere, c’è un inizio del non essere del non essere “ vale a dire: “ Tutte le cose e tutte le situazioni hanno un inizio, prima del quale non esistono. Il periodo precedente il loro inizio è dunque quello della loro non esistenza. Ma anche la non esistenza è uno stato e si può supporre che essa abbia avuto un inizio. Se la non esistenza non avesse avuto un inizio non potrebbe nemmeno avere una fine, cioè essere rimpiazzata dall’esistenza.”. Viene qui espressa, a mio parere, la teoria taoista degli opposti (in questo caso l’essere e il non essere) che convivono fin dall’inizio e che si contengono e si implicano vicendevolmente.
(51) Quanto segue è ciò che si deduce logicamente dalla dottrina della dualità dell’universo. L’essere può esistere solo rapportandosi al non essere, che è quindi condizione indispensabile della sua esistenza.
(52) Zhuāngzĭ osserva qui che, da un punto di vista empirico, se noi ci trovassimo d’improvviso di fronte ad un non essere per così dire astratto, cioè svincolato da qualsiasi contesto, non saremmo in grado di dire se esso sia originario o provenga da un precedente essere. Sulla base della dottrina esposta in precedenza non possiamo tuttavia avere dubbi circa la risposta: il non essere proviene necessariamente da un precedente essere, così come l’essere proviene necessariamente da un precedente non essere.
53) Péng Zŭ 彭 祖 , personaggio leggendario, sarebbe vissuto circa 800 anni.
54) Queste affermazioni paradossali, della cui correttezza Zhuāngzĭ fa finta di dubitare, contengono in realtà la sostanza della dottrina taoista. Esse enunciano infatti i principi della “coincidentia oppositorum” ( “gli estremi si toccano”,”l’estremamente grande coincide con l’estremamente piccolo”) e dell’unità della natura (“l’uomo non è qualcosa di diverso dalla natura, alle cui leggi deve conformarsi, non già contrapporsi).
55) Per cogliere l’esatto significato della domanda può essere opportuno ricordare l’incipit del Dào Dé Jīng: “La via che si può descrivere non è la Via”. Infatti, se l’universo è unico e indistinto e l’azione della natura è spontanea e necessaria, ogni tentativo di operare distinzioni, e conseguentemente di formulare giudizi, attraverso la parola risulta arbitrario e non può che produrre conseguenze dannose. Nel Taoismo, la parola non si vede dunque riconoscere un valore particolarmente positivo. Ma l’analisi di Zhuāngzĭ non si ferma su questa posizione iniziale.
56) Zhuāngzĭ si rende conto del fatto che la presa di coscienza della realtà esige la parola. È indubbio che, senza la parola, l’uomo vivrebbe in modo più naturale, ma lo farebbe perché avrebbe, come gli animali e i vegetali, una percezione molto più vaga e ridotta del mondo in cui vive. L’esistenza gli permette di far parte dell’universo, ma la parola gli consente di averne la consapevolezza.
Sembra di cogliere nell’uso del termine 言 (“yán”), cioè “parola” una curiosa consonanza col “verbum” del vangelo di Giovanni. In effetti, considerando la teologia cristiana, non possiamo non notare che, se la prima persona della Trinità, Dio, è l' ”essere”, la seconda persona, il Verbo, è la “presa di coscienza dell’essere”.
57) La realtà oggettiva, definita dalla parola, assume una nuova valenza, diventa qualcosa di nuovo, un terzo elemento. Il linguaggio ha quindi una funzione creativa.
Si applica qui lo stesso schema di tesi, antitesi e sintesi con cui il Dào Dé Jīng spiega la nascita dell’universo. L’uno, che di per sé è sterile, può generare solo se entra in contatto con il suo opposto: il due. Dal loro incontro nasce qualcosa nuovo e di di diverso da entrambi: il tre. Il moltiplicarsi degli incontri dà origine a sempre nuovi esseri: le “diecimila cose”, l’universo.
