IL LIBRO DEL CIELO
Secondo una definizione che figura su Wikipedia “si intende per installazione un genere d’arte visiva sviluppatasi nella sua forma attuale a partire dagli anni settanta (del XX° secolo). L’installazione è un’opera d’arte in genere tridimensionale; comprende media, oggetti e forme espressive installate in un determinato ambiente. È imparentata a forme d’arte come la scultura e la Land art.”
Sulla base della predetta definizione si può dunque chiamare “installazione” l’opera “Tiān Shū” 天书 (“Il Libro del Cielo”) dell’artista cinese Xú Bīng (1), almeno nella forma in cui è stata presentata in numerose esposizioni, a partire dalla Mostra dell’Avanguardia Cinese, svoltasi a Pechino nel 1989.
Vediamo infatti in un’ampia sala d’esposizione alcune centinaia di pagine a stampa, posizionate all’interno di un grande rettangolo posto sul pavimento e sovrastate da cinquantacinque lunghi rotoli stampati appesi alle pareti o pendenti dal soffitto dove formano una specie di campata ad archi capovolti. (2)
L’opera ha richiesto quattro anni (1987-1991) di accurato lavoro per la sua messa a punto.
Le pagine sono state infatti composte a mano. Per prepararle, l’artista ha inciso con cura i caratteri che vi figurano (circa quattromila) su tavolette di legno, li ha intrisi d’inchiostro e li ha poi applicati uno per uno sulle pagine, esattamente come facevano gli stampatori di un tempo.
I rotoli appesi alle pareti ricordano i giornali murali cinesi, conosciuti con il nome di “tazebao” (大字报 “dàzìbào”).
Chi si avvicina alle pagine e tenta di leggerle si trova tuttavia di fronte ad una sorpresa sconcertante.
Sebbene ciascuno dei quattromila caratteri presenti l’aspetto tipico di un carattere cinese, cioè contenga uno dei 214 radicali e sia formato con alcuni dei tratti tipici dei caratteri cinesi, nessuno di essi può essere trovato in un dizionario.
Si racconta che, in occasione della prima esposizione, professori e letterati che conoscevano un gran numero di caratteri (il famoso dizionario di Kāngxī ne contiene parecchie decine di migliaia (3)), convinti dell’impossibilità di creare ex novo ben quattromila caratteri, abbiano trascorso giornate intere nella sala d’esposizione tentando vanamente di scoprire almeno un carattere che non fosse inventato di sana pianta.
L’opera ebbe un’accoglienza controversa. Giocando sul termine “tiān shū” 天书, che si usa in senso figurato per indicare un testo incomprensibile o indecifrabile, alcuni critici la bollarono come priva di senso e sostennero che si trattasse di puro
“vaneggiamento”.
Se vogliamo trovarle un significato, dobbiamo partire dalla considerazione che essa pone sullo stesso piano tutti coloro che la contemplano: letterati o analfabeti, giovani o vecchi, cinesi o stranieri, nessuno è in grado di leggerne un solo carattere e quindi di fruirne in modo diverso da un altro.
Essa assume quindi un significato simbolico.
Nella guida ad una mostra svoltasi nel Princeton University Art Museum, dove l’installazione fu esposta nel 2003, Jerome Silberberg ha giustamente osservato quanto segue: “I caratteri (o non-caratteri) di Xú Bīng possono essere considerati un abuso del linguaggio, una allusione al modo in cui le classi dominanti hanno sempre sfruttato il linguaggio ed un attacco a coloro che hanno distorto la parola scritta piegandola alle esigenze della propaganda politica odierna”. (4)
L’opera è stata successivamente posta in vendita in forma diversa da quella di un’installazione. Dopo averne realizzato altre copie, l’autore ne ha assemblato le pagine in quattro fascicoli, che ha poi rilegato seguendo esattamente le procedure dell’ epoca Míng.
L’unica differenza formale rispetto ai libri di quell’epoca sta nel fatto che le copie del “Tiān Shū” non recano alcuna data leggibile né alcuna menzione decifrabile dei nomi dell’autore e dell’editore. Esse portano tuttavia, sul retro della pagina di copertina, un cerchio nel quale, in occasione della vendita, l’autore appone il suo sigillo.
Per un’altra “installazione”, realizzata nel 1990, Xú Bīng utilizzò addirittura un tratto della Grande Muraglia, sistemando in una sala d'esposizione calchi ad inchiostro di tre lati di una torre di guardia e di una piccola porzione di muro.
Con molta ironia, egli diede all’installazione il titolo “Fantasma che sbatte contro il muro” (鬼打墙 “guĭ dă qiáng”), espressione idiomatica che era stata usata dal critico di un giornale per accusare di insensatezza la sua precedente opera “Il Libro del Cielo”. (5)
Xú Bīng ha continuato in questa linea visionaria con altri esperimenti sui caratteri.
