L’8 gennaio 2024 ricorreva il settecentesimo anniversario della morte di Marco Polo. A ricordo del celebre viaggiatore, ho pensato di scrivere qualcosa su una questione che continua ad essere oggetto di accanite polemiche: Marco Polo è mai stato in Cina? Nel raccogliere le diverse opinioni a questo riguardo, mi sono accorto che c’era materiale sufficiente per comporre una trattazione accademica di qualche centinaio di pagine Non essendo questo il mio scopo, mi sono limitato a riassumere concisamente le diverse argomentazioni, rimandando chi voglia approfondire il soggetto alla bibliografia riportata nelle note.
Marco Polo è stato in Cina?
Gli studiosi di Marco Polo si domandano da sempre se il celebre viaggiatore sia davvero stato in Cina.
I sostenitori della tesi negativa osservano che, se si prescinde dalle affermazioni contenute nel racconto dei suoi viaggi, il libro conosciuto come “Il Milione”, non risulta nota alcuna fonte coeva che metta in relazione Marco Polo con la Cina. Non esisterebbe alcun documento cinese del XIII° o del XIV° secolo che lo menzioni e non si sarebbe finora trovato, neppure negli archivi di Venezia, alcun atto che attesti eventuali rapporti di Marco Polo o dei suoi familiari con l’impero di Kubilai Khan.
A queste argomentazioni i sostenitori della tesi positiva oppongono una serie di controdeduzioni.
Lo storico cinese Peng Hai (1) ha trovato nelle “Cronache della dinastia Yuan”(2) un paragrafo riguardante un cortigiano chiamato Boluo, fatto arrestare nel 1274 da un funzionario di nome Saman perché aveva contravvenuto alla norma che imponeva agli uomini e alle donne di camminare sui lati opposti delle strade. Peng Hai ritiene che il suddetto Boluo possa essere identificato con Marco Polo. In effetti, nel 1274, il viaggiatore veneziano era giunto da poco alla corte del Khan ed avrebbe potuto essere ancora ignaro dei precetti che regolavano la vita nella capitale dell’Impero. Peng Hai ricorda inoltre che Boluo fu poi liberato su ordine dell’imperatore e inviato, agli inizi del 1275, nella regione del Ningxia, cosa che sembrerebbe coincidere con la prima “missione” menzionata da Marco Polo nel cap.15 del “MIlione”. (3)
Le stesse “Cronache della dinastia Yuan”, indicano che un cortigiano di nome Boluo (4) fu incaricato nel 1282 di indagare sull’assassinio del potente ministro Acmat (5) da parte dell’ufficiale Wang Zhu e del monaco Gao, che avrebbero inteso con questo atto dare avvio ad una rivolta dei Cinesi contro i dominatori mongoli. Tale episodio è raccontato nel “Milione” con un’abbondanza di dettagli tale da far pensare che Marco Polo disponesse effettivamente al riguardo di informazioni di prima mano.(6)
Occorre nondimeno ricordare che “Boluo”può anche corrispondere ad un nome mongolo molto diffuso ,“Bolod”, e che non v’è alcuna certezza che le fonti sopra citate si riferiscano effettivamente a Marco Polo.
Elementi forse più convincenti si possono anche trovare negli archivi di Venezia, sebbene si possa sulla loro base giungere soltanto a conclusioni di natura indiretta.
Recenti ricerche hanno, per esempio, consentito di accertare che il testamento di Matteo Polo, zio di Marco, redatto nell’aprile del 1310, fa menzione di “tribus tabulis de auro que fuerunt magnifici chan tartarorum”(“ tre tavolette d’oro che appartenevano al magnifico khan dei Tartari”). Se Matteo Polo aveva tra i suoi beni dei salvacondotti rilasciati dal Gran Khan dei Tartari, incisi su tavolette d’oro, sembra logico dedurne che avesse soggiornato e viaggiato in Cina.
Egualmente significativa è la menzione di una “tola d’oro granda da comandamento”(7), che figurava nell’inventario dei beni lasciati in eredità da Marco Polo, effettuato nel 1234, un mese dopo la sua morte. (8) L’originale dell’inventario è andato perduto, ma ne possediamo una trascrizione, prodotta nel 1366 da Fantina, una delle sue tre figlie, in un processo nel quale reclamava il suo terzo d’eredità, preso in carico dal coniuge – l'estensore dell’inventario- e mai consegnatole.
Figurano inoltre tra i beni citati nel suddetto inventario anche altri oggetti atti a dimostrare, in modo assai persuasivo, che Marco Polo ebbe una conoscenza di prima mano della Cina e dei khanati tartari sorti dall’impero di Gengis Khan. (9)
Una seconda serie di argomenti addotti da coloro i quali negano che Marco Polo sia mai stato in Cina attiene alle sue descrizioni di città, luoghi, edifici e costumi, che potrebbero essere state copiate dai racconti di altri viaggiatori, nonché alla mancata menzione di monumenti, fatti ed usi che non sarebbero dovuti sfuggire ad una persona che avesse veramente visitato il paese.
Partiamo dalle omissioni e dalla più macroscopica di esse: Marco Polo non menziona mai la Grande Muraglia.(10)
Già il gesuita Athanasius Kircher (11), nel 1600, si stupiva di questa omissione, che tuttavia ci appare meno sorprendente se ci collochiamo alla fine del XIII° secolo.