È interessante notare come questo schema ricompaia costantemente nell’elaborazione delle dottrine religiose (la Trimurti indiana, la Trinità cristiana) e nella speculazione filosofica (la dialettica hegeliana).
58) Zhuāngzĭ non spiega perché consigli di non esaminare questo caso, ma la ragione mi pare evidente. Secondo la dottrina taoista ogni evoluzione nasce dall’incontro degli opposti. Si può dunque immaginare che il confronto dell’essere con l’essere (due elementi dello stesso segno) sarebbe sterile.
59) Ritroviamo qui un richiamo alla dottrina taoista che ci sarà utile per comprendere il resto del ragionamento. Affermando che una cosa è (為 是 “wéi shì”), o è in un certo modo, e negando di conseguenza che non sia, o che sia in un altro modo, si creano distinzioni, che sono poi la base di giudizi di valore. È questa la via seguita da dottrine come il Confucianesimo o il Mohismo. Il Taoismo si fonda invece sul carattere indistinto dell’universo, che comprende in sé ogni cosa e il suo contrario, e ritiene quindi impossibile raggiungere la saggezza procedendo per affermazioni e negazioni.
60) Un commentatore moderno del Zhuāngzĭ, Jiāng Xīzhāng 江 希 張 , sostiene che i primi quattro termini della lista descrivono il Confucianesimo, gli ultimi quattro il Mohismo. Burton Watson, in “The Complete Works of Chuang Tsu”, Columbia University Press 1968, afferma che la lista delle virtù è una parodia dell’elenco delle virtù confuciane. Questa osservazione sembra ragionevole. Tutto il passo tende infatti a dimostrare che la saggezza non può fondarsi su giudizi di valore che accettano e privilegiano solo certi aspetti della realtà escludendone o sminuendone altri. Come osserva Dan Lusthaus in “Hiding the world in the world: Uneven discourses on the Zhuangzĭ”: “One acts on the basis of what one does not know, what one cannot control, what one cannot contain rather than according to fixed rules, determinated principles and clear imperatives. It is a rare move in the history of philosophy but one that is currently attempted again – this time by French thinkers, primarily Derrida and Lyotard”.
61) Il termine 六 合 (“liú hé”) indica tradizionalmente le “sei direzioni” (nord, sud, est, ovest, alto e basso) vale a dire Cielo e Terra, il Cosmo, l’Universo, il Mondo tangibile nella sua totalità. L’espressione 六 合 之 外 (“liú hé zhī wài” “al di fuori delle sei direzioni”) indica , a mio avviso, ciò che non è più percepibile coi sensi né inquadrabile con la ragione, cioè la sfera della metafisica.
62) L’espressione 春 秋 經 世 先 王 之 志 (“chūn qiū jīng shì, xiān wáng zhī zhì”), letteralmente “nel libro delle Primavere e degli Autunni, dove ci sono gli annali degli antichi re”, fa riferimento ad una famosa opera, gli Annali delle Primavere e degli Autunni (春 秋 “chūn qiū “), attribuita a Confucio. Essa è la cronaca uffciale del Regno di Lŭ 魯 國 per il periodo che va dal 722 a.C. al 481 a.C.
63) Le tre frasi che precedono esaminano l’atteggiamento del saggio di fronte a diverse situazioni.
Nella prima ci viene detto che “ al di fuori delle sei direzioni, il saggio vive ma non discorre” (六 合 之 外 聖 人 存 而 不 論 “liú hé zhī wài shèng rén cún ér bú lùn”). Mi sembra di poter interpretare questa affermazione nel senso che, di fronte alle cose che sfuggono al suo intelletto, il saggio non cerca di costruire ragionamenti e non compie alcun tentativo di pervenire alle verità ultime. Ci troviamo qui in presenza di quel rifiuto della metafisica che caratterizza da sempre il pensiero cinese. È significativo, a questo riguardo, osservare come lo stesso Confucio escludesse, tra l’altro, dal suo insegnamento tutto ciò che esulava dal mondo naturale: “Il Maestro non parlava mai di prodigi, di atti di violenza, di ribellioni, di esseri sovrannaturali.”(“I Dialoghi” 7,21).
