LŬ XÙN
LA VERA STORIA DI Ā Q
Capitolo primo
Prefazione
È già da qualche anno che ero fermamente intenzionato a scrivere la vita di Ā Q. Ma, pur volendo farlo, ero trattenuto dal pensiero che, scrivendo questa storia, avrei dimostrato di non essere un grande scrittore. Fin dall’antichità infatti le migliori penne si sono sempre esercitate nelle biografie degli uomini illustri, giacché il grand’uomo continua a vivere nell’opera che ne parla e l’opera vive attraverso le gesta del suo eroe, ed alla fine non si sa più se è il personaggio che ha reso famosa l’opera o viceversa. Eppure io, a poco a poco, irresistibilmente, ritornavo di continuo , come ossessionato da un incubo, all’idea di scrivere la storia di Ā Q. Tuttavia, accingendomi ad iniziare quest’opera, che non sarà mai un
capolavoro, non appena ho preso in mano la penna, mi sono reso conto delle innumerevoli difficoltà da affrontare.
Il primo problema era quello del titolo. Dice Confucio:”Se non si chiamano le cose con il loro nome le parole risultano inefficaci” (2), e questa è una massima di cui si dovrebbe sempre tener conto. Ci sono diversi tipi di titoli per un’opera di questo genere: “biografia “, “autobiografia”, “vita esemplare”, “vita romanzata”, “contributi biografici”, “memorie familiari.”, “episodi della vita” di una persona.
Una “biografia ”? Di sicuro, questo scritto non figurerà mai accanto alle biografie dei molti uomini illustri nei libri di storia.
Un’”autobiografia”? È chiaro che io non sono Ā Q.
Se dico che è una” vita romanzata”, quale opera ci ha mai tramandato i fatti reali da cui avrei tratto ispirazione?
Non posso neppure parlare di “vita esemplare” perché Ā Q non si distingueva affatto per mirabili virtù.
“Contributi alla biografia di Ā Q?”. A dire il vero nessun Presidente ha finora ordinato all’Istituto Storico Nazionale (3) di compilare una “vita”di Ā Q, che possa essere integrata con tali contributi. Certo, Dickens si è permesso di scrivere “La vita di un giocatore d’azzardo” anche se nella storia inglese non ci sono biografie di autentici giocatori d’azzardo, ma ciò che è lecito ad uno scrittore celebre, non è consentito ad uno scrittorucolo come me. (4)
Restano ancora le “memorie familiari”, ma io non sono assolutamente in grado di dire se ho qualche antenato in comune con Ā Q né i suoi parenti mi hanno mai incaricato di scriverne la vita.
Forse potrei limitarmi al titolo “Episodi della vita di Ā Q”, ma allora mi si potrebbe di nuovo obiettare che non ha senso soffermarsi su episodi della vita di un personaggio di cui nessuno ha mai scritto la biografia.
Per farla breve, questo mio lavoro è effettivamente una“vita”, ma poiché si tratta di un testo volgare in quanto, per scriverlo, ho utilizzato la lingua dei carrettieri e di altra gente di quella risma, non ho osato usurpare un così nobile titolo (5). Piuttosto, riferendomi a quei romanzieri un po’alla buona, che non facevano parte né delle Tre Dottrine né delle Nove Scuole (6), i quali avevano l’abitudine di scrivere: “Ora basta con le digressioni, torniamo alla vera storia”, ho preso le due ultime parole di questa frase “(La) vera storia” e ne ho fatto il titolo del mio lavoro. E se questo titolo richiama “La Vera Storia della Calligrafia” (7) scritta dagli Antichi, mi dispiace tanto, ma non posso proprio farci niente.
La seconda difficoltà era che una biografia dovrebbe, per tradizione, cominciare con le cooordinate dell’interessato, secondo il modello seguente: “X X, il cui nome di cortesia era Y, cittadino di Z...”, mentre io non sapevo nemmeno quale fosse il cognome di Ā Q.
Un giorno la gente credette che il suo cognome fosse Zhào, ma già il giorno seguente nessuno ne era più sicuro. Era infatti accaduto che il figlio del signor Zhào aveva superato l’esame distrettuale per l’accesso alla funzione pubblica. La notizia era stata diffusa per il borgo al rullo dei tamburi ed Ā Q, che aveva appena scolato un paio di bicchierini, aveva cominciato a vantarsi dicendo che anche a lui ne veniva un grande onore per ragioni di parentela giacché aveva un antenato in comune con il bisnonno paterno del festeggiato ed anzi, se si calcolava esattamente il numero delle generazioni a partire da questo antenato, lo stesso Ā Q risultava, nell’ambito del clanfamiliare, più anziano del festeggiato di ben tre generazioni. In quell’occasione alcuni degli ascoltatori avevano addirittura già cominciato a provare un certo rispetto nei suoi confronti.
