POETI CINESI
In questa rubrica intendo presentare alcuni dei maggiori poeti cinesi antichi e moderni con un breve cenno biografico accompagnato, per ciascuno di essi, dalla traduzione di talune composizioni particolarmente. significative. I testi originali delle poesie si possono trovare, per quanto riguarda i poeti dell'epoca Táng, sul sito "Táng Shī Sānbăi Shŏu" ( 唐 詩 三 百 首 "Trecento pesie dell'epoca Táng").
INDICE DELLA RUBRICA
LĬ BÁI
Biografia di Lĭ Bái
Poesie di Lĭ Bái
1) Bevendo da solo sotto la luna 2) Arduo è il cammino di Shū
3) Una serata in una baita del Monte Hú al ritorno da un'escursione sul Monte Zhōngnán 4) Una pura, serena melodia
5) La canzone di Cháng Gán 6 a) Sempre pensando a Cháng'Ān 6 b) Un solo pensiero
7) Le ballate delle quattro stagioni ( Canto della primavera, Canto dell'estate, Canto dell'Autunno, Canto dell'Inverno) 8) Si versi il vino!
LĬ BÁI
Il poeta Lĭ Bái 李 白 è conosciuto in Europa anche come Lĭ Bó, Lĭ Tàibái 李 太 白 o Lĭ Tàibó.
“Lĭ”, scritto con l’ ideogramma che significa “pruno” è il nome di famiglia “(xíng”) che, secondo l’uso cinese, precede il nome personale. È il cognome più diffuso in Cina ed era anche il cognome del fondatore della dinastia Táng, Lĭ Yuān 李 淵, che salì al trono imperiale nel 618 d.C. Lĭ Bái sosteneva che questa omonimia non era casuale e che egli aveva con la famiglia imperiale un antenato comune, quel Lĭ Găo 李 暠 (351-417 d. C.) che fondò agli inizi del V° secolo il regno del Liáng Occidentale (“Xī Liáng” 西 凉 ), uno dei molti effimeri Stati che nacquero nel periodo detto dei Sedici Regni. Sebbene Lĭ Bái si sentisse per questo autorizzato a chiamare“cugino” l’imperatore, non vi sono prove di tale asserita parentela. È stato pure osservato che Lĭ era un cognome che veniva molto spesso assunto dai Turchi che vivevano ai confini occidentali dell’impero quando l’influenza della cultura cinese li induceva a naturalizzarsi assumendo nomi e costumi cinesi. Si è dunque pensato che il poeta potesse essere, in tutto o in parte d’origine turca, visto che si ritiene generalmente che sia nato a Suyab nell’attuale Kirghizistan.
Il nome personale (“míng) del poeta è“ Bái”, scritto con l’ideogramma che significa “bianco” ed ha probabilmente qualche rapporto con la dottrina taoista che onora il bianco come colore della purezza. A Táiwān è ancora usata la forma classica del nome “Bó”( pronunciata
“buó).
Il nome di cortesia (字“zì”), cioè il nome che veniva attribuito ad un giovane per essere usato dagli altri quando raggiungeva i vent’anni, in quanto non era considerato decoroso che i familiari più giovani o gli estranei si rivolgessero ad una persona con il suo “míng”, è “Tàibái “ o “Tàibó”, che significa“grande bianco”, “grande splendore” ed è la denominazione usuale del pianeta Venere. Secondo la leggenda la madre di Lĭ Bái , mentre era incinta, ebbe un mattino l’impressione di vedere il pianeta Venere particolarmente luminoso e ne dedusse per il nascituro un destino di grande splendore, di cui il suo stesso nome avrebbe dovuto dare testimonianza.
La famiglia del poeta era abbastanza oscura, nonostante Lĭ Bái si vantasse di avere nobili origini Egli asseriva infatti di essere un discendente, alla nona generazione, di Lĭ Găo, che aveva fondato un piccolo regno con capitale a Dūnhuáng 敦 煌 nella provincia del Gānsù 甘 肅.
Sembra che un suo bisnonno fosse stato esiliato nel Turkestan,agli estremi confini occidentali dell’impero, nel VII° secolo e che la famiglia avesse vissuto a lungo in quella zona di frontiera, forse mescolandosi anche con famiglie del luogo. Spesso sono
infatti state invocate eredità genetiche “barbariche” per spiegare la fantasia sfrenata, l’irrequietezza, la passionalità e l’asocialità di
questo poeta, il cui comportamento contrastava in modo così netto con il senso del dovere, la correttezza, la misura dei letterati cinesi del suo tempo. Alcuni ritengono addirittura che la famiglia del poeta non fosse di stirpe cinese, ma che si trattasse invece di una famiglia di origine turca.
Il luogo di nascita di Lĭ Bái è controverso. Prevale l’idea che sia nato a Suìyì 碎 葉, l’attuale Suyab nel Kirghizistan. La città era un importante centro sulla via della seta ed era stata la capitale del Kaghanato dei Turchi occidentali, fino al 658 d.C., quando fu conquistata dal generale cinese Sū Dìngfāng 蘇 定 方. Nell’anno in cui vi sarebbe nato Lĭ Bái era ancora sotto il dominio dei Cinesi, che la abbandonarono nel 719 d. C. L’affermazione del poeta stesso di saper parlare altre lingue oltre il cinese e certe particolarità linguistiche nelle sue poesie potrebbero essere indizi in favore di questa tesi.
Secondo altri, sarebbe invece nato a Bāxī 巴 西 o a Zhōngbà 中 坝, località che fanno ora parte della città di Jiāngyóu 江 油 nel
Sìchuān 四 川, che gli ha eretto un monumento come sua città natale. Questa zona del Sìchuān faceva parte in tempi remoti dell’antico regno di Bā 巴 國.
In ogni caso è accertato che il padre di Lĭ Bái , che doveva essere un agiato commerciante, era già stabilito a Jiāngyóu quando il figlio raggiunse i cinque anni d’età.
Li Bái stesso si considerava cittadino di Qīnglián 青 蓮, come prova lo pseudonimo da lui stesso scelto come poeta ( hào 號): “Qīnglián
jūshì" 青 蓮 居 士 “, che significa “colui che risiede a Qīnglián”.
Sulla data di nascita tutti invece concordano ponendola nel 701 d. C.
