CAPITOLI LXI-L
XLI
Per quanto riguarda l’insegnamento della Via,
l’uomo superiore lo ascolta e vi
si conforma,
l’uomo mediocre lo ascolta e poi lo dimentica,
l’uomo da nulla lo ascolta e si mette a
ridere.
La Via non sarebbe la Via
se non fosse irrisa dagli stolti.
Ecco la ragione del proverbio (1) che dice:
“ La Via è chiara ma sembra oscura.
La Via avanza ma sembra tornare indietro.
La Via è rettilinea ma sembra piena di curve.
La virtù più eccelsa sembra spesso un baratro.
La virtù più pura sembra spesso inquinata.
La virtù più generosa sembra spesso insufficiente.
La virtù più salda sempra spesso barcollante.”
La Via è naturale e genuina ma sembra artificiale.
Somiglia ad un grande quadrilatero privo di angoli, (2)
ad un grande vaso che non riesca a prender forma,
ad una grande voce che non sappia emettere suoni,
ad una grande figura dai contorni vaghi e indistinti.
La Via è nascosta e senza nome,
eppure è essa sola
che sostiene tutte le cose
e le conduce alla perfezione.
NOTE
(1) Alcuni studiosi hanno sostenuto che 建 言 “jiànyán”, termine che si può
tradurre con “detti consolidati” o “massime tradizionali”, non sia un
termine generico, bensì il titolo di una specifica raccolta di proverbi. A
sostegno di questa tesi, il Prof. Gāo Hēng 高 亨 ha citato numerosi
antichi testi, il cui titolo contiene la parola 言 “yán” (“detto”, “proverbio”).
(2) Secondo gli antichi Cinesi,la terra aveva la forma di un immenso quadrato sul quale si stendeva la cupola celeste. Così ce la descrive
l’astronomo Zhāng Héng 張 衡 ( 78 d.C – 139 d.C.): “I cieli sono simili ad un uovo e sono rotondi come il proiettile di una balestra. La terra è come il rosso dell’uovo e giace nel centro”. Molti secoli più tardi Lĭ Yĕ 李 冶 (1192 d.C.- 1279 d.C) contestò la teoria dominante, ma solo per sostenere che la terra non poteva essere quadrata, giacché, in tal caso, i suoi spigoli avrebbero ostacolato il movimento dei cieli.
L’immagine di un quadrato privo di angoli ben definiti rende l’idea
dell’incompiutezza e dell’imperfezione.
XLII
La Via ha generato l’Uno.
L’Uno si è diviso in Due
ed i Due hanno prodotto i Tre,
da cui sono nate tutte le cose. (1)
Ogni cosa porta in sé l’ombra e la luce
dal cui soffio potente nasce l’armonia. (2)
Essere “orfani”,”abbandonati” “indigenti”,
ecco ciò che gli uomini temono di più,
eppure sono proprio questi i titoli
che si attribuiscono principi e sovrani.
Infatti,
è crescendo che si comincia a decadere,
è appassendo che si comincia a rifiorire.
Sono pronto ad accettare l’esempio degli altri.
Mostratemi un potente che non sia finito male
e lo prenderò per maestro. (3)
NOTE
1)* La cosmogonia taoista è illustrata nei capitoli 1 e 42 del Dào Dé
Jīng.
Si può tentare di spiegarla con l’aiuto del “tàjíitú” 太 極 圖 , il simbolo “grafico” del Taoismo:
☯
Cominciamo col prendere la pagina bianca su cui disegneremo il
“tàijítú” e, con uno sforzo dell’immaginazione, allarghiamola sempre di più fino ad ottenere una superficie illimitata, infinita ed indefinita.Di questo sfondo bianco, che alla fine coprirà tutto, non potremo dire assolutamente nulla ( né che sia immenso, né che sia bianco né che sia alcunché), perché, non riuscendo a vedere nient’altro, non disporremo di alcun termine che ci consenta di definirlo attraverso il raffronto con qualcosa di diverso.
Questa enorme distesa monocroma rappresenta lo stato originario del
cosmo, quello che vien chiamato l”uno” o l”unico” (一 “yī”), il “senza nome” ( 無 名 “wú míng”), il ” senza forma” (“ 無 象 “wú xiàng”), il “senza limite”( 無 極 “wújí”).
L’unico è sterile per definizione. Il bianco sul bianco non produce alcun altro colore, alcuna forma. Qualsiasi sviluppo, qualsiasi evoluzione può
avvenire solo attraverso l’incontro con un altro, con qualcuno e qualcosa che apporti un elemento nuovo, diverso, cioè attraverso la dualità.
