Zhái Yŏngmíng 翟 永 明 nata nel 1955 a Chéngdū 成 都, capoluogo del Sìchuān 四 川, fu inviata, durante la Rivoluzione Culturale, a svolgere lavoro manuale in campagna.
Ritornata dopo due anni a Chéngdū, si iscrisse nel 1977 alla Facoltà di Telecomunicazioni e Costruzioni, dove si laureò nel 1980 in ingegneria dei laser.
Pubblicò nel 1981 le sue prime poesie.
Nel 1984 vide la luce la raccolta “Donne” ( 女 人 “nǚrén”) nella quale, secondo il critico Táo Năikăn 陶 乃 侃 "cercò di trovare in sé stessa e nella propria epoca l'archetipo femminile e di approfondirlo ulteriormente espandendo il proprio "io" sino a fonderlo nell'immagine universale della donna",
La prefazione di Zhái alla raccolta contiene le seguenti affermazioni: “Nella sua qualità di appartenente all’altra metà del genere umano, la donna vive, fin dalla nascita, in un mondo completamente diverso ...Di fatto, ogni donna fronteggia il proprio abisso nel quale consuma e riconosce incessantemente le pene più intime del suo cuore”.
Zhái ribadì questa posizione nel 1986, quando dichiarò che avrebbe preferito essere un poeta piuttosto che una poetessa, ma che il fatto di essere nata donna non poteva non influenzare la sua poesia. Conformemente al pensiero tradizionale cinese, il principio femminile, detto 阴 (“yīn”), è infatti caratterizzato dall’ombra, dall’acqua e dalla luce spettrale della luna. La poesia di una donna è necessariamente una poesia che si insinua nell’oscurità della psiche ed esprime sentimenti complessi ed involuti. Di conseguenza, i versi di Zhài Yŏngmíng assumono spesso un carattere ermetico che ne rende difficile la comprensione e la traduzione.
Come lei stessa riconosce in un saggio intitolato “ Per la larga minoranza”: “In alcune occasioni, quando la peculiarità della poesia fluisce e permea di sé (il poeta), il linguaggio appare mostruosamente esagerato, esprimendo un'incertezza sistematica e generando una dislocazione della lingua corrente.Quando ciò accade non v’è altra scelta se non quella di rispettare le implicazioni di questo linguaggio ,che va oltre le capacità di comprensione. È proprio come la musica: quando la musica ti penetra, anche se tu puoi non amare l'opera e lo stile del nusicista, essa risveglia le tue membra ed ogni fibra del tuo corpo, contorce il tuo petto , lo irrigidisce, lo tetanizza”.
La poetessa ha vissuto negli Stati Uniti dal 1990 al 1992 e ha partecipato a conferenze letterarie e a festival di poesia in diversi paesi europei.
Ha pubblicato numerose raccolte di poesie, tra cui:“Sopra tutte le rose” (在 一 切 玫 瑰 之 上 “zài yī qē méi guī zhī shàng”) 1989 e “Canti Notturni (黑 夜 中 的 素 歌 “hēi yè zhōng de sù gē”) 1997.
SIPARIO (1)
Dietro un pezzo di muro, il vasto mare. Dietro un drappeggio, lo spazio del cielo. In mezzo, tra il muro e il drappeggio, il tempo. (2)
Parliamo ora del sipario, di ciò che gli sta davanti, di quello che gli sta dietro.
Un mondo che esiste senza di me, (3) teatro che mescola falso e vero, canto di lacrime e di leggenda, sera artificiale e giorno genuino, tra di loro intrecciati e frammisti. Chi sarà mai in grado di scioglierli?