Nella seconda frase leggiamo che “all’interno delle sei direzioni, il saggio discorre, ma non giudica” (六 合 內 聖 人 論 而 不 議 “liú hé nèi shèng rén lùn ér bú yì” ). Questa affermazione è perfettamente conforme alla dottrina taoista: il saggio riflette a proposito dell’universo e ne parla con gli altri, ma non esprime giudizi di valore.
Nella terza frase si constata che “per quanto riguarda l’operato degli antichi re del Periodo delle Primavere e degli Autunni, il saggio giudica, ma non disputa” (春 秋 經 世 先 王 之 志 聖 人 議 而 不 辯 “chūn qiū jīng shì xiān wáng zhī zhì shèng rén yì bú biàn”). Questa affermazione sembra attenuare un po’ il rigore del principio enunciato in precedenza secondo cui il saggio non formula giudizi. In effetti, anche se a livello dell’universo tutte le cose si equivalgono, è pur vero che sul piano dell’atto singolo, del comportamento concreto non si può prescindere da un giudizio morale. Il saggio prenderà quindi posizione ma senza estremismi e senza eccessi, cosciente del fatto che nel bene c’è sempre una parte di male, e viceversa, e non cercherà mai di imporre ad un altro il proprio punto di vista.
La gradazione dei vari atteggiamenti è ben resa dai verbi usati per descriverli che, sebbene sembrino tutti esprimere un’idea più o meno simile, mostrano, ad un esame più approfondito, una netta differenza di significato.
Se analizziamo il carattere usato per esprimere l’idea di “discorrere” (論 “lún”) vediamo che esso è composto dall’unione di due altri caratteri (言 ”yán”, “parola” e 侖 ”lún” “ragione” ”logica” ). Il significato è quindi quello di “ragionamento espresso con parole”, “discorso coerente”, da cui derivano le ulteriori sfumature di “conversazione”, ”discussione”, ”discorso”, “dialogo” , “teoria”, ”dottrina”,“ relazioni umane”, “morale dei rapporti umani”. Nessuno dei caratteri sopra citati richiama l’idea di un giudizio di valore.
Una valutazione è invece evocata nel carattere usato per esprimere l’idea di “giudicare” 議 (“yì”) che è composto dall’unione di due altri caratteri (言 ”yán”, “parola” e 義 “yì” “equità”, “giustizia”). Il significato è quindi quello di “affermare che è giusto”, cioè di giudicare.
Infine, il carattere usato per esprimere l’idea di “disputare” ( 辯 “biàn” ) è composto dall’unione di due altri caratteri (言” yán”, “parola”e 辨 “biàn” ”disputa” “controversia”, che a sua volta deriva dal raddoppiamento del carattere 辛 (“xīn” “acceso”,”caldo”, “piccante”). Il significato è quindi quello di “affermare con veemenza”.
64) Questa frase è comunemente interpretata nel senso che la Via, la persuasione, l’umanità, la modestia, il coraggio, sono cose perfette ( il cerchio simboleggia la completezza e il movimento), ma possono essere snaturate e trasformate in cose difettose ( il quadrato simboleggia l’imperfezione e l’immobilità).
65) Secondo il Zhōulĭ 周 禮 (“Riti dei Zhōu”), Chūngūan Zōngbó 春 官 宗 伯 (“I Funzionari della Primavera”), paragrafo 86, il termine “tiānfŭ”天 府 (“tesoriere celeste”) designava il funzionario incaricato di custodire i documenti di corte, i registri della popolazione, i trattati con altri Stati e i gioielli della corona. Cfr., in proposito, “Le Tcheou Li, ou Rites de Tcheou, traduit et annoté par Edouard Biot”, Tome I, Paris, 1851, pag.290. Nel Zhuāngzĭ “tiānfŭ” è uno dei termini usati per indicare chi conosce la Via e sa armonizzare i diversi aspetti della verità.