Nel 1991 con A B C... ha sperimentato la traslitterazione delle lettere dell’alfabeto latino usate nella lingua inglese in caratteri cinesi che riproducono al meglio il suono di tali lettere. Ad esempio, la lettera A , pronunciata in inglese “ei”, è stata resa con il carattere cinese 哀, che si pronuncia “āi” e significa “tristezza”, la lettera X con i caratteri 癌克思, che si pronunciano ”ái kè sī” e significano “cancro, grammo, pensiero”, la lettera W con i caratteri 大布六, che si pronunciano “dà bù liù” e significano “grande, panno, sei”. (6) Di fronte ad un testo così composto, il lettore cinese potrà percepire il senso delle parole inglesi soltanto se riuscirà a concentrarsi unicamente sulla pronuncia, astraendosi del tutto dal significato dei caratteri cinesi che porta invece alla formazione di espressioni senza costrutto caratterizzate dalla costante ripetizione di un certo numero di vocaboli.
Nel 1994 ha invece provato, con i “caratteri squadrati inglesi”, a scrivere un testo inglese utilizzando caratteri cinesi simili alle lettere dell’alfabeto latino. Qui ci troviamo di fronte ad un’illusione ottica. Il lettore, che sta guardando una pagina composta di soli caratteri cinesi ha l’impressione di leggere un testo cinese, ma sta in realtà leggendo un testo inglese. Gli assemblaggi di caratteri cinesi formano infatti una serie di vocaboli inglesi che danno vita ad espressioni, se non ad una vera e propria storia, di senso compiuto. (7)
Ulteriori esperimenti sono stati effettuati mescolando abilmente calligrafia e pittura: diversi caratteri, variamente collocati, formano boschi e montagne, laghi e fiumi, villaggi e templi. (8)
Dopo aver così provato che le lingue possono interagire nei modi più inaspettati e che la scrittura può diventare immagine, Xú Bīng affronta la sfida decisiva: la ricerca di un linguaggio universale, e lo fa capovolgendo gli ultimi esperimenti di cui abbiamo parlato, nell’intento di dimostrare ora che l’immagine può diventare lingua..
Ritorna così all’origine stessa delle lingue scritte, alla rappresentazione pittorica di ciò che si vuol narrare.
Nel suo “Book from the Ground”(9), egli racconta la giornata di una persona qualunque, il sig. Black, ricorrendo unicamente alle immagini.
Il libro ha una punteggiatura, ma non ha un testo scritto.
Al posto delle parole scritte troviamo pittogrammi, logotipi, segnali stradali, emoticon etc., tutti tratti da simboli reali che vediamo ogni giorno intorno a noi.
L’artista li ha raccolti in una ricerca durata sette anni e li ha usati per creare una specie di scrittura ideografica universale, che può essere compresa da chiunque viva in una società moderna.
L’interpretazione del testo, ché più di interpretazione che di lettura si può parlare. non è difficile.
I logotipi delle varie marche di abbigliamento e di calzature (Lacoste, Adidas, Nike) ci descrivono infatti come il protagonista si vesta la mattina.
Gli archi di Mc Donald ci dicono che pranza in un fast-food e le immagini che figurano sul menù ci mostrano che cosa mangia.
Il segno della toilette e l’emoticon che indica la faccia sudata ci rivelano che il sig. Black soffre di un po’ di stitichezza.
Tradotto in una lingua convenzionale, ad esempio in italiano, l’ultimo brano si leggerebbe come segue: ”Il sig. Black va in bagno , si siede sulla tazza del WC…eh..hum..uff..hhh ...che sforzo per liberarsi!”.
Qualcuno ha paragonato la giornata del sig. Black alla giornata di Leopold Bloom nell’Ulysses di James Joyce (1922), ma la sola somiglianza consiste nel fatto che entrambi i racconti coprono le azioni di 24 ore.
Nella sua recensione al “Book from the Ground” apparsa nella rubrica “Book Review” del numero primavera/estate della Art Review of Asia (10), pubblicato il 1° agosto 2014, Helen Sumpter si domanda giustamente se sarebbe mai possibile esprimere in pittogrammi frasi come quelle che seguono, tratte da un brano dell’Ulysses di James Joyce in cui si descrive la passeggiata di Stephen Dedalus sulla spiaggia :” Stephen closed his eyes to hear his boots crush crackling wrack and shells. You are walking through it howsomever. I am, a stride at a time. A very short space of time through very short times of space.”. (”Stephen chiuse gli occhi per ascoltare i suoi stivali schiacciare crepitanti rifiuti e conchiglie. Ci stai camminando attraverso in qualche modo. Lo so, un passo alla volta. Un brevissimo spazio di tempo attraverso brevissimi tempi di spazio). (11)
Lo stesso artista si è reso conto di ciò, quando ha riconosciuto, in un’intervista,” che il sogno che tutti gli esseri umani comunichino liberamente senza difficoltà è troppo grande per poter essere realizzato”. (12)
NOTE
1) Xú Bīng 徐冰, nato a Chóngqìng 重庆 nel 1955, crebbe a Pechino dove il padre era professore di storia all’Università.