Ma ecco che il giorno dopo una guardia municipale trascinò Ā Q a casa del vecchio signor Zhào il quale, guardandolo con un volto paonazzo di rabbia, lo apostrofò: “ Ā Q, miserabile canaglia, come osi sostenere che noi siamo tuoi parenti?”.
Ā Q non aprì bocca.
Il vecchio Zhào, più lo guardava, più si sentiva crescere la rabbia in corpo. Fece alcuni passi verso di lui, sibilando con atteggiamento minaccioso: “Come hai avuto il coraggio di raccontare una simile sciocchezza? Ti pare possibile che io abbia dei parenti come te? Ti chiami forse Zhào?”.
Ā Q continuava a tacere, pensando solo a come squagliarsela, allorché il vecchio Zhào fece un balzo in avanti e gli appioppò un ceffone, urlando: “ Ma quando mai potresti chiamarti Zhào?! Uno della tua risma chiamarsi Zhào?!”.(8)
Ā Q non fece alcun tentativo di difendere un suo eventuale diritto di chiamarsi Zhào, ma si limitò a massaggiarsi con una mano la guancia indolenzita, mentre la guardia municipale lo accompagnava fuori.
Appena fuori, si prese ancora una bella ramanzina da parte della guardia municipale, che gli fece anche sborsare duecento soldi per il proprio intervento.
Tutti coloro che sentirono parlare di questo fatto dissero che Ā Q era stato
veramente stupido nell’andarsi a cercare lui stesso gli schiaffi. Era infatti
altamente improbabile che il suo cognome fosse Zhào, ma, anche se lo fosse stato, Ā Q avrebbe comunque fatto meglio ad evitare di vantarsi in modo tanto sciocco di una parentela con una famiglia così importante del
villaggio.
Dopo di ciò nessuno s’è mai più occupato delle origini familiari di Ā Q ed è questo il motivo per cui, in conclusione, non so ancora adesso quale fosse il suo cognome.
Il terzo problema era che ignoravo come si scrivesse il nome di Ā Q. (9)
Quand’era vivo tutti lo chiamavano Ā Quèi (10), ma, da quand’è morto, non c’è più uno che pronunci ancora il suo nome, e non si può nemmeno immaginare di veder scritto questo nome “ sulle tavolette di bambù o sui rotoli di seta”. (11) Per questo motivo il mio saggio, che intendeva riportare la prima volta per iscritto il suddetto nome, era anche il primo
a dover affrontare il difficile compito di scoprire come si scrivesse.
Ho riflettuto attentamente sulla questione: Ā Quèi va scritto con l’ideogramma di “cassia” o con quello di “nobile”? (12)
Se Ā Quèi si fosse fatto chiamare Yuètíng o se avesse festeggiato il suo compleanno nel mese in cui cade la Festa della Luna, non c’è dubbio che si sarebbe dovuto usare il carattere “cassia” (13). Ma visto che non aveva un
nome di cortesia o che, anche se lo aveva, nessuno lo conosceva, e visto che non distribuiva mai inviti di compleanno, ai quali la gente risponde abitualmente con versi augurali, scriverne il nome con il carattere “cassia” sarebbe assolutamente arbitrario. Allo stesso modo, se per caso avesse avuto un fratello maggiore o minore chiamato Ā Fù (14), il suo nome sarebbe certamente stato scritto con il carattere che significa “nobile”, "onorato”. Ma, disgraziatamente, non aveva fratelli. Scrivere Ā Quèi con il carattere che significa “nobile” sarebbe dunque altrettanto arbitrario.
I rimanenti caratteri che corrispondono alla pronuncia “quèi”, rari ed inusuali, mi sembrano improbabili.
Ho anche sottoposto la questione al figlio del signor Zhào, il brillante letterato che ha superato l’esame distrettuale, ma nemmeno lui è stato in grado di rispondermi. Mi ha però confidato che, a suo parere, se non si
riesce a risolvere il problema, la colpa è di Chén Dúxiù (15), il quale, con la sua rivista “La Gioventù Moderna” (16), propugna l'adozione dell'alfabeto latino (17) e sta mandando a ramengo l'autentica e genuina cultura nazionale.