Dinanzi a un pezzo di stoffa, il presente. Dinanzi agli spettatori, il sipario. Tra spettatori e sipario, le luci. (4)
Le luci della ribalta negli occhi riflettono la vita sulla scena, vita ed esistenza da marionette, una vita di amara agitazione, un misto di verità e di fantasia. Cos’è la vita, calato il sipario? (5)
1) Zhái Yŏngmíng ci descrive in questa poesia ciò che si vede dai due lati del sipario: dietro c’è la “scena”, la fantasia, attori o burattini che si muovono nel regno dell’immaginario; davanti c’è il pubblico degli spettatori, la realtà, uomini e donne che agiscono nella vita concreta. Eppure, la distinzione rimane ambigua: il sipario è una linea evanescente che può essere superata con facilità e quasi senza accorgersene.
2) La descrizione del teatro comincia da ciò che sta dietro il sipario: la “scena”. I versi ci ricordano- non so se deliberatamente o per puro caso- la Poetica di Aristotele. I paesaggi dipinti sullo sfondo definiscono i parametri dell’azione: lo “spazio” e il “tempo”.
3) Mi sembra logico ricollegare l’espressione 无 我 的 世 界 (“wú wŏ de shìjiè” il mondo del non io”) alle parole che la precedono immediatamente 幕 后 (”mù hòu” “dietro il sipario”). Il palcoscenico è il mondo della fantasia, dell’irrealtà in cui non c’è posto per l’”io” concreto e razionale.
4) Questi tre versi creano un parallelismo con i tre versi iniziali. Spazio e tempo sono la cornice dell’azione drammatica, scena e pubblico sono la cornice dello spettacolo.
5) C’è un parallelismo anche tra le domande , chiaramente retoriche, che chiudono le due parti della poesia: se non è possibile distinguere la realtà dalla finzione (“chi sarà mai in grado di scioglierli?”), che cosa resterà della vita concreta quando la si privi della fantasia (“cos`è la vita, calato il sipario?”)?
Yú Jiān
Questo autore, nato l’8 agosto 1954 a Kūnmíng 昆 明 nello Yúnnán 云 南 , è considerato uno dei più rilevanti fra i “Poeti della Terza Generazione” (第 三 代 诗 人 “dì sān dài shī rén”) , movimento che ha fatto seguito negli anni ’80 a quello dei “Poeti Brumosi”.( 朦 胧 诗 人 “méng lóng shī rén”).
Soffrì da bambino di una grave malattia che gli lese in modo permanente l’udito. Questa menomazione ha influito pesantemente sulla sua esistenza, ponendolo sin dall’infanzia di fronte alla dura realtà della vita. In una nota autobiografica, egli scrive: “Ho pagato a caro prezzo questo mio difetto, avendo sempre dovuto lottare per essere trattato come gli altri e rispettato come gli altri. D’altra parte, ciò mi ha abituato a capire il mondo attraverso la mia sensibilità e non attraverso le conversazioni con gli altri. Sono stato così obbligato a sviluppare un “udito” che prescinde dalle orecchie”
Nel 1966, allo scoppio della Rivoluzione Culturale, i suoi genitori, che erano degli intellettuali, furono inviati nelle campagne per esservi “rieducati” e Yú Jiān dovette interrompere gli studi.
A sedici anni trovò lavoro in fabbrica come operaio ribattitore e saldatore. Una sua breve biografia pubblicata sulla rivista “Poetry International” riferisce che “ influenzato dall’interesse paterno per la poesia e aiutato dalle frequenti interruzioni di corrente che bloccavano il lavoro nella fabbrica, egli divenne un appassionato lettore”. Fu in quegli anni che Yú Jiān scoprì le poesie di Longfellow e, soprattutto, quelle di Withman, che dovevano in seguito esercitare un’importante influenza sulla sua opera.
Dopo la morte di Máo Zédōng 毛 泽 东 , nel periodo di riforme economiche inaugurato da Dèng Xiăopíng 邓 小 平 , Yú Jiān, ormai ventiseienne, riprese gli studi, iscrivendosi per l’anno accademico 1980 alla facoltà di lettere dell’Università di Yúnnán.