Occorre anzitutto considerare che la Grande Muraglia è situata a nord di Pechino e che Marco Polo si trovò di fronte ad essa una sola volta, quando àccompagnò Kubilai Khan da Shangdu (12) a Canbaluc. (13) Non ebbe in seguito più occasione di avvicinarsi ad essa nei suoi successivi spostamenti, che interessarono tutti le regioni centrali e meridionali della Cina, e neppure nel suo viaggio di ritorno in Europa, in cui la tappa che lo portò dalla Cina alla Persia si svolse per via marittima.
Si può immaginare che, l‘unica volta che Marco Polo vide la Grande Muraglia, non ne rimanesse particolarmente impressionato in quanto l’opera era in stato di abbandono da parecchi secoli e doveva essere ridotta, in molti punti, ad una fatiscente rovina.
D’altra parte, i Mongoli, il cui impero comprendeva a quell’epoca tanto la Cina quanto la Mongolia stessa e gli immensi territori dell’Asia Centrale, non avevano alcun motivo di mantenere in efficienza una fortificazione il cui scopo precipuo era stato appunto quello di tenere lontani dalla Cina i popoli della steppa.
Si spiega così che Marco Polo non abbia avuto conoscenza della Grande Muraglia neppure per via indiretta, visto che essa non è menzionata nemmeno nei documenti della dinastia Yuan, che non nominò mai funzionari incaricati di curarne la manutenzione nè stanziò mai fondi per eventuali restauri.
Il ripristino della Grande Muraglia ebbe luogo soltanto a partire dal secolo successivo, ad opera dei Ming, dinastia schiettamente cinese, che aveva un preciso interesse a rafforzare il confine tra la Cina e i territori dell’Asia Centrale.
Considerazioni più o meno analoghe possono essere fatte con riferimento ad usi e consuetudini tipicamente cinesi come l’uso delle bacchette per mangiare, la fasciatura dei piedi delle donne, il consumo del tè, le particolarità della scrittura.
Anche per quanto riguarda questi elementi, è necessario ricordare che essi erano totalmente estranei alla società mongola ( i Mongoli mangiavano con le mani, non bevevano tè, non fasciavano i piedi delle donne e possedevano una propria scrittura che non aveva nulla in comune con quella cinese.) (14)
SI può quindi Immaginare che Marco Polo, vivendo costantemente alla corte del Gran Khan e muovendosi, anche durante i suoi viaggi, in ambienti prevalentemente mongoli o comunque di “espatriati” ( mercanti italiani, arabi e persiani) abbia prestato scarsa attenzione a pratiche che non facevano parte della sua vita quotidiana.
È tuttavia curioso che non ne abbia fatto menzione nemmeno di sfuggita, posto che si trattava comunque di pratiche largamente diffuse tra la maggioranza della popolazione, anche se non nell’ambito dell’etnia allora dominante.
Viene poi fatto carico a Marco Polo non solo di aver peccato di omissione, ma anche di aver fornito descrizioni di luoghi e di fatti imprecise e inesatte, che susciterebbero il sospetto di essere narrazioni di seconda mano.
Per cominciare, sarebbe approssimativa la stessa descrizione del ponte nei pressi di Pechino oggi conosciuto come il “Ponte Marco Polo” (15), al quale il nostro attribuisce 34 archi, mentre in realtà ne conta soltanto 11. (16) Impostura o semplice défaillance della memoria al momento di ricordare cose viste molti anni prima? Non va però dimenticato che il ponte fu ricostruito dopo un’inondazione nel 1698, su ordine dell'imperatore Kangxi della dinastia Qing, nella sua forma odierna a 11 arcate e che non si può quindi escludere a priori che avesse in precedenza un diverso numero di arcate.
Le contestazioni non si limitano però a questo.
Ad esempio, Daniele Petrella, dell’Università di Napoli, sottolinea le inesattezze e le contraddizioni che si incontrano nella descrizione delle due spedizioni condotte dai Mongoli contro il Giappone nel 1274 e, rispettivamente, nel 1281. (17) Contrariamente a ciò che afferma Marco Polo nel “Milione” , la distruzione della flotta mongola a causa di un tifone ( il famoso “vento degli dei” o “kamikaze”) avvenne infatti nel corso della seconda spedizione e non della prima. (18) Tale osservazione non sembra però decisiva, giacché, secondo alcune testimonianze, una tempesta avrebbe contribuito in modo rilevante anche al fallimento della prima spedizione.(19)
Altri ancora sottolineano , da parte loro, che Marco Polo non ha alcun titolo per vantarsi di aver aiutato Kubilai Khan nella conquista della città di Xiangyang, che fu presa dai Mongoli prima del suo arrivo in Cina. (20) La città cadde infatti il 17 marzo 1273, almeno un anno prima dell’arrivo di Marco Polo in Cina. Igor de Rachewitz fa notare, a questo riguardo, che non tutti i manoscritti del "Milione" menzionano qui Marco Polo.(21) Se il passaggio fosse riferito soltanto a suo padre NIcolò e a suo zio Matteo, si potrebbero collocare all’epoca del loro precedente soggiorno in Cina eventuali consigli di carattere militare forniti al Gran Khan. Rimane tuttavia la difficoltà che la costruzione e l’uso delle catapulte, che costituiscono il momento decisivo nella presa di Xiangyang, hanno necessariamente avuto luogo entro la fine del 1272 e l’inizio del 1273 e non possono essere quindi in alcun modo poste a credito dei Polo, che in quel periodo non erano neppure in Cina. (22)
A queste affermazioni fanno da contraltare i numerosi studi che sottolineano l’accuratezza di molte descrizioni, spiegabile, ad avviso degli esperti, unicamente con un’esperienza di testimone oculare.