Un germe di dualità (germe che, nello schema completo del tàijítú, può
essere identificato con il puntino di colore diverso in ciascuna delle due parti del cerchio) si annida tuttavia anche nell’”uno”. L’”uno” è infatti
contraddittorio in quanto, da una parte, è il tutto, dall’altra, non essendo
concepibile, definibile, nominabile, è al tempo stesso il nulla.
La presenza di un punto nero sulla superficie bianca, cioè della possibilità di riconoscere nella realtà due elementi diversi, è il presupposto
necessario di qualsiasi processo di sviluppo. Il bianco da solo non esisterebbe né esisterebbe il nero. Ogni cosa può infatti essere definita solo negativamente per rapporto a tutto ciò che non è: il bianco è ciò che non è nero ( e progressivamente ciò che non è rosso, che non è verde, che non è giallo,etc.)
Il bianco ed il nero rappresentano i due princìpi opposti e complementari che i Cinesi chiamano “yáng” 楊 e “yīn 陰 e che noi potremmo chiamare la “tesi” e l’”antitesi”.
Il passaggio dall’”unico” ai “due” è indicato nel capitolo 42 con l’espressione “ l’unico genera i due” (一 生 二 “yī shēng èr”), mentre nel capitolo 1 la stessa idea sembra resa con altri termini: “ciò che è senza nome genera il cielo e la terra” ( 無 名 生 天 地 “wú míng shēng tiān dì”).
Il bianco ed il nero appaiono sullo stesso foglio di carta. Ciò rappresenta il fatto che entrambi appartengono ad una stessa realtà, si incontrano, interagiscono.Se rimanessero soli ed isolati, ciascuno in una propria realtà ( per continuare con l’esempio scelto: un foglio bianco ed un foglio nero), non ci sarebbe alcuna possibilità di evoluzione.
Il processo tipico di ogni sviluppo, di ogni evoluzione è l’incontro e
l’interazione di due elementi diversi. Questo incontro è definito da Lăo Zĭ come il “tre” o il “terzo” ( “i due generano il terzo” 二 生 三 “èr shēng sān”.)
Mi sembra infatti che tale sia il significato da attribuire al termine
“sān” sulla base dei capitoli 1 e 42 del Dào Dé Jīng.
La formulazione che troviamo nel capitolo 1 “ciò che ha nome è l’origine
dell’universo” ( letteralmente: “ciò che ha nome è la madre delle diecimila
cose” 有 名 萬 物 之 母 “yŏu míng wàn wù zhī mŭ”), raffrontata
con quella del capitolo 42 “il tre genera le diecimila cose” ( 三 生 萬 物
“sān shēng wàn wù”), ci mostra che il “tre” equivale a “ciò che ha nome”.
“Ciò che ha nome” sono già i “due” 二 (“lo “yīn”陰 e lo “yáng 陽 ”) giacchè qualsiasi pluralità esige l’esistenza di nomi per distinguere le parti che la compongono.
L’incontro del bianco e del nero nello spazio che prima era unicamente
bianco ci permette di riconoscere la diversità. Sul piano filosofico, la
diversità è il presupposto dell’incontro,che è a sua volta l’atto generatore, il processo da cui nasce nuova realtà. Un microscopico puntino nero su un immenso spazio bianco ci consente infatti di elaborare, attraverso il raffronto, tutta una serie di coppie d’elementi contrapposti: bianco e nero, piccolo e grande, finito e non finito, formato ed informe, etc., la cui mescolanza darà origine alle cose, agli esseri, ai pensieri.
Tutte le cose, tutti gli esseri, tutti i pensieri si formano attraverso
l’incontro di due elementi diversi. L’interazione del cielo ( 天 “tiān”) e della terra ( 地 “dì”) produce l’uomo ( 人”rén”), che è un miscuglio di spirito e di materia. L’interazione dell’uomo della donna porta alla nascita di una nuova creatura. L’interazione della tesi e dell’antitesi porta ad un nuovo risultato: la sintesi.
Riassumendo, la creazione si svolge attraverso quattro fasi: abbiamo
prima un’unica massa indistinta, l”uno” (一 “ yī”), nella quale si formano due princìpi contrapposti, i “due”( 二 “èr”), chiamati dai Cinesi 陰 (“yīn”) e 陽 (“yáng”), il cui incontro ( 三 “sān”) è il processo che dà vita a tutte le cose ( 萬 物 “wàn wù”, “le diecimila cose”).