Nel 1986 pubblicò, sulla nota rivista letteraria “Shīkān” 詩 刊 , la sua prima poesia “Via Shangyi, n°6”, (尚 义 街 六 号 “shàng yì jiē liù hào”), caratterizzata dall’uso del linguaggio corrente e da uno stile particolarmente dimesso, che diventerà in seguito una peculiarità della sua opera. Si può vedere in ciò una salutare reazione tanto al “realismo socialista” dell’epoca di Máo quanto al narcisismo ed all’esagerato individualismo dei poeti che divennero celebri nel periodo immediatamente successivo. Yú Jiān rifiuta con decisione molti aspetti della poesia tradizionale: il vocabolario ricercato, le immagini fantasiose, le metafore audaci, il ritmo incalzante.Questo approccio asciutto ed essenziale non mira però a negare la poesia, quanto piuttosto a considerare come “poetica” la vita in tutte le sue manifestazioni. Facendo eco al famoso verso di William Blake “to see a world in a grain of sand” egli scrive: “È possibile vedere l’eternità –vedere tutte le cose - in una tazza da tè o nella carta delle caramelle. In questo mondo tutto è poesia”.(1)
Nel 1989 vide la luce una raccolta intitolata “Sessanta Poesie” (诗 六 十 首 “shī liù shí shŏu”). Fecero seguito “Dare il nome ad un corvo” (对 一 支 乌 鸦 的 命 名 “duì yī zhī wūyā de míngmìng”) e “Un chiodo piantato nel cielo” (一 枚 穿 过 天 空 的 钉 子 “yī méi chuānguò tiānkōng de díngzĭ”).
Nel 1992,Yú Jiān diede alle stampe una raccolta di poesie intitolata “Due o tre cose del passato”(wăng shì ér sān 往 事 二 三) , che traeva ispirazione dalle esperienze vissute durante la Rivoluzione Culturale.
Il successo arrivò nel 1994 con la pubblicazione di una lunga poesia :“Fascicolo Zero” ( 零 档 案 “líng dăng’àn”), il cui titolo faceva riferimento al “dăng’àn”, il dossier personale che le autorità tengono per ogni cittadino della Repubblica Popolare. Dando alla sua composizione la forma tipica di questo fascicolo amministrativo ( “50 pagine circa, più di 40.000 caratteri, una dozzina di timbri, sette od otto fotografie dell’interessato, le sue impronte digitali, ...1 kilo di carte), Yú Jiān intendeva polemicamente rilevare che nemmeno il controllo più stretto e minuzioso è in grado di cogliere la vera natura di una persona.
La poesia fu attaccata da alcuni detrattori come “un mucchio di spazzatura linguistica”, mentre altri commentatori, pur riconoscendone i meriti letterari, ritennero che, dal punto di vista politico, essa fosse il “canto del cigno” di Yú Jiān, il quale non avrebbe più potuto spingersi oltre nella sua critica al sistema.
In effetti Yú Jiān sembrò spaventarsi della propria audacia ed una nuova poesia, intitolata “Volo” ( 飞 行 “fēixíng”), iniziata nel 1996, fu sottoposta dal suo stesso autore a continue revisioni. Per un po’ di tempo Yú Jiān si dedicò alla prosa , alla composizione di brevi liriche, alla redazione di appunti di viaggio e alla descrizione di scene di vita quotidiana (人 間 筆 記 “rén jiān bĭ jì” “Note dal mondo degli uomini”, pubblicate nel 1999). Infine , il 23 febbraio 2000, il poeta diede alle stampe un impressionante testo di circa 10.000 caratteri.
È difficile definire questo poema che si presenta come un “puzzle” di 49 pezzi di diversa natura: citazioni, pastiches, stereotipi, confessioni, descrizioni, liste di oggetti. Elemento unificatore è la nozione del “volo”, inteso sia in senso letterale come attività che esprime il culmine del progresso tecnico, sia in senso allegorico come metafora della poesia con i suoi “voli” di ispirazione, di fantasia, di percezione. ( Per associazione di idee, ci verrebbero qui in mente i “voli pindarici”, se non sembrasse un po’incongruo menzionare questo termine con riferimento ad un poeta che si è sempre dichiarato ostile alle convenzioni della poesia tradizionale).