Allo stremo delle risorse, non mi è rimasto altro da fare che pregare una persona che risiede nello stesso distretto in cui abitava Ā Quèi di consultare gli atti del suo processo (18), ma, dopo circa otto mesi, ho ricevuto in risposta una lettera con cui mi si riferiva che negli archivi giudiziari non si trovava traccia di alcun nome nemmeno lontanamente simile. Ora, può darsi che la persona a cui mi ero rivolto non abbia cercato con molto impegno, ma questa era l'ultima possibilità di trovare come si scrivesse il nome Ā Quèi.
Siccome temo che il nuovo sistema di scrittura fonetica cinese (19) non sia ancora molto diffuso, non mi resta che utilizzare le lettere dell'alfabeto latino. Seguendo la pronuncia inglese, la grafia del nome dovrebbe essere, se non erro "Quèi". Perciò ho deciso di rendere approssimativamente il nome del mio personaggio con il carattere "Ā" e con la lettera latina "Q". (20)
Ciò equivale in sostanza a seguire ciecamente i dettami della rivista “La Gioventù Moderna” e me ne vergogno moltissimo, ma, se nemmeno un fine letterato è riuscito a trovare una soluzione al problema, che cos’altro avrei potuto fare io?
Il quarto ostacolo era scovare il luogo di nascita di Ā Quèi. Se il suo cognome fosse realmente stato Zhào, allora, sulla base delle chiare note esplicative al “Băi Jiā Xìng” (21), le quali ricollegano con precisione ogni cognome ivi riportato al distretto d’origine della famiglia, si sarebbe saputo che era originario di “ Tiānshuĭ presso Lŏngxī ”nella regione del Gānsù, ma purtroppo non ci si può fondare su questo cognome e di conseguenza non si può neppure stabilire il luogo d’origine del nostro eroe. Sebbene egli sia vissuto a lungo a Wèizhuāng (22), ha però abitato molto di frequente anche in altri luoghi, cosicché non si potrebbe dire che era “di Wèizhuāng”. Si potrebbe certo dire che era “anche di Wèizhuāng”, ma allora si violerebbe uno dei canoni stilistici delle biografie.
Ciò che mi conforta un pochino è che il carattere “Ā” è assolutamente corretto ed incontestabile. Esso non si appoggia in alcun modo su congetture fallaci ed è in grado di superare perfettamente l’esame degli esperti. (23)
Per quanto riguarda le altre questioni, non è certo un individuo di modesta cultura come me che sarà capace di risolverle, ma spero che i discepoli di “un uomo appassionato della storia e delle antichità” come il signor Hú ShÌ (24) possano trovare una quantità di nuovi filoni di ricerca tali da portare a conclusioni definitive.
Quanto sopra valga come prefazione.
NOTE
(1) "La vera storia di Ā Q" ( 阿Q 正傳 "Ā Q Zhèngzhuàn") di Lŭ Xún 魯 迅 (1881-1936) nacque come una serie di scenette satiriche pubblicate, a scadenze settimanali o quindicinali, sul giornale "Chénbào Fùkān" (晨 報 附 刊 "Supplemento del mattino") di Pechino dal 4 dicembre 1921 al 12 febbraio 1922. Solo più tardi, nel 1923, essa fu rielaborata sotto forma di racconto breve e pubblicata nel volume di racconti "Nàhăn"( 吶 喊 "Il grido di battaglia").
(2) Dai "Dialoghi di Confucio" ("Lún Yŭ 論 語, XIII.3"). Ecco una traduzione libera in linguaggio moderno del dialogo tra il Maestro ed il suo discepolo Zĭlù:
Zĭlù domandò: "Maestro, se il re di Wèi vi chiedesse consiglio sul governo dello Stato, da che cosa comincereste?".
Il Maestro rispose: "Dalla corretta terminologia".
Zĭlù si stupì: "Davvero? È proprio così importante?".
Il Maestro gli spiegò: " Sei veramente un sempliciotto, Zĭlù. I funzionari tendono a non eseguire gli ordini che non capiscono. Quindi, se il linguaggio degli ordini è nebuloso, gli ordini non vengono eseguiti. Se gli ordini non vengono eseguiti, l'amministrazione non funziona. Se l'amministrazione non funziona, i procedimenti non sono portati a termine. Se i procedimenti non sono portati a termine, i reati non vengono puniti. Se i reati non vengono puniti, il popolo è confuso e il paese cade nel disordine. Perciò occorre che la terminologia sia corretta affinché ciò che viene ordinato possa essere eseguito. Il linguaggio dell'amministrazione deve essere preciso ed esatto".
