Capitolo 6
Dŏng Zhuó brucia il palazzo imperiale e mostra così la sua ferocia.
Sūn Jiān nasconde il sigillo imperiale e giura poi falsamente di non esserne in possesso.
I. Zhāng Fēi galoppò a spron battuto verso il valico, dove fu accolto da una grandinata di frecce e di sassi che lo costrinse a retrocedere.
Gli otto generali organizzarono un banchetto in onore dell’impresa di Xuándé, Guān e Zhāng ed inviarono un messaggero all’accampamento di Yuán Shào per informarlo della vittoria.
Il comandante in capo ordinò allora a Sūn Jiān di passare a sua volta all’offensiva.
Sūn prese con sé Huáng Gài e Chéng Pŭ ed andò a trovare Yuán Shù nel suo accampamento. Scrivendo qualcosa nel fango con una canna, Sūn disse a Shù: “Io non sono mai stato un nemico personale di Dōng Zhuó, eppure ho rischiato la vita per combattere contro di lui, mi sono gettato in mezzo alle frecce ed alle pietre, mi sono avventurato in una lotta per la vita e per la morte. È vero che l’ho fatto in primo luogo per liberare il Paese da una banda di furfanti, ma, a titolo personale, l’ho fatto anche per lealtà verso la vostra famiglia. Ora, vengo a sapere che tu hai dato ascolto a chi mi calunniava e non hai rifornito di viveri le mie truppe, provocando così la mia sconfitta: Come hai potuto farmi una cosa del genere?”.
II. Shù fu talmente spaventato da questo rimprovero che rimase senza parole e, per calmare Jiān, diede subito ordine di giustiziare chi lo aveva mal consigliato.
All’improvviso fu riferito a Jiān che uno dei generali le cui forze presidiavano il valico si era presentato
all’accampamento e desiderava vederlo.
Jiān si congedò da Yuán Shù e ritornò al proprio accampamento.
Risultò che il visitatore era Lĭ Jué, uno dei generali più stimati di Dōng Zhuó.
Jiān gli domandò quali fossero le ragioni della sua visita.
“Tu sei l’unico fra tutti i generali insorti per cui il Gran Cancelliere abbia stima.” gli rispose Lĭ Jué ”. Mi ha
inviato a te con il preciso incarico di proporti un’alleanza matrimoniale: sua figlia potrebbe essere data in moglie a tuo figlio”.
Jiān si sentì offeso da questa proposta e rispose con durezza: “Dŏng Zhuó ha deliberatamente violato i principi della giustizia celeste esautorando la famiglia imperiale. Io intendo restaurare la legittimità nel Paese sterminando lui e tutta la sua stirpe. Perché mai dovrei imparentarmi con un traditore? Sparisci immediatamente, se non vuoi che t’uccida. L’unica cosa buona che potresti fare sarebbe cedermi subito il controllo del valico. In questo modo ti salveresti la vita. Altrimenti, ti farò a pezzi.”
III. Lĭ Jué si affrettò ad andarsene e, ritornato da Dōng Zhuó, gli riferì che Sūn Jiān lo aveva cacciato via con male parole.
Zhuó si adirò e convocò subito il suo consigliere Lĭ Rú, il quale cominciò a dire: “La recente sconfitta del marchese di Wén ha demoralizzato le nostre truppe. Sarebbe meglio, in un primo momento, ripiegare su Luòyáng e, successivamente, trasferire l’imperatore a Cháng’Ān, come dice la filastrocca che i bambini della capitale si sono messi a cantare in questi giorni: ‘Un Hàn a ponente, un Hàn a levante. Se il cervo scappa a
Cháng’Ān, non ci saran più problemi”. Riflettendo su questa filastrocca, ho capito che “un Hàn a ponente” significa i dodici imperatori che si sono succeduti nella capitale occidentale, Cháng’Ān, a partire dal fondatore della dinastia, Gāozŭ , mentre ‘un Hàn a levante’ significa i dodici imperatori che hanno vissuto fino ad oggi nella capitale orientale,Luòyáng, a partire da Guāngwŭ. Ora il ciclo s’è compiuto. Per poter vivere tranquillo, il Gran Cancelliere deve tornare con l’imperatore a Cháng’Ān”.
Dŏng Zhuó approvò con entusiasmo il suggerimento: “Se tu non me ne avessi parlato,non ci avrei proprio pensato”. Poi ritornò in gran fretta a Luòyáng, con Lǚ Bù , per preparare il trasferimento della capitale.