Il prof. Yang Zhijiu (23) nota, ad esempio, la precisione con cui Marco Polo descrive la città di Hangzhou, da lui chiamata Quinsai (24), che definisce “la più nobile città del mondo e la migliore” (25).
Alcuni dei dati forniti del “Milione” risultano in effetti confermati da documenti cinesi dell’epoca, quali “La Cronaca di Lin’an nell’era Qiandao” (26) e “Il sogno dell’antica capitale”. (27)
Un’altra narrazione di Marco Polo, da cui emergono particolari che sembrano dimostrare la sua partecipazione personale allo svolgersi degli avvenimenti, è il viaggio dell’ambasceria incaricata di accompagnare in Persia la principezza Kokocin (28), promessa in sposa all’ilkhan Arghun. (29)
Il racconto di Marco, che fornisce i nomi dei tre ambasciatori ,Oulutai, Apusca e Coia (30), trova conferma in due fonti diverse:
la prima, un passo della “Enciclopedia” dell’Imperatore Yongle (31) attesta che “ Uludai, Abiseqa e Hozhe si misero in viaggio...per il grande regno di Argun”;
la seconda, un passo dello scrittore persiano Rashid al Din Hamadani (32), menziona l’arrivo in Persia di un’ambasceria cinese guidata da un dignitario chiamato Hoja.
Le indicazioni fornite da Marco Polo risultano compatibili con questi due passi e, in una certa misura, li integrano.(33)
La partecipazione di Marco Polo all’ambasceria sopra ricordata, appare indirettamente confermata da altri dettagli.
Lo studioso danese Jorge Jensen (34) riferisce come iI famoso medico ed astrologo Pietro da Abano (1250-1316) riporti nel suo scritto "Conciliator Differentiarum, quæ inter Philosophos et Medicos Versantur"” , pubblicato nel 1306, una conversazione avuta prima del 1303 con Marco Polo, il quale gli aveva riferito un fenomeno astronomico (l’apparizione di una cometa) al quale aveva assistito nei pressi dell’isola di Sumatra.(35) Studi astronomici recenti hanno permesso di accertare che una cometa, non visibile in Europa, era apparsa in Indonesia proprio nel periodo in cui Marco Polo navigava in quella zona diretto in Persia. Nella stessa opera è riportata un'osservazione di Marco Polo con riferimento ad un particolare animale che avrebbe visto nell'isoloa di Sumatra: (36)
È stato altresì osservato che la narrazione del viaggio per mare dalla Cina alla Persia menziona periodi di navigazione e periodi di sosta in porto che corrispondono esattamente alla ciclicità dei monsoni.(37) Poiché Marco Polo non mostra in nessun passaggio del “Milione” di essere a conoscenza delle caratteristiche dei venti monsonici, se ne deve dedurre che il suo racconto non è una descrizione inventata a tavolino, bensì la testimonianza di un’esperienza effettivamente vissuta.
Oggetto di polemiche è anche il passo in cui Marco Polo parla del suo soggiorno triennale a Yangzhou, dove avrebbe esercitato alte funzioni (38) Nel “Milione”, egli afferma più volte di essere stato utilizzato da Kubilai Khan come latore di messaggi imperiali o per altri incarichi, ma solo in questo caso usa una frase da cui si potrebbe forse desumere che fu addirittura governatore di una città assai importante.
Molti studiosi contestano questa ipotesi, affermando che non esiste alcun documento coevo che menzioni Marco Polo come funzionario imperiale.
Altri, più possibilisti, osservano che vi sono comunque dei documenti da cui risulta l’attribuzione di cariche a persone di origine straniera (39), che non ha senso cercare il nome Marco Polo nei registri dell’epoca, visto che gli stranieri venivano sempre indicati con un nome mongolo o cinese, il quale non aveva nulla a che vedere con il loro vero nome, ed, infine, che una eventuale menzione di Marco Polo si sarebbe potuta benissimo trovare in uno dei moltissimi documenti dell’amministrazione mongola che furono distrutti quando, numerosi decenni più tardi la reazione popolare portò alla cacciata degli occupanti, alla creazione di una nuova dinastia puramente cinese ed alla cancellazione di quasi tutto ciò che poteva ricordare l’odiata dominazione mongola.
Nel merito della questione, è stato osservato che il testo non dice che Marco fu “governatore” di Yangzhou, ma che vi “ebbe potere per tre anni su ordine del Gran Khan”, cosa che non risulterebbe incompatibile con la sua qualità di “inviato” imperiale (40), cioè di un emissario incaricato di trasmettere ordini e vegliare alla loro esecuzione, senza occuparsi della loro messa in opera, che era lasciata alle autorità locali.