(3) Negli anni della dinastia Qíng 清 朝 esisteva un'Accademia di Storia Nazionale ( 國 史 館 "Guò Shĭ Guăn"), alla quale l'imperatore poteva, con proprio decreto, affidare l'incarico di redigere la biografia di un personaggio illustre. L'uso si mantenne anche sotto il governo repubblicato nato dalla rivoluzione del 1911.
(4) In una lettera a Wéi Sùyuán 韋 素 園 dell'8 luglio 1926 Lŭ Xún ammette: " 'La vita di un giocatore d'azzardo' ( 博 徒 別 傳 'Bótú Biézhuàn' ) è il titolo dato alla traduzione cinese del romanzo di Conan Doyle 'Rodney Stone'. Nel mio racconto 'La Vera Storia di Ā Q' ho scritto che era di Dickens, ma mi sono sbagliato".Il romanzo di Conan Doyle era stato volto in cinese da Lín
Qínnán 林 琴 南 , pseudonimo di Lín Shū 林 紓 (1852-1924), traduttore di numerosi romanzi occidentali.
(5) Lŭ Xún polemizza qui contro coloro che lo accusavano di usare nei suoi racconti il linguaggio popolare ( 白 話 ) “báihuà” anziché la lingua letteraria ( 古 文) “gŭ wén“.
(6) L'espressione "Tre Dottrine e Nove Scuole" (Sān Dào Jiŭ Jiā (o Jiŭ Liú) 三 道 九 家 (流) compendia, per così dire, i "generi
letterari" riconosciuti nell'antica Cina, distinguendo fra argomenti religiosi e morali, da una parte, ed argomenti di carattere filosofico, politico, sociale, etc., dall'altra.
Le "Tre Dottrine" sono evidentemente il Confucianesimo, il Taoismo ed il Buddismo. Il termine "Scuole" si riferisce invece alle numerose scuole di pensiero sorte in Cina nel periodo anteriore all'unificazione del paese da parte di Shĭ Huáng Dì.
Il "Tàishĭgōng Zìxù" ( 太 史 公 自 序 "Autobiografia del Grande Storico"), ultimo capitolo delle "Shĭjì" ( 史 記 "Memorie Storiche") di Sīmă Qiān 司 馬 遷, opera compilata tra il 109 a.C. ed il 91 a.C., elenca sei scuole: Confucianisti, Taoisti, Legalisti (Scuola della Legge), Naturalisti (Scuola dello Yīn-Yáng), Moisti e Cultori della Logica (Scuola dei Nomi). Lo "Yìwénzhì" (藝 文 志 "Trattato d'arte e di letteratura"), che costituisce il capitolo 30 del "Hànshū" (漢 書 "Storia della Dinastia Hàn"), opera terminata nel 111 d.C., porta il numero delle scuole a dieci, aggiungendone altre quattro: la Scuola della Diplomazia, la Scuola dell'Agricoltura, gli Eclettici ed i Romanzieri. ( Esisteva a quei tempi anche una Scuola dell'Arte Militare, che però
non è menzionata nello Yìwénzhì ).
Lŭ Xún crea l'espressione "Nove Scuole" traendola, per esclusione, dal seguente passo dello Yìwénzhì: "Di queste dieci scuole, nove meritano di essere studiate. I romanzieri e simili sono nati come narratori di storie. Compongono le loro opere sulla base di racconti e pettegolezzi. Scrivere un romanzo non è attività degna di un gentiluomo".
(7) "La Vera Storia della Calligrafia" ( 書 法 "Shūfă Zhèngzhuàn" ) fu scritta nel XVII° secolo da Féng Wŭ 馮 武, nato nel 1627, ma fu pubblicata soltanto agli inizi del XVIII° secolo, sotto il regno dell'imperatore Kāngxī 康 熙 帝 della dinastia Qíng 清 朝.
(8) Il furore del signor Zhào nei confronti del miserabile che ha osato usurpare il suo cognome si spiega anche con il fatto
che "Zhào" 趙 è un cognome "nobile". Esso era infatti il nome di famiglia degli imperatori della dinastia Sòng 宋 朝 ( 967 d.C.-1279 d.C.) ed è il primo cognome che figura nel "Băijiāxìng" (百 家 姓"Libro delle Cento Famiglie"), un elenco dei cognomi cinesi pubblicato appunto durante l'epoca Sòng.