Convocati a Corte i ministri e gli alti funzionari civili e militari, Dŏng Zhuó disse loro: “Luòyáng è stata la capitale della dinastia Hàn per oltre duecento anni, ma ormai il suo ciclo si è compiuto. Mi sembra che Cháng’Ān sia ora più adatta a svolgere le funzioni di capitale. Prenderò le disposizioni necessarie per portare la capitale ad ovest. Voi tutti preparatevi a trasferirvi”.
IV. Il primo ministro Yáng Biāo obiettò: “ La piana del Guānzhōng è da lungo tempo abbandonata e trascurata. Se ora ci allontanassimo senza una valida ragione dai templi ancestrali e dai mausolei imperiali, temo che il popolo si allarmerebbe. Allarmare la gente è estremamente facile; è calmarla in seguito che è difficile. Spero che il Gran Cancelliere rifletta a questo riguardo”.
Zhuó domandò irritato: “ Vi state forse opponendo alla politica di largo respiro che io ho elaborato per il bene del Paese?”.
Intervenne allora Huáng Wăn, il comandante in capo dell’esercito: “ Le osservazioni del primo ministro Yáng
sono corrette. Cháng’Ān fu incendiata e completamente rasa al suolo al tempo dell’insurrezione di Gēngshĭ
(1) e dei Chìméi (2) contro Wáng Măng. Per di più, i suoi abitanti l’abbandonarono e non vi rimasero che poche
centinaia di persone. Che senso avrebbe, ora, lasciare il palazzo imperiale e trasferirci in mezzo alle rovine?”.
Zhuó gli rispose: “L’insurrezione divampa ad oriente dei valichi e l’impero è in subbuglio. Cháng’Ān è protetta dal passo di Hángŭ e dal monte Xiáo, dal quale si possono ricavare legno, pietre ed altri materiali da costruzione in abbondanza. Se fissiamo una data, la cosa è fattibile. Non occorrerà più di un mese per edificare un nuovo palazzo. Perciò, voi e gli altri, smettetela di dire sciocchezze”.
Il ministro Xùn Shuăng si permise ancora di osservare: “Eccellenza, la vostra decisione susciterà inquietudine ed agitazione tra i cittadini”, ma Zhuó tagliò corto, molto seccato: “La mia politica persegue il bene dell’Impero. Perché dovrei preoccuparmi delle vostre obiezioni di piccoli burocrati?”.
Lo stesso giorno Yáng Biāo, Huáng Wăn e Xùn Shuăng furono destituiti e privati di ogni carica pubblica.
V. Zhuó uscì dalla sala di riunione e stava salendo sulla sua carrozza, quando due uomini si avvicinarono e lo salutarono. Erano il segretario di Stato Zhōu Bì ed il capitano Wŭ Qióng, che comandava la guardia alle porte della città. Zhu ó domandò loro che cosa volessero.
Bì rispose: “Abbiamo appena sentito che intendete trasferire la capitale a Cháng’Ān e siamo venuti a cercare di dissuadervene”.
Zhuó esclamò con rabbia: “Ho sempre saputo che voi due eravate grandi amici di Yuán Shào . Ora che Yuán Shào si è ribellato, i suoi amici ne seguiranno la sorte” ed ordinò ai suoi soldati di portarli fuori dalla città e di giustiziarli. Poi diede disposizioni perché già il giorno seguente si provvedesse al trasferimento della capitale.
Lĭ Rú osservò: “Le risorse finanziarie cominciamo a mancarci, ma Luòyáng è piena di gente molto ricca. Compiliamo delle liste di tutti i benestanti in modo da avere una base per eventuali confische. Ci basterebbe giustiziare tutti i simpatizzanti di Yuán Shào e confiscare i loro beni per incamerare con certezza ingenti somme di denaro”.
VI. Zhuó inviò cinquemila cavalieri pesantemente armati ad arrestare i ricchi in tutti i quartieri di Luòyáng. Molte migliaia di persone furono rastrellate e radunate sotto bandiere sulle quali era scritto a caratteri cubitali: “Traditori e collaboratori dei ribelli”. I prigionieri furono condotti tutti fuori della città e giustiziati. Tutti i loro beni furono confiscati.
Lĭ Jué e Guō Sì costrinsero poi la maggior parte della popolazione di Luòyáng ad abbandonare la città ed a
dirigersi verso Cháng’Ān. Tra i gruppi di cittadini costretti a mettersi in marcia furono interposti drappelli di soldati che spingevano coloro che li precedevano e tiravano coloro che li seguivano. Un gran numero di persone morirono stremate nei fossi ai margini della strada. I soldati abusavano delle donne, senza che nessuno ponesse un freno alla loro licenza, e rubavano le provviste. Le urla ed i pianti scuotevano il cielo e la terra. Chiudevano il triste corteo tremila soldati pronti a spingere avanti con le spade sguainate i ritardatari e ad uccidere sul posto chi non aveva più la forza di proseguire.