Di recente il sinologo tedesco Hans Ulrich Vogel (41) ha pubblicato un volume in cui esamina dettagliatamente le descrizioni che Marco Polo fornisce delle valute, della produzione di sale, della circolazione della moneta. (42) Vogel osserva che nessun'altra fonte occidentale, araba o persiana ha fornito dettagli così accurati e unici sulle valute cinesi, ad esempio la forma e le dimensioni della carta, l'uso dei sigilli, i vari tagli di carta moneta e le variazioni nell'uso della moneta nelle diverse regioni della Cina, come l'uso di conchiglie di cipree nello Yunnan. (43) Per esempio, il resoconto che Marco fa nel capitolo 95 della preparazione della carta moneta è notevolmente preciso e meticoloso. Anche i suoi resoconti sulla produzione del sale e sui ricavi del monopolio del sale sono accurati e sono in accordo con i documenti cinesi dell'era Yuan. Tutti questi dettagli sono stati suffragati – osserva il Vogel- da documenti e reperti archeologici ritrovati molto tempo dopo il rientro di Marco a Venezia: egli dunque non poteva avere avuto accesso a queste informazioni da fonti coeve.
Un ultimo argomento addotto da coloro che negano il viaggio di Marco Polo in Cina consiste nel far notare come la maggior parte dei toponimi usati nel "Milione" non siano cinesi, ma corrispondano piuttosto alle denominazioni delle regioni e delle città cinesi in mongolo o in persiano.
Senza entrare in una casistica lunga e dettagliata, basti ricordare che Marco Polo attribuisce alla Cina serttentrionale il nome di Catai e si riferisce alla città di Pechino con il nome di Cambaluc.(44)
Questo argomento non sembra però essere di importanza determinante. È facile osservare come Marco Polo, essendo quotidianamente a contatto o con funzionari mongoli o con mercanti provenienti soprattutto dall’Asia Centrale, fosse naturalmente portato ad utilizzare il mongolo, che era tra l’altro la lingua dell’amministrazione, o il persiano, che era, a quel tempo, la lingua franca degli ambienti commerciali. (45)
Alla luce di tutti gli elementi che abbiamo visto, la maggioranza degli studiosi tende oggi a ritenere che Marco Polo non si sia fermato sul Mar Nero, in Persia o nell’Asia Centrale, ma che sia effettivamente giunto in Cina e che vi abbia soggiornato per un periodo abbastanza lungo.
NOTE
* Per non appesantire troppo le note ho rinunciato a riportare per esteso i capitoli del "Milione" a cui si fa riferimento in questo articolo, limitandomi a citarne i titoli. Il testo intero di tali capitoli può essere trovato su Wikisource, alla voce : Il Milione” di Marco Polo, a cura di Antonio Lanza, L’Unità- Editori riuniti Edizione fuori commercio riservata agli abbonati per il 1982.
(1) Péng Hǎi 彭海 “Dati storici sul viaggio di Marco Polo in Cina” Edizioni cinesi di Scienze Sociali, Pechino 2010 ( 马可波罗来华史实” 北京 : 中国社会科学出版社, 2010 .” “mǎkěbōluó lái huá shǐshí běijīng: zhōngguó shèhuì kēxué chūbǎn shè” 2010.) L'episodio è narrato nel volume 119, paragrafo 27, della "Cronaca della dinastia Yuán ( 元史 "yuánshǐ" ).
(2) La” Cronaca della dinastia Yuán”( 元史 "yuánshǐ" ) è un’opera in 210 volumi, pubblicata a cura di Sòng Lián 宋濂 nel secondo anno di regno dell’imperatore Míng Hóngwǔ (1369 - 1370), che narra la storia della dinastia mongola Yuán, fondata da Kubilai Khan nel 1271, risalendo tuttavia sino all’epoca di Gengis Khan.
(3) Cfr. "Il MIlione", cap. 15 "Come lo Grande Kane mandò Marco, figliuolo di messer Nicolao, per suo mesaggio”
Il Níngxiá 宁夏 é una regione della Cina, attraversata dal Fiume Giallo, confinante a nord con la Mongolia Interna, a sud con il Gānsù e ad est con lo Shǎnxī.
(4) Leggiamo nel volume 205, paragrafo 18, dello Yuánshì che, dopo l’assassinio del ministro Acmat, Kubilai Khan inviò” Bóluò” (孛羅) ed altri funzionari nella capitale per indagare sui fatti e punire coloro che fomentavano disordini ("孛羅、司徒和禮霍孫、參政阿里等馳驛至大都,討為亂者。庚辰,獲高和尚于高梁河 " bo luó, sītú hé lǐ huò sūn, cānzhèng ālǐ děng chí yì zhì dàdū, tǎo wèi luàn zhě.")
(5) Ahmad di Fanakat fu ministro delle finanze sotto il regno di Kubilai Khan. Venne assassinato da congiurati cinesi nell'aprile del 1282.
(6) Cfr. cap. 97 , intitolato " Comment les Khataïens tentèrent de se rebeller", del "Livre de messire Marco Polo" in " Le carte poliane inedite di Luigi Foscolo Benedetto a cura di Samuela Simion", Università Ca’ Foscari, Venezia.