66) Zōng 宗 , Kuài 膾 e Xū Áo 胥 敖 sono tre staterelli di cui non si trova alcuna menzione nei documenti storici. È possibile che questi nomi siano una invenzione di Zhuāngzĭ.
67) Molti commentatori considerano oscuro questo passo e tendono a trascurarlo. Il filosofo Zhāng Tàiyán 章 太 炎 (1869-1936) lo ritiene invece molto importante e lo intende come una critica della tendenza ad imporre agli altri la propria volontà e le proprie idee. A suo parere, l’unico commentatore che ha compreso il vero senso del dialogo è Guō Xiàng 郭 象, il quale scrive: “Tocca al saggio chiarire il principio dell’egualizzazione delle cose. Per farlo egli pone una strana domanda e provoca in tal modo una risposta. La posizione delle cose non è mai ignobile e così cespugli ed erbacce sono gli spazi misteriosi in cui vivono i tre principi. Sarebbe conforme alla Via il tentativo di modificare le aspirazioni di coloro che vivono tra i cespugli e le erbacce e costringerli a seguire le aspirazioni di un altro? Questo pensiero diventa l’idea fissa di Yáo. Ebbene, lasciamo che ciascuno segua la propria natura e accontentiamoci di ciò. Non c’è vicinanza, lontananza o profondità. Le cose sono come sono e hanno il loro carattere. Se io ragiono così, gli altri mantengono il loro giusto posto ed io sono sempre contento”.
68) Niè Quē 齧 缺 e Wáng Ní 王 倪 sono due saggi leggendari vissuti in epoca antichissima. Nel dodicesimo capitolo del Zhuāngzĭ intitolato “Cielo e Terra”( 天 地 ”tiān dì ), paragrafo 5, leggiamo: “Si racconta che il maestro di Yáo fu Xŭ Yóu, che il maestro di Xŭ Yóu fu Niè Quē, che il maestro di Niè Quē fu Wáng Ní e che il maestro di Wáng Ní fu Bèi Yī ( 堯之師曰許由,許由之師曰齧缺,齧缺之師曰王倪,王倪之師曰被衣).
69) L’inizio del dialogo ricorda il famoso passo dell’Apologia di Socrate in cui Platone fa dichiarare al suo maestro che egli “sa di non sapere”. Qui sembriamo andare addirittura oltre perché Wáng Ní, secondo quanto gli fa dire Zhuāngzĭ, “non sa neppure di non sapere”.
70) Il testo dice 芻 豢 (“chúhuàn” “animali erbivori”) cioè bovini e ovini.
71) Il testo reca il termine 帶 (“dài”) che, nel linguaggio odierno, significa “cintura”, “nastro”, “lamella”, “filamento”. Si può quindi immaginare che, nella lingua antica, potesse anche avere il senso di “verme”, “lombrico”
72) I termini che si trovano nel testo indicano, in generale, le scimmie antropomorfe (猭 “yuán”) e le scimmie cinocefale (猵狙 “piànjū”).
73) La signora Máo 毛 嬙 (“Máo qiáng”) ,celebre bellezza del Periodo delle Primavere e degli Autunni 春 秋 時 ( “chūn qiū shí”), fu più o meno contemporanea della famosa Xī Shī 西 施 . Si racconta che fosse una concubina del re di Yuè 越 王 . È menzionata nel Hánfēizĭ 韓 非 子 (Xiănxué 顯 學 , paragrafo 9) : “Potete ammirare quanto volete la bellezza di donne come Máo Qiáng e Xī Shī, ma ciò non migliorerà il vostro aspetto. Usate invece un po’ di rossetto, di cipria e d’ombretto e diventerete due volte più belle di quanto eravate prima” (故善毛啬、西施之美,无益吾面,用脂泽粉黛则倍其始) e nel Guănzĭ 管 子 (Xiăo Chēng 小 稱 , paragrafo 1): “La signora Máo e Xī Shī erano le donne più belle dell’Impero” (毛嫱、西施,天下之美人也).