VII. Sul punto di partire, Zhuó ordinò di appiccare il fuoco alla città. Non dovevano essere incendiate soltanto le case dei comuni cittadini, ma si doveva dar fuoco anche ai templi ancestrali, alle residenze imperiali ed ai
palazzi del governo.
Un fiume ininterrotto di fiamme scorreva tra i palazzi del nord e quelli del sud. Luòyáng e tutti i suoi superbi edifici furono ridotti in cenere.
Lǚ Bù fu inviato a saccheggiare i mausolei imperiali per impadronirsi degli oggetti preziosi che erano stati
sepolti con i defunti imperatori e le defunte imperatrici. I soldati approfittarono dell’occasione per scavare anche nelle tombe dei dignitari e dei privati cittadini e portar via tutto ciò che vi si trovava.
Dŏng Zhuó riempì di gioielli d’oro e d’argento, di sete preziose e di altri oggetti pregiati più di mille carri e, dopo essersi impadronito dei tesori imperiali, partì per Cháng’Ān.
VIII. Quando si seppe che Dŏng Zhuó aveva abbandonato Luòyáng, il generale Zhào Cén, che presidiava in suo nome il passo di Shìsuĭ, si arrese. Le truppe di Sūn Jiān furono le prime ad occupare il valico. Xuándé, Guān
e Zhāng si impadronirono ,a loro volta, del passo di Hŭláo e tutti i comandanti vi sfilarono con le loro truppe.
IX. Mentre si affrettava verso Luòyáng, Sūn Jiān poteva vedere già di lontano le fiamme che si innalzavano fino al cielo. Nuvole di fumo nero coprivano il cielo in un raggio di cento-centocinquanta chilometri. Non si scorgevano in giro né galline né cani né alcun segno di vita.
Sūn Jiān ordinò in primo luogo alle sue truppe di darsi da fare per spegnere gli incendi, poi diede istruzioni ai suoi comandanti perché si accampassero in mezzo a quella desolazione.
Cáo Cāo andò a trovare Yuán Shào e gli disse: “Il traditore Dŏng Zhuó sta fuggendo verso ovest. È il momento buono per inseguirlo. Perché avete ordinato alle truppe di fermarsi?”.
Shào gli rispose: “I soldati sono stanchi. Temo che un’avanzata in questo momento non avrebbe molte prospettive di successo”.
“Il traditore ha bruciato il palazzo imperiale ed ha trascinato via di forza il Figlio del Cielo. Tutto il paese è in
subbuglio e nessuno sa che cosa accadrà.” insistette Cāo” In questo momento convulso una sola battaglia può decidere le sorti dell’Impero. Perché esitiamo ad attaccare? ”.
Tutti i generali gli risposero:”In questo momento non siamo in grado di avanzare rapidamente”.
Cāo perse le staffe e si mise ad urlare: “Siete soltanto dei buffoni che non capiscono niente di strategia”.
Detto questo, si mise egli stesso al comando di più di diecimila soldati ed ordinò ai suoi subordinati Xiàhóu Dūn, Xiàhóu Yuán, Cáo Rén, Cáo Hóng, Lĭ Diăn e Yuè Jìn di avanzare a marce forzate per raggiungere Dŏng Zhuó.
X. Quest’ultimo, nel frattempo, era arrivato nella regione di Xíngyáng, dove venne a salutarlo il governatore Xŭ Rŏng.
Lĭ Rú gli consigliò: “Eccellenza, ora che avete abbandonato Luòyáng, dovete impedire al nemico di inseguirvi. Dobbiamo ordinare a Xŭ Rŏng di porsi in agguato accanto ad un valico di montagna qui nei pressi di Xíngyáng. Se ci sono dei soldati lanciati al nostro inseguimento, potrà intercettarli. Io aspetterò nelle vicinanze e, quando i ribelli saranno stati bloccati, li attaccherò di sorpresa per distruggerli. Così quelli cui, più tardi, sarà ordinato di inseguirci non oseranno più farlo”.
Zhuó seguì il suggerimento e comandò inoltre a Lǚ Bù di mettersi alla retroguardia con un corpo di truppe scelte.
XI. Mentre Lǚ Bù marciava alla retroguardia, fu raggiunto dalle truppe di Cāo .
“È andata proprio come aveva previsto Lĭ Rú” esclamò Lǚ Bù , scoppiando in una grande risata, e dispose i suoi uomini in formazione di combattimento.