(7) I termini “tabulis de auro” e “tola d’oro” si riferiscono manifestamente a dei “paiza”(“páizi” 牌子 in cinese, “gerege” in mongolo, پایزه in persiano), salvacondotti incisi su tavolette d'oro, d'argento o di ferro – secondo il grado di importanza della missione – consegnati dai khan tartari ad ambasciatori ed emissari per viaggiare indisturbati ed essere riforniti in tutti i loro territori. Nel "Milione" i “paiza” compaiono a più riprese. Uno è consegnato da Kubilai Khan a Nicolò e Maffeo al momento della partenza per tornare dal loro primo viaggio in Cina e portare un’ambasciata al Papa: «Sì li diede una tavola d’oro dove si contenea che gli messaggi , in tutte parti ove andassero, li fosse fatto ciò che loro bisognasse»( cap.8). Altri due vengono dati ai Polo nel 1290, quando, desiderosi di tornare a casa, convincono Kubilai a lasciargli scortare una principessa di sangue imperiale che andava in sposa al khan di Persia: «Quando lo Grande Cane vide che messer Niccolao e messer Maffeo e messer Marco si doveano partire, egli li fece chiamare a sé, e sì li fece dare due tavole d’oro, e comandò che fossero franchi per tutte sue terre e fosseli fatte tutte le spese».(cap.18) Infine il khan persiano, ricevuti i veneziani, diede loro "quattro tavole d’oro... e l'altra era piana, ove era iscritto che questi tre latini fossero serviti e [o]norati e dato loro ciò che bisognava per tutta sua terra.”(cap.18) Nell'edizione a cura di Dante Olivieri. Bari, Laterza, 1912, reperibile anch'essa su Wikisource, figura una nota in cui si ricorda che, nella versione del codice magliabechiano, delle quattro tavole d'oro sopra menzionate" le due (erano) di gerfalchi, la terza di lioni, la quarta (era piana)"..
(8) L’inventario è menzionato nel catalogo della mostra "Sulla via della Seta Antichi sentieri tra Oriente e Occidente” organizzata dall' American Museum of Natural History di New York in collaborazione con Azienda Speciale Palaexpo e Codice, allestita fino al 10 marzo 2013 al Palazzo delle Esposizioni di Roma.
(9) Uno di essi, menzionato come “ bocheta d’oro con piere et perle”, è un “boghta,” tipico copricapo delle donne appartenenti all’élite mongola, alto fino a un metro, ricoperto di seta con filati d’oro e adorno di piume, gemme e perle. Un altro è un “ sacheto de peelo ch’è de la bestia”, cioè un ciuffo di peli di yak selvatico , di finezza e colore simile ai filati serici, conservato in una piccola sacca, che Marco Polo aveva riportato con sé a Venezia ed esibiva con orgoglio. Secondo una versione cinquecentesca del Milione, infatti, nelle regioni montuose dell’Asia interna vivevano «buoi salvatichi che sono grandi come leonfanti, e sono molto begli a vedere, ch’egli sono tutti pilosi, salvo che lo dosso, e sono bianchi e neri, e ‘l pelo è lungo tre palmi, qual pelo, o vero lana, è sottilissima e bianca, e più sottile e bianca che non è la seta; e messer Polo ne portò a Venezia come cosa mirabile, e così da tutti che la viddero fu reputata per tale». I
(10) La sinologa inglese Frances Wood presenta nel suo libro " Did Marco Polo go to China?", Secker & Warburg.
,1995, tutti gli argomenti addotti per sostenere che Marco Polo non fu mai in Cina, a partire dal fatto che egli non menziona mai la Grande Muraglia.
(11) Il gesuita Athanasius Kircher pubblicò nel 1667 una monografia sulla Cina (Athanasii Kircheri E Soc. Jesu China Monumentis, Qua Sacris qua Profanis, Nec non variis Naturæ & Artis Spectaculis, Aliarumque rerum memorabilium Argumentis Illustrata, auspiciis Leopold Primi, Roman, Imper. semper Augusti, Munificentißimi Mecænatis, Amstelodami, Janssonius a Waesberge; Weyerstraet, 1667), la cui Pars Quinta, dedicata all’architettura e alla tecnologia cinese, contiene anche una serie di informazioni relative alla Grande Muraglia.
(12) Xanadu, in cinese Shàngdū 上都 è un'antica città mongola, che fu capitale estiva dell'Impero cinese sotto la dinastia Yuán. Fatta costruire da Kubilai Khan, quando questi salì al trono nel 1271 d.C., fu abbandonata nel corso del XIV° secolo.
(13) Cambaluc, variante di Khanbalik (letteralmente: “la città del Khan”), designava, al tempo della dinastia mongola Yuán 元朝 (1271-1368), la capitale dell’Impero, cioè Pechino.
(14) L’uso delle bacchette per mangiare era tipico dei Cinesi, mentre i Mongoli come tutti gli altri popoli di quell’epoca mangiavano con le mani, tutt’al più utilizzando il coltello per tagliare i pezzi di carne.
Allo stesso modo la consuetudine di fasciare i piedi alle fanciulle era diffusa unicamente tra i Cinesi e probabilmente solo tra le famiglie benestanti, le cui donne non avevano bisogno di uscire di casa e, se mai dovevano farlo, potevano servirsi di una portantina. Si vede male in effetti come tale pratica potesse diffondersi tra i popolani e i contadini, le cui donne dovevano compiere a piedi importanti tragitti ad es. per andare a lavorare nei campi.
ll tè, la bevanda preferita dei Cinesi, non era molto diffuso tra i popoli dell`Asia Centrale, la cui bevanda tradizionale era il “kumis (che Marco Polo chiama “chemisi”), ottenuto da latte di giumenta fermentato.