La concubina Lì (麗姬 “Lì jī”) è menzionata, più tardi, in questo stesso capitolo 2 del Zhuāngzĭ: “La concubina Lì era figlia del guardiano della frontiera di Ài. Quando fu catturata dal re di Jìn , pianse fino a inzupparsi la veste di lacrime, ma, dopo aver abitato nel palazzo reale, condiviso il letto con il sovrano e gustato cibi raffinati, si pentì di aver pianto” (麗之姬,艾封人之子也。晉國之始得之也,涕泣沾襟;及其至於王所,與王同筐床,食芻豢,而後悔其泣也). Risulta dal “Gŭliáng Zhuàn” 穀 粱 傳 , uno dei commenti agli “Annali delle Primavere e degli Autunni” (春 秋 “chūn qiū”) che, nel decimo anno di regno del duca Xī di Lŭ 魯僖公, “il duca Xiàn di Jìn 晉 獻 公 conquistò il regno di Guó, catturò la signora Lì, ne fece la sua concubina e ne ebbe due figli, il maggiore dei quali fu chiamato Xīqí, il minore Zhuōzĭ” ( 晉獻公伐虢,得麗姬,獻公私之。有二子,長曰奚齊,稚曰卓子). Sulla base di quanto sopra riportato, la signora Lì potrebbe essere identificata con Lí Jī, concubina del duca Xiàn di Jìn, il quale regnò dal 676 a.C. al 651 a.C., anche se le fonti che parlano di costei ne scrivono il nome in modo un po’ diverso ( Lí Jī 驪 姬) e la dicono figlia non già del guardiano della frontiera di Ài, bensì del capo della tribù barbara dei Lí Róng 驪 戎.
74) Wáng Ní nega di possedere la “conoscenza” perché è cosciente della relatività di qualsiasi sapere. Per dimostrarlo fornisce una serie di esempi che provano “in crescendo” l’impossibilità di trovare un’affermazione che abbia valore assoluto. Esiste un luogo ideale per vivere? No. Ogni specie animale ha il suo habitat. Esiste un cibo che vada bene per tutti? No. Ogni specie ha la sua alimentazione. Esiste un concetto universale di bellezza? No. Ciò che entusiasma gli uomini spaventa le altre specie. Ma il ragionamento può essere esteso senza difficoltà ai concetti creati dall’intelletto umano. Esiste una nozione di umanità o di giustizia che sia uguale per tutti gli uomini e valida in assoluto? Esiste un consenso generale e senza eccezioni nell’affermare qualcosa o nel negare qualcos’altro? La risposta non può essere che “no”. Come osserva giustamente Pascal (“Pensées”,1ère partie, chap. “De la justice. Coutumes e préjugés”):”Vérité en-deçà des Pyrénées, erreur au-delà”. La conclusione è una sola: il saggio non può dichiararsi sapiente.
75) Il testo usa l’espressione 利 害 (“lì hài”) che i dizionari traducono con “il pro e il contra”, “il vantaggio e lo svantaggio”, “il beneficio e il danno”. Mi sembra tuttavia che Zhuāngzī intenda qui riferirsi, in modo assolutamente generale, all’impossibilità di distinguere nettamente tra un concetto e il suo contrario. A mio parere, si può quindi anche tradurre “il bene e il male”, “il giusto e l’ingiusto”, “il bianco e il nero” e così via, all’infinito.
76) Zhuāngzĭ menziona espressamente due fiumi: il Fiume Giallo (河 “hé”) e il Fiume Hàn (漢 “hàn”).