Cáo Cāo galoppò avanti urlando: “Briganti e traditori! Avete rapito il Figlio del Cielo ed avete cacciato i cittadini dalle loro case. Dove sperate di poter fuggire?”.
Lǚ Bù replicò: “ Voi siete solo dei vigliacchi che vi siete ribellati all’autorità legittima. Che cosa pensate di
ottenere con le sciocchezze che andate dicendo?”.
Xiàhóu Dūn mise la lancia in resta e si lanciò al galoppo contro Lǚ Bù.
Si erano appena scambiati qualche colpo quando Lĭ Jué ordinò alle sue truppe di caricare dal fianco sinistro. Cāo ordinò a Xiàhóu Yuán di contrastare l’attacco. Allora si levò un grande urlo anche dall’ala destra, da cui mossero all’attacco le truppe di Guō Sì, alle quali Cāo contrappose subito i soldati di Cáo Rén. Le truppe nemiche avanzavano da tre direzioni, con una manovra congiunta rapida ed irresistibile. Xiàhóu Dūn si rese
conto che non era in grado di sostenere un duello con Lǚ Bù e galoppò indietro verso le proprie linee. Lǚ Bù allora si mise alla testa della propria cavalleria pesante e ne guidò la carica contro le linee avversarie. I soldati di Cāo furono travolti e dovettero ripiegare in disordine verso Xíngyáng. Intorno alle dieci di sera, mentre la luce della luna illuminava il terreno come se fosse giorno, arrivarono ad uno sperduto pianoro, ai piedi di una montagna, e solo allora i resti dell’armata sconfitta cominciarono a raggrupparsi ed a cercare di riorganizzarsi.
XII. Proprio mentre stavano scavando buche per accendervi dei fuochi e far cuocere la cena, udirono urla
tutt’intorno. Erano i soldati di Xŭ Rŏng che uscivano dai loro nascondigli e venivano in massa all’attacco.
Cáo Cāo balzò sul suo cavallo e lo frustò selvaggiamente, cercando una via di scampo, ma piombò proprio su Xŭ Rŏng, così fece dietrofront e fuggì in un’altra direzione. Rŏng scoccò una freccia e riuscì a colpire Cāo ad una spalla. Cāo continuò a fuggire disperatamente, scendendo a precipizio la collina, con la freccia che gli
pendeva dalla schiena.
Due soldati, nascosti tra i cespugli, quando videro avvicinarsi il cavallo di Cāo, scagliarono insieme le loro lance. Il cavallo, trafitto, cadde e Cāo rotolò a terra. I due soldati lo afferrarono, ma, improvvisamente, piombò su di loro, al galoppo, un ufficiale con la spada sguainata, che li abbatté tutti e due. L’ufficiale smontò dal cavallo per aiutare Cáo Cāo . Era Cáo Hóng .
Cāo gli disse: “Io sono destinato a morire qui. Tu puoi ancora salvarti. Scappa subito”.
Hóng gli rispose: “ Monta subito sul mio cavallo”.
“I nemici ci sono addosso.” obbiettò Cāo “ Come te la caverai?”.
Hóng gli rispose: “Il paese può fare a meno di Hóng, ma non può fare a meno di Cāo ”.
“Se sopravvivo, sarà per merito tuo” lo ringraziò Cāo .
XIII. Dopo che Cāo fu montato a cavallo Hóng si tolse l’armatura e cominciò a camminare al suo fianco con la spada sguainata.
Nelle prime ore del mattino, si ritrovarono improvvisamente sulla riva di un ampio fiume che sbarrava loro la
strada. Alle loro spalle si udivano grida che si facevano sempre più vicine. Cāo esclamò: “La mia sorte è ormai segnata. Non riuscirò a cavarmela”. Hóng lo aiutò rapidamente a smontare da cavallo ed a spogliarsi dell’uniforme da combattimento, poi lo aiutò ad attraversare il fiume. Erano appena riusciti a raggiungere l’altra sponda quando arrivarono gli inseguitori, che li bersagliarono scagliando le loro frecce al di là dl fiume. Cāo si allontanò costeggiando il fiume. Quando si fece giorno, avevano percorso più di quindici chilometri e si fermarono a riposare ai piedi di una collinetta. Improvvisamente sentirono delle urla ed un drappello di cavalieri si precipitò su di loro. Era Xŭ Rŏng che aveva guadato il fiume a monte per inseguirli.
XIV. Proprio mentre Cāo veniva colto dal panico, apparvero Xiàhóu Dūn e Xiàhóu Yuán, che si lanciarono al gran galoppo in suo soccorso, alla testa di una decina di cavalieri, urlando a gran voce: “Xŭ Rŏng, non toccare il nostro capo”.