Ogni cosa creata,risulta dall’armonia (和 “hé”) che in essa ha raggiunto la mescolanza dei princìpi contrapposti. Come affermano, molto espressivamente i versi del capitolo 42, “tutte le cose portano sulle spalle lo “yīn” e tengono in braccio lo “yáng” (萬 物 負 陰 而 抱 陽 “wàn wù fù yīn ér bào yáng”). Il “tàijítú” esprime graficamente questo concetto dividendo il cerchio in due parti di colore diverso che si adattano l’una all’altra lungo una linea flessibile e sinuosa. Con una buona dose di fantasia, immaginando che questa linea sia una cosa o un essere vivente, possiamo addirittura riconoscere la bisaccia nera che porta sulle spalle e la borsa bianca che tiene in braccio.
*Poiché non sono uno specialista di filosofia né ho letto approfonditi commentari del Dào Dé Jīng, ripeto l’invito a prendere queste note estemporanee per quello che valgono ed a considerarle sempre “cum grano salis”.
(2) Troviamo qui menzionata la famosa dottrina dei due principi
fondamentali lo yīn 陰 e lo yáng 陽, che convivono in ogni essere e che lo formano con la loro interazione. Per sommi capi, lo yáng è il principio attivo e lo yīn è il principio passivo. Ogni aspetto della vita e della natura può essere riportato ad uno di questi princìpi (ed.ogni aspetto simmetrico
all’altro).
Rappresentazione simbolica dell’universo può essere considerato
lo Yì Jīng 意經 ”Il Libro dei mutamenti”, i cui sessantaquattro esagrammi risultano da una serie di diverse combinazioni di sei linee i cui elementi costitutivi sono solo due: la linea continua ____, simbolo del principio attivo, e la linea spezzata __ __, simbolo del principio passivo.
3) Interpretando questi versi nel senso che Lăo Zĭ fa propria la presunta osservazione di senso comune che i potenti finiscono sempre male si dà
a questo capitolo una conclusione piuttosto fiacca. Mi sembra, invece sulla scia del Waley, di leggere qui un’ironica sfida : Lăo Zĭ si dichiara disposto a
cambiare le proprie opinioni ed il proprio insegnamento, se coloro che lodano ed esaltano i potenti saranno in grado di mostrargli un solo potente che non sia precipitato nella polvere.
XLIII
Ho visto che i più deboli finiscono col prevalere sui più forti,
che il vuoto penetra anche in ciò che pare denso e compatto.
Così ho compreso il vantaggio del non agire,
anche se ben pochi riescono a rendersi conto
che si può insegnare senza bisogno di parole
ed ottenere risultati senza bisogno di azioni.
XLIV
Tra noi e la gloria, chi ha maggior valore?
Tra noi e la ricchezza, chi importa di più?
Tra guadagno e perdita, quale è il male?
È certo infatti che
chi ha grandi ambizioni soffrirà gravi delusioni,
chi cumula grandi tesori subirà enormi perdite.
Accontentati del necessario e non ne avrai danno.
Sappi quando devi fermarti e non correrai pericoli.
Ispirandoti a queste regole potrai vivere a lungo.
XLV
Anche ciò che è il culmine della perfezione sembra mancare di qualcosa,
ma la sua energia è inesauribile.
Anche ciò che è ricolmo sino all’orlo non sembra mai essere sufficiente,
ma la sua energia è inconsumabile.
Ciò che è dritto sembra piegato.
Ciò che è acuto sembra ottuso.
L’eloquenza è come un balbettio.
Ma la calma prevale sull’impazienza,
la freddezza prevale sull’impulsività.
La limpida serenità della Via è il modello dell'universo.
XLVI
Quando chi regge l’Impero si conforma alla Via
i cavalli servono a produrre concime per i campi.
Quando chi regge l’Impero si discosta dalla Via
i cavalli sono addestrati alla guerra nelle città.
Non c’è disgrazia maggiore del non sapersi moderare.
Non c’è vergogna maggiore di una avidità senza freni.
Chi si soddisfa del necessario
non avrà mai bisogno d’altro.
XLVII
Non varca mai la soglia di casa sua e sa tutto dell’Impero.
Non guarda mai dalla finestra e conosce la Via del Cielo.
È inutile andare lontano per acquistare sapienza.