Nel 1975 fu inviato a lavorare in campagna nell’ambito della politica di “rieducazione” dei giovani delle città condotta dal presidente Máo Zédōng durante la Rivoluzione Culturale.
Ritornato a Pechino nel 1977, si iscrisse all’Accademia Centrale delle Belle Arti (中央美术学院 “zhōngyāng měishù xuéyuàn”), dove si diplomò nel 1987.
Le sue prime opere furono percepite come una critica del governo ed incontrarono la disapprovazione delle autorità, specialmente dopo la repressione delle manifestazioni di Piazza Tiān’ānmén nel 1989.
L’artista accettò allora un invito della University of Wisconsin-Madison e, nel 1990, si trasferì negli Stati Uniti.
Nel 1991 espose la sua installazione “I Libri del Cielo”(天书 “tiān shū”) presso il Wisconsin-Madison’s Elvehjem Museum (ora Chazen Museum of Art).
In quella stessa sede, espose negli anni 2004-2005, un’installazione intitolata “The Glassy Surface of a Lake”. costituita da un insieme di lettere d’alluminio che attraversavano l’atrio del museo, formando un brano tratto dai “Walden” di David Henry Thoreau, per poi precipitare al piano inferiore in un groviglio illeggibile.
In molte delle sue installazioni, Xú Bīng contesta l’idea consolidata della comunicazione mediante il linguaggio, mostrando come tanto la forma quanto la sostanza della parola scritta possano essere agevolmente manipolate.
Nel 2008 l’artista è ritornato a Pechino e vi è stato nominato vicepresidente dell’Accademia delle Belle Arti.
2) Cfr. What is Xu Bing's impressive Book from the Sky all about? (publicdelivery.org)
3) Il dizionario di Kāngxī ( 康熙字典” kāngxī zìdiăn”), così chiamato perché fu l’imperatore Kāngxī 康熙 ad ordinarne la compilazione nel 1710, fu pubblicato nel 1716 e contiene 47.000 caratteri, più un certo numero di caratteri rari e di caratteri arcaici il cui uso è attestato una sola volta.
4) Cfr. Jerome Silberberg, ”Gallery handout for the exhibition Book from the Sky: A Work by Xu Bing”, Princeton University Art Museum, 15 febbraio-18 maggio 2002.
5) In un articolo intitolato “Una critica sostanziale dell’arte della nouvelle vague ”, apparso il 2 giugno 1990 sul Giornale della Letteratura e dell’Arte, Yang Chengyin paragonava, l’artista ad “un fantasma che sbatte contro i muri”( 鬼打墙 “guĭ dă qiáng”), cioè ad una persona che gira in tondo nell’oscurità senza sapere dove sta andando.
6) Cfr. http://www.xubing.com/en/work/details/205?year=1991&type=year
7) Cfr. https://blog.8faces.com/post/157580063625/xu-bing
http://www.columbia.edu/cu/wallach/exhibitions/Xu-Bing.html
https://blog.8faces.com/post/157580063625/xu-bing
8) Questi esperimenti ci ricordano i componimenti poetici detti “calligrammi”, in cui tuttavia le lettere formano anche un testo di senso compiuto, mentre nelle opere di Xú Bīng esse sono poste l’una accanto all’altra al solo scopo di creare un’immagine. Famosi autori di calligrammi furono, in epoca classica, Teocrito, in epoca moderna, Apollinaire e Marinetti. Cfr. www.xubing.com/en/work/details/231?year=1999&type=year
9) Cfr. https://mitpress.mit.edu/books/book-ground
http://www.xubing.com/en/work/details/188?classID=12&type=class
XU BING - ARTWORK - A, B, C...
https://www.parkablogs.com/content/xu-bings-book-ground
10) Cfr. https://artreview.com/ara-springsummer-2014-book-review-xu-bing-book-from-the-ground/
11) La traduzione è presa dal sito Internet “Letture di Alba Letteraria”.
12) Cfr. Intervista a Xú Bīng in “The Book about Xu Bing’s Book from the Ground”, il libro che descrive il lavoro di preparazione del “Book from the Ground.”