Xŭ Rŏng si gettò contro Xiàhóu Dūn , che mise la lancia in resta e lo affrontò. Dopo un breve scambio di colpi, Xiàhóu Dūn riuscì a colpire Xŭ Rŏng e a disarcionarlo. Poi attaccò i nemici rimasti e li costrinse alla fuga.
Subito dopo, arrivarono Cáo Rén , Lĭ Diăn e Yuè Jìn, ciascuno alla testa di un drappello di soldati. Quando scorsero Cáo Cāo , furono colti da gioia e tristezza allo stesso tempo. Riuscirono a raggruppare un po’più di 500 soldati dell’esercito sconfitto e ritornarono a Hénèi.
XIV.nParliamo ora dei generali che si erano accampati a Luòyáng.
Sūn Jiān fece spegnere gli incendi che continuavano ad ardere nella cinta della città imperiale, poi ordinò ai soldati di accamparsi all’interno delle mura ed eresse la propria tenda esattamente sulle rovine del palazzo. In seguito, egli comandò ai soldati di sgombrare i mattoni e le tegole rotte che erano sparsi tra le rovine. Furono rimessi i sigilli a tutte le tombe imperiali che erano state saccheggiate per ordine di Dŏng Zhuó e si cominciarono a costruire tre nuovi edifici sulle fondamenta del tempio ancestrale. I notabili furono invitati a risistemare le tavolette votive dei defunti imperatori ed a compiere sacrifici di buoi, pecore e maiali in loro onore. Terminati i sacrifici, i presenti si separarono e Jiān ritornò alla sua tenda.
Era una notte illuminata dalla luna e dalle stelle. Jiān si sedette sulla soglia della tenda, con la spada in mano, a contemplare la volta celeste e vide una cometa bianca passare nelle costellazioni delle Orse (3) . Sospirando, mormorò: “La stella dell’imperatore è velata.(4) I traditori hanno gettato la nazione nel caos. I cittadini sono in difficoltà e la capitale è distrutta”.
Mentre diceva queste cose, senza neppure accorgersene, cominciò a piangere.
XVI. In quel momento, un soldato gli si avvicinò e gli riferÌ: “Una brillante luce iridata emana da un pozzo nell’ala meridionale del palazzo”.
Jiān ordinò al soldato di accendere una torcia e di calarsi nel pozzo per recuperare l’oggetto luminoso.
Il soldato tirò fuori dal pozzo il cadavere di una donna. Sebbene fosse nell’acqua da molto tempo, il corpo non
s’era ancora decomposto. La donna era abbigliata come una dama di corte e portava appeso al collo un borsellino di broccato. Quando aprirono il borsellino, ci trovarono dentro una scatoletta di color purpureo, chiusa con un lucchetto d’oro. Aperta la scatoletta, trovarono al suo interno un sigillo di giada, i cui lati misuravano un po ’meno di dieci centimetri, sul quale erano incise, intersecandosi le une con le altre, le immagini di cinque draghi. Un angolo del sigillo, che si era sbrecciato, era stato riparato con una rifinitura
d’oro. Gli otto caratteri antichi scritti sul sigillo proclamavano : “Lunga vita e prosperità a chi ha ricevuto il Mandato del Cielo”.
