Cài Yān 蔡 琰 (nome di cortesia: Wénjĭ 文姫), figlia di Cài Yōng 蔡 邕, famoso letterato dell’epoca Hàn 漢 朝 , nacque nella seconda metà del II° secolo d.C. ( probabilmente intorno al 175 d.C., anche se non disponiamo di alcuna notizia al riguardo).
Nel 192 d.C. sposò Wèi Zhòngdào 衛 仲 道 , ma il marito morì poco dopo senza che la coppia avesse avuto figli.
Durante i disordini che si verificarono in Cina negli anni 194-195 d.C. fu catturata da una banda di nomadi Xiōngnú 匈 奴 , nel corso di una razzia, e condotta prigioniera nelle steppe dell’Asia Centrale.
Qui fu presa come concubina da uno dei capi degli Xiōngnú, Liú Bào 劉 豹 , al quale diede due figli.
Nel 207 d.C. il cancelliere Cáo Cāo 曹 操 pagò una forte somma per il suo riscatto e la fece ritornare in Cina.
Rientrata in patria, sposò un funzionario chiamato Dŏng Sì 董 祀 .
Donna di grande cultura, scrisse numerose poesie e fu valente calligrafa.
Tra le sue opere si ricordano in particolare le “Diciotto Canzoni per il Flauto dei Barbari” ( 胡 笳 十 八 拍 “hújiā shíbāpāi”), che descrivono la sua prigionia presso gli Xiōngnú.
La maggior parte delle sue poesie è andata perduta. Ci sono rimaste, accanto alle “Diciotto Canzoni” due altre poesie, intitolate entrambe “Poesie di tristezza e di rabbia” (悲 憤 詩 “bēi fèn shī”).
Diciotto Canzoni per il Flauto dei Barbari
Cài Wénjĭ Hújiā shíbāpāi
蔡文姬 胡笳十八拍
I
La prima poesia ci offre una rapida sintesi della storia di Cài Yān.
Al momento della sua nascita la Cina è ancora in pace, ma ben presto la dinastia regnante sarà indebolita da una serie di tumulti, rivolte e insurrezioni, cui faranno seguito continue lotte fra generali ambiziosi per la conquista del potere. Nella situazione di perenne disordine e insicurezza creata da questi conflitti, l’esercito si sbanda e la popolazione, terrorizzata, fugge dinanzi alle incursioni dei mercenari barbari al cui aiuto spesso ricorrono i contendenti. Nel corso di una razzia, Cài Yān viene catturata da una banda di Xiōngnú ed è condotta nella steppa, dove rimarrà molti anni, costretta a vivere in mezzo ai barbari e a comportarsi come loro. Le sue uniche consolazioni sono la musica e il canto, ma nessuno si cura della tristezza che traspare dalle sue canzoni e dalle melodie che ella suona sul “hújiā”, il flauto tipico dei nomadi.
Nata quando l’impero era ancora in ordine, (1),
crebbi mentre la dinastia vacillava.(2)
Cielo spietato. Disordini. Divisioni.
Terra impietosa. Dura per me l’esistenza.
Ogni giorno battaglie. Cammini insicuri.
Gente e soldati in fuga, uniti dall’affanno.
Molti erano catturati dai barbari,
condotti in fondo alla steppa polverosa.
Volevan renderci docili ed obbedienti,
cercavan di piegare il nostro morale.(3)
Ai loro strani usi non sapevo adattarmi.
Ai loro insulti non sapevo rispondere.
Ora suono il flauto e strimpello sulla cetra, (4)
ma nessuno s’accorge della mia tristezza.
NOTE
1) Letteralmente ”賞 無 為 “ (“shàng wú wéi”), cioè “non si faceva ancor nulla”,”non accadeva ancor nulla”. Questa frase significa semplicemente “c’era ancora la pace”,”c’era ancora ordine ed equilibrio”, giacché è proprio quando regnano la tranquillità, il benessere e la sicurezza che non avviene nessun fatto degno di essere riportato nei libri di storia. Non per nulla un’antica maledizione cinese suona “possa tu vivere in tempi meritevoli di ricordo”.
L’uso di questa espressione ha, del resto, una base filosofica, dal momento che “il principio del non agire” (無 為 “wú wéi”) è uno dei fondamenti della dottrina taoista. Come enunciato in numerosi passi del Dào Dé Jīng 道 德 經 , il miglior modo d’agire è, paradossalmente, il non agire, cioè il lasciarsi guidare dalle leggi eterne della natura, senza cercare di sovrapporvi, invano, la volontà umana. Dal punto di vista politico, ciò implica che i periodi storici migliori siano quelli in cui l’azione di governo è limitata allo stretto indispensabile e gli intrighi per la conquista del potere sono ridotti al minimo.
2) Il lungo periodo di pace che coprì la maggior parte del II° secolo d.C. terminò nel 184 d.C. con la grande insurrezione contadina detta “La Rivolta dei Turbanti Gialli”. Questa insurrezione diede inizio ad un’epoca di disordini che portò alla caduta dell’impero Hàn e alla nascita di nuove entità statali (“I Tre Regni”三 國 “sānguó”.)
3) Curiosamente, i dizionari danno per il carattere 乖 (“guāi”) due significati contrastanti: “obbediente “ o “ribelle”. L’interpretazione del verso può variare in funzione del significato prescelto. Se si opta per “ribelle” si leggerà dunque qualcosa come “avrei voluto ribellarmi, ma mi è mancata la forza morale per farlo”. Il carattere 義 (“yì”) designa un concetto importante nella dottrina confuciana: la disposizione morale a fare il bene nonché il coraggio e la capacità di agire in modo corrispondente.
4) I Cinesi designavano con il termine 胡 笳 (“hújiā”), che viene abitualmente tradotto come “flauto dei barbari”, uno strumento a fiato molto semplice diffuso tra i nomadi dell’Asia Centrale.
Il 琴 (“qín”) o 古 琴 (“gŭqín”) era invece una cetra a sette corde, uno dei più antichi strumenti musicali cinesi.
第一拍
我生之初尚無為, 我生之後漢祚衰。
不仁兮降亂離, 地不仁兮使我逢此時!
干戈日尋兮道路危, 民卒流亡兮共哀悲。
煙塵蔽野兮胡虜盛, 志意乖兮節義虧。
對殊俗兮非我宜, 遭惡辱兮當告誰?
笳一會兮琴一拍, 心憤怨兮無人知!
wŏ shēng zhī chū shàng wú wéi wŏ shēng zhī hòu hàn zuò shuāi
tiān bù rén xī jiàng luàn lí dì bù rén xī wŏ féng cĭ shí
gān gē rì xún xī dào lù wéi mín zú liú wáng xī gòng āi bēi
yān chén bì yè xī hú lŭ shèng zhìyì guāi xī jié jì kuī
duī shūsú xī fēi wŏ yí zāo è rŭ xī dāng gào shéi
jiā yī huì xī qín yī pāi xīn fèn yuàm xī wú rén zhī
II
La seconda canzone descrive il viaggio verso la steppa, l’arrivo tra i nomadi, la disperazione della donna costretta a vivere in un ambiente rozzo e ostile.
Un barbaro mi costrinse a vivere con lui, (1)
mi condusse sino all’estremità del mondo.(2)
Lunghissimo il cammino per il suo paese. (3)
Montagne e montagne coperte di nuvole.
Tempeste di sabbia su strade senza fine.
I suoi compagni eran crudeli come belve,(4)
esaltati, arroganti, armati sino ai denti.(5)
Le corde quasi si ruppero per l’angoscia
allorché suonai questa seconda canzone.
Gemevo disperata, col cuore spezzato.
NOTE
1) Ho tradotto 戎 羯 (“róng jié”) con “barbaro”.
La parola 戎 (“róng”), che significa anche “armi”, era usato fin dai tempi della dinastia Zhōu 周 朝 per designare genericamente i “barbari occidentali” (西 夷 “xīyí”), cioè le tribù nomadi che vivevano nelle steppe dell’Asia Centrale e che erano famose per la loro bellicosità.
Troviamo una delle prime menzioni dei Róng nel “Libro dei Riti” (歷 經 “lì jīng”), al capitolo “Regole dei re (王 制 “wángzhì”): “I barbari occidentali sono chiamati Róng. Portano i capelli sciolti e vestono pelli di animali. Alcuni di essi non conoscono la coltivazione dei cereali.” (西方曰戎,被髮衣皮,有不粒食者矣 ”xī fāng yūe róng bèi fà yī pí yŏu bù lì shí zhĕ yĭ”).
La parola 羯 (“jié”) potrebbe invece avere un senso più preciso. Come molti dei termini utilizzati per indicare i barbari ha un significato dispregiativo:”castrone” o “pelle di animale”, con possibile riferimento sia al fatto che i nomadi erano considerati dai Cinesi alla stregua di bestie, sia al fatto che praticavano la pastorizia, sia al fatto che indossavano pelli di animali.
Nel 4° secolo d.C. erano chiamati 羯 (“jié”) i membri di una piccola tribù barbara della Cina settentrionale che, sotto la guida di Shí Lè 石 勒 (274 d.C.-333 d.C.), costituirono l’Impero dei Zhào Posteriori 後 趙 , distrutto dal generale cinese Răn Mĭn 冉 閔 nel 350 d.C.
Secondo il “Libro dei Jìn”( 晉 書 “jìn shū”), gli antenati di Shí Lè appartenevano a una tribù di Xiōngnú (Unni) 匈 奴 chiamata Qiāngqú 羌 渠.
Non è quindi da escludere che il termine 羯 ("jié") designasse una singola tribù o uno specifico clan nell’ambito del popolo degli Unni.
2) Il termine (天 涯 “tiānyá) indica “l’orizzonte”, ”i limiti del cielo”. “Andare verso l’orizzonte” significa perciò recarsi in paesi lontani e sconosciuti. L’espressione tradizionale 天 涯 海 角 (“tiānyá hăijiăo”) designa gli estremi confini del mondo.
3) “Guīlù”( 歸路)è la “via del ritorno”, che io ho interpretato come il cammino percorso dai nomadi per ritornare alle loro sedi nella steppa. Il significato del verso non cambierebbe tuttavia anche se si interpretasse “guīlù” come la via che la fanciulla prigioniera dovrebbe percorrere per ritornare in Cina.
4) Ho tradotto con “compagni” il termine 人 多 (“rénduō” “folla”,”moltitudine”), che si riferisce in generale alla tribù degli Xiōngnú, e con “belve” il termine. (虺蛇“kuíshé”), che significa, letteralmente,”vipera”.
5) Troviamo riportati in questo verso tutti gli elementi che, secondo i Cinesi, caratterizzavano i “barbari”, vale a dire: l’irrazionalità, la prepotenza e la violenza.
L’aggettivo 驕 (jiāo), che i dizionari traducono con “superbo”, “arrogante”, “suscettibile”, significava in origine “cavallo brado”, e si potrebbe rendere bene con “ombroso”, termine che mette in evidenza l’analogia di carattere tra il cavallo selvatico, il quale comincia a scalpitare non appena qualcuno gli si avvicina, ed il barbaro, il quale reagisce in modo spropositato alla minima contrarietà.
L’aggettivo 奢 (“shē”), che i dizionari rendono con “stravagante”, “eccessivo”, “incontrollato”, mette anch’esso in evidenza l’incapacità dei barbari di controllare i propri impulsi e le proprie passioni e di agire con moderazione e razionalità, come, in condizioni simili, farebbero invece persone civili quali i Cinesi.
L’espressione “armati d’arco e di corazza” (控弦被 ”kòngxián bèi jiă”), mette infine in evidenza l’abitudine di andare in giro pesantemente armati, propria delle società primitive in cui manca un potere riconosciuto che garantisca l’ordine pubblico ed in cui è quindi inevitabile che ciascuno si difenda da sé e si faccia giustizia con i propri mezzi.
第二拍
戎羯逼我兮為室家,將我行兮向天涯
雲山萬重兮歸路遐,疾風千里兮揚塵沙
人多暴猛兮如虺蛇,控弦被甲兮為驕奢
兩拍張絃兮絃欲絕,志摧心折兮自悲嗟
róng jié bī wŏ xī wéi shì jiā jiāng wŏ xíng xī xiàng tiānyá
yún shān wàn zhòng guīlù xià jí fēng qián lĭ xī yáng chén shā
rén duō bào mĕng rú kuíshé kòngxián bèi jiă xī wéi jiāo shē
liáng pāi zhāngxián xī xiáng yù zhī cuī xīn zhé xī zì bēi jiē
III
La terza canzone descrive le prime devastanti esperienze della vita in mezzo ai barbari.
Via dalla Cina, nel paese dei barbari,
persi casa ed onore, mi sentivo morta.
Tremavo nelle vesti di feltro e di pelli (1)
e la carne di montone mi nauseava. (2)
Di notte i tamburi mi toglievano il sonno. (3)
Nel buio il vento batteva l’ accampamento.
Nello sconforto terminai il terzo canto.
Quando potrò placare l’odio che sento in me? (4)
NOTE
1) La frase può rappresentare sia un’ espressione di disgusto di fronte alla miseria dell’abbigliamento e dell’alloggio ( pelli di animali e feltro usati come abiti, come coperte, come rivestimento delle tende) sia un’ espressione di paura di fronte alla prospettiva di una vita disperata in un ambiente ostile.
2) L’odore intenso della carne di montone, il cibo principale dei nomadi, provoca nausea ad una donna raffinata come Cài Wénjĭ, che ricorda i piatti delicati del proprio paese.
Un lamento pressoché identico, da cui forse ha tratto ispirazione Cài Wénjĭ, si può leggere nella poesia intitolata “Il Canto dell’Amarezza” (悲 愁 歌 “bēi chòu gē”), con cui, oltre trecento anni prima, la principessa Liú Xìjūn 劉 細 君, sposata al re dei Wūsūn 烏 孫, un popolo nomade dell’Asia Centrale, esprimeva la propria nostalgia per il paese natio:
"I miei mi inviarono sposa ai confini della terra,
lontana in suolo straniero, moglie del re dei Wūsūn.
Una tenda è la mia casa, di feltro le pareti.
Di carne cruda mi cibo. Latte acido per bere.
Sempre penso al mio paese. Come ne soffre il cuore!
Fortunata l’oca grigia,che torna dove nacque."
吾家嫁我兮天一方, wú jiā jià wŏ xī tiān yī fáng
遠託異國兮烏孫王 yuăn tuō yì guó xī wū sūn wáng
穹廬為室兮旃為牆, qióng lú wéi shì xī zhān wéi qiáng
以肉為食兮酪為漿 yĭ ròu wéi shí xī lào wéi jiāng
居常土思兮心內傷, jū cháng tŭ sī xī xīn nèi shāng
願為黃鵠兮歸故鄉 yuàn wéi huáng hú xī guī gŭ xiāng
3) Letteralmente “i tamburi risuonavano dalla sera al mattino” (鼙鼓喧兮從夜達明 ”pígŭ xuān xī cóng yè dá míng”).La descrizione dei costumi dei barbari ci ricorda spesso scene viste nei film western.
4) Letteralmente: “Quando si placherà il dolore che mi tormenta, il risentimento che nutro in me?”.Il carattere 銜(“xián”) indica il morso che tiene a freno un animale tormentandolo se non obbedisce agli ordini del padrone.Il carattere畜 (“chú”) indica gli animali domestici che servono al nutrimento ed implica quindi l’idea di “nutrire”, ”alimentare”, “conservare”.
第 三拍
越漢國兮入胡城, 亡家失身兮不如無生
氈裘為裳兮骨肉震驚 羯羶為味兮枉遏我情
鼙鼓喧兮從夜達明, 胡風浩浩兮暗塞營
傷今感昔兮三拍成, 銜悲畜恨兮何時平
yuè hàn guó xī rŭ hú chéng
wáng jiă shīshēn xī bù rú wú shēng
zhān qiú wéi cháng xī gŭ ròu jīng
jié shān wéi wèi xī wăng è wŏ qíng
pígŭ xuān xī cóng yè dá míng
hú fēng hào hào xī àn sāi yíng
shāng jīn găn xí xī sān pāi chéng
xián bēi chù hén xī hé shí píng
IV
Sola e prigioniera in una terra lontana, tra gente la cui lingua ed i cui costumi le sono estranei, senza un amico con il quale confidarsi, la poetessa ritiene che la sua sorte sia la peggiore che possa capitare ad una persona anche in un periodo funestato da immense catastrofi.
Né giorno né notte che non pensi al paese.
Non c’è una persona al mondo più triste di me.
Disastri, anarchia, terra senza sovrano, (1)
ma a me toccò il peggio: fui presa dai barbari.(2)
È duro adattarsi ai loro strani costumi,
non avere un solo amico con cui parlare.(3)
Se guardo indietro a tutte le mie sofferenze,
che pena comporre questa quarta canzone!
NOTE
1) Nel periodo in cui visse Cài Wénjĭ la Cina subì disastri naturali (天 災 “tiānzāi”), disordini politici e guerre civili ( 國 亂 “guóluàn”), situazioni di anarchia (人 無 主 “rèn wú zhŭ”), di cui tutti soffrirono, ma - cosa umanamente assai comprensibile - la poetessa è sconvolta più dalle proprie traversie che da quelle degli altri.
2) Il termine (薄 命 “bómìng”), letteralmente “vita sottile”, indica un destino sfortunato. Troviamo questa espressione nel proverbio 佳 人 薄 命 (“jiārén bómìng”) che significa “la vita delle belle fanciulle è breve” e corrisponde al nostro antico detto “ coloro che gli dei amano muoiono giovani”.
3) Una delle maggiori sofferenze della prigioniera è quella di non avere intorno nessuno che parli la sua lingua e con cui possa confidarsi.
第四拍 無日無夜兮不思我鄉土,
稟氣含生兮莫過我最苦
天災國亂兮人無主,
唯我薄命兮沒戎虜
殊俗心異兮身難處,
嗜欲不同兮誰可與語
尋思涉歷兮多艱阻,
四拍成兮益悽楚
wú rì wú yè xī bù sī wŏ xiāng tú
bĭng qì hán shéng xī mò guò wŏ zuì kŭ
tiān zāi guó luàn xī rén wú wáng
wéi wŏ bó mìng xī méi rónglŭ
shū sú xīn yì xī shēn nánchŭ
shìyù bù tóng xī shéi kĕ yŭ yŭ
xún sī shè lì xī duŏ jiān zŭ
sì pāi chéng xī yì qī chŭ
V
La quinta canzone sembra prendere lo spunto dall’ultimo verso del “Canto dell’Amarezza” (悲 愁 歌 “bēi chòu gē”) di Liú Xìjūn 劉 細 君 in cui si esprime invidia per le oche selvatiche, le quali migrano ogni anno verso la Cina.
Alle anatre che migrano verso sud (1)
vorrei confidare i miei messaggi.
Quando ritornano alle terre del nord
vorrei sentire parole cinesi.
Ma le anatre volano troppo in alto,
troppo lontane, troppo distanti.
La solitudine mi spezza il cuore (2)
e la mia mente diviene inerte.(3)
Aggrotto le ciglia e guardo la luna (4)
e pizzico le corde della cetra. (5)
Nel mormorio della quinta canzone (6)
sprofondano tutti i miei pensieri.(7)
NOTE
1) Il termine 雁 (“yàn”) indica le oche selvatiche, uccelli migratori che ogni anno, nella stagione invernale, si spostano dalle steppe dell’Asia Centrale nelle regioni meridionali della Cina, il cui clima è più clemente. Nella traduzione ho usato la parola “anatre” per ragioni metriche.
2) Ho interpretato come “solitudine” il termine 空 (“kōng”), che esprime l’idea di “vuoto”, “deserto”, “abbandonato”.
3) L’aggettivo 愔 “yīn” viene tradotto con “pacifico”,”calmo”, “tranquillo”. L’espressione 思愔愔 (”sī yīn yīn”) dovrebbe dunque significare “i miei pensieri sono pacifici”, “sono calma e tranquilla”). Mi sembra tuttavia che una simile traduzione contrasti troppo con lo stato d’animo della poetessa. Ciò che ella ha inteso dire è –a mio parere- che non ha più nemmeno la forza di pensare, che la sua mente si trova, come diremmo oggi, in uno stato di “calma piatta”.
4) Aggrottare le ciglia è il gesto tipico che esprime la tristezza. “Guardare la luna” è, nella poesia cinese, la metafora tradizionalmente usata per indicare la nostalgia.
5) Il 琴 (“qín”) è uno strumento musicale a corde comparabile alla cetra. Non mi sembra che il termine 雅琴(“yăqín”), letteralmente “l’elegante qín”, si riferisca ad una particolare varietà di tale strumento.
6) Il termine 泠泠(“líng líng”) è un’onomatopea con cui vengono suggeriti suoni quali il mormorio di un ruscello o lo stormire delle foglie al vento.
7) Se si intende il termine (“彌”mì” ) come “abbondanza”, lo si può legare a 意 (“xī” ”pensiero”) e si otterrà allora “moltitudine di pensieri”.Se lo si intende nel senso di “completamente” e lo si ricollega a 深 (“shēn””profondo”) si otterrà “sprofondare completamente”. Ho cercato, nella traduzione, di accennare ad entrambe le possibilità.
第五拍
雁南征兮欲寄邊聲,雁北歸兮欲得漢音
雁高飛兮邈難尋,空斷腸兮思愔愔
攢眉向月兮撫雅琴,五拍泠泠兮意彌深
yàn nán shĕng xī yù jì shēng
yàn bĕi guī xī yù dé hàn yīn
yàn gāo fēi xī miăo nán xún
kōng duàn cháng xī sī yīn yīn
cuánméi xiàng yuè xī fŭ yăqín
wŭ pāi líng líng xī yì mì shēn
VI
Il gelido inverno nella steppa. I rozzi cibi dei barbari. Il continuo girovagare dei nomadi. La nostalgia che tormenta giorno e notte la prigioniera, facendole sognare la patria lontana. L’unica consolazione rimane la poesia, ma le orribili condizioni di vita rischiano di toglierle anche questo conforto.
Tutto era ghiacciato, ricoperto di brina. .
Quanto era terribile il freddo che soffrivo.
Nemmeno la fame mi faceva mangiare
la carne ed il latte di cui si cibavano. (1)
Di notte ascoltavo l’acqua del monte Lŏng (2)
e mi sentivo sospirare tristemente.
Al mattino scorgevo la Grande Muraglia,(3)
confusa ed indistinta, lontano, lontano.
Quando ripensavo ai giorni del passato
m’era duro vagabondare coi barbari. (4)
Attanagliata dal dolore e dall’angoscia,
non riuscivo a finire la sesta canzone.
NOTE
1) Nella poesia sono indicati i cibi tipici dei nomadi: la carne e il latte fermentato.
Se dobbiamo credere a ciò che narra lo storico romano Ammiano Marcellino, nella sua opera “Rerum Gestarum Libri XXXI”, gli Unni “sono così rozzi nel tenor di vita da non aver bisogno né di fuoco né di cibi conditi, ma si nutrono di radici di erbe selvatiche e di carne semicruda di qualsiasi animale, che riscaldano per un po' di tempo fra le loro cosce ed il dorso dei cavalli. ("ita uisi sunt asperi, ut neque igni neque saporatis indigeant cibis sed radicibus herbarum agrestium et semicruda cuiusuis pecoris carne uescantur, quam inter femora sua equorumque terga subsertam fotu calefaciunt breui". Libro xxxi, cap.2).
Quanto al latte si tratta del “kumis”, latte di giumenta fermentato , che era una bevanda tipica dei popoli della steppa.
2) Il Monte Lóng 龍 山 è una montagna del Gānsù 甘 肅 , il cui nome anticamente veniva usato anche per indicare la regione. La frase va tuttavia intesa come una licenza poetica, perché è difficile immaginare che dalla steppa si possa ascoltare il mormorio dei torrenti che scendono dai monti del Gānsù. Cài Wénjĭ sogna evidentemente di ritrovarsi in Cina.
3) La stessa considerazione vale, in linea di massima, per la vista della Grande Muraglia, anche se non è improbabile che le tribù nomadi vi si avvicinassero talvolta per effettuare scambi commerciali negli empori di frontiera o per tentare incursioni in territorio cinese.
4) Il termine 行李(“xínglĭ”), che significa “bagagli”, va interpretato, mi sembra, nel senso di “fare i bagagli”, cioè come riferimento ai continui spostamenti delle tribù nomadi, che, praticando la pastorizia, si muovevano incessantemente alla ricerca di nuovi pascoli.
第六拍
冰霜凜凜兮身苦寒,飢對肉酪兮不能餐。
夜聞隴水兮聲嗚咽,朝見長城兮路杳漫。
追思往日兮行李難,六拍悲來兮欲罷彈
bĭng shuāng lĭn lĭn xī shēn kŭ hán
jī duì ròu lào xī bù néng cān
yè wén shuĭ lŏng xī shēng wūyè
zăo jiàn cháng chéng xī lù yăo màn
zhuī sī wăng rì xī xíng lĭ nán
liù pāi bēi lài xī yù bà dàn
VII
Il modo di vita dei barbari è osservato con grande attenzione, ma senza alcuna partecipazione e senza la minima simpatia. La poetessa non trova in mezzo a loro nessuno che possa capirla, nessuno con cui possa confidarsi, nemmeno tra le donne, ed i primi villaggi cinesi, dove troverebbe persone con cui parlare, sono a migliaia di chilometri di distanza.
È malinconico il vento del crepuscolo (1)
che soffia sibilando da tutte le parti.(2)
Non so se ci sia qualcuno qui vicino a me
a cui possa confidare la mia tristezza.
La steppa selvaggia si stende desolata.
Migliaia di leghe prima d’un avamposto.(3)
Gli anziani ed i deboli son disprezzati.
È stimato soltanto chi è giovane e forte.(4)
Nella perenne ricerca di acqua e pascoli
spostano di continuo i loro accampamenti.
Le vacche e le pecore riempiono la steppa.
Sembran sciami di vespe od orde di formiche.
Esaurita l’erba, disseccati gli stagni,
si muovono in massa con bestiame e cavalli.
In questo canto scorre il mio risentimento
Quant’è triste per me vivere tra costoro.
NOTE
1) Il vento della sera porta con sè pensieri tristi. L’espressione 風 悲 (“fēng bēi”) si può infatti tradurre “il vento è triste”, il vento è malinconico”. Gli stessi caratteri, invertiti così da leggersi 悲 風 (“bēi fēng”), indicano i “venti malinconici”, cioè i venti autunnali.
2) L’espressione 四起(“sì qĭ”) significa “da ogni direzione”,”da ogni lato”.
3) Il carattere 烽 (“fēng”) indica i fuochi di guardia accesi dalle sentinelle di un accampamento e, per estensione, le torri di guardia, in cima alle quali ardeva sempre un fuoco. Il carattere 戍 (“shù”) indica le guardie di frontiera. L’espressione “torri e guardie” è quindi un riferimento ai posti di frontiera cinesi, situati di solito presso le torri erette, a regolari intervalli di distanza, lungo la Grande Muraglia. Solo in questi avamposti la prigioniera avrebbe potuto incontrare dei connazionali e scambiare con loro qualche parola nella propria lingua.
4) Una società civile e progredita come quella cinese può permettersi di onorare gli anziani e di aiutare i deboli. In una comunità che vive perennemente ai limiti della sussistenza come quella dei barbari, vige invece la legge spietata della selezione naturale: sopravvive soltanto chi ha la forza per resistere da solo alle difficoltà di una vita estremamente dura.
第七 拍
日暮風悲兮邊聲四起,不知愁心兮說向誰是?
原野蕭條兮烽戍萬里,俗賤老弱兮少壯為美
逐有水草兮安家茸壘,牛羊滿野兮聚如蜂蟻
草盡水竭兮羊馬皆徙,七拍流恨兮惡居於此
rì mù fēng bēi xī biān shēng sì qĭ
bù zhī chóu xīn xī shuō xiàng shéi shì
yuán yĕ xiāo tiáo xī fēng shù wàn lĭ
sú jiàn lăo ruò xī shăo zhuàng wéi mĕi
dí yŏu shuĭ căo xī ān jiā róng lĕi
niú yáng măn yĕ xī jù rú fēng yĭ
căo jìn shuĭ jié xī yáng mă jiē cōng
qī pāi liú hèn xī è jū yú cĭ
VIII
In questa stanza la poetessa si lamenta della crudeltà del destino. Quali peccati ha commesso per essere punita in modo così atroce?.
Se il Cielo ha occhi perché non vede la mia solitudine?
Se gli Dei esistono perché son finita nel deserto?(1)
Io non ho tradito il Cielo e son la donna di un barbaro.(2)
Ho sempre rispettato gli Dei ed ora vivo nella steppa.
Ho composto l’ottava stanza per dar sfogo al dolore.
Potevo mai sapere che m’avrebbe turbato il cuore?.
NOTE
1) L’espressione idiomatica 天 南 海 北 (“tiānnán hăibĕi”), letteralmente “a sud del cielo, a nord dell’oceano”), è attualmente impiegata nel senso di “dappertutto”. Originariamente essa doveva però indicare luoghi lontani e deserti, all’estremità della terra.
2) Il carattere 殊 (“shū”), il cui primo significato fu quello di “decapitare”, assunse in seguito il valore di “speciale”,”particolare”, “strano” “straordinario”. Qui viene usato per indicare un individuo che non rispetta nessuno dei codici di condotta che contraddistinguevano, secondo i Cinesi, il comportamento delle persone civili e l’ho quindi tradotto con “barbaro”.
第 八 拍
為天有眼兮何不見我獨漂流
為神有靈兮何事處我天南海北頭
我不負天兮天何使我殊配儔
我不負神兮神何殛我越荒州
製斯八拍擬俳優,何知曲成兮心轉
wéi tiān yŏu yăn xī hé bù jiàn wŏ dú piāo liú
wéi shén yŏu líng xī hé shì chù wŏ tiān nán hăi bĕi tóu
wŏ bù fù tiān xī tiān hé shĭ wŏ shū pèi chóu
wŏ bù fù shén xī shén hé jí wŏ yuè huāng zhōu
zhÌ sī bā pāi nĭ pái yōu hé zhī qūchéng xī xīn zhuăn
IX
La vita è breve, ma tutti hanno diritto all’allegria ed ai piaceri della giovinezza. Cài Wénjĭ se ne sente ingiustamente privata, però non sa a chi chiedere conto del suo amaro destino.
Infinito è il cielo, sconfinata è la terra.
Anche la mia angoscia non conosce limiti.(1)
Un attimo è la vita dell’uomo
proprio come il balzo d’un puledro, (2)
ma io non ho mai provato la gioia
neppur nel fiore della gioventù. (3)
Vorrei domandarne conto al Cielo,(4)
ma il cielo è vasto e senza contorni.
Levo il capo e non vedo che nubi. (5)
Con chi potrò mai condividere
le emozioni del mio nono canto?
NOTE
1) Più precisamente “è inestinguibile”, “è inesauribile”, “si rinnova ad ogni istante”. Il termine 復 燃 (“fùrán”) figura ad esempio nella frase idiomatica 死 灰 復 燃 (“sĭhuī fùrán”), letteralmente “la cenere fredda ridiventa calda”, che significa “ricuperare le forze”,”riprendere vigore”.
2) La frase idiomatica 白 駒 過 隙 (“báijū guòxì” ”il balzo di un puledro”) nasce dall’osservazione della straordinaria rapidità con cui i puledri selvaggi, chiusi in un recinto per essere domati, riescono a saltarne fuori profittando della minima falla nello steccato. Metaforicamente, il comparare la vita umana al balzo di un puledro equivale a sottolinearne la brevità e la velocità con cui trascorre.
3) Se la vita scorre rapidamente e non dura che un istante, godiamocela almeno quando siamo nel fiore degli anni e nel pieno delle forze. È questa l’idea che ritroviamo in un gran numero di canzoni e di composizioni poetiche di tutte le letterature. La povera Cài Wénjĭ, rapita dai barbari quand’era ancora una ragazza, si sente ingiustamente defraudata anche di questa consolazione e rimpiange di non aver mai conosciuto l’allegria della gioventù.
4) Il termine 天 (“tiān” “cielo”) è qui usato per indicare la forza suprema che regge i destini degli uomini. L’immensità della volta celeste simboleggia bene l’incommensurabilità di questa forza che è troppo superiore agli uomini e troppo lontana da loro perché essi possano mai pensare di poterle chiederle conto del suo operato.
5) L’espressione 空 雲 煙 (“kōng yúnyán”) può essere tradotta in modi leggermente diversi: “nell’aria nuvole e fumo” oppure “solo nuvole grigie”. Comunque sia, il Cielo è indifferente e non dà alcun segno di impietosirsi per la sorte degli uomini.
第九拍
天無涯兮地無邊, 我愁兮亦復然
人生倏忽兮如白駒之過隙, 然不得歡樂兮當我之盛年
怨兮欲問天, 天蒼蒼兮上無緣
舉頭仰望兮空雲煙, 九拍懷情兮誰與傳
tiān wú shì xī tú wú biān wŏ chóu xī yì fù rán
rén shēng shū hū xī rú bái jū zhī guò xÌ
rán bù dé huān lè xī dāng wŏ zhī shèng nián
yuàn xī yù wén tiān tian cāng cāng xī shàng bù yuán
jŭ tóu yăng wàng xī kōng yún yăn
jiŭ pāi qíng huái xī shéi yŭ chuán
X
La vita tumultuosa dei nomadi doveva essere ricca di scontri, razzie e scorrerie. La battaglia che Cài Wénjĭ ci descrive nella decima stanza nasce probabilmente da un tentativo di forzare la Grande Muraglia per poter saccheggiare le regioni di frontiera. La vicinanza del confine risveglia però con forza nella poetessa il ricordo del paese natio e rende ancor più insopportabile la sua angoscia.
Ancora continuano ad ardere
segnali di fuoco sulle mura. (1)
Si lotta sul campo di battaglia.
Quando cesserà questa strage?
Ogni giorno la furia omicida (3)
batte le porte della fortezza.
Ogni notte il vento del deserto
insegue la luna dei confini. (4)
Tenuta lontano dalla patria,
privata di qualsiasi nuova,
io sospiro silenziosamente
mentre l’angoscia mi soffoca.
La separazione dai miei cari
m’ha rovinato tutta la vita.
Il dolore si fa più profondo.
Le lacrime diventano sangue.
NOTE
1) Il termine 城頭 (“chéng tóu”), letteralmente “in cima alle mura”, sembra riferirsi ad una fortezza cinese di frontiera, giacché gli accampamenti dei barbari erano circondati tutt’al più da una palizzata. I fuochi di segnalazione (烽火“fēng huŏ”) servivano per mantenere i contatti tra i diversi avamposti situati lungo la Grande Muraglia , che si informavano così reciprocamente dell’avvicinarsi del nemico.
2) L’espressione 殺 氣 (“shā qì”), letteralmente “aura di strage”, “furia omicida”, rende bene la crudeltà dello scontro. Il termine (朝 朝 “zhāo zhāo”, “mattino dopo mattino”) sottolinea che la battaglia si prolunga accanitamente per più giorni.
3) Il termine 塞 (“sāi”= “passo”,”valico”) è tipico per indicare un posto di frontiera. Con l’espressione 塞 門 (“sāi mén”) si designa dunque una fortezza posta a guardia della frontiera.
4) Sembra che anche la natura imiti la rabbia degli uomini. Di notte, quando questi si riposano esausti dopo una giornata di massacri, il vento selvaggio del deserto soffia furibondo sulla povera luna.
第十拍
城頭烽火不曾滅, 疆場征戰何時歇
殺氣朝朝衝塞門, 胡風夜夜吹邊月
故鄉隔兮音塵絕, 哭無聲兮氣將咽
一生辛苦兮緣別離, 十拍悲深兮淚成血
chéng tóu fēng huŏ bù céng miè
jiāng cháng zhēn zhàn hé shì xiē
shā qì zhāo zhāo chōng sāi mén
hú fēng yè yè chuī biān yuè
gù xiāng gè xī yīn chén jué
kū wú shēng xī qì jiàng yān
yī shēng xīn kŭ xī yuán bié lí
shì pāi bēi shēn xī lèi chéng xuè
XI
Due cose sono di conforto alla prigioniera: la speranza di poter un giorno tornare a casa e l’affetto per i figli, anche se si rende conto che essi sono in parte di sangue barbaro e dovranno trascorrere la loro esistenza nella steppa.
Non è ch’io sia attaccata alla vita
o che abbia paura della morte.
Non voglio rinunciare a vivere,
ma è la ragione che me lo dice. (1)
Finché sarò viva avrò speranza
di far ritorno al mio paese, (2)
ma se muoio sarò seppellita
per sempre in terre lontane.
Giorni e mesi sono passati.
Quanto tempo in mezzo ai barbari!
Sono la donna d’uno di loro.
Ho generato con lui due bambini
dei quali mi sono presa cura (3)
senza provarne alcuna vergogna.(4)
Li compiango soltanto, quando penso
che cresceranno in queste lande.(5)
Ispirata da tali pensieri
composi l’undicesimo canto.
La triste melodia mi penetra,
si insinua nel profondo del cuore.
NOTE
1) Non è la paura istintiva della morte che trattiene la prigioniera dal suicidarsi per porre fine alle sue sofferenze, ma una considerazione razionale: non c’è mai nulla di definitivo nell’esistenza ed un giorno potrebbero realizzarsi circostanze tali da rendere possibile il ritorno in patria. In altre parole “finché c’è vita c’è speranza”. In effetti, dopo lunghi anni di prigionia, Cài Wénjĭ fu riscattata e potè tornare in Cina.
Il termine 心 (“xīn”) ha, in cinese, un significato, anche metaforico, più ampio di quello di “cuore”, in quanto ingloba altresì l’idea di “mente”, “intelletto”. L’espressione 心 有 以 (“xīn yŏu yĭ”), letteralmente “il cuore ha la sua ragione”, va dunque interpretata piuttosto come se volesse dire “c’è un motivo razionale”.
2) L’espressione (桑梓“sāngzĭ”), letteralmente “gelso e catalpa”, è una metafora usata per indicare “padre e madre”, “famiglia”,”patria”.
3) Nell’originale troviamo i termini 鞠 (“jú= “nutrire”,”far crescere”) e 育(“yù”= “educare”).
4) Questo verso potrebbe fornire lo spunto per una approfondita analisi psicologica. La donna vuole bene ai suoi bambini che ha allevato ed educato con cura e con amore, ma la precisazione, non richiesta, che lo ha fatto “senza vergogna”, ci mostra che, anche sotto un aspetto così intimo, il suo modo di pensare è ancora pienamente legato alla mentalità cinese. L’affetto materno ha dovuto superare non poche difficoltà per manifestarsi in una situazione che per Cài Wénjĭ è fonte continua di umiliazione e di vergogna.
5) Il termine 邊鄙 (“biānbĭ”) si può tradurre con “periferia”,”lontana provincia”,”regione di confine”,”angolo sperduto”.
第 十一拍
我非貪生而惡死, 不能捐身兮心有以
生仍冀得兮歸桑梓,死當埋骨兮長已矣
日居月諸兮在戎壘,胡人寵我兮有二子
鞠之育之兮不羞恥,愍之念之兮生長邊鄙
十有一拍兮因該起,哀響纏綿兮徹心髓
wŏ fēi tān shēng èr è sì
bù néng juān shēn xī xīn yŏu yĭ
shēng réng jì de xī guī sāng zĭ
sĭ dāng mái gŭ xī cháng yĭ yĭ
rì jŭ yuè zhū xī zài róng lĕi
hú rén chŏng xī yŏu èr zĭ
jū zhī yù zhī xī bù xiū chĭ
mĭn zhī niàn zhī xī shēng zhăng biān bĭ
shì yŏu yī pāi yīn gāi qĭ
āi xiăng chán mián xī chè xīn suĭ
XII
Un giorno si diffonde la notizia che gli Xiōngnú hanno fatto la pace con i Cinesi e, qualche tempo dopo, inaspettatamente, compaiono nell’accampamento dei barbari alcuni emissari dell’imperatore cui è stato affidato l’incarico di riscattare la prigioniera. La gioia è grande, ma non è priva di ombre. Se tornerà in Cina, Cài Wénjĭ non potrà portare con sé i figli, che rimarranno insieme al padre nella steppa. La dodicesima canzone descrive il contrasto dei sentimenti nell’animo della donna.
Come ogni anno, risoffia il vento dell’est
e il clima diventa assai più mite. (1)
Si annuncia che l’imperatore Hàn
ha proclamato pace e concordia.(2)
I barbari danzano per la gioia (3) (4),
urlano e cantano tutti insieme.
I due popoli sono ora amici (5).
Essi depongono le loro armi.
Ecco, ad un tratto, messi cinesi.
Offrono oro per il mio riscatto. (6)
Che bellezza tornare ancor viva,
incontrare il Divino Sovrano!
Ma soffro di lasciare i miei figli
perché so che non li vedrò mai più.
Gioia e dolore si mescolano
nella dodicesima canzone.
Voglio partire o voglio restare?
Quant’è difficile questa scelta.
NOTE
1) I caratteri 應 (“yìng”= “dovere”) e 律 (“lǜ=”regola”) ci danno l’espressione 應 律 (“yìng lǜ”) che significa “come è regola che sia”, “secondo il ritmo naturale”). Il vento dell’est (東風“dōngfēng”), che proviene dall’Oceano, porta la primavera, mentre il vento dell’ovest (西 風 “xīfēng”), che proviene dalla Siberia, porta l’autunno.
2) Il termine 陽 (“yáng”) può avere una grande varietà di significati. Inteso come sostantivo, può qui essere interpretato nel senso di “fatto positivo”. Inteso come aggettivo può essere legato alla parola 和 (“hé”=”pace”) e sottolinearne la natura “attiva”, ”positiva”, ”brillante”.
3)Troviamo in questo verso il termine Qiāng 羌 ,che designa un’altra delle cinque grandi tribù barbare (五 湖 “wŭhú”). Esso sembra qui impiegato nel senso generico di “barbari”, al posto dei termini Róng 戎 e Jié 羯 che abbiamo incontrato in precedenza.
L’espressione Qiāng Lŭ 羌 虜i, in cui il termine figura, non sembra avere neppur essa un significato più specifico, in quanto la parola “lŭ”, pur indicando in senso stretto un “prigioniero”, può anche essere intesa , in modo più ampio, come “nemico”. Nel contesto “Qiāng Lŭ” andrebbe quindi interpretato come “barbaro ostile”.
I passi del Libro degli Hàn Posteriori ( 後 漢 書 “hòu hàn shū”) in cui appare tale espressione non permettono infatti di attribuirle un significato più preciso. Si vedano, in proposito,il Capitolo 13 delle Biografie, “Biografia di Dòu Róng (竇 融 列 傳 “dòu róng lièzhuàn”), par.14, e il Capitolo 53 delle Biografie, “Biografia di Mă Róng”, (馬 融 列 傳 “mă róng lièzhuàn”), par.2.
4) Il termine 蹈 無 (“dăo wŭ”) indica le danze sfrenate dei barbari, caratterizzate da gesti convulsi, salti, piroette e dal battere con forza (蹈 “dăo”) i piedi sul terreno.
5) L’espressione 交懽 (“jiāo huān”), letteralmente “mescolarsi e divertirsi”, è passata dal significato originario di festeggiare un matrimonio a quello di essere in buoni rapporti.
6) Il testo originale reca l’espressione 千 金 (“qiānjīn”), letteralmente “mille pezzi d’oro”, usata per indicare una grande quantità di denaro.
第十二拍
東風應律兮暖氣多,知是漢家天子兮布陽和
羌虜蹈舞兮共謳歌,兩國交懽兮罷兵戎
忽遇漢使兮稱近詔,遺千金兮贖妾身
喜得生還兮逢聖君,嗟別稚子兮會無因
十有二拍兮哀樂均,去住兩情兮難 具陳
dōng fēng yìng lǜ xī nuăn qĭ duō
zhī shì hàn jiā tiān zĭ xī bù yáng hé
qiāng lŭ dăo wŭ xī gòng ōu gē
liăng guó jiāo huān xī bà bīng róng
hū yù hàn shĭ xī yí qiān jīn shú qiè shēn
xĭ de shēng hái xī féng shèng jūn
jié bié zhì zĭ xī huì wú yīn
shí yŏu èr pāi xī āi lè jūn
qù zhù liáng qíng xī nán jù chén
XIII
Arriva il momento del ritorno in patria, ma è anche il momento straziante della separazione dai figli. Cài Wénjĭ non avrebbe mai immaginato che il distacco potesse essere così terribile. Mentre le figure dei bambini svaniscono in lontananza, la poetessa si rende conto di aver lasciato per sempre nella steppa una parte di sé stessa.
Nel tempo che restava da vivere
non avrei mai pensato di tornare.
Mentre abbraccio i miei piccoli selvaggi (1)
le lacrime colano sugli abiti.
I messi degli Hàn mi salutano.
Quattro stalloni trascinano il carro.(2)
I bambini piangono di tristezza.
Chi avrebbe potuto immaginare
che questo momento della partenza
sarebbe stato per me cosÌ angoscioso? (3)
Quanto sto soffrendo per i miei figli!
Il sole ha perso tutto il suo splendore.
Avessi ali per condurvi via con me.(4)
Ogni passo mi porta più lontano,
ma quanto m’è difficile muovermi.
Il cuore viene meno, le immagini
si dissolvono, ho lasciato l’amore.(5)
Qui, nella tredicesima canzone,
veloce il ritmo, triste la melodia.
Il petto mi scoppia per il dolore,(6)
ma non c’è nessuno che se ne accorga.
NOTE
1) Il momento dell’addio è il più difficile. Nei primi versi notiamo ancora una sorta di riserva mentale. I bambini che Cì Wénjĭ ha avuto dal capo degli Xiōngnú sono i suoi figli, ma sono anche qualcosa che in parte le è estraneo: dei piccoli barbari (胡 兒 “hú èr”). Per quanto possa essere affettuoso il termine implica una certa distanza. Ma, a poco a poco, l’amore materno prevale e, nei versi successivi, si parla soltanto di “figli” (子 “zĭ”).
2) L’ambasceria cinese ha pagato una forte somma per il riscatto di Cài Wénjĭ e la tratta con tutti gli onori. Una carrozza trainata da quattro cavalli era, a quei tempi, un importante “status symbol”. Come sappiamo dalla ballata popolare “Il sentiero dei Gelsi” ( 陌 上 桑 “mòshàng sāng”) le carrozze dei governatori erano trainate da cinque cavalli.
3) Il testo originale reca 生 死 (“shēng sĭ”) vale a dire “vita (o) morte”. La decisione di lasciare i figli si rivela molto più angosciosa di quanto la donna avesse pensato.
4) La concisione della poesia cinese permette di interpretare la frase in due modi differenti, ma non sostanzialmente diversi. La frase 焉 得 羽 翼 兮 將 汝 歸 (“yān de yŭ yì xī jiāng rŭ guī”) può essere letta “ se avessi le ali vi porterei via con me” oppure “se avessi le ali tornerei da voi”).
5) Il termine 遺 (“yí”) significa “perdere”,”lasciare”. Abbandonando i figli, Cài Wénjĭ ha lasciato il suo amore nella steppa.
6) Per i Cinesi “il fegato e gli intestini”( 肝 腸 ”gān cháng”) sono la sede dei sentimenti, mentre per noi si tratterebbe piuttosto del “petto” e del “cuore”. Possiamo tuttavia osservare che anche Goethe sembra, almeno una volta, condividere l’opinione dei Cinesi:
Nur wer die Sehnsucht kennt weiß, was ich leide! Allein und abgetrennt von aller Freude, seh ich ans Firmament nach jener Seite. Ach! der mich liebt und kennt ist in der Weite.
Es schwindelt mir, es brennt mein Eingeweide.
Nur wer die Sehnsucht kennt weiß, was ich leide!
第十三 拍
不謂殘生兮卻得旋歸,撫抱胡兒兮泣下霑衣
漢使迎我兮四牡騑騑,號失聲兮誰得知
與我生死兮逢此時,愁為子兮日無光輝
焉得羽翼兮將汝歸
一步一遠兮足難移,魂消影絕兮恩愛遺
十 有三拍兮弦急調悲,肝腸攪刺兮人莫我知
bù wèi cán shēng xī què de xuán guī
fŭ bào hú èr xī lì xià zhān yī
hàn shĭ yíng wŏ xī sì mŭ fēi fē
hào shī shēng xī shi de zhì
yŭ wŏ shēng sĭ xī féng cĭ shĭ
chóu wéi zĭ xĭ rì wú guāng huī
yān de yŭ yì xī jiāng rŭ guī
yī bù yĭ yuăn xī zú nán yí
hún xiāo yĭng jué xī ēn ài yí
shí yŏu sān pāi xī xián jí diào bēi
gān cháng jiăo cì xī rén mò wŏ zhì
XIV
Il pensiero dei figli lasciati soli tra i barbari tormenta Cài Wénjĭ durante il suo viaggio di ritorno in Cina. La quattordicesima canzone descrive, con precisi tocchi psicologici, l’angoscia d’una madre che, posta di fronte ad una scelta lacerante, sente di avere in qualche modo sacrificato i suoi bambini.
Sto ritornando nella mia patria,
ma i bambini non vengono con me.
L’angoscia mi turba e mi sconvolge
come il lungo morso della fame.(1)
Nel corso delle quattro stagioni
la natura fiorisce e declina.
Solo il mio dolore è sempre acerbo,
non diminuisce mai d’intensità.(2)
Son alti i monti, vasta è la terra.
Figli miei, non vi rivedrò mai più.
Solo quando la notte è più fonda
sogno che voi siete ancora con me.
Nel sonno mi sembra d’abbracciarvi.
Quale gioia ne provo e qual pena!
Al risveglio l’animo è sconvolto
da un turbamento che non cessa mai.
Nel mio quattordicesimo canto
le lacrime colano giù a fiotti.
I fiumi scorrono verso il mare,
il mio pensiero corre sempre a voi.(3)
NOTE
1) Il testo cinese esprime l’angoscia con la frase 心 懸 懸 (“xīn xuán xuán”), letteralmente “il cuore è sospeso” e la paragona al tormento di chi soffre la fame (長 如 饑 ”cháng rú jī”, letteralmente “lunga come la fame”).
2) La poetessa osserva che nel corso dell’anno tutta la natura (萬 物 “wán wú” “le diecimila cose”) dapprima fiorisce e poi deperisce. La legge che regola il mondo stabilisce che ogni fenomeno dapprima cresca d intensità e poi diminuisca sino a svanire. L’unica eccezione è il dolore che ella prova per la lontananza dei figli, dolore inalterabile e inestinguibile.
3) Il pensiero della madre corre ai figli con la stessa ineluttabilità con cui i fiumi scendono al mare. La frase cinese 河 水 流 東 (“hé shuĭ liú dōng”), vale a dire “l’acqua dei fiumi scorre verso oriente” si spiega con il fatto che in Cina le montagne da cui nascono i fiumi sono situate nella parte occidentale del paese, mentre il mare ne bagna la parte orientale.
第 十 四 拍
身歸國兮兒莫之隨, 心懸懸兮長如饑
四時萬物兮有盛衰, 唯我愁苦兮不暫移。
山高地闊兮見汝無期,更深夜闌兮夢汝來斯。
夢中執手兮一喜一悲, 覺後痛吾心兮無休歇時。
十有四拍兮涕淚交垂, 河水東流兮心是思
shēn guī guó xī èr mò zhī ào
xīn xuán xuán xī cháng rú jī
sì shí wàn wù xī yŏu shèng shuāi
shéi wŏ chóu wéi kŭ xī bù zàn yí
shān gāo dì kuò xī jiàn rŭ wú qī
gēng shēn yè lán xī mèng rŭ lài qī
mèng zhōng zhí shŏu xī yī xĭ yī bēi
jué hòu tòng wú xīn xī wú xīu xiē shí
shí yŏu sì pāi xī tì lèi jiāo chuí
hé shuĭ dōng liú xī xīn shì sī
XV
La quindicesima canzona è una poesia di introspezione psicologica. Gli amici ed i conoscenti di Cài Wénjĭ non riescono a capire perché la poetessa continui ad essere triste, pur essendo tornata in patria, come aveva sempre desiderato. Cài Wénjĭ spiega loro che è felicissima di aver rivisto il paese natale, ma che ciò non basta a lenire la sofferenza che le causa la lontananza dai figli.
Nella quindicesima canzone
il ritmo diventa più veloce
e la passione mi riempie il cuore.
Chi può capire i miei sentimenti?
Ho vissuto in tende di feltro, (1)
son stata compagna di un barbaro. (2)
Volevo solo tornare a casa!
Il Cielo ascoltò le mie preghiere.
Rivedere la patria è una cosa
che dovrebbe rendermi felice.
Eppure in me s’annida un rimpianto
che mi dà profonda sofferenza.
Sole e luna brillano per tutti.
Perché non risplendono anche per me?
Come può una madre sopportare
di essere separata dai suoi figli?
Divisi sotto lo stesso cielo,
lontani come notte e mattino, (3)
senza ricevere mai notizie.
Dove ci potremo ritrovare?
NOTE
1) Il termine 穹廬 (“qióng lú”) indica la “yurta”, abitazione tipica dei popoli nomadi che abitano le steppe dell’Asia Centrale, costituita da una intelaiatura di legno ricoperta con tappeti di feltro.
2) Il carattere 偶 (“ŏu”) significa, tra l’altro, “coppia”, “paio”. Il termine 殊俗 (“shū sú “) significa “usanze particolari”, “abitudini barbare”. Ci troviamo quindi a leggere la frase "ho fatto coppia con strani costumi”, nella quale l’espressione “strani costumi” può essere intesa come una metonimia per “un uomo di strani costumi”, cioè “un barbaro”.
3) Il testo cinese usa i termini Shēn 參 e Shāng 商.
Shēn 參 è il nome con cui gli astronomi cinesi designavano la “Casa delle Tre Stelle” 參 宿 (“shēn xiù”) , cioè la ventunesima casa stellare (宿 “xiù”) - la settima nel simbolo della Tigre Bianca Occidentale (西 方 白 虎 “xī fáng bái hŭ”) - che corrisponde , secondo la nostra tradizione astronomica, alle tre stelle da cui è formata la Cintura di Orione, nella costellazione di Orione (Alnitak o Zeta Orionis, Alnilam o Epsilon Orionis e Mintaka o Delta Orionis).
Shāng 商 designava invece la “Casa del Cuore” 心 宿 (“xīn xiù”), cioè la quinta casa stellare – la quinta nel simbolo del Dragone Azzurro Orientale 東 方 青 龍 (“dōng fāng qīng lóng”)- che corrisponde, secondo la nostra tradizione astronomica, alla costellazione dello Scorpione e sembra indicare in particolare Antares o Alpha Scorpii, la stella più brillante della costellazione. Il nome 商 星 è legato probabilmente al fatto che tale stella era stata assunta come emblema dalla dinastia Shāng 商 朝 (1558 a.C-1046 a.C.).
Gli antichi Cinesi osservarono che, a causa delle loro rispettive posizioni, le due costellazioni non erano visibili contemporaneamente, ma che, nel momento in cui compariva Shāng, Shēn spariva dalla volta celeste. Su questa osservazione si fonda il mito di Shíchén 實 沉 ed Èbó 閼 伯, i due figli dell’imperatore Gāoxīn 高 辛 ( che regnò, secondo le fonti tradizionali, dal 2436 a.C. al 2366 a.C.), i quali si odiavano talmente tra di loro che, per tenerli lontani l’uno dall’altro, il padre li incaricò di compiere rispettivamente i sacrifici alle case lunari di Shēn e di Shāng, in modo che non potessero mai incontrarsi.
È interessante notare che, sulla base della stessa osservazione, i Greci svilupparono il mito del cacciatore Orione ucciso dalla puntura di uno scorpione.
Shēn e Shāng sono menzionate anche in una poesia di Dù Fŭ 杜 甫 intitolata “Poema dedicato a Wèi Bā, funzionario in pensione” (贈 衛 八 處 士 “zèng wèi bā chŭ shì”) in cui si legge: “ Tra gli uomini vedersi è così difficile come un incontro tra Shēn e Shāng”(人 生 不 相 見 動 如 參 與 商 “rén shēng bù xiāng jiàn dòng rú shēn yŭ shāng”).
La stessa comparazione è talvolta effettuata menzionando, invece di Shēn 參 e Shāng 商, Shēn 參 e Chén 辰. Si veda per esempio la poesia “Amaro Destino”(苦 相 篇 “kŭ xiān piān”) di Fù Xuán 傅 玄 (217 d.C-278 d.C.) nei cui ultimi versi si legge:”.è più facile incontrarsi per Hú e Qín che per due ormai paragonabili a Shēn e Chén”( 胡 秦 時 相 見 一 絕 逾 參 辰 “hú qín shì xiāng jiàn yī jué yú shēn chén”) . Occorre tuttavia notare che, se si presta fede ad tabella di corrispondenza che si può trovare su Internet, Chēn è semplicemente un’altra denominazione di Antares o Alpha Scorpii.
第十五拍
十五拍兮節調促,氣填胸兮誰識曲?
處穹廬兮偶殊俗,願得歸來兮天從欲。
再還漢國兮懽心足。
心有懷兮愁轉深,日月無私兮曾不照臨。
子母分離兮意難任!
同天隔越兮如商參,生死不相知兮何處尋
shí wŭ pāi xī tiáo jié cù
qì chăng xiōng xī shéi shí qū
chù qiōng lú xī ŏu shū sú
yuàn dé guī lài xī tiān cóng yù
zài hái hàn guò xī huān xīn zù
xīn yŏu huái xī chóu zhuăn shēn
rì yuè wú sī xī huì bù zhào lín
zĭ mŭ fēn lí xī yì nán rèn
tóng tiān gé yuè xī rú shāng shēn
shēng sĭ bù xiāng zhì xī hé chù xún
XVI
Il ritorno in patria, così a lungo desiderato, non ha portato la felicità. La nostalgia del paese natale è stata sostituita da un’altra sofferenza altrettanto intensa: la nostalgia dei figli lontani. Cài Wénjĭ si rende conto che non li rivedrà mai più e piange amaramente.
Nella sedicesima canzone
la nostalgia non ha più limiti.
Io ed i bambini siamo dispersi,
ciascuno in diverse direzioni,
sperando invano di rivederci
come si cercano sole e luna.(1)
So che non potrò mai ritrovarli.
Sono sola, col cuore spezzato,
né bastano le belle di giorno (2)
a farmi scordare il mio dolore.
Se tocco le corde della cetra
quanta melanconia m’assale ! (3)
Adesso ho detto addio ai miei figli
e sono ritornata nel mio paese.
L’amarezza d’un tempo è sparita
ma s’è mutata in un nuovo affanno.
Mentre piango lacrime di sangue
alzo la testa ed accuso il Cielo.(4)
Perché mai ha voluto che nascessi?
Solo per affrontare questi guai?
NOTE
1) Cài Wénjĭ ricorre, per esprimere l’impossibilità di rivedere i propri figli, ad un paragone analogo a quello usato nella canzone precedente. Là si faceva riferimento alle costellazioni di Orione ( 參 “shēn”) e dello Scorpione 商 (“shāng”). Qui si rimanda invece al sole ed alla luna, che anch’essi non appaiono mai insieme nella volta celeste.
2) ll termine 萱 草 (“xuān căo”) designa il fiore conosciuto come “bella di giorno” (nome scientifico: Hemerocallis fulva). Nell’antica Cina si credeva che i boccioli della bella di giorno, se utilizzati come cibo o disciolti in una bevanda, alleviassero il dolore. Secondo la tradizione popolare, quando un giovane lasciava la famiglia per andare a studiare o a lavorare altrove, piantava nel giardino di casa alcuni esemplari di “bella di giorno” perché la madre non soffrisse troppo della sua lontananza. Si può immaginare che tali fiori avessero un effetto calmante o leggermente stupefacente che aiutava a dimenticare le tensioni e gli affanni. Non è da escludere che anche il loro profumo potesse rilassare i nervi o provocare un lieve stato di euforia. Poiché nel testo cinese si legge semplicemente 對 萱 草 (“duì xuān căo”), cioè “stando di fronte alle belle di giorno”, ho preferito tradurre la frase in modo generico, senza entrare nei dettagli.
3) In un dizionario on line ho trovato l’espressione 何 傷 (“hé shāng”) intesa in senso interrogativo (“quale ferita?”,“quale tristezza?”) ed interpretata perciò come “non c’è nulla per cui rattristarsi”. Nel presente contesto, essa va tuttavia intesa, secondo un uso più antico, in senso esclamativo: “Quale tristezza!”.
4) Il termine 蒼“(“cāng”), che può essere raddoppiato in蒼蒼 (“cāng cāng”), significa “blu”,”azzurro” e si riferisce al colore del cielo. Di conseguenza, può anche essere usato al fine di indicare la volta celeste e, per translato, il Cielo come principio supremo. Analogo significato ha l’espressione 茫 茫 蒼 蒼 (“máng máng cāng cāng”), letteralmente “l’infinità azzurra”.
第十六拍
十六拍兮思茫茫, 我與兒各一方。
日東月西兮徒相望,不得相隨兮空斷腸!
對萱草兮憂不忘, 彈鳴琴兮情何傷!
今別子兮歸故鄉, 舊怨平 兮新怨長。
泣血仰頭兮訴蒼蒼,為生我兮獨罹此殃!
shí liù pāi xī sī máng máng
wŏ yŭ ér gè yī fāng
rì dōng yuè xī xī tú xiāng wàng
bù de xiāng suí xī kōng duàn cháng
duì xuān căo xī yōu bù wàng
tán míng qīn xī qíng hé shāng
jīn bié zĭ xī guī gù xiāng
jiù yuàn píng xī xīn yuàn cháng
qì xuè yăng tóu xī sù cāng cāng
hú wéi shēng wŏ xī dú lí cĭ yāng
XVII
Come le era parso interminabile il viaggio verso l’accampamento dei barbari nella steppa (cfr. la seconda canzone:”...Un barbaro mi costrinse a vivere con lui, mi condusse sino all’estremità del mondo. Lunghissimo il cammino per il suo paese. Montagne e montagne coperte di nuvole. Tempeste di sabbia su strade senza fine...”), così Cài Wénjĭ trova lungo e difficile anche il tanto desiderato viaggio di ritorno. Il motivo di questo stato d’animo ci viene però subito spiegato: quando fu rapita ella soffriva perché aveva dovuto abbandonare la patria, ora soffre altrettanto perché ha dovuto abbandonare i figli. La tristezza la porta a sottolineare gli aspetti più negativi del viaggio: l’attraversamento delle regioni di frontiera devastate dalla guerra, lo spettacolo spettrale dei campi di battaglia ancora coperti dalle ossa dei caduti, la fame e la stanchezza di una carovana che deve avventurarsi in regioni impervie ed inospitali. Alla fine però la prospettiva di rivedere Cháng Ān, la città in cui nacque e da cui fu portata via a forza tanti anni prima, la fa scoppiare in un gran pianto liberatorio.
Giunta al diciassettesimo canto
provo una gran voglia di piangere. (1)
Un cammino lungo e difficile
si inerpica per monti e valichi.
Quando mi rapirono ero triste (2)
e la mia mente correva al paese.
Per tornare ho lasciato i miei figli
e non faccio che pensare a loro.
Al confine vedo erbe selvatiche ,(3)
alberi secchi, foglie appassite.
Nel deserto bianche ossa portano (4)
ancora traccia dei colpi mortali.(5)
Anche di primavera e d’estate
continua a soffiare un vento freddo.
Stanchi e affamati uomini e cavalli.(6)
I muscoli si indeboliscono.(7)
Avrei mai potuto immaginare
che avrei rivisto la capitale ?
Sospiro. Non trattengo più il pianto.
Sul volto colano le lacrime.(8)
NOTE
1) L’espressione cinese 鼻酸(“bí suān”), letteralmente “avere il naso che fa male”,”avere il naso che brucia” corrisponde al nostro “avere un groppo in gola” ed indica turbamento e voglia di piangere.
2) Il termine 緒 (“xù”) significa “sentimento”,”stato d’animo”. L’espressione 心 無 緒 (“xīn wú xù”) può perciò essere interpretata come “animo in disordine”, ”animo turbato”. La frase idiomatica 無 情 無 緒 (“wú qíng wú xù”,”senza passione e senza sentimento”) indica tristezza e pessimismo.
3) Si può pensare che l’espressione 黃 蒿(“huáng hāo”) corrisponda al termine 黃 花 蒿 (“huáng huā hāo”) che designa l’ ”artemisia annua “, una pianta infestante dai fiori di color giallo. Nell’antica poesia cinese l’artemisia, vista come un’erbaccia che cresce fra le rovine e nei campi non coltivati, è spesso menzionata per simboleggiare la decadenza e l’abbandono.
4) La parola 沙 場 (“shāchăng”), letteralmente “distesa di sabbia”, ha anche il significato di “campo di battaglia” perché era proprio nei grandi spazi desertici ai confini della Cina che le truppe imperiali affrontavano i nomadi della steppa.
5) Nel viaggio di ritorno verso la Cina Cài Wénjĭ passa nei luoghi dove si sono svolte cruente battaglie tra i Cinesi e gli Unni. Le ossa dei caduti giacciono ancora sul campo e mostrano le tracce delle terribili ferite ricevute: le fratture dovute ai colpi di spada (刀 痕 “dāo hén”) ed i fori lasciati dalla punta delle frecce (箭 瘢 “jiàn bān”).
6) Il termine 虺 ,il cui primo significato è quello di “serpente” (“huĭ”), può avere, se pronunciato col primo tono (“huī”) il senso di “stanco”, ”affaticato”, ”infiacchito”.
7) L‘ espressione 筋 力 (“jīn lì” “forza dei muscoli”) indica l’efficienza fisica, la capacità del corpo umano di svolgere le sue attività.
8) Ho tradotto con “colano” il termine 蘭 干 (“lán gān”) che significa più precisamente “intrecciarsi”. Usando tale termine, la poetessa ha voluto descrivere in modo più vivace le lacrime che sgorgano impetuose dagli occhi e colano giù a fiotti lungo il volto, intrecciandosi e accavallandosi disordinatamente.
第十七拍
十七拍兮心鼻酸, 關山阻修兮行路難
去 時懷土兮心無緒, 來時別兒兮思漫漫
塞上黃蒿兮枝枯葉乾,沙場白骨兮刀痕箭瘢
風霜凜凜兮春夏寒, 人馬飢虺兮筋力單
豈知重得兮入長安, 嘆息欲絕兮淚闌干
shí qī pāi xī xīn bí suān
guān shān zŭ xiū xī xíng lù nán
qù shí huái tŭ xī xīn wú xù
lái shí bié ér xī sī màn màn
sāi shàng huáng hāo xī zhī kū yè gān
shā chăng bái gŭ xī dāo hén jiàn bān
fēng shuāng lĭn lĭn xī chūn xià hán
rén mă jī huĭ xī jīn lì dān
qĭ zhī chuí de xī rù cháng ān
tàn xī yù jué xī lèi lán gān
XVIII
L'ultimo canto non segna la fine dei tormenti della poetessa. La gioia di essere ritornata in patria sarà sempre offuscata dal dolore di non poter mai più rivedere i figli lontani.
Anche se il flauto barbaro vien dalla steppa
melodia e ritmo s’adattano alla cetra.
Sebbene questo sia per me l’ultimo canto
la musica nutre ancora la nostalgia.
Quanto son delicate le corde e le canne!(1)
Esse eguagliano l’opera della natura,
seguono ogni gioia e dolore dell’animo
accompagnandone qualunque mutamento.
Hú e Hàn, diversi i paesi, altri i costumi.
Lontani come cielo e terra madre e figli.
Questi stanno in occidente, quella in oriente.
Amara la mia pena, più vasta del cielo.(2)
Il mondo intero non potrebbe sopportarla.
NOTE
1) I termini “corde” (絲 ”sī”) e “canne” (竹 “zhú”) sintetizzano l’insieme degli strumenti musicali usati dai Cinesi e dai barbari. I Cinesi prediligono gli strumenti a corde, in particolare il “qīn” (琴), che è una specie di cetra; i barbari suonano piuttosto strumenti a fiato, in particolare un tipo di flauto che i Cinesi chiamano “il flauto dei barbari” (胡 笳 “hú jiă”).Cài Wénjĭ osserva giustamente che la stessa melodia può essere adattata a qualsiasi strumento.
2) Le “sei direzioni” (六 合 “liú hé”), vale a dire i quattro punti cardinali più l’alto e il basso, simboleggiano il mondo intero.
第 十八拍
拍胡笳本自出胡中,緣琴翻出音律同
十八拍兮曲雖終,響有餘兮思無窮
是知絲竹微妙兮均造化之功,哀樂各隨心兮有變則通
胡與漢兮異域殊風,天與地隔兮子西母東
苦我怨氣兮浩于長空,六合雖廣兮受之應不容!
pāi hú jiă bĕn zì chū hú zhōng yuán qīn fān chū yīn lǜ tóng
shí bā pāi xī qū suī zhōng xiăng yŏu yú xī sī wú qióng
shì zhī sī zhú wēi miào xī jūn zào huà zhī gōng āi lè gĕ suí xīn xī yōu biàn cè tōng
hú yŭ hàn xī yì yù shū fēng tiān yŭ dì gé xī zĭ xī mŭ dōng
kŭ wō yuàn qì xì hào yú cháng kōng
liú hé suī guăng xī shòu zhī yìng bù róng