Lĭ Bái ebbe un’ottima educazione e mostrò assai presto doti eccezionali di apprendimento. A dieci anni era già in grado di leggere testi classici quali “Il libro delle odi” (“shì jīng” 詩 經) ed “Il libro dei documenti” 書 勁 (“shū jīng”). Seguì inoltre lezioni di scherma per apprendere il maneggio della spada (“jiàn 劍”), cosa che lasciò in lui un gusto insoddisfatto della vita avventurosa. In alcune delle sue poesie, si immagina infatti nei panni di un“cì kè 刺 客(1), uno di quei leggendari avventurieri che giravano a cavallo per il paese proteggendo i deboli e raddrizzando i torti, un po’ come i cavalieri erranti che divennero, nei paesi europei, i protagonisti dei poemi cavallereschi. In una sua poesia Lĭ Bái ricorda: “A quindici anni avevo letto i cento filosofi e padroneggiavo l’arte della spada”(2).
Sebbene fosse una persona estremamente colta ed intelligente, padroneggiasse benissimo la calligrafia e conoscesse perfettamente i classici, si astenne dal partecipare ai famosi esami pubblici che aprivano la via ad una carriera nell’amministrazione imperiale. È difficile valutare le ragioni di questo comportamento. Si può immaginare che esso fosse determinato dalla formazione prevalentemente taoista
di Li Bái che lo portava a privilegiare una vita ritirata ed il disimpegno politico, contrariamente al confucianesimo, per il quale invece la partecipazione agli affari dello Stato era un alto dovere morale.
Verso i venti anni d’età, lasciò la famiglia e cominciò a girovagare per la Cina.
Visitò dapprima le montagne del Sìchuān, che rimasero sempre per lui una ricca fonte di ispirazione poetica, e nel 720 d.C. visitò la città di Chéngdū 成 都, allora chiamata Jĭnchéng 錦 成, di cui lasciò una bella descrizione nella poesia intitolata “Salita al padiglione di Sānhuā a Jĭnchéng”.
Nel 725 d.C. iniziò un lungo viaggio che lo portò ,scendendo il corso dello Yángzĭjiāng 揚 子 江 , a Xiányáng 咸 陽, al lago Dòngtíng
洞 庭 湖, al Monte Lúshān 廬 山 ,a Wéiyáng 維 楊 (oggi Yángzhōu 揚 州) e a Jĭnlíng 金 陵 ( oggi Nánjīng 南 京) nello Shāndōng
山 東. Fu in quel periodo che, incontrò il governatore di Yízhōu 宜 州, Sū Tĭng 蘇 頲, il quale, colpito dal genio del poeta, dichiarò: “Quest’uomo possiede eccellenti doti naturali. Se fosse più colto, potrebbe diventare un secondo Sīmă Xiāngrú 司 馬 相 如”.(3) Sū Tĭng
avrebbe invano cercato di convincere Lĭ Bái ad affrontare gli esami provinciali imperiali per l’accesso ad una carica pubblica.
Nel 726 d. C., sulla via del ritorno Lĭ Bái fu ospitato ad Ānlù 安 陸, nella provincia dell’Húbĕi 湖 北 dalla famiglia dell’ex primo ministro Xŭ Yŭshī 許 圉 師 ,di cui poco dopo sposò la nipote. Cercò allora, per breve tempo di metter testa a partito e di condurre una vita ordinata. Mentre abitava in casa dei parenti della moglie, tentò di ottenere un impiego amministrativo, ma senza successo.
Risulta che nel 730 d. C. abitava a Zhōngnán 中 南, presso Cháng ’An 長 安.
In seguito, abbandonata la famiglia, riprese la vita errabonda, cercando di farsi ospitare da letterati e politici. Discese il corso dello Yángzĭjiāng fino a Luòyáng 洛 陽 e a Tàiyuán 太 原 e fu ospite, per qualche tempo, del figlio del governatore dello Shānxī 山 西.
Nel 736 d. C. si sarebbe stabilito temporaneamente a Jìníng 济 宁nell’attuale Shāndōng, dove la sua presenza è ancora accertata nel 740
d.C.
Più tardi, seguendo fino in fondo la dottrina taoista, si ritirò per un certo periodo sul monte Mín 岷 (Mínshān 岷 山) nel Sìchuān dove condusse temporaneamente la vita di uno “xiān”仙 (eremita”). I più famosi eremiti taoisti avevano sviluppato nel corso dei secoli delle
tecniche per raggiungere un’eccezionale longevità e, nella leggenda popolare, avevano addirittura conseguito l’immortalità. Per questa ragione, il termine “xiān”, che originariamente significava soltanto “uomo che vive sulle montagne”, come risulta dai segni che compongono il relativo ideogramma, assunse con il decorso del tempo dapprima il senso di “immortale” e poi, quando il taoismo
assunse le forme di una vera e propria religione, quello di “essere divino”. Si spiega in questo modo l’epiteto che fu poi attribuito a Lĭ Bái quando divenne famoso: “shì xiān”, vale a dire “L’immortale della poesia”.
Durante la sua esperienza di “xiàn” Li Bái creò con cinque compagni che condividevano le sue idee ed il suo modo di vivere (Kŏng Cháofù 孔 巢 父, Hán Zhŭn 韓 準, Péi Zhèng 裴 政, Zhāng Shūmíng 张 叔 明 e Táo Miăn 陶 沔 ) un gruppo poetico chiamato “I sei oziosi
della valle dei bambù”.(竹 係 六 逸 zhú xì liù yì).
Nel 742 troviamo Lĭ Bái a Zhèjiāng 浙 江, da dove si recò di nuovo a Cháng’Ān con un amico taoista, Wu Yün (4), che lo introdusse negli
ambienti di corte, dove le sue doti poetiche destarono l’ammirazione di Hé Zhīzhāng 賀 知 章 (5), ministro dell’Imperatore Lĭ Lōngjī
李 隆 基 (generalmente conosciuto con il nome postumo di Xuánzōng 玄 宗) e presidente dell’Accademia Hànlín 翰 林 院 hàn lín yuàn.(6) Hé Zhīzhāng avrebbe informato l’imperatore di aver incontrato un eccellente poeta, che però aveva il vizio del bere, e gli avrebbe mostrato alcune poesie di Lĭ Bái. L’imperatore, lette le poesie, avrebbe affermato che ad un così straordinario poeta poteva ben essere perdonato qualche piccolo difetto ed avrebbe invitato Lĭ Bái a corte.Sarebbe Hé Zhīzhāng che avrebbe per primo chiamato Lĭ Bái con il famoso soprannome di “shì xiān”, cioè “L’immortale della poesia”.
Egli fu ancor più ammirato quando dimostrò di essere il solo in grado di leggere un messaggio inviato all’Imperatore dal re della Corea e scritto in caratteri coreani.
Convocato a corte, Li Bái fu nominato membro della prestigiosa accademia letteraria Hànlín. Tuttavia, a causa della sua abitudine di bere eccessivamente, numerosi episodi sconcertanti caratterizzarono fin dall’inizio la sua presenza presso l’Imperatore. I messaggeri imperiali incaricati di comunicargli la nomina all’accademia lo trovarono ubriaco fradicio in una taverna e dovettero immergergli più volte la testa in un catino d’acqua fresca prima che il poeta riacquistasse quel tanto di sobrietà che era necessario per potersi presentare a
corte senza scandalo.
Lĭ Bái era noto per la sua eccezionale abilità nel comporre e si racconta che, un giorno in cui dalla terrazza del palazzo ammirava con l’Imperatore e con la favorita Yáng Guìfēi 楊 貴 妃 lo spettacolo delle peonie in fiore, fosse invitato ad improvvisare qualche poesia. Lĭ Bái
avrebbe rapidamente composto tre famose quartine in onore della favorita, che, paradossalmente, sarebbero poi state il pretesto della sua successiva caduta in disgrazia.
Infatti, qualche tempo dopo, Lĭ Bái, che accompagnava l’imperatore in una passeggiata nei giardini imperiali e che era, come al solito, abbastanza ubriaco, si sarebbe lamentato di non poter seguire il passo dell’imperatore a causa delle scarpe troppo strette. L’imperatore gli avrebbe consigliato di togliersi le scarpe e di sostituirle con altre più comode, ma, vedendo che, a causa del suo stato d’ubriachezza, Lĭ Bái aveva qualche difficoltà a compiere l’operazione, avrebbe ordinato al capo degli eunuchi Gāo Lìshì 高 力 士 di aiutarlo.
L’orgoglioso e presuntuoso eunuco si sarebbe sentito umiliato da questo basso incarico e, pieno di rancore nei confronti del poeta, avrebbe giurato di fargliela pagare. Per far ciò avrebbe convinto Yáng Guìfēi che una delle quartine composte da Lĭ Bái in suo onore era in realtà offensiva perché osava comparare la sua ineguagliabile bellezza a quella di un’antica imperatrice della dinastia Hàn, Fēiyàn
飛 燕. La favorita si sarebbe lamentata con l’Imperatore e lo avrebbe indotto a negare a Lĭ Bái l’attesa promozione, stroncando così le sue prospettive di carriera nell’amministrazione imperiale. Il poeta, deluso e amareggiato, avrebbe allora abbandonato la capitale.
Alcuni sostengono però che tutta questa storia non sia che una leggenda, in quanto Yáng Guìfēi sarebbe diventata concubina imperiale solo dopo la partenza di Lĭ Bái da Cháng’Ān.
Del resto la tradizione popolare si impadronì presto dell’episodio della mancata promozione e ne diede altre interpretazioni parimenti fantasiose, ad es. quella secondo cui Lĭ Bái, presentatosi agli esami imperiali, sarebbe stato respinto a causa dell’invidia di due esaminatori e si sarebbe poi vendicato, ridicolizzandone l’ignoranza, ma attirandosi al tempo stesso l’inimicizia di tutti i burocrati
imperiali, quando né i due né gli altri funzionari erano stati in grado di leggere una lettera redatta in una lingua straniera., che il poeta aveva invece facilmente decifrato.
Può anche darsi, in realtà, che queste leggende nascondano il semplice fatto che, nonostante le sue qualità, Lĭ Bái non appariva adatto, a causa della sua estrosità e delle sue frequenti intemperanze, a svolgere una carriera ispirata ai rigidi principi confuciani.
A questo punto il poeta riprese la sua vita errabonda. Essendo rimasto vedovo della prima moglie, che gli aveva dato due figlie, ed avendo divorziato dalla seconda, si sposò una terza volta nel 744 d.C. ed ebbe ancora un figlio. Tuttavia insofferente della vita di famiglia, passava la maggior parte del suo tempo a viaggiare ed a visitare letterati, religiosi taoisti e bonzi nel sud-est della Cina.
Fu in questo periodo che si sposò per la quarta volta, con una fanciulla di nobile famiglia, e che si installò sul Monte Lushān 廬 山, dove compose molte delle sue più note poesie.
Nel 744 d.C. conobbe il poeta Dù Fŭ 杜 甫, più giovane di lui di alcuni anni, con cui rimase a lungo legato da una profonda amicizia.
Per una decina d’anni Lĭ Bái vagò irrequieto attraverso tutta la Cina.Ci si domanda dove si trovasse quando, nel 756 d. C., la ribellione del generale Ān Lùshān 安 祿 山 costrinse l’imperatore a fuggire precipitosamente dalla capitale, minacciata dalle truppe ribelli. Si riteneva un tempo che proprio in quel periodo Lĭ Bái avesse composto la famosa ode intitolata “ Arduo è il cammino di Shŭ” ( 蜀 道 難, “shŭ dào nán”), in cui cercava di dissuadere il sovrano dal dirigersi verso il Sìchuān, a causa dei sentieri scoscesi e pericolosi che occorreva percorrere per rifugiarsi in quella regione. Ricerche documentali hanno tuttavia dimostrato che tale ode era già nota in epoca anteriore alla ribellione di Ān Lùshān Il periodo di torbidi che seguì la ribellione di Ān Lùshān 安 祿 山, caratterizzato
da avvenimenti sconvolgenti come la fuga e l’abdicazione di Xuánzōng, l’occupazione di Cháng’Ān da parte dei ribelli, l’uccisione di Yáng Guìfēi e dei suoi familiari, la ribellione del principe Lín di Yŏng 永 王 璘 contro il nuovo imperatore Sùzōng 肅 宗, mise in
difficoltà Lĭ Bái, che, per una scelta sconsiderata o per puro caso, finì per trovarsi dalla parte sbagliata (7). Essendosi schierato con il principe Lín 永 王 璘, che fu rapidamente sconfitto ed ucciso dalle truppe del nuovo imperatore, Lĭ Bái rischiò di essere giustiziato per tradimento e fu salvato solo dall’intercessione del generale Guō Zĭyí 郭 子 儀 (8), che riuscì a far commutare la condanna a morte nella pena dell’esilio. Il poeta si avviò dunque in esilio, ma prima che giungesse a Yèláng 夜 郎, nella lontana provincia di Guìzhōu 貴 州, dove avrebbe dovuto essere confinato, fu perdonato. Secondo la tradizione, che però non risulta molto credibile, beneficiò di un’amnistia generale concessa in occasione della morte delle ex imperatore Xuánzōng (9). Lĭ Bái si affrettò a ritornare a Cháng ‘Ān, come risulta dalla poesia “Giù per le gole del fiume”, in cui descrive il gioioso e rapido ritorno verso la capitale.
In seguito all’amnistia di cui beneficiò, probabilmente nel 759 d. C., Lĭ Bái ridiscese il corso dello Yángzìjiāng e si stabilì a Dāngtú 當
涂, nella provincia di Anhui 安 徽 省,dove fu ospitato in casa di Lĭ Yángbīng 李 陽 冰( 714-784 d. C.), un suo cugino, famoso calligrafo, specialista della scrittura detta del Sigillo. Alcune poesie di Lĭ Bái lodano le capacità e l’ospitalità di Lĭ Yángbìng.
Mentre Lĭ Bái soggiornava a Dāngtú, il nuovo imperatore Dàizōng 代 宗, succeduto a Sùzōng 肅 宗 nel 762 d. C., lo nominò segretario nell’ufficio del cancelliere della destra (yòuchéng), ma la notizia della nomina arrivò a Dangtu quando il poeta era già morto.
Li Bái morì infatti a Dāngtú nel corso dello stesso anno 762 d.C.
Le cause della sua morte non furono mai accertate. Si parlò di malattia, che potrebbe essere stata una cirrosi epatica, provocata dal costante abuso di alcool, o di un’intossicazione da mercurio, provocata dalla prolungata ingestione di elisir a base di cinabro nel tentativo di raggiungere l’immortalità preconizzata dalla dottrina taoista.
Si parlò anche di suicidio per annegamento nello Yángzìjiāng, un tipo di morte che sarebbe stato preannunciato dal poeta in alcune poesie di orientamento mistico in cui sognava di raggiungere la luna attraverso l’acqua, ma che potrebbe anche essere stato, più prosaicamente, il modo estremo di risolvere le sue difficoltà politiche ed esistenziali.
Questo tipo di esperienza mistica vagheggiato nelle sue poesie, insieme con la notissima tendenza al bere di Lĭ Bái , fornirono alla tradizione popolare la base per elaborare una leggenda che sembra raccogliere in se tutti gli elementi più suggestivi della figura del poeta:
Lĭ Bái sarebbe uscito una sera in barca sul fiume a contemplare la luna e, ubriaco come al solito, vedendone l’immagine riflessa sul limpido specchio dell’acqua, si sarebbe sporto per afferrarla e sarebbe scivolato, quasi senza accorgersene, nei gorghi del
fiume.
Un ulteriore sviluppo di questa tradizione vede addirittura le divinità ed i beati taoisti presentarsi a Lĭ Bái sulle acque del fiume e portarlo via con loro verso l’immortalità.
NOTE
1) I“cì kè” 刺 客, letteralmente “ i viaggiatori col pugnale”, erano qualcosa di mezzo tra i sicari e gli avventurieri, un po’ come i “ninja” giapponesi o come gli attuali “commandos”. L’audacia delle loro imprese ne fece presto personaggi leggendari. Un “cì kè” era ,per esempio, il falso messaggero del regno di Jìn 晉 che cercò di uccidere il re di Qín 秦 il futuro Qín Shĭ Huángdì 秦 始 皇 帝.
2) I“Cento Filosofi” o le “Cento Scuole” ( in cinese: 諸 子 百 家 zhūzǐ bǎijiā, letteralmente: le cento scuole di tutti i filosofi) è un’espressione che si riferisce alle innumerevoli scuole di pensiero sorte nel periodo fra il 770 ed il 221 a. C., epoca particolarmente gloriosa della cultura cinese.
3) Sīmă Xiāngrú 司 馬 相 如 (179–117 a.C.) fu un famoso poeta dell’epoca Han, considerato come il creatore del genere letterario detto
賦 “fù”.
4) Wú Yún 吳 筠, morto nel 778 d. C. fu un eremita e prete taoista, amico di Li Bái. Membro dell’Accademia Hànlín, scrisse un trattato di mistica taoista, lo”Xuángānglùn” 玄 綱 論.
4) Hé Zhīzhāng 賀 知 章 (659-744 d.C.), fu un famoso letterato e poeta, che nel 742 d. C. presentò Li Bái all’imperatore Xuánzōng. Nel 743 d. C., all’età di 85 anni, si dimise dalla prestigiosa carica di presidente dell’Accademia Hànlín e ritornò alla sua città natale. Fu annoverato da Dù Fŭ nel gruppo degli “Otto immortali del vino” 飲 中 八 人 yĭn zhōng bā rén, gruppo di poeti amanti delle bevande alcoliche, di cui fece parte anche Li Bái, insieme con Zhāng Xù 張 旭, Lĭ Shìzī 李 適 之, Cuī Zōngzhī 崔 宗 之, Sū Jìn 蘇 晉, Lĭ Jìn, principe di Rŭyáng
汝 楊 王 李 璡 , e Jiāo Suì 焦 遂.
5) L’accademia Hànlín Yuàn ( letteralmente: “l’istituto del bosco dei pennelli”) fu creata dall’imperatore Xuánzōng della dinastia Táng nel’VIII° secolo d. C. A tale accademia, di cui facevano parte i più eminenti studiosi, vennero attribuite importanti funzioni in campo artistico e letterario, fra cui quella di interpretare i Cinque Classici, che costituivano la materia su cui erano interrogati coloro che partecipavano ai pubblici esami per l’accesso all’amministrazione imperiale. L’accademia fu soppressa nel 1911, poco tempo dopo l’abolizione degli esami imperiali e poco tempo prima della caduta dell’Impero.
6) La`situazione del periodo successivo alla rivolta di Ān Lúshān divenne rapidamente così confusa che anche un politico ben più astuto di Lĭ Bái avrebbe faticato a raccapezzarsi. Sotto la minaccia delle truppe ribelli, l’imperatore si rifugiò nel Sìchuān , mentre il principe ereditario Lĭ Hēng 李 亨. direttosi in un’altra provincia per organizzare la resistenza, vi si fece, a sua volta, proclamare imperatore. Xuánzōng, che non era a conoscenza dell’iniziativa del figlio, emise un decreto con cui , pur attribuendo una sorta di primato a Lĭ Hēng, assegnava agli altri figli pieni poteri per il governo delle province che erano state loro assegnate. Qualche tempo dopo, quando venne a sapere che Lĭ Héng si era proclamato imperatore, Xuánzōng abdicò ed invitò tutti i figli a riconoscere l’autorità di Lĭ Hēng, ma Lĭ Lín, principe di Yŏng, sedicesimo figlio di Xuánzōng, che governava le regioni a sud dello Yángzìjiāng rifiutò di sottomettersi al nuovo imperatore e cercò di crearsi un regno indipendente. Affrontato dalle truppe fedeli a Lĭ Hēng nel gennaio del 757 d.C., fu rapidamente sconfitto ed ucciso.
7) Guō Zĭyí 郭 子 儀 ( 697-781 d.C.) fu un famoso generale che, grazie alle sue eccezionali capacità strategiche, riuscì a sconfiggere i ribelli ed a salvare l’Impero Táng.Dopo la morte fu divinizzato ed è ancor oggi venerato come dio dell’abbondanza. Amico di Li Bái, intervenne per salvarlo quando il poeta fu gettato in prigione e rischiava la condanna a morte.
8) Secondo la tradizione, Li Bái avrebbe beneficiato di un’amnistia proclamata alla morte dell’ex imperatore Xuánzōng, avvenuta nel marzo del 762 d.C., ma ciò sembra incompatibile con il fatto che la rivolta di Lĭ Lín fu schiacciata agli inizi del 757 d.C. Se il poeta fosse
rimasto in prigione o comunque sottoposto a processo per un periodo di 5 anni, le fonti contemporanee ce ne darebbero notizia. Inoltre poiché risulta che il poeta morì proprio nel corso del 762 d. C, la partenza per l’esilio, l’amnistia, il ritorno e la sistemazione nella città di Dāngtú sullo Yángzìjiāng si accumulerebbero nel giro di pochi mesi, il che pare abbastanza inverosimile.
BEVENDO DA SOLO SOTTO LA LUNA
Da una brocca di vino, in mezzo ai fiori,
solo, mi verso da bere, senza un amico accanto.
Levando la coppa, invito la pallida luna.
Ora siamo in due e, con la mia ombra,addirittura in tre.
La luna - è vero - non osa bere.
L'ombra, poi, si limita a seguirmi macchinalmente.
Ma, almeno per un poco ho trovato dei compagni:
la luna, l'ombra,
disposti a fare allegria, per arrivare alla primavera.
Mi metto a cantare, e la luna tenta in modo maldestro qualche
passo di danza.
Mi metto a ballare, e l'ombra si agita scompostamente.
Finché sono stato lucido, direi che ci siam fatti buona compagnia.
Ma poi ho preso una bella sbronza,
e ciascuno se n´è andato per conto suo.
Ormai legati per sempre, senza passioni,
ci diamo appuntamento, lontano, sul fiume delle nuvole.
ARDUO È IL CAMMINO DI SHŬ
Una suggestiva tradizione, seguita da alcuni antichi commentatori, vuole che la poesia di Lĭ Bái intitolata “Arduo è il cammino di Shŭ”
( 蜀 道 難 “Shŭ dào nán”) sia stata composta nel 756 d.C. per dissuadere l’imperatore Xuánzōng 玄 宗 dal fuggire verso il Sìchuān
四 川 quando l’avanzata delle truppe ribelli, comandate da Ān Lúshān 安 廬 山, lo costrinse ad abbandonare la capitale Cháng’Ān
長 安. Studi più approfonditi hanno però rivelato che questa poesia appare già in un’antologia pubblicata nel 743 d.C. Si tratterebbe dell’opera che indusse il famoso letterato Hé Zhīzhāng 賀 知 章 a definire Lĭ Bái”Immortale della poesia”( 詩 仙“Shī xiān”) ed a presentarlo a Xuánzōng, dando così inizio alla breve esperienza del poeta presso la corte imperiale.
Per rendere più scorrevole la versione italiana, ho rinunciato ad una traduzione letterale e mi sono preso alcune libertà,ampliando qualche verso, senza modificarne la sostanza.
ARDUO È IL CAMMINO DI SHŬ
Ahimè, che vista! Quanto sono alte e pericolose quelle montagne!
Arduo è il cammino di Shŭ, difficile inerpicarsi fino al cielo azzurro.
Cán Cóng e Yú Fú furono i pionieri,ma un tempo enorme trascorse (1) (2)
prima che il fumo degli uomini potesse varcare la frontiera di Qín. (3)
Dal Tàibái un ripido sentiero conduce a ovest passando per l’Ėmei.(4) (5)
La terra smotta, la montagna frana travolgendo i valorosi guerrieri. (7)
Ecco una scala che si arrampica in alto come a raggiungere il cielo;
ganci metallici infissi nella roccia ne sorreggono i gradini di legno.(8)
In cima, un’insegna che indica la vetta: sei draghi muovono il sole. (9)
In basso si frangono e si accavallano le onde di impetuosi torrenti.
Nemmeno la gialla gru riesce a levarsi in volo fino a quell’ altezza,
la scimmia rossiccia vorrebbe salire fin lassù, ma non ne è capace.
Innumerevoli spire si attorcigliano intorno alle pendici del Qīngní, (10)
ogni cento passi nove tornanti per avvicinarsi alla punta scoscesa.
Siamo al livello dei Tre Astri, abbiamo superato le Stelle del Pozzo, (11) (12)
ma continuiamo a salire e guardiamo ancora in su, tutti ansimanti.
Il petto ci scoppia; ci mettiamo a sedere, tiriamo un lungo sospiro.
Amico che sei diretto verso occidente, quando ritornerai indietro?
Spaventoso è il cammino, le pareti a picco non si possono scalare.
Soltanto il triste lamento degli uccelli riecheggia tra i vecchi alberi.
Sui boschi il falco insegue la femmina in larghe ruote concentriche
mentre ripetutamente odi suonare il malinconico canto del cuculo (13)
che piange, nelle notti di luna, la aspra solitudine delle montagne.
Arduo è il cammino di Shŭ, difficile inerpicarsi fino al cielo azzurro.
A sentirne parlare, impallidisce di angoscia il volto del viaggiatore.
Si susseguono senza fine le cime che svettano a un passo dal cielo (14)
e pini disseccati si chinano, piegati e contorti, sull’orlo dell’abisso.
Fra voli e turbinio d’acque precipitano giù le cascate con rumorosi
urti di lotta e, crack, rotolano a valle per gli immani dirupi i massi, (15)
mentre le innumerevoli gole rimbombano di un fragore di tuono.
Passiamo incessantemente e senza tregua da un pericolo all’altro.
Ahi, tu che abiti così lontano, quale follia ti ha mai spinto fin qui?
Alto, scosceso, torreggiante fra gli strapiombi, il Passo della Spada. (16)
Un uomo solo può bloccarlo e diecimila non vi si aprono un varco. (17)
La sentinella che si rivolta vi diventa come un lupo fra gli sciacalli. (18)
Il mattino occorre evitare le feroci tigri e la sera i lunghi serpenti.
Bramano sangue, azzannano gli uomini , li falciano come canapa.
Raccontino pure,o Jĭn Chéng, che sei una città gioiosa ed allegra.(19)
A mio parere, non v’ è nulla di meglio che ritornare subito a casa.
Arduo è il cammino di Shŭ, difficile inerpicarsi fino al cielo azzurro.
E, con lo sguardo rivolto verso occidente, io continuo a sospirare.(20)
NOTE
1) Cán Cóng 蠶 叢 fu uno dei leggendari fondatori del Regno di Shŭ 蜀, legato alle origini della civiltà cinese e alla leggenda di Huáng Dì 皇 帝, l’Imperatore Giallo, che, secondo la tradizione, sarebbe salito al trono nel 2697 a. C.
Il nome può essere interpretato come“cespuglio di bachi da seta” e permette di pensare che questo personaggio fosse in qualche
modo collegato alla scoperta del metodo di allevamento dei bachi da seta.
Secondo i Huáyángguó Zhì 華 楊 國 志 “Annali dei Paesi a sud del Monte Huá”, Cán Cóng avrebbe avuto gli occhi “sporgenti dalle
orbite”.
Curiosamente, gli scavi archeologici condotti alcuni anni fa a Sānxíngduì 三 星 堆 nel Sìchuān hanno portato alla luce i resti di una cultura fiorita intorno ai secoli XII°-XI° a C., la cui statuaria è caratterizzata proprio da teste di bronzo con gli occhi sporgenti.
2) Yú Fú 魚 鳧, un altro dei primi colonizzatori di Shû, richiama probabilmente negli elementi del nome ( yúfú= cormorano) la pratica della pesca. Si potrebbe, con un ragionamento un po’ audace, pensare che il mito di Yú Fú si riferisca ad una prima colonizzazione del Sìchuàn da parte di gruppi nomadi che vivevano di caccia e di pesca, mentre il mito di Cán Cóng si riferisce evidentemente
all’apparizione di popolazioni più progredite già in grado di esercitare l’agricoltura e l’allevamento.
3) La cifra di quarantottomila anni, che figura nell’originale, intende significare il passaggio di un periodo di tempo estremamente lungo prima che nel Sìchuān si formasse una comunità civilizzata in grado di instaurare rapporti con il regno di Qín.
In realtà , un’organizzazione statale è già menzionata per Shŭ nell’XI° secolo a.C., visto che il “Il Libro dei Documenti” 書 記 “shūjì” ricorda il re di Shŭ come uno degli alleati che aiutarono il re Wŭ di Zhōu 周 武 王 a sconfiggere l’esercito della dinastia Shāng 商 朝 nella battaglia di Mùyĕ 牧 野 (1046 a.C.)
Se si considera che le prime organizzazioni statali più o meno storiche in territorio cinese si possono far risalire al XX°secolo a C., il ritardo nello sviluppo di Shŭ rispetto alle regioni più progredite non sembra enorme.
5) Il Tàibai 太 白, letteralmente il Grande Bianco o il Grande Nevoso, è un monte della catena del Qínlíng 秦 嶺, alto 3.767 metri,
che si trova a circa 100 km dall’antica capitale Xī’ān 西 安 nello Shănxī 陝 西.
6) L’Ėméi 峨 嵋, letteralmente Sopracciglio Torreggiante, è un monte del Sìchuān alto 3.099 metri sul livello del mare.
L’Ėmei è fin dall’antichità una delle quattro montagne sacre del Buddhismo.
7) L’episodio che Lĭ Bái cita per sottolineare la pericolosità della strada di Shŭ fa parte di una leggenda sorta intorno alla conquista di Shû da parte del regno di Qín nel 316 a. C.
Il regno di Shŭ era particolarmente difficile da conquistare giacché era circondato da alte montagne e praticamente inaccessibile.
Huì, re di Qín, 秦 惠 王, sarebbe allora ricorso ad uno stratagemma. Sapendo che al re di Shŭ piacevano moltissimo le donne promise di
inviargli cinque bellissime fanciulle. Il re di Shŭ mandò allora cinque valorosi cavalieri a costruire, al posto dell’impraticabile sentiero allora esistente, una bella strada per accogliere degnamente il corteo delle fanciulle. Quando le fanciulle giunsero al confine tra i due regni, un grosso serpente attraversò la strada e si rifugiò in una fenditura della roccia. Uno dei cavalieri riuscì ad afferrarlo per la coda e cercò di tirarlo fuori dal suo rifugio, ma senza successo. Gli altri cavalieri si precipitarono ad aiutarlo, ma tirando con troppa forza, provocarono una frana che travolse tutti i presenti. Avevano però già costruito una comoda strada che permise al re di Qín di invadere e di conquistare facilmente il regno di Shŭ.
Secondo un’altra versione della leggenda, i cinque cavalieri avrebbero costruito la strada per poter portare a Chéng Dū cinque giganteschi tori di pietra, che il re di Qín aveva fatto piazzare sul confine facendo subdolamente credere agli abitanti di Shŭ che tali statue cacassero oro. Per questa ragione la strada di Shŭ era un tempo chiamata “l’antica strada dei tori d’oro”.
8) Si racconta che il re di Qín per agevolare il percorso alle sue truppe fece costruire le cosiddette strade coperte ( 棧 道 “zhàndào”), vale a dire delle scale che si arrampicavano fra due pareti rocciose grazie ad una serie di gradini di legno che erano fissati alla roccia mediante ganci metallici.
9) Il verso potrebbe essere interpretato nel senso che chi giunge alla vetta, dopo gli ardui passaggi fra le rocce, rivede il sole rappresentato qui nella sua immagine mitologica come spinto da sei draghi, e che il sole è dunque il segnale che si è arrivati in cima.
Mi sembra però ancor più logico pensare che la cima fosse indicata, come si usa fare anche nei nostri paesi, da una lapide di pietra o meglio ancora da un pennone con una bandiera su cui figurava , nel caso specifico, un sole circondato da sei draghi.
10) Qīng Ní 青泥, letteralmente Argilla Verde, è il nome di una montagna dello Shănxi.
11) La costellazione di Orione era indicata un tempo dai Cinesi con l’ideogramma Shēn Xiù 參 宿, che significa “La Casa dei
Tre”, giacché essi attribuivano a tale costellazione solo tre delle sette stelle che le sono attribuite dall’astronomia occidentale, e precisamente le tre stelle della cosiddetta cintura di Orione. Essa è una delle 28 “case lunari” 宿 “xiù” dell’astronomia cinese.
12) La costellazione del Pozzo( 井 宿 “jĭng xiù”)corrisponde, secondo l’astronomia occidentale, ad alcune stelle della costellazione dei Gemelli. Essa pure è una delle 28 case lunari dell’astronomia cinese.
13) Il termine 子 規 “zĭguī” indica una specie di cuculo presente in Cina (“cuculus sparveroides”) normalmente conosciuto come 鷹 鵑 “yīng juān”. La menzione di questo uccello è molto suggestiva perché, secondo la tradizione popolare, il suo canto sembra ripetere ai viaggiatori la frase 不 如 歸 去 “ bù rú guī qù”, cioè “Non sarebbe meglio tornare indietro?”. Secondo una leggenda, il canto del cuculo fa seccare l’erba verde, vale a dire porta disgrazia e cattiva sorte a coloro cui capita di ascoltarlo.
14) Nella sua emozione Li Bái dimentica di aver detto che la strada di Shû sale al di sopra del cielo e della volta celeste. Seppure incoerente con le affermazioni precedenti, l’immagine è però vivissima: il sentiero attraversa una serie interminabile di cime montuose che sembrano toccare il cielo.
15) I Cinesi come i Giapponesi amano moltissimo l’onomatopea. Qui il rumore dei massi che precipitano rimbalzando fra le gole montane è reso con il termine “pīng” 砯 composto dagli ideogrammi che indicano roccia 石 e ghiaccio 冰. Si può quindi immaginare, agli inizi del disgelo primaverile, il rumore sordo dei sassi che rimbalzano sul ghiaccio invernale e lo incrinano con un strepito secco.
16) Il “Passo della Spada” 劍 門 關(“Jiàn Mén Guān) è l’unico valico che collega lo Shănxi con il Sìchuān, attraversando una zona in
cui si addensano ben 72 picchi della catena del Qínlín. La strada scende in seguito verso il paese di Jiàn Gé 劍 閣 ( “La Torre della Spada”), che era in origine una località fortificata a difesa del valico e che ha dato il nome a tutto il territorio circostante. In prossimità del valico il cammino si restringe ad un passaggio di meno di 50 metri, chiuso tra due ripide pareti rocciose, il Dàijiàn 大 劍 o Grande Spada e lo Xiăojiàn 小 劍 o Piccola Spada, e bloccato da una torre di guardia chiamata Gŭguán 古 關.
La “Torre della Spada” ( “Jiàn Gé”), che controllava l’unica via d’accesso al Sìchuān, era chiamata per la sua importanza strategica “gola del Sìchuān, chiavistello della porta di Shŭ”. Chi fosse mai riuscito a prenderla si sarebbe infatti visto spalancare l’entrata di tutta la
regione.
A Jiàn Gé l’imperatore Xuánzōng fece tappa nella sua fuga verso Chéngdū e pianse la morte della sua concubina Yáng Yùhuán 楊 玉 環 , come ricorda il poeta Han Xiaohuang, vissuto all’epoca dei Qíng, nella sua lirica : “Ascoltando il suono delle campane a Jiàn Gé”.
17) “Il Passo della Spada” era famoso in Cina quanto le Termopili in Grecia ed intorno ad esso si moltiplicarono le leggende degli eroi che da soli o con una piccola schiera di valorosi avevano tenuto testa a grandi eserciti. La frase riportata da Lĭ Bái doveva essere proverbiale perché figura con le stesse parole anche in un poema di Dù Fŭ.
A titolo di curiosità possiamo ricordare che il proverbio appena citato fu smentito per la prima volta in occasione della battaglia dello Jiànménguān, combattuta tra le truppe nazionaliste del Guómíndăng 國 民 當 e le truppe comuniste dell’Esercito Popolare Rivoluzionario dal 14 al 18 dicembre 1949.
Infatti mentre due battaglioni di truppe rivoluzionarie attaccavano frontalmente le fortificazioni del passo, un terzo battaglione fu incaricato di sorprendere i difensori alle spalle dopo aver scalato le pareti rocciose che fiancheggiavano la strada.
L’impresa, che era generalmente considerata impossibile, riuscì ed i nazionalisti, attaccati da due parti, furono sconfitti e costretti ad abbandonare lo Jiànménguān.
18) Il termine “láng” 狼 (“lupo”) ed il termine “chái” 豺 (“sciacallo, cane selvatico”) non hanno lo stesso radicale. Infatti , mentre l’ideogramma che designa il lupo si rifà alla radice “quăn”犬 (“cane”), l’ideogramma che indica lo sciacallo si rifà alla radice
“zhū” 豬 (“maiale”), in quanto il lupo è un animale da preda, lo sciacallo invece è, come il maiale, un animale che si nutre di rifiuti.
Questa differenza mette in evidenza che, se le sentinelle si ribellassero ed occupassero il posto di guardia del passo, si troverebbero di fronte ai loro precedenti commilitoni in una posizione di forza, come un lupo in mezzo ad un branco di sciacalli.
19) Jĭn Chéng 錦 城 vale a dire “La città del broccato” era, ai tempi dei Táng, il nome dell’attuale capitale del Sìchuān, Chéngdū. I
Táng vi avevano infatti installato delle fabbriche di broccato, poste sotto il controllo di un apposito ufficiale chiamato Jĭn Guān
錦 官.
20) Lĭ Bái guarda verso occidente, perché si trova evidentemente a Cháng’Ān, mentre la meta del terribile viaggio da lui descritto e sconsigliato, Chéngdū, è situata ad ovest della capitale, nella regione del Sìchuān.
La poesia che segue descrive con grande immediatezza l’atmosfera di una gita in montagna. Meta dell’escursione è lo Zhōng Nán, una catena montuosa che si trova nello Shănxi, una trentina di chilometri a sud dell’antica capitale Xī’ān e la cui cima più elevata raggiunge
un’altezza di 2.064 metri.Dopo essere saliti su una delle cime, gli escursionisti pernottano in una baita situata sulle pendici del monte Hú.
UNA SERATA IN UNA BAITA DEL MONTE HÚ AL RITORNO DA UN' ESCURSIONE SUL MONTE ZHŌNGNÁN
Al crepuscolo discendiamo lentamente la montagna azzurrina.
La luna delle cime accompagna gli uomini che tornano a valle.
Se ci volgiamo indietro, vediamo il sentiero per cui siamo venuti,
minuscolo, verdastro, solcato da striature di un blu intenso. (1)
Tenendoci per mano raggiungiamo una baita in mezzo ai prati.
Un ragazzino ci apre un cancello fatto di branche di sterpi.
Ci inoltriamo in un viottolo nascosto tra verdi alberi di bambù.(2)
Le rampicanti bluastre spazzolano gli abiti di chi cammina.
Mi rallegro a gran voce di aver trovato un posto per riposare.
Chiacchierando tutti insieme tracanniamo del buon vino.
Cantiamo a lungo intonando la melodia del vento che soffia tra i pini
ed il canto si esaurisce solo quando cominciano a svanire le stelle.
Io sono ubriaco fradicio, ma tu sei di nuovo allegro, amico mio.
Così, divertendoci tutti insieme, cogliamo l'occasione per dimenticare.
NOTE
1) Sul grigioverde indistinto della montagna e del sentiero spiccano strisce orizzontali di colore molto più profondo, che il poeta rende con il termine “cáng” 蒼 (blu scuro, verde intenso), ripetuto due volte per meglio esprimerne la frequenza e l’intensità. Si tratta di banchi di nebbia. Si veda in proposito la stampa di Hiroshige, intitolata “Ama no hashidate” (“Il bosco del ponte del cielo), in cui la nebbia che avanza tra gli alberi di una pineta in riva al mare è appunto raffigurata da numerose strisce orizzontali di un colore blu intenso.
2) Il poeta usa qui il termine “lǜ” 綠 che indica un verde intenso ( il verde delle foglie, che, in giapponese è reso con l’aggettivo “midori”), non il verde o l’azzurro pallido le cui diverse sfumature sono designate dai termini “qīng” 青 (in giapponese “aoi”) e “cuì” 翠.
LA BELLA FAVORITA
Lĭ Bái celebrò la favorita Yáng Guìfēi in tre famose quartine intitolate “Una pura, serena melodia”( 清 平 調 "qīng píng diào").
Una nota contenuta nel manoscritto originale così descrive la nascita di questi versi:“Durante l’era Tiānbăo 天 寶 (1) dell’imperatore Xuánzōng, il sovrano si trovava una sera in un padiglione del suo palazzo, sulla riva di un ruscello, con la sua favorita Tàizhēn 太 真 che contemplava la fioritura delle peonie. L’imperatore chiamò Lĭ Guīnián 李 龜 年 (2) e gli ordinò di consegnare tre fogli di carta intessuta di fiori d’oro a Lĭ Tàibó, il quale vi scrisse sopra, in un attimo, questi tre poemi. Lĭ Guīnián li cantò, mentre Lĭ Tàibó lo accompagnava con un flauto di giada. La favorita sorrideva, comprendendo il significato dei versi”.
Come risulta da tale nota, Yáng Guìfēi capì perfettamente ed apprezzò il carattere adulatorio delle allusioni contenute nelle quartine, il che non le impedì tuttavia- secondo la leggenda- di interpretarne alcune in modo del tutto diverso, quando, su istigazione dell’eunuco Gāo Lìshì 高 力 士, volle far cadere in disgrazia il poeta.
I
In una nuvola vede la sua gonna, in un bel fiore scorge il suo viso
La brezza primaverile spolvera il balcone di scintillante rugiada.(3)
Se i due amanti non si rivedranno in cima alla Montagna di Giada,
potranno incontrarsi sotto la luna sulla Terrazza di Madreperla.(4)
II
La deliziosa brina eterna il profumo del bel ramo fiorito.(5)
Perché struggersi per la la Fata delle Nubi e della Pioggia?(6)
Chi, nei palazzi degli Hàn, potrebbe mai gareggiare con lei?
Forse la leggiadra Fēiyàn puntando sui suoi nuovi ornamenti(7)(8)
III
Il fiore più pregiato,la donna più splendida, insieme per la tua gioia,
fanno sì, o sovrano, che il sorriso non abbandoni mai il tuo volto.
Non hai alcun motivo di rammaricarti del fuggire della primavera,
se lei s’affaccia al balcone settentrionale del Padiglione Profumato.(9)
NOTE
1) L’era Tiānbăo 天 寶(“Tesoro del Cielo”) durò dal 742 d.C. al 756 d.C.
2) Lĭ Guīnián 李 龜 年 fu un cantante assai celebre durante il regno di Xuánzōng. In seguito alla rivolta di Ān Lúshān dovette abbandonare la capitale e qualche anno dopo Dù Fŭ lo incontrò, solo ed in miseria, in uno sperduto villaggio di provincia.
3) La brezza primaverile è metafora dell’amore che lega Xuánzōng e Yáng Guìfēi. La rugiada che ricopre il balcone simboleggia il favore imperiale di cui gode la bella.
4) La Montagna di Giada ( 玉 山 “yùshān”) e la Terrazza di Madreperla ( 搖 臺 “yáotái”) erano le residenze degli Immortali, a cui il poeta paragona i due felici innamorati.
5) Il poeta riprende qui la stessa metafora della quartina precedente: la brina (il favore dell’imperatore) cristallizza (rende immortale)
la fioritura dei rami (la bellezza di Yáng Guìfēi).
6) Lĭ Bái fa riferimento ad una leggenda narrata dal poeta Sòng Yù 宋 玉 ( 3° secolo a.C.) nel Gāotáng Fù 高 唐 賦. Un re di Chŭ 楚, sognò una volta, nei pressi di Gāotáng, di trascorrere la notte con una meravigliosa fanciulla. Quando, sempre in sogno, vide spuntare l’alba,le
domandò chi fosse. La fanciulla gli rispose: “Sono la Fata del Wūshān ( 巫 山 神 女 “wūshān shénnǚ”) ed ora devo andare, perché il mattino dirigo le nuvole e la sera regolo la pioggia. Ma se tu mi aspetterai qui ogni giorno, potremo rivederci”. Il re Xiān 先, al quale Sòng Yù raccontò in seguito la storia, ne fu talmente affascinato che chiese al poeta come avrebbe dovuto fare per incontrare anche lui la misteriosa bella.
La lode a Yáng Guìfēi è evidente: l’imperatore Xuánzong che ha accanto a sé una bellezza viva ed incomparabile non ha alcun bisogno di sognare bellezze immaginarie.
7) Zhào Yízhŭ 趙 宜 主, (32 a.C. – 1 a.C.), soprannominata Fēiyàn 飛 燕 (“rondine volante”) per le sue doti di danzatrice, fanciulla di
eccezionale bellezza, ma di umilissime origini, riuscì a farsi notare, grazie alle sue straordinaria abilità di ballerina, dall’imperatore Chéng 成 (51 a.C. -7 a.C.) della dinastia Hàn, che