XVII. Jiān prese in mano il sigillo, poi chiese a Chéng Pŭ di spiegargli che cosa fosse.
Chéng Pŭ gli raccontò: “Questo è il Gran Sigillo Imperiale, inciso in un pezzo di giada che fu trovato, anticamente, da Biàn Hé, sulle pendici del Monte Jīng. Il pezzo di giada era incrostato in una roccia sulla quale aveva fatto il nido una fenice. Biàn Hé prese la roccia e ne fece dono al re Wén di Chū. Spezzata la pietra, si scoprì che conteneva un pezzo di giada. Il ventiseiesimo anno di regno del re Chéng di Qín, un maestro dell’incisione su giada fu incaricato di tagliare la giada per farne un sigillo. Gli otto caratteri, in grafia antica, che figurano sul sigillo furono scritti da Lĭ Sī. Nel suo ventottesimo anno di regno il Primo Imperatore giunse al Lago Dòngtíng, durante uno dei suoi giri di ispezione nel territorio dell’impero. Ci fu una grossa tempesta e la barca su cui si trovava l’imperatore rischiò di capovolgersi. Non sapendo più a che santo votarsi, Shĭ
Huángdì fece gettare il sigillo nel lago e la tempesta si calmò. Nel suo trentaseiesimo anno di regno, il Primo Imperatore si recò a Huàyīn, nel corso di un altro dei suoi giri di ispezione. Un uomo , che teneva in mano il
sigillo, gli si fece incontro e disse ai suoi accompagnatori: “Restituite questo sigillo all’imperatore” e subito dopo sparì. L’anno successivo Shĭ Huángdì morì. Più tardi, Zĭyīng offrì il sigillo di giada a Gāozŭ , il fondatore della dinastia Hàn. Ancor più tardi, quando Wáng Măng effettuò il suo colpo di Stato, l’imperatrice vedova Xiàoyuán scagliò il sigillo in testa a Wáng Xún e Sū Xiàn, rompendone uno degli angoli, che fu riparato con una cornicetta d’oro. Guāngwŭ ricevette il sigillo a Yíyáng, ed esso è poi stato trasmesso di generazione in
generazione fino al giorno d’oggi. In occasione dei recenti disordini causati dai dieci assistenti ordinari, quando il giovane imperatore fu sequestrato e portato con la forza sul Monte Măng, il sigillo sparì e, al ritorno dell’imperatore, nessuno riuscì più a ritrovarlo. Il fatto che ora sia finito nelle mani di Vostra Eccellenza può significare una cosa sola: siete destinato ad ascendere al trono imperiale. Non possiamo trattenerci qui a lungo, ci conviene, invece, tornare nel Jiāndōng dove potremo dedicarci ad un altro progetto di largo respiro”.(4)
Jiān osservò: “Ciò che tu mi dici corrisponde esattamente a ciò che stavo pensando. Domani fingerò di essermi ammalato e ciò mi fornirà il pretesto per prendere congedo dall’esercito e tornarmene a casa.”
Alla fine della discussione, Jiān diede istruzioni confidenziali ai soldati presenti di mantenere il segreto su ciò che era successo.
XVIII. Chi avrebbe mai pensato che uno di questi soldati fosse un concittadino di Yuán Shào e che intendesse profittare dell’occasione per fare carriera?
Costui lasciò il campo di nascosto e camminò tutta la notte per andare a fare la spia a Yuán Shào, che lo ricompensò e lo arruolò discretamente tra le sue truppe.
Il giorno seguente, Sūn Jiān venne a prendere congedo da Yuán Shào.
“Mi sono ammalato.” gli disse “ Nulla di grave, per fortuna, ma preferisco tornare a Chángshā. Sono venuto a salutarti”.
Shào si mise a ridere e gli rispose: “Conosco bene la tua malattia. Non sarà mica un trucco per far sparire il Gran Sigillo Imperiale?”.
Sūn Jiān impallidì: “Di che cosa stai parlando?”.
“Noi abbiamo mobilitato i cittadini” replicò Shào ” per ristabilire l’ordine e la giustizia. Il sigillo di giada è un
bene prezioso che appartiene alla corte imperiale. Mi sembra evidente che, se tu l’hai trovato, dovresti rendere pubblica la cosa e consegnare il sigillo al tuo comandante in capo. Una volta ucciso Dŏng Zhuó, restituiremo ufficialmente il sigillo all’imperatore. Per quale ragione stai cercando di nasconderlo e di
allontanarti alla chetichella?”.
“Che cosa mai ti fa pensare che io abbia il sigillo?” domandò Jiān.
“Dov’è l’oggetto che hai tirato fuori dal pozzo del palazzo?”ribatté Shào .
“Non ho il sigillo.” disse Jiān “ Perché continui ad insistere?”.
“Consegnalo subito “ gli intimò Shào ” e ti risparmierai grossi dispiaceri”.
Jiān alzò le mani al cielo e giurò solennemente: “Se io sono in possesso di questo tesoro e lo nascondo, che io
possa morire di mala morte, di spada e di freccia”.
Tutti i presenti furono persuasi della sua sincerità: “ Se Wéntái ha fatto questo giuramento, ciò vuol dire che di sicuro non ha il sigillo”.
Allora Shào ordinò al soldato di farsi avanti e gli domandò: “Quando avete tirato fuori le cose dal pozzo, non era presente anche quest’uomo?”.
Jiān si infuriò e, sguainata la spada, fece per gettarsi sul soldato, ma anche Shào estrasse la spada, urlando: “Se tu lo uccidi, considererò il tuo atto come un attacco contro di me”.
Gli aiutanti di campo di Shào, Yán Liáng e Wén Chŏu, sguainarono le loro spade, subito imitati da Chéng Pŭ,
Huán Gài e Hán Dăng, che scortavano Jiān, ma tutti gli altri comandanti si interposero e supplicarono i contendenti di calmarsi.
Jiān balzò subito a cavallo, fece smontare l’accampamento, uscì da Luòyáng e se ne andò.