Più in profondità, la poesia può essere vista come una fuga paradossale dall’alienazione che sta alla base del moderno paradiso tecnologico, esteso ormai a tutto il globo. Le numerosissime citazioni da “The Waste Land” di T.S. Eliots sembrano suggerire una consonanza di vedute tra i due poeti.
Salvo eventuali significati reconditi, la poesia qui di seguito tradotta ci appare, ad una prima lettura, come una robusta presa in giro della tradizione letteraria che esalta la bellezza femminile con abbondanza di metafore floreali, fra cui primeggia da sempre il riferimento alla rosa. Yú Jiān ci ricorda invece, forse con un eccesso di concretezza e di realismo, che una bella ragazza è semplicemente una bella ragazza. Tutto il resto è vaneggiamento di eruditi.
SE GUARDO UNA ROSA
Se guardo una rosa, ciò vuole dire che vedo una rosa sul suo gambo.
Non vuol proprio dire che ammiro una giovinetta nella stanza.
Perché son due cose che non hanno nulla di comune.
Se guardi una rosa ciò che vedi è proprio una rosa.
Se guardi una donna ciò che vedi son due belle tette,
ciò che puoi vedere è un bel collo fine ed attraente.
Occorre davvero che uno abbia studiato lettere (2)
per poter guardare un bel seno senza accorgersene,
per poter guardare un bel collo senz’ alcun fremito,
per poter scambiare nella strada un giorno d’estate
le belle fanciulle con le rose e le loro spine.
NOTE
(1) Come esempio dello stile di Yú Jiān si può citare un testo tratto dalla raccolta “Antologia di note” del 2001. Il soggetto è assolutamente banale ( una studentessa che va a scuola), il linguaggio è quello di ogni giorno, senza alcun fronzolo ( la gonna di lana, il libro sotto il braccio), le emozioni sono inesistenti ( l’unica cosa che preoccupa la ragazza è il rischio di arrivare tardi alla lezione), eppure non si può negare che il quadro sia suggestivo e in un certo modo poetico.
Una studentessa diciottenne si dirige verso la sua classe in un mattino di primavera.
Guance rosee, lunghe gambe avvolte in una gonna di lana che ne lascia nuda e scoperta solo una piccola parte.
Un bel petto di ragazza, tenuto dritto e rigido.
Ha in mano una tazza di tè, porta un libro sottobraccio.
Attraversa il giardino fiorito guardando fisso dinanzi a sé.
Si sta affrettando per non arrivare in ritardo alla lezione di filosofia.
(2) Ho adottato una formulazione concisa per ragioni di metrica. Letteralmente il verso suona: " ci sono solo gli occhi di un laureato in lettere...".( Chi ha studiato lettere è chiamato in cinese 中 文 系 毕 业 zhōng wén xì bì yè ).
Testo della poesia “Se guardo una rosa” in ideogrammi e pīnyīn
Duŏ Yú 朵 渔 , nato nel 1973 a Shànxiăn 单 县 nello Shāndōng山 东 , non è certo un poeta della vecchia scuola, come ci mostra questo suo inquietante “autoritratto”:
“Mi mangio le unghie, mi metto le dita nel naso, disprezzo i poveri, dico bugie al Signore, sputo per terra, mi piaccio da solo, sono ottuso, amo la guerra ma la lascio fare agli altri, penso sempre porcherie, diffido della gente, il canto del cigno non voglio proprio sentirlo e la bellezza dell’arte... beh, lasciamo perdere.” E con questo siamo ancora ben lontani da tutto il buio che c’è in me. Eppure, se mai riuscissi ad affrontarlo nella sua interezza,so che ad un tratto si trasformerebbe in luce”. ( da “Dentro di me tutto è buio”).