Il saggio non viaggia eppure comprende il mondo,
non osserva eppure discerne bene tutte le cose,
si astiene dall’agire eppure porta tutto a buon fine. (1)
NOTA
(1) Il saggio raggiunge, conformandosi spontaneamente alle leggi della
natura, quella conoscenza del mondo che gli altri cercano vanamente di ottenere attraverso le relazioni sociali, le molteplici attività, i viaggi, gli
studi.
C’è in questo modo di vedere una curiosa concordanza con alcuni
versetti del Vangelo di Matteo (11,23: “...hai nascosto queste cose ai dotti ed ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli”.
XLVIII
Chi studia accresce giorno per giorno le proprie conoscenze,
chi segue la Via riduce giorno per giorno le proprie passioni.
Riduce sempre più i desideri
finché perviene all’inazione.
Ma è proprio quando si giunge a questo stato
che non vi è più nulla che rimanga incompiuto.
Coloro che sono giunti ai vertici dell’Impero
vi si sono quasi lasciati condurre dagli eventi.
Se si fossero dimenati per ottenere il potere,
non sarebbero mai riusciti.ad impadronirsene.
XLIX
Il saggio non ha opinioni particolari.
Egli condivide i pensieri della gente.
È buono con i buoni ed è buono anche con i malvagi.
Ecco la vera bontà.
È sincero con i sinceri ed è sincero anche con i bugiardi.
Ecco la vera sincerità.
Nei suoi rapporti con l’esterno
il saggio sembra uno stupidotto
che non capisce ciò che succede.
Tutti gli altri aguzzano gli occhi
e tendono le orecchie.
Solo il saggio si comporta sempre
come un bambino.
L
L’uomo è destinato ad uscire dalla vita per entrare nella morte.
Tredici le cause di vita e tredici le cause di morte.
Tante sono le ragioni che ci spingono dalla vita verso la morte.
Perché accade questo con la nostra esistenza?
Perché vogliamo viverla troppo intensamente.
Ma ho inteso dire che chi sa prendersi cura della propria vita
non teme durante il suo cammino di incontrare bufali o tigri
né ha paura in battaglia di essere colpito dalle armi nemiche.
I bufali non trovano dove incornarlo.
Le tigri non trovano dove azzannarlo.
Le armi ostili non trovano dove ferirlo.
Come può succedere una cosa simile?
La spiegazione è che
un tal uomo non ha alcun punto debole.
NOTA
(1) Questo capitolo ha ricevuto un gran numero di interpretazioni anche a causa di talune oscurità che vi figurano. Che cosa sono, per esempio, i "shēngzhītú" 生 之 徒 ("compagni della vita") ed i "sĭzhītú" 死 之 徒 ("compagni della morte") e come deve essere letto il termine "shíyŏusān" 十 有三 che: li segue:"tre su dieci" o "tredici"?
Un'interpretazione che mi sembra abbastanza ragionevole e chiara è la
seguente:
L'uomo è soggetto alla morte e ne ha paura perché è troppo attaccato alla vita ed ai suoi piaceri, in altre parole perché non sa distaccarsi dal proprio involucro materiale e non sa rinunciare al suo "io".
Chi si sforza tuttavia di "spersonalizzarsi" e, lasciando da parte "nome" e "forma", riesce a sentirsi parte integrante di un solo, indistinto
universo, finisce col perdere la coscienza della propria esistenza individuale e non può più essere toccato dalla morte, perché sa che continuerà a vivere "senza nome e senza forma", nell'eternità del tutto e che, in questo senso, sarà immortale.
In un'ottica di questo tipo, si possono chiamare "compagni della vita" gli atteggiamenti, i comportamenti, le condizioni e le situazioni che favoriscono il distacco da sé stessi, contrariamente a quanto fanno i "compagni della morte", che rafforzano invece l'attaccamento della persona al proprio "io".
Un'antica classificazione fornisce il seguente elenco di "compagni della vita" e di "compagni della morte":
Compagni della vita :
Rilassamento - Distacco dal mondo - Purezza - Calma - Moderazione - Povertà - Morbidezza - Debolezza - Umiltà - Frugalità - Modestia - Flessibilità - Economia.
Compagni della morte:
Attivismo - Attaccamento al mondo - Lussuria - Agitazione - Ambizione - Ricchezza - Durezza - Forza - Orgoglio - Sfarzo - Potenza - Rigore - Prodigalità.
Il concetto filosofico dell'immortalità conseguita grazie al progressivo allontanamento dalla materialità della vita è rappresentato metaforicamente dagli esempi di "invulnerabilità" forniti negli ultimi versi del capitolo.
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