Shào , infuriato, scrisse una lettera che consegnò ad un messaggero fidato con l’incarico di recapitarla
urgentemente al governatore della provincia di Jīngzhōu , Liú Biăo. La lettera recava l’ordine di intercettare Jiān per strada e di arrestarlo.
XIX. Il giorno seguente, si venne a sapere che Cáo Cāo aveva inseguito le truppe di Dŏng Zhuó e le aveva affrontate a Xíngyáng, ma era stato duramente sconfitto ed ora stava tornando indietro.
Shào ordinò ai suoi uomini di andare incontro ai soldati di Cāo e di accompagnarli nell’accampamento. Da parte sua, organizzò un banchetto, a cui invitò tutti i comandanti, per onorare Cāo e consolarlo.
Durante il banchetto, Cāo disse sospirando: “Il mio primo movente è sempre stato il desiderio di restaurare la legalità e di liberare il Paese dai disonesti, desiderio che è condiviso da tutti voi e che ha spinto anche voi ad agire. Il mio piano iniziale era quello di convincere Bĕnchū ad occupare ,con le forze del Hénèi, Mèngjīn e Suānzăo, mentre gli altri comandanti avrebbero dovuto ,rispettivamente, difendere Chénggāo, impadronirsi dei depositi di grano, bloccare i passi di Huànyuán e di Dàgŭ, rafforzando così le nostre posizioni. Gōnglù,
a sua volta, avrebbe dovuto assumere il comando del contingente di Nányáng, occupare Dānshuĭ e Xī e poi avanzare, attraverso il passo di Wŭ, minacciando la regione di Cháng’Ān. Nessuno avrebbe dovuto, a questo punto, attaccare concretamente battaglia, ma, accampandoci ciascuno in posizione strategica e fingendo di essere pronti ad attaccare dappertutto, avremmo disorientato il nemico e ne avremmo bloccato le mosse, riservandoci la possibilità di colpirlo dove ci conveniva di più. Vedo invece che ora, con gran delusione di tutti, esitiamo e non avanziamo. Confesso che ne provo vergogna per tutti noi.”
Shào e gli altri presenti non seppero che cosa rispondergli.
XX. Quando si separarono, Cāo aveva ormai compreso che Shào e gli altri comandanti non erano più animati dallo stesso slancio di prima. Perciò, convinto che l’alleanza non fosse più in grado di conseguire la vittoria, prese con sé le sue truppe e ritornò a Yángzhōu
Gōngsūn Zàn disse a Xuándé, Guān e Zhāng: “Yuán Shào non è capace di comandare. Alla lunga, smetteranno tutti di obbedirgli. Ci conviene tornare a casa anche noi”.
Levarono il campo e si diressero verso il nord. Raggiunta Píngyuán, Xuándé fu nominato governatore della città, con l’incarico di difendere la regione e di arruolare truppe.
Il governatore di Yánzhōu, Liú Dài, chiese al governatore del distretto di Dōng, Qiáo Mào di rifornirlo di vettovaglie. Mào respinse la richiesta ed allora Dài attaccò improvvisamente l’accampamento di Mào, uccise quest’ultimo e costrinse i suoi soldati ad arrendersi.
Quando Yuán Shào vide che tutti se ne stavano andando, ordinò alle sue truppe di levare il campo e di abbandonare Luòyáng per dirigersi ad est del passo di Hángŭ.
XX. Parliamo ora di Liú Biăo, governatore di Jīngzhōu, che era originario del distretto di Gāopíng nel Shānyāng. Liú Biăo, il cui nome di cortesia era Jĭngshēng, discendeva dalla dinastia regnante. S’era fatto molti amici fin da giovane ed era in stretti rapporti con sette note personalità: Chén Xiáng, detto Zhōnglín, di Rŭ’nán; Fàng Pāng, detto Mèngbó, del suo stesso distretto; Kōng Yù, detto Shìyuán, del regno di Lŭ; Fàn Kāng detto Zhōngzhēn, di Bóhăi; Tán Fū, detto Wényŏu, di Shānyáng; Zhāng Jiăn, detto Yuánjié, del suo stesso distretto; Cén Zhì, detto Gōngxiào, di Nányáng, con i quali aveva formato un gruppo conosciuto come: “Le otto personalità di Jiāngxià”.
Oltre ad essere amico di questi sette personaggi, Liú Biăo aveva anche come consiglieri Kuăi Liáng e Kuăi
Yuè, entrambi di Zhōnglú, e Cài Mào di Xiānyáng.
Dopo aver ricevuto la lettera di Shào , Biăo ordinò a Kuăi Yuè e a Cài Mào di prendere con sé diecimila uomini e di mettersi alla ricerca di Sūn Jiān. .