Una riflessione che può forse servirci da guida per interpretare la poesia che segue.
VERGOGNA DI VIVERE (1)
Piove. Faccio l’amore a metà . Non arrivo alla fine.
Ributto fuori tutto ciò che ho ingoiato.
Bandiera a mezz’asta, piegata da una tragedia.
Orologio fermo per un tempo interminabile.
Uomini che si mettono la maschera per tentare giovani alle prime armi. (2)
Una mosca inviata in missione dal suo gruppo mi assilla ronzandomi intorno senza sosta. (3)
Una raffica di vento spinge un uccello umiliato in mezzo alle foglie che cadono dagli alberi.
Il cielo è troppo basso. Tra le nere nubi si dà la caccia ai pensieri delle aquile.(4).
Bianche nuvole,voi che siete così pure,perché versate una pioggia così contaminata?
Ci deve essere qualcuno che ve lo ha ordinato, qualcuno che si è dato veramente da fare.
Piove a dirotto. La nostra tristezza si addensa squarciando con un lampo l’oscurità infinita.
La vita! Della vita vera metà basta ed avanza. L’altra metà, voglio darla alla mia cara mamma, affettuosa come un frammento di porcellana. (5)
Sceglimi, ti prego, un altro padre,una nuova patria. Per una volta, ti prego, fammi rinascere nella luce.
NOTE
(1) François.Charton , che ha tradotto in francese questa poesia, l’ha intitolata cartesianamente “J’ai honte donc je suis”.
(2) L’originale cinese (个 学 射 少 年yī gè xué yè shăo nián) indica “una persona giovane che impara a tirare”,”una persona alle prime armi”. Per mantenere il carattere indeterminato del riferimento, che mi sembra prescindere dal sesso, ho usato il plurale”giovani”.
(3) Il termine 组 织 (“zŭ zhi”) significa “organizzazione”. Il senso del verbo 讨 价 (“tăo jià”) è “mercanteggiare”,”tirare sul prezzo”. È più che probabile che questo verso, come parecchi altri, contenga allusioni o allegorie, ma, visto l’ermetismo del testo, preferisco non avventurarmi sul terreno scivoloso della sua interpretazione.
(4) L’uso del termine 乌 (“wū” “corvo”) per indicare il colore delle nuvole (“nere come corvi”) mira evidentemente a creare un contrasto con 鹰 (“yīng” “aquila” ”falco”)
(5) I frammenti di un oggetto di porcellana sono aguzzi e taglienti, mentre l’affetto di una madre dovrebbe essere dolce e morbido.
Jiă Dăo 賈島, conosciuto anche con il nome di cortesia di Lángxiān 浪先, nato a Fànyáng 范陽 ( oggi Zhuōzhōu 涿州 nel Hébĕi 河北 ) nel 779 d.C. , fu attivo durante l’ultimo periodo della dinastia Táng 唐朝.
Visse come monaco buddhista, nell’ambito della setta Chán 禪, fino all’età di 31 anni quando, dopo aver incontrato il famoso poeta Hán Yù 韓愈, abbandonò la vita religiosa e si trasferì a Cháng’Ān 長安.
Se si presta fede alle Note di Xiang Su, una raccolta di aneddoti sugli antichi poeti, l’incontro avvenne in modo curioso.
Jiă Dăo viaggiava in groppa al suo asinello, tutto intento a comporre nella sua mente una poesia che cominciava con questo verso: “Gli uccelli ritornano ai loro nidi sugli alberi intorno allo stagno”. La stesura del secondo verso sollevava però delle difficoltà perché il nostro non riusciva a decidere se fosse meglio “un monaco bussa alla porta verso la mezzanotte”oppure “un monaco spinge la porta verso la mezzanotte”.Per raffigurarsi plasticamente la scena imitava i gesti del personaggio, muovendo in continuazione il braccio ora come se stesse bussando ora come se stesse spingendo l’uscio. Immerso nei suoi pensieri andò quasi a sbattere contro il palanchino di Hán Yù, che era a quell’epoca un alto funzionario del governo. Fermato dalla scorta di Hàn Yú e invitato da quest’ultimo a render conto dell’irriverenza, Jiă Dăo gli espose il proprio dilemma. Ne seguì una lunga conversazione sull’arte poetica ed alla fine i due divennero amici.