77) Ritroviamo qui una descrizione del saggio simile a quellache abbiamo già incontrato nel Capitolo 1 del Zhuāngzĭ:” Il potere di quell’uomo gli consentirebbe di mescolare insieme tutte le cose e di ridurle ad unità. Il mondo lo invoca, nel suo disordine, ma perché i problemi del mondo dovrebbero essere la sua preoccupazione? Nulla può scalfirlo. Neppure un diluvio potrebbe sommergerlo. Né un calore torrido tale da fondere i metalli e le pietre, né una siccità capace di rendere arida la terra e brulle le colline potrebbero scottarlo o fargli soffrire la sete. Con la polvere e con la pula è in grado di modellare uomini come Yáo e Shùn. Perché dovrebbe occuparsi delle cose del mondo?”.
78) Zhuāngzĭ immagina un dialogo tra due presunti discepoli di Confucio. Pur essendo d’accordo con tutti i commentatori sul fatto che sia proprio Confucio il maestro qui menzionato ( “fūzĭ” 夫 子 è il termine usato da sempre per designarlo, Qiū 丘 è il suo nome personale), non ritengo invece che i protagonisti del dialogo siano suoi discepoli. Risulta infatti evidente che non hanno grande stima per le teorie del Maestro e che la loro dottrina di riferimento è invece il Taoismo. Date queste premesse, mi sembra inutile tentare di identificarli e propendo invece per l’idea che si tratti di personaggi fittizi appositamente creati da Zhuāngzĭ per i bisogni della sua argomentazione. A titolo di pura curiosità ricordo che qualcuno ha voluto individuare in Cháng Wú Zĭ 長 梧 子 il genero di Confucio Gōng Yĕcháng 公 冶 長, conosciuto anche come Zĭ Cháng 子 長, il quale si sentirebbe autorizzato dagli stretti legami di parentela a chiamare per nome il filosofo.
79) Ho interpretato l’espressione cinese不 緣 道 (“bù yuán dào”) ,che significa letteralmente “non segue il cammino”, nel senso che il saggio non si accoda agli altri, ma segue la propria via.
80)“Polvere e sporcizia” (塵垢 ”chén gòu”) è una metafora che ricorre di frequente nei testi taoisti per indicare il mondo.
81) La frase riportata da Confucio è una sintesi dei princìpi taoisti. Le affermazioni in essa contenute contrastano nettamente con l’insegnamento del Maestro ed è quindi logico che egli le definisca “affermazioni senza senso”.
82) La “Via Misteriosa” (妙 道 “miào dào”) è uno dei termini con cui la dottrina taoista indica la Via. Essa è misteriosa perché gli uomini non riescono a coglierne il percorso, che solo il saggio intuisce. Un termine analogo è il “Potere Arcano” (玄 德 “xuán dé”).
(83) Il termine 時 夜 (“shíyè”) indica il “tempo notturno”. Poiché la fine della notte e l’arrivo dell’alba erano annunciati dal canto del gallo, il termine indicò in seguito, metaforicamente, anche “il canto del gallo” o lo stesso “gallo”.
(84) Le espressioni usate in questa frase sono abbastanza difficili da interpretare.
I dizionari traducono 脗合 (“wĕn hé”), composto da 脗 (“wĕn” “coincidere”, “concordare”) e da 合 (“hé” “unire” “combinare”) come “essere d’accordo”, ”adeguarsi”. Alcuni traduttori scrivono che “il saggio tace”. Entrambe le traduzioni dicono praticamente la stessa cosa: il saggio non sostiene tesi inconciliabili con quelle degli altri, non propone rigide alternative, non discute con veemenza.
La frase 置 其 滑 涽 (“zhì qí huá hūn”) si può tradurre “evita ciò che è scivoloso e confuso”. Anche questa frase può essere intesa nel senso che il saggio si tiene lontano da dibattiti e controversie.
