La poesia cinese dell'epoca Táng ci appare caratterizzata dal perpetuo contrasto tra confucianesimo, taoismo e buddismo, che tuttavia vediamo sovente coesistere e confrontarsi nell'animo di una stessa persona. Anche coloro che hanno svolto le carriere politiche più brillanti ed occupato le cariche di più alto prestigio sentono spesso ( e talvolta seguono) il desiderio di ritirarsi dal mondo, di dedicarsi alla meditazione, di gustare le gioie semplici e serene di una vita senza impegni.
Wáng Wéi (699 d.C.-759 d.C.), famoso letterato, pittore ed uomo politico, aderì al buddismo Chán ( 禅 家 “chánjiā”), conosciuto in Giappone come Zen.
In questo componimento, intitolato "Dalla mia dimora di Wăng Chuān al letterato Péi Dí" ( 輞 川 閑 居 贈 裴 秀 才 迪 “Wángchuān xiánjū zēng Péi xiùcái Dí”) , egli ci descrive il quadro idilliaco della vita in campagna, nella sua villa di Lántián, che, per esigenze poetiche assume - contrariamente alla realtà - l'aspetto di una modesta casetta.
Negli ultimi versi il poeta paragona scherzosamente il suo amico e se stesso a due famosi personaggi che preferirono all'attività politica una vita ritirata e modesta: Jiē Yú 接 輿 , il "matto di Chŭ ( 楚 狂 “chŭ kuáng” ) , e Táo Yuān Míng 陶 淵 明 , il "signor Cinque Salici" ( 五 柳 .”wŭ liŭ”).
DALLA MIA DIMORA DI WĂNG CHUĀN AL LETTERATO PÉI DÍ
Le montagne tremolano in una nebbiolina verde e azzurra.
La pioggia autunnale è caduta a dirotto per tutto il giorno.
Appoggiato al bastone, dinanzi alla porta di legno grezzo,
ascolto il frinire delle cicale portato dal vento della sera.
Sull'approdo del traghetto indugiano i raggi del tramonto,
mentre dal villaggio si leva solitario un filo di fumo.
Il mio amico Jiē Yú, il matto di Chŭ, è di nuovo ubriaco,
ed ora canta a squarciagola dinanzi al signor Cinque Salici.
NOTE
(1) Wăng Chuān è il nome di una celebre villa che Wáng Wéi si fece costruire a Lántián 藍 田, nei pressi di Cháng'Ān 長 安. In questa villa egli si ritirava per riposarsi, scrivere e dipingere.
(2) Péi Dí 裴 迪 , nato nel 712 d.C., fu un amico di Wáng Wéi, insieme al quale trascorse lunghi periodi di vacanza a Wăng Chuān. È legata a Wăng Chuān una famosa opera composta, a quattro mani, dai due amici, la "Wăng Chuān Ji" (輞 川 記 "Antologia del fiume Wăng"), nella quale ad una ventina di quartine di Wáng Wéi fanno da contrappunto altrettante quartine scritte da Péi Di sugli stessi temi.
(3) Nell'intestazione della poesia Péi Dí è menzionato con il titolo di "xiùcái" (秀 才"letterato"), che spettava a tutti coloro che avevano superato gli esami distrettuali per l'accesso alla funzione pubblica. Non si sa se successivamente abbia conseguito titoli più elevati. Wáng Wéi, invece, aveva già ottenuto a soli 22 anni (nel 721 d.C.) il prestigiosissimo titolo di "zhuàng yuán " 狀 元 , che era conferito al primo classificato degli esami nazionali.
(4) Jiē Yú, il "matto di Chŭ", è menzionato nel capitolo XVIII, paragrafo 5, dei Dialoghi (論 語 "Lùn Yŭ") di Confucio, dove si legge quanto segue:
"Jie Yú, il matto di Chŭ, passò in fretta accanto alla carrozza di Confucio cantando:'O Fenice! O Fenice! Le tue doti non servono. Per il passato non c'è più nulla da fare, ma per l'avvenire c'è ancora rimedio. Lascia perdere! Lascia perdere tutto! Coloro che al giorno d'oggi si occupano degli affari pubblici rischiano una brutta fine'.
Confucio scese dalla carrozza e fece per parlargli, ma il matto corse via e Confucio non poté dirgli nulla".
L'episodio mette in chiara luce la divergenza tra la dottrina confuciana, che predica l'impegno nella società civile, e la dottrina taoista, qui rappresentata da Jiē Yú, che consiglia invece il ritiro dal mondo, specialmente nelle epoche in cui lo Stato è mal governato e gli uomini probi e capaci sono invisi alle autorità. Secondo il matto di Chŭ, Confucio, che egli equipara alla Fenice, leggendario simbolo di saggezza, dovrebbe abbandonare l'attività politica da cui non può venirgli altro che male.
La caratterizzazione di Jiē Yú come un eremita si trova tuttavia soltanto in un'opera posteriore ai "Dialoghi", il "Gāoshì Zhuàn" (高 士 傳 "Vite dei grandi maestri"), in cui si racconta che Jiē Yú, invitato dal re di Chŭ a svolgere importanti funzioni pubbliche, preferì fuggire con la moglie sulle montagne.
Non risulta dalle fonti che Jiē Yú fosse un grande bevitore, ma l'amore del vino è tipico di molti personaggi legati al taoismo, come ad es. il poeta Lĭ Bái.
(5) Tào Yuān Míng 陶 淵 明 (365 d.C.- 425 d.C.), conosciuto anche come Tào Qián 陶 潛 , cominciò da giovane una carriera di funzionario, nel corso della quale occupò alcuni posti di scarso rilievo, ma, disgustato dal servilismo e dalla corruzione che vedeva intorno a sé, si ritirò ben presto in campagna, preferendo condurre una vita libera e serena, anche se misera.
Scrisse il "Táo Huā Yuán Jì" (桃 花 源 記 "Storia della sorgente dei fiori di pesco"), opera di ispirazione utopistica, e la "Wŭliŭ Xiānshēng Zhuàn" (五 柳 先 生 傳 "Vita del signor Cinque Salici"), breve autobiografia in cui celebra l'esistenza semplice e gioiosa di uno studioso che ha rinunciato alle ambizioni mondane. In quest'ultima opera, Tào Yuān Míng confessa anche il suo amore per il buon vino, debolezza che i funzionari in servizio non potevano evidentemente permettersi.