Stabilitosi nella capitale, Jiă Dăo tentò più volte, senza successo, di superare l’esame per ottenere il diploma di jinshì 進士 che apriva l’accesso ufficiale alla carriera nel pubblico impiego. Dovette perciò accontentarsi di incarichi molto modesti che gli fornivano a malapena il necessario per vivere. Fu per qualche tempo scrivano (主 簿“zhŭbù” ) nella regione di Chángjiāng 長 江, da cui trasse il suo nome d’arte.
Come osservò il famoso poeta dell’epoca Sòng 宋朝 Oūyáng Xiū 歐陽修, Jiă Dăo sapeva evocare con molta intensità la miseria in cui visse.
In una poesia , egli scrive: “Le mie tempie sono di bianca seta ma non servono a tessere una camicia che mi tenga caldo”.
In un`altra composizione intitolata “Fame mattutina”(朝餓“zhāo è”) leggiamo: “Siedo sul letto volto ad ovest ed ascolto il suono della cetra, due o tre corde che vibrano nel freddo”(坐聞西床琴. 凍折兩三絃“zuò wén xī chuáng qín dòng zhé liăng sān xián”).
Morì nell’843 d.C. in condizioni di estrema povertà. Gli unici beni di cui disponeva erano, secondo quanto ci è stato tramandato, un asino zoppo ed una cetra scordata.
In campo artistico Jiă Dăo seguì i princìpi propugnati da Hán Yù che celebrava gli effetti didattici e morali della poesia ed esaltava il modello del letterato confuciano, attento al rispetto della giustizia e delle antiche tradizioni.
Insieme con i contemporanei Mèng Jiāo 孟 郊 e Lĭ Hè 李 賀 , le cui poesie si distinguono , quanto al primo, per la durezza che le anima, quanto al secondo, per la malinconia da cui sono pervase. è ricordato come uno dei “poeti dalle canzoni amare”( “kŭ yín shī rén”苦 吟 詩 人).
Il suo stile, che privilegia la scorrevolezza a scapito dell’eleganza e la semplicità a scapito della ricercatezza , rende agevole la lettura dei suoi testi.
Riferendosi a questa apparente povertà d’espressione, Sū Shì 蘇軾descrisse la sua poesia con l’aggettivo 瘦(“shòu””magro””emaciato”) che prende lo spunto dalla miseria materiale di Jiă Dăo per esprimere un giudizio abbastanza criticosulla sua opera ritenuta “priva di sostanza”,”inconsistente”. Tale valutazione negativa ricompare anche in studiosi di epoche successive.
La poesia che segue “Cercando invano il maestro”sembra invece dimostrare che, nonostante la sua parsimonia nell’uso delle parole, Jiā Dăo non manca affatto di profondità di pensiero.
Questo scarno dialogo è visto da molti commentatori come una metafora del cammino spirituale.
Le poche parole scambiate tra il visitatore e il discepolo ci portano gradualmente dalla materia al vuoto, dal concreto all’indeterminato, dal limitato all’infinito. Ogni passaggio ci fa salire più in alto e vedere più lontano, come nella famosa poesia di Wáng Zhīhuàn 王 之 渙 intitolata “Salendo sulla torre dell’airone”. (1)
Con il primo verso ci troviamo ancora nel pieno della realtà. Il pino sotto cui abitualmente siede il maestro (2), il discepolo, o uno dei discepoli, cui egli impartisce il proprio insegnamento sono presenze ben distinte, che delimitano uno spazio, che definiscono una situazione precisa. Siamo veramente all’inizio del cammino.