Infine, la frase 隸 相 尊 (“lì xiāng zūn”) risulta composta dai caratteri 隸 (“lì”, “servire”), 相 (“xiāng” “vicendevolmente”) e 尊 (“zūn” “rispettare” “onorare”). Essa può significare che il saggio “è servizievole e rispettoso”. Secondo il Dào Dé Jīng 道 德 經 , infatti, il saggio non è ambizioso né orgoglioso né presuntuoso e finisce coll’essere onorato e rispettato proprio perché si tira sempre indietro rispetto agli altri.
85) Ci si può chiedere se questo passo e il seguente facciano ancora parte del dialogo tra Qū Què e Cháng Wú, visto che i temi in essi trattati non sono uno sviluppo diretto del tema esaminato nel passo precedente. Alcuni particolari ( la forma dialogica, una seconda menzione di Confucio) potrebbero far propendere per una risposta positiva. Alcune differenze stilistiche potrebbero invece far pensare ad un’origine diversa di ciascuno dei tre brani. Nel primo, ad esempio, i pronomi “io” e “tu” sono resi con 我 (“wŏ”) e 女 (“rŭ”, variante di 汝), nel secondo con 予 (“yú”) e 女 (“rŭ”), nel terzo con 我 (“wŏ”) e 若 (“ruò”).
86) Zhuāngzĭ paragona l’uomo ad un bambino che si è smarrito e che cammina, incerto e timoroso, lungo un sentiero senza accorgersi che si tratta proprio del sentiero che conduce a casa. Il termine 弱 喪 (“ruò sāng” composto dai caratteri 弱 (“ruò” “debole”) e 喪(“sāng” “afflitto”) indica coloro che sono “senza casa” o “senza genitori”, cioè gli orfani e i bambini abbandonati.
87) Gli uomini comuni non capiscono che la vita è soltanto un sogno e attribuiscono grande importanza ai ruoli che la sorte ha loro assegnato, sebbene questi ruoli siano in realtà inconsistenti come il sogno di cui fanno parte. Il termine 君 (“jūn”) designa i principi, il termine 牧 (“mù”) designa i pastori. La maggior parte dei commentatori vede qui una contrapposizione tra governanti e sudditi, potenti e deboli, ricchi e poveri. Il dizionario on-line riporta però per 牧 (“mù”) anche un significato arcaico di “signore”,”governatore” ( si ricordi, in proposito, il termine “pastori di popoli” con cui i re sono designati nei poemi omerici). Se si adotta quest’ultima interpretazione, il passo andrebbe inteso nel senso che è stupido considerare rilevanti poteri ed onori che risultano effimeri ed illusori.
88) Letteralmente : “ Queste parole sembrano assurde, ma, se dopo innumerevoli generazioni incontriamo un grande saggio che sa spiegarcene il significato, è come se lo incontrassimo il mattino o la sera”. A mio parere, la frase va intesa nel senso che, se si trova finalmente una dottrina in grado, come il Taoismo, di spiegare i meccanismi dell’universo, occorre accettare il fatto con semplicità e naturalezza, per quanto sorprendente esso possa apparire.
89) Il testo dice semplicemente: “Se tu discuti con me, e argomenti meglio di me, e io ho la peggio, tu hai ragione e io ho torto? Se, invece, ti ho battuto e tu hai avuto la peggio, ho ragione io e hai torto tu?”. Mi sembra tuttavia necessario leggere “ se ritieni di aver argomentato meglio di me ” e “ se ritengo di averti battuto ” perché la premessa del ragionamento è l’accertata impossibilità di stabilire chi abbia ragione tra due contendenti che sostengono tesi opposte.
90) Il testo dice: “而 待 彼 也 邪 (“ér dài bĭ yĕ xiè”) cioè “Occorre aspettarlo?”. Secondo il Legge , ci si domanda qui se occorra attendere l’arrivo di un Grande Saggio, che, solo, sarebbe in grado di risolvere la questione.