XXII. Le truppe di Jiān erano appena arrivate nella zona, quando si videro sbarrare la strada dai soldati di Kuăi
Yuè, schierati in formazione di battaglia.
Kuăi Yuè cavalcava dinanzi alle proprie truppe e Sūn gli domandò: “ Perché siete venuto a sbarrarmi la strada con dei soldati, Kuăi Yìdù?”.
“Come può un funzionario imperiale appropriarsi di un prezioso sigillo che è bene pubblico?” ribattè Kuăi
Yuè “ Se me lo restituite immediatamente, vi lascerò andare avanti”.
Jiān, infuriato, ordinò a Huán Gài di attaccare Cài Mào, che, brandendo la spada, si preparò a difendersi. Dopo uno scambio di colpi, Huán Gài riuscì a toccare Mào con la sua frusta ad anelli di ferro proprio sulla corazza che gli proteggeva il petto e Mào, voltato il cavallo, si diede alla fuga, mentre Sūn Jiān coglieva l’occasione per sfondare le linee avversarie.
Si udì intanto da dietro una collina un rullo di tamburi e comparve Liú Biăo, che guidava personalmente un distaccamento di truppe.
Sūn Jiān , a cavallo, lo salutò e gli chiese: “Jĭngshēng, perché prestate fiducia alle parole di Yuán Shào ed usate la forza contro il governatore di un distretto limitrofo al vostro?”.
“Perché vi siete impadronito del Gran Sigillo Imperiale?” gli domandò a sua volta Biăo “Contate forse di ribellarvi all’autorità costituita?”.
“Che io possa morire ammazzato se sono in possesso di quel sigillo” gli rispose Jiān.
“Se siete in buona fede” replicò Biăo “che cosa vi costerebbe lasciar perquisire i vostri bagagli?”.
Jiān ribattè con rabbia: “Chi credete di essere per osare trattarmi in questo modo?”
I due eserciti stavano per affrontarsi, quando Liú Biăo si diede alla fuga.
Sūn Jiān lo inseguì al gran galoppo, ma, improvvisamente, da dietro due colline, sbùcarono tutti insieme i soldati di Kuăi Yuè e di Cài Mào, che si erano nascosti in un’imboscata, e Sūn Jiān si ritrovò circondato.
È proprio il caso di dire:”A che cosa serviva impadronirsi del sigillo di giada?. Eppure era proprio per questo che stavano combattendo”.
Come fece Sūn Jiān a tirarsi fuori dai guai? Continuate a leggere e lo saprete.
NOTE
1) Gēngshĭ 更 始 è il nome con cui è ricordato Liú Xuán 劉 玄, proclamato imperatore nel 23 d.C. da alcuni di coloro che si erano rivoltati contro l’usurpatore Wáng Măng 王 莽 ed ucciso nel 25 d.C. dai ribelli Chìméi 赤 眉
2) I Chìméi erano contadini ribelli, la cui sollevazione contribuì alla caduta dell’usurpatore Wáng Măng.
In seguito uccisero l’imperatore Gēngshĭ, ma dovettero arrendersi a Guāngwŭ 光武, che perdonò i loro capi.
3) Nell’astronomia cinese le costellazioni intorno al Polo Nord formavano un insieme chiamato “Il Palazzo di
Porpora Proibito” (“Zĭwéi Yuán“ 紫 微 垣). L’astrologia traeva dai fenomeni astronomici che si verificavano in questo settore, equiparato al Palazzo Imperiale, predizioni sul destino dell’Imperatore e dell’Impero.
4) La seconda stella dell’Orsa Minore (“Bĕi Jí Ér “北 極 二), conosciuta nell’astronomia occidentale come Kochab o Beta Ursae Minoris, era legata, nell’astrologia cinese, alla figura dell’Imperatore. Il suo offuscamento era presagio di sventura per il sovrano.
5) Il Gran Sigillo Imperiale fu scolpito, nel 221 a.C., in un blocco di giada che si diceva essere stato scoperto ai tempi del re Wén 文di Chū 楚 (prima metà del VII° secolo a.C.)
L’iscrizione augurale su di esso riportata fu scritta da Lĭ Sī 李 斯 , primo ministro di Qín Shĭ Huáng Dì 秦 始 皇 帝. Nel 206 a.C.il sigillo fu ceduto da Zĭyīng 子嬰 , ultimo imperatore della dinastia Qín a Liú Bāng 劉 邦, il fondatore della dinastia Hàn. Fu danneggiato nel 9 a.C., quando l’imperatrice Xiàoyuán 孝 元 lo gettò in testa agli emissari dell’usurpatore Wáng Măng, che ne esigevano la consegna.
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