La prima frase del ragazzo ci porta già oltre. Il maestro è andato a cercare erbe medicinali. Si percepisce qui un senso allegorico : la ricerca delle erbe che guariscono il corpo può certamente essere vista, su un altro piano, come la ricerca dei rimedi che purificano lo spirito.Mi pare tuttavia di cogliere pur sempre un limite, quel limite che è posto in particolare rilievo dal pensiero taoista : l’azione si propone un fine, un risultato e non è quindi pura .(3) Il legame con il mondo è ancora forte.
Il terzo verso dilata la scena, allarga potentemente i confini di spazio e di tempo, ci fa apparire irrilevanti i motivi che hanno spinto il maestro ad inoltrarsi nella montagna. “Sulla montagna”è l’unica informazione che sa dare il discepolo. L’uomo è ormai scomparso nella vastità della natura, che sembra però ancora conservare la sua realtà. Abbiamo l’impressione di trovarci di fronte ad uno di quei tipici paesaggi cinesi nei quali, in uno scenario di gigantesche montagne, boschi, fiumi, laghi la figura umana scompare del tutto o è ridotta ad un puntino insignificante .Un ultimo passo e anche le montagne scompaiono avvolte da dense nuvole. La realtà perde ogni contorno, ogni consistenza. Il mondo ci appare ora come l’ombra, la nebbia che esso è di fatto, come il vuoto, quel vuoto che è il punto d’arrivo della dottrina buddhista. In questo vuoto non ha più alcun senso.cercare di sapere dove sia il maestro.
“Chissà dove” non è dunque la risposta sconsolata del ragazzino che ignora quale fine abbia fatto il suo maestro, bensì l’affermazione cosciente di chi sa che il mondo è illusione.
NOTE
(1) Ecco il testo della poesia:
登 鹳 雀 楼 déng guàn què lóu Salendo sulla torre dell’airone
白 日 依 山 尽, bái rì yī shān jìu Il sol tramonta dietro le colline. 黄 河 入 海 流。 huáng hé rù hăi liú I ll Fiume Giallo scorre verso il mare. 欲 穷 千里 目, yú qiõng qiān lĭ mù Se vuoi vedere mille miglia intorno 更 上 一 层 楼。 gèng shàng yī céng lóu devi salire ancora un altro piano.
(2) Nell’antica tradizione cinese gli alberi erano collegati all’idea della saggezza e del suo insegnamento. Confucio insegnava ai suoi discepoli sotto un albero e questa sua abitudine fu sfruttata da un suo nemico, Huàn Tuí 桓 魋, ministro della guerra nel ducato di Sòng 宋國, che fece segare di nascosto l’albero sotto il quale egli teneva lezione sperando che gli cadesse addosso. ( Un riferimento indiretto a questo episodio figura in “Dialoghi” VII,23). Il pino è menzionato in una poesia di Lĭ Bái “Omaggio a Mèng Hào Rán” (贈 孟 浩 然 “zéng mèng hào rán”) in cui si legge: “giovane disdegnasti palanchini e diademi, vecchio ti riposavi all’ombra dei pini”.
(3) Appare interessante ricordare, a questo riguardo, il capitolo XXXVIII del Dào Dé Jīng 道 德 經 che traccia la distinzione tra l’uomo saggio e l’uomo virtuoso: saggio è chi si conforma spontaneamente alla Via e pratica la virtù istintivamente perché vive in armonia con le leggi eterne del cosmo; virtuoso è chi, avendo già smarrito l’originaria consonanza con la natura, cerca di ritrovarla senza troppo successo, attraverso la pratica intenzionale della virtù.
Ecco i primi versi del capitolo:
“Negli uomini più virtuosi la pratica della virtù è schietta e spontanea. Nei meno virtuosi la pratica della virtù è cosa deliberata e artificiale. È per questo che i primi possiedono la virtù e i secondi ne sono privi. I più virtuosi praticano l'inazione e sono completamente disinteressati. I meno virtuosi agiscono per il perseguimento di determinati fini."