91) 天 倪 (“tiān ní”) è uno dei termini che Zhuāngzĭ usa per definire l’azione del Cielo, l’operato della natura, il funzionamento dell’universo. Sembra che il carattere 倪 (“ní”), il cui significato è “giovane e debole”, fosse anche usato per un termine omofono, il cui significato è “limite”, “confine”. Una possibile traduzione sarebbe pertanto “i confini del Cielo”.
92) Letteralmente 是 不 是 然 不 然 (“shì bú shì, rán bù rán”) vale a dire “il sì non è sì”,”l’affermazione non è affermazione”. L’interpretazione più chiara mi sembra quella che fa riferimento ai princìpi della dottrina taoista: non si può mai affermare che una cosa è assolutamente ed esclusivamente tale, perchè in ogni cosa è presente, fosse pure soltanto in germe, la sua negazione.
93) Mi sono ispirato per questo passo alla traduzione di Burton Watson:” Right is not right; so is not so. If right were really right, it would differ so clearly from not right that there would be no need for argument. If so were really so, it would differ so clearly from not so that there would be no need for argument. Forget the years; forget distinctions. Leap into the boundless and make it your home!"
94) Come osserva Nicola Cusano (1401-1464), tutti gli opposti coincidono in Dio, che, essendo infinito , è al di là del principio di identità e di non contraddizione. ( “De Coniecturis”, Parte Seconda, Cap. I : “In divina etiam complicatione omnia absque differentia coincidunt”). Il ragionamento di Zhuāngzĭ si muove nella stessa linea.
Léon Wieger (“Oeuvre de Tchang-tzeu”, 1913) così traduce: «Impossible de résoudre le conflit des contradictoires, de décider laquelle est vraie laquelle est fausse. Alors plaçons nous en dehors du temps, au delà des raisonnements. Envisageons la question à l’infini, distance à laquelle tout se fond en un tout indéterminé.»
95) La “penombra” 罔 兩 (“wăng liăng”) è il sottile alone più chiaro che forma i contorni di un’ombra. Come spiega il commentatore moderno, Yán Fù 嚴 復 (1853-1921): “ La penombra che si rivolge all’ombra è una forma di “nessuno dei due”, vale a dire qualcosa che sta di mezzo tra l’oscurità dell’ombra e la chiarezza della luce”. Alcuni commentatori hanno sottolineato l’ironia della situazione descritta da Zhuāngzĭ. Infatti la critica alla mancanza di autonomia dell’ombra proviene da un soggetto che dipende dall’ombra e che dispone quindi, manifestamente, di un margine di libera determinazione ancora più ristretto.
96) Il termine 特 操 (“tè cāo), composto dai caratteri 特 (“unico””distinto”) e 操(“cāo” “condotta”), indica l’agire libero da condizionamenti altrui. 無 特 操 (“wú tè cāo”) è dunque l’espressione che designa la mancanza di un comportamento autonomo.
97) Di fronte alla domanda semplicistica della penombra, l’ombra risponde, a sua volta, con una serie di domande che mettono in evidenza l’impossibilità per l’uomo di determinarsi autonomamente. Ogni azione è provocata da una causa che a sua volta è provocata da un’altra causa e così via, secondo una catena che si prolunga all’infinito e che l’uomo non è in grado né di conoscere né tanto meno di controllare. Il saggio non presume quindi di agire secondo la propria volontà, ma si sottomette spontaneamente alle leggi della natura.
98) 莊 周 Zhuāng Zhōu è il nome personale del filosofo. Il nome Zhuāng Zĭ 莊 子 con cui è meglio conosciuto significa semplicemente il “Maestro Zhuāng”.
99) Il secondo capitolo del Zhuāngzĭ si chiude con la famosa storiella della farfalla, che in un certo modo riassume quanto è stato detto nel corso del capitolo. Ricordiamo , a questo proposito, che la continua trasformazione dell’universo, e quindi di tutti gli esseri, è uno dei princìpi fondamentali della dottrina taoista.
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