9) Zhōu Zuòrén 周 作 人 , fratello di Lŭ Xŭn, spiegò nel 1921 che lo scrittore aveva chiamato Ā Q il protagonista del suo racconto perché la forma della lettera Q, simile ad una testa da cui pende un codino, era già essa stessa un simbolo del carattere ottuso e reazionario del personaggio.
10) Il monosillabo pronunciato"quèi" ("guì" nella trascrizione in pīnyīn) può corrispondere in cinese a parecchi significati ed è quindi impossibile stabilire sulla base della sola pronuncia con quale carattere debba essere scritto.
11) Nei " Lǚ Shì Chūn Qiū" (呂 氏 春 秋"Annali del signor Lǚ"), dovuti a Lǚ Bùwéi 呂 不 韋, e precisamente nella parte intitolata " Zhōngchūn Jì" (中 春 記 "Memorie di Mezza Primavera"), si legge che" ciò che è scritto su bambù e su seta trasmette la conoscenza alle generazioni future". Listelli di bambù e rotoli di seta erano infatti i materiali su cui si scriveva prima dell'invenzione della carta. Con questa frase pomposa Lŭ Xún intende dire ironicamente che nessuno aveva mai sprecato carta per scriverci sopra il nome di Ā Q e tramandarne il ricordo.
12) Il carattere pronunciato "guì", se è scritto con la radice di "albero" 桂 (75.6), significa "albero di cassia" ,mentre, se è scritto con la radice di "conchiglia"貴(154.5), significa "prezioso", "nobile", "onorato".
13) La leggenda di Wú Gāng 吳 剛, il boscaiolo esiliato sulla luna e costretto per l'eternità ad abbattere un albero di cassia che perpetuamente ricresce, collega la cassia alla luna. Quindi - argomenta scherzosamente Lŭ Xún - se Ā Q fosse nato nel mese della Festa della Luna (ottavo mese del calendario lunare, corrispondente più o meno al periodo compreso tra metà settembre e metà ottobre), che è anche detto "il mese della cassia", o se il suo nome di cortesia fosse stato "Yuètíng" 月亭 ( il mitico "Palazzo sulla Luna", dimora delle fate), ci sarebbero valide ragioni per concludere che "guì" significava "cassia". Disgraziatamente, non si sapeva quando Ā Q fosse nato e nessuno lo aveva mai chiamato con un nome di cortesia.
14) Lo scrittore si riferisce qui all'uso di attribuire ai figli nomi di buon augurio.
Poiché le maggiori aspirazioni delle famiglie cinesi erano compendiate nella frase augurale " cháng mìng, fù, guì" 長 命 富 貴 , vale a dire " longevità, prosperità ed onori", se ad uno dei figli veniva dato il nome Fù, corrispondente ai nostri Felice, Prospero, Fortunato, era assai probabile che ad un altro venisse dato il nome Guì, corrispondente al nostro Onorato.
15) Chén Dúxiù 陳 獨 秀 (1879-1942) fu uno dei capi della Rivoluzione del 1911 e, successivamente, uno degli animatori del Movimento del 4 Maggio. Nel 1921 fondò con Lĭ Dàzhāo 李 大 釗 il Partito Comunista Cinese. Fu direttore della rivista "Xīn Qīngnian" ( 新 青 年 “La Nuova Gioventù" ).
16) Il periodico "Qīngnián Zázhì" (青 年 雜 誌 "La Rivista della Gioventù"), pubblicato per la prima volta il 15 settembre 1915, fu ribattezzato nel 1916 "Xīn Qīngnián", vale a dire "La Nuova Gioventù" o "La Gioventù Moderna". Esso propugnava la lotta contro il feudalesimo e la tradizione e preconizzava, tra l'altro, l'uso, nei giornali e nei libri, della lingua popolare ("báihuà").
17) Nel 1918 Qián Xuántóng 錢 玄 同 ed altri lanciarono sullo "Xīn Qīngnián" una campagna per l'abolizione della scrittura tradizionale e per l'adozione dell'alfabeto latino. Scrivendo il 3 marzo 1931 al traduttore giapponese del racconto, Lŭ Xún precisa infatti: " Chi propose l'uso dell'alfabeto latino fu Qián Xuántóng, anche se nella Vita di Ā Q lo stimabile diplomato Zhào attribuisce erroneamente tale iniziativa a Chén Dúxiù".
18) Come appare dal seguito del racconto, durante i disordini che accompagnarono la Rivoluzione del 1911, Ā Q fu processato sotto l'accusa di aver saccheggiato la casa del signor Zhào e condannato a morte. Dagli atti del processo, se fosse stato possibile trovarli, sarebbe quindi dovuto risultare quali fossero il suo nome ed il suo cognome e con quali caratteri si scrivessero.
19) Il "Zhùyīn Zìmŭ" 注 音 字 母, colloquialmente chiamato "bopomofo" ( dalle sue lettere iniziali: b, p, f, m ), fu creato tra il 1910 ed il 1920 come primo sistema ufficiale di trascrizione fonetica del mandarino. Esso è sostanzialmente un alfabeto, composto di 37 lettere e di 4 segni per indicare i toni. Le lettere sono una semplificazione di alcuni caratteri tradizionali, secondo un metodo analogo a quello adottato in Giappone per comporre lo "hiragana". Ciò avrebbe dovuto rendere il sistema meno "esotico" agli occhi della gente e permettergli di affermarsi come un sistema di scrittura parallelo agli ideogrammi, ma non bastò a procurargli un'adeguata diffusione. Nel 1930 la denominazione "Zhùyīn Zìmŭ" (letteralmente
"caratteri fonetici" o "lettere fonetiche") fu sostituita dalla denominazione "Zhùyīn Fùháo 注 音 符 號 (letteralmente "simboli fonetici") per evitare l'impressione che si trattasse di un sistema alfabetico tendente a rimpiazzare i caratteri tradizionali. Nella Cina Continentale esso fu utilizzato fino al 1958; a Táiwān, fino al 2009. Come sistema di scrittura esso aveva lo svantaggio di non possedere l'eleganza e la ricchissima tradizione culturale degli ideogrammi, mentre , come sistema di
trascrizione fonetica, aveva il difetto di non essere immediatamente comprensibile ai lettori occidentali.
20) Dopo aver espresso l'intenzione di usare una lettera dell'alfabeto latino secondo la pronuncia inglese per rendere il suono che il sistema di trascrizione fonetica allora più diffuso, il Wade-Giles, fondato proprio sulla pronuncia inglese, rendeva con "kuèi" e che il pīnyīn rende attualmente con "guì", Lŭ Xún avrebbe dovuto, a rigor di logica, usare la lettera K, che in inglese si pronuncia "kei" e non la Q, che si pronuncia "kju". La curiosa scelta effettuata dallo scrittore trova una spiegazione se teniamo presente quanto riferito da Zhōu Zuòrén (cfr. nota n.9) a proposito della lettera Q che ricorda "una
testa da cui pende un codino". Se aggiungiamo che, in inglese, la pronuncia della lettera Q è identica a quella del termine "queue", che significa esattamente "coda" o "codino", la soluzione dell'enigma è abbastanza chiara. Il titolo "La Vera Storia di Ā Q" va interpretato come "La Vera Storia di Compare Codino", cioè la storia di un uomo gretto, tradizionalista, conformista e reazionario.
21) Il "Jùnmíng Băijāxìng" (郡 名 百 家 姓 "Libro delle Cento Famiglie con i Nomi delle Prefetture") è un'opera che integra il "Băijiāxìng" affiancando a ciascuno dei cognomi in esso riportati l'indicazione della zona d'origine della famiglia che reca tale
cognome.
22) Il luogo d'origine di Ā Q è di pura fantasia. “Wèizhuāng" 未 庄 significa infatti "non villaggio", cioè "villaggio inesistente".
23) Alla fine, l'unica cosa che si sa con certezza del personaggio è che la gente gli si rivolgeva facendo precedere il suo nome dal prefisso "Ā", che equivale, grosso modo, ai nostri "zio" o "compare" usati come appellativo confidenziale. Non è davvero molto!
24) Hú Shì 胡 適 ( 1891-1962) fu uno studioso che frequentò i corsi del filosofo Dewey negli Stati Uniti e si laureò nel 1917 alla Columbia University. Amico di Chén Dúxiù, non lo seguì nel suo percorso politico, evolvendo invece verso posizioni liberali. In un suo studio critico del 1920 sul famoso romanzo "Shuĭhŭzhuàn" 水 滸 傳 ("Storia in riva al fiume", tradotto in italiano con il titolo "I Briganti"), si dichiarò "appassionato cultore della storia e delle antichità", espressione ripresa con una certa ironia da Lŭ Xún, che non doveva averlo in molta simpatia.
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