Per quanto riguarda infine le lingue, va osservato non soltanto che I Mongoli avevano una propria lingua ed un proprio alfabeto, ma che Kubilai Khan 忽 必 烈 , tentò addirittura, durante il suo regno, di introdurre un alfabeto artificiale che si applicasse a tutte le lingue del suo impero. Egli si rivolse, per questo scopo, al monaco tibetano Drogӧn Chӧgyal Phagspa (1235 d.C.-1280 d.C., in cinese Bāsībā 八 思 巴 , del quale ammirava la vasta cultura e le approfondite conoscenze linguistiche. Partendo dalla scrittura tibetana, che è una scrittura bramanica, Phagspa elaborò un alfabeto sillabico, conosciuto anticamente come “scrittura quadrata” (方 體 字 “fāngtĭzì”) per la forma delle sue lettere o come “nuova scrittura mongola (蒙 古 新 子 “mĕnggŭ xīnzì”), ed oggi comunemente indicato come “scrittura di Phagspa” (八 思 巴 文 “bāsībā wén”). Adottato con decreto dell’Imperatore nel 1269, questo alfabeto avrebbe dovuto, nelle intenzioni di Kubilai, diventare non soltanto la scrittura ufficiale dell’amministrazione, ma anche la scrittura di uso comune nelle relazioni tra i privati. In realtà la sua applicazione incontrò fortissime resistenze e persino all’interno della classe dirigente mongola esso fu raramente usato al di fuori dei documenti ufficiali, cosicché gli esempi che ce ne sono giunti si ritrovano prevalentemente negli editti imperiali, sulle banconote, sulle monete, sui sigilli e sulle iscrizioni lapidarie. Con la caduta della dinastia Yuán nel 1368, esso perse il carattere di scrittura ufficiale e scomparve completamente dall’uso. Si può però immaginare che Marco Polo, il quale durante il suo soggiorno in Cina ebbe soprattutto a che fare con ambienti amministrativi o mercantili, si sia raramente trovato dinanzi a testi in carattere cinesi, ai quali avrebbe attribuito di conseguenza scarsissima importanza.
(15) Il Ponte di Marco o Ponte del Fosso Nero (盧溝橋 "lúgōu qiáo") è un antico ponte sul fiume Yǒngdìng, nei pressi di Pechino .
(16) Cfr. cap. 104 del "Milione", intitolato “Della provincia del Catai” .
(17) Daniele Petrella, "Il ritrovamento della flotta perduta di Kubilai Khan: la spedizione archeologica italiana in Giappone", in NAVIS 6 - Atti del III Convegno nazionale dell'Istituto Italiano di Archeologia ed Etnologia Navale 2016.
(18) Cfr. cap. 155 del “Milione”, intitolato “Dell'isola di Zipangu” .
(19) Nel 1274, la flotta mongola fece sbarcare sulle coste giapponesi nei pressi di Hakata un corpo di spedizione che affrontò in una serie di scontri i difensori giapponesi. Nei primi giorni del mese di novembre i soldati cinesi ritornarono sulle navi e la flotta sparì. Fonti dell’epoca vedono in una tempesta la causa dell’allontanamento della flotta. Secondo il diario di un cortigiano giapponese, alla data del 6 novembre 1274, un’improvvisa tempesta originata da un forte vento che spirava da est avrebbe ricacciato indietro le navi cinesi. Il già citato Yuánshì ricorda che “scoppiò una grande tempesta e molte navi furono spinte sugli scogli e si sfasciarono”. Alcune fonti parlano della perdita di circa 200 navi e di più di 15.000 soldati. Non è tuttavia ben chiaro se la flotta fu gravemente danneggiata dalla tempesta mentre era all’ancora dinanzi alle coste giapponesi o se i capi della spedizione avevano già deciso, per considerazioni di tipo militare, di abbandonare l’impresa e la tempesta colpÌ le navi mentre facevano rotta verso la Corea.
( 20) Cfr. cap. 142 del Milione, intitolato “Della città di Saianfu”.
(21) Cfr. Igor de Rachewiltz, "Marco Polo Went to China," in Zentralasiatische Studien 27 (1997), pp. 34-92]. Lo studioso osserva, a questo riguardo, che i migliori manoscritti ( A, C e Ramusio") non riportano la menzione "et messire Marc", che sarebbe stata erroneamente aggiunta da un copista.
(22) L' assedio di Xiángyáng durò dalla fine del 1268 agli inizi del 1273, periodo che non corrisponde a quelli del primo o del secondo soggiorno di NIccolò e di Matteo Polo in Cina. Di conseguenza, se i due fratelli diedero al Gran Khan consulenze di carattere militare, parlandogli delle catapulte che venivano costruite nell'arsenale di Venezia, ciò non potè avvenire nel contesto dell'assedio di Xiángyáng.
(23) Yáng Zhìjiǔ 杨志玖: "mǎkěbōluó zài zhōngguó" 马可波罗在中国 ("Marco Polo in Cina") , Edizioni universitarie di Nánkāi ( 南开大学出版社 "nánkāi dàxué chūbǎn shè", 1999).
(24) Cfr. cap. 148 del MIlione, intitolato "Della città di Quinsai", nel quale leggiamo quanto segue"...la sopranobile cittä di Quinsai che vale a dire in francesco la città del Cielo". Probabilmente esisteva già a quell'epoca il proverbio che dice : 上有天堂, 下有苏杭" ("shàng yǒu tiāntáng, xià yǒu sū háng") cioè "in cielo il paradiso, sulla terra Sūzhōu e Hángzhōu").
(25) "E conterovi di sua nobiltà, però ch`è la più nobile città del mondo e la migliore" (ibidem).
(26) La” Cronaca di Lin’ān nell’era Qiàndào”(乾道)臨安道)臨安志 “qiàndào lín’ān shi”) è una cronaca locale della città di Hángzhōu 杭州, che un tempo si chiamava Lín’ān 臨安, compilata all’epoca della dinastia dei Sòng Meridionali (1127 d.C.-1279 d.C.) 南宋 dallo studioso Zhōu Còng 周淙 (morto nel 1175 d.C.). La “cronaca”, terminata nel 1169 d.C., era composta di 15 volumi, i quali andarono tuttavia perduti durante l’epoca Míng 明 (1368 d.C.-1644 d.C.), salvo i primi tre, che descrivono dettagliatamente la città, le sue vicende storiche e le sue attività economiche.
(27) Il “ Sogno dell’ antica capitale”(夢梁錄 ”mèngliáng lù”) opera in 20 capitoli scritta da Wú Zìmù verso la fine della dinastia dei Sòng Meridionali, descrive le attività sociali e culturali nonché la vita quotidiana nell’antica città di Lín’ān, oggi Hángzhōu.
(28) La versione padovana del “MiIione” recita:”Quando egli aveno fato la ambasiata del suo segnor, lo Gran Can li fexe grande onor, e po fe vegnir una donzella davanti de si, de quel parentà che i voleano, che aveva nome Gogatim, ed era de dixisete ani, e molto bella dona...E disse a quelli baroni :- Questa è quella che vui andè zercando - E li baroni...fono lieti e contentissimi."
(29) Il regno mongolo noto come “ilkhanato”, fondato in Persia nel 1256 d.C. da Hulagu Khan, nipote di Gengis Khan, durò fino al 1336 d.C. Quando morì la moglie preferita, Bolgana, l’ilkhan Arghun chiese a suo zio e alleato Kubilai Khan di mandargli una parente di Bolgana come nuova sposa. Venne scelta la principessa Kökötchin. A Marco Polo venne assegnato il compito di accompagnare la principessa per via marittima, navigando su una nave mongola attraverso l'Oceano Indiano. Il viaggio, cominciato nel 1279, durò due anni e Arghun morì nel frattempo, cosicché la giovane principessa sposò il figlio di Arghun, Ghazan.
(30) Cfr. cap. 12 del "Milione", intitolato "Come messer Niccolò e messer Matteo e messer Marco domandâro commiato al Gran Cane. "
(31) In un suo articolo intitolato”Un documento cinese sulla partenza di Marco Polo dalla Cina”( 关于马可波罗离华的一段汉文记载 “guānyú mǎkěbōluó lí huá de yīduàn hànwén jìzǎi”), pubblicato nel “Giornale di letteratura e storia ”(文史杂志 “wénshǐ zázhì”) vol.1,n.12,1941, il già citato Prof. Yáng Zhìjiǔ riporta questo passo: “魯得、阿必失和火者,取道馬八兒,往阿魯渾大王位下 “wùlǔdé, ābìshī hé huǒzhě, qǔdào mǎbā er, wǎng ālǔhún dàwáng wèi xià", preso dal capitolo 19418, intitolato “Le stazioni di posta”, dell’Enciclopedia di Yónglè (永樂大典 “yǒnglè dàdiǎn”). L’”Enciclopedia di Yǒnglè ) venne commissionata dall'imperatore Yǒnglè della dinastia Míng, nel 1403. È l'enciclopedia generalista più antica e voluminosa ed è rimasta la più grande mai scritta per 600 anni. Al progetto lavorarono duemila studiosi che incorporarono ottomila testi dai tempi antichi fino agli inizi della dinastia Míng, coprendo una varietà di argomenti, tra i quali agricoltura, astronomia, arte, geologia, storia, letteratura, medicina,scienze naturali,religione e tecnologia, e includendo descrizioni di eventi naturali non comuni. L'enciclopedia, completata nel 1408 nell'antica università di Nanchino, comprendeva 22 877 capitoli in 11 095 libri.
(32) Secondo il “Compendio di storia universale” (“Jami al Tawarikh” جامع التواریخ), scritto da Rashid al Din Fazlullah Hamadani رشیدالدین فضلالله همدانی negli anni 1306-1307: “Dopo quel mese (luglio 1293) le insegne reali furono rivolte verso il Khorasan e giunsero alla città di Abhar Hoja ed i messaggeri che Arghun Khan aveva inviato al Gran Khan perché gli conducessero in sposa una fanciulla della stirpe della grande Bulughan, che prendesse il posto della defunta. Essi accompagnavano la principessa Kukajin e portavano in dono meravigliosi oggetti del Katai e della Cina, veramente degni di un re. (Essendo nel frattempo morto Arghun, suo figlio) Gazhan Khan prese in moglie la principessa Kukajin”.
Il passo in questione è riportato in un articolo di John H. Pryor intitolato “ Marco Polo’s return voyage from China. Its implication for the Marco Polo ‘debate’”, che fa parte della raccolta intitolata “Travels and Travelers from Bede to Dampier”, a cura di Geraldine Barnes, con la collaborazione di Gabrielle Singleton.
(33) Il racconto di Rashid al Din Fazlullah Hamadani che menziona soltanto uno dei tre ambasciatori inviati da Arghun a Kubilai Kahn sembra, per esempio, confermare indirettamente l'affermazione di Marco Polo che durante il viaggio era morto un gran numero di persone.
(34) Jørgen Jensen, "The World's most diligent observer", in Asiatische Studien, vol. 51.3, 1997, pp. 719-728.
(35) Nella conversazione svoltasi tra Pietro d'Abano e Marco Polo, quest’ultimo aveva disegnato una stella "a forma di sacco" (ut sacco) con una lunga coda (magna habens caudam), vista durante uno dei suoi viaggi nel mare d'Indonesia. Gli astronomi sono concordi sul fatto che in Europa non c'era stato nessun avvistamento particolare di stelle alla fine del 1300 e che però una cometa era stata avvistata in Cina e in Indonesia nel 1293.
(36) L' animale di grossa stazza con un corno sul muso, nel quale Rustichello credette di riconoscere il mitico unicorno, è oggi identificato con il rinoceronte di Sumatra,
(37) Nel cap. 163 del "Milione", intiolato "Del reame di Samarra", si legge quanto segue: " Or sapiate che, quando l’uomo si parte di Basma, elli truova lo reame di Samarra, ch’è in questa isola medesima. Ed io Marco Polo vi dimórai 5 mesi per lo mal tempo che mi vi tenea, e ancora la tramontana no si vedea, né le stelle del maestro....". La sosta di cinque mesi nell'isola di Sumatra corrisponde esattamente alla ciclicità dei monsoni, che soffiano per sei mesi verso est e per sei mesi verso ovest. Poiché Marco Polo non aveva alcuna conoscenza teorica di questo fenomeno, è giocoforza pensare che ne riferisca per esperienza personale.
(38) Nel cap. 140 del "Milione", intitolato " D'un'altra città", si parla di una grande città situata nei pressi di Tigni e si racconta che "messer Marco Polo signoreggiò questa città tre anni". Nell'edizione del "Milione" pubblicata a Bari nel 1912 da Giuseppe Laterza & Figli, il Cap. CXXIV, che reca il titolo: "Della città ch'è chiamata Tigni (Tigiu e Tingiu, due città distinte)", una nota in calce riporta un passo del manoscritto berlinese: "Quando l’uomo si parte di Tigni, l’uomo vae verso isciloc una giornata, trovando castella e case assai. Di capo della giornata truova l’uomo una cittá grande e bella, la quale sono chiamata Yangiu...".
(39) Molti erano i funzionari di origine straniera nella burocrazia del Gran Khan. Al cap. 145 del "Milione", intitolato "Della città chiamata Cinghiafu", vale a dire Zhènjiāng, Marco Polo racconta, ad esempio, che in tale città" fu segnore per lo Grande Kane un cristiano nestorino tre anni, ed ebbe nome Marsachis". Questo personaggio è menzionato nella "Cronaca della città di Zhènjiāng durante l'era Zhìshùn" (至顺镇江志 " zhì shùn zhènjiāng zhì"), che lo chiama "mǎ·xuēlǐjíshī" 馬薛里吉思. Il nome "Marsarchis" può essere interpretato come "padre Sergio" ("mar" era un titolo onorifico, riservato in particolare agli ecclesiastici, e "Sergios" era un nome molto diffuso tra i cristiani nestoriani).
40) Luciano Petech ,nell’articolo « Marco Polo e i dominatori mongoli della Cina », pubblicato in “ Sviluppi scientifici di L. Lanciotti”, Firenze, Olschki, 1975 osserva che gli inviati imperiali (“chū shǐ” 出使) avevano qualità e prerogative di emissari imperiali con diritto di utilizzare le stazioni di posta e di esigere l’obbedienza delle autorità locali.
(41) Hans Ulrich Vogel, "Marco Polo Was in China: New Evidence from Currencies, Salts and Revenues". Leiden: Brill (Monies, Markets and Finance in East Asia, 1600-1900, 2), 2013.
(42) Cfr. cap. 142 del "Milione, intitolato, "Della moneta del Gran Kane", e cap.149 del "Milione", intitolato "La rendita del sale".
(43) Leggiamo nel cap. 117 del "MIlione", intitolato " De la provincia di Caragian" quanto segue: "..Egli spendono per moneta porcellane bianche che si truovano nel mare e che si ne fanno le scodelle, e vagliono le 80 porcelane un saggio d’argento, che sono due viniziani grossi, e gli otto saggi d’argento fino vagliono un saggio d’oro fino. ..."
(44) Leggiamo nel cap. 103 del "Milione", intitolato "Della carità del Signore":"...Or lasciamo la città di Canbalu e enterremo nel Catai per contare di grandi cose che vi sono" e nel cap. 104, intitolato "Della provincia del Catai":" Or sappiate che il Grande Kane mandò per ambasciatore messere Marco Polo. E partissi di Canbalu...".
(45) Marco Polo apparteneva alla classe degli stranieri provenienti dall’Asia Centrale ed Occidentale ( 色目 "sèmù", letteralmente "occhi colorati"), entrati al servizio del khan e da lui impiegati in varie incombenze.È molto verosimile che, nella cerchia di questi oriundi, la lingua d’uso corrente non fosse il cinese o il mongolo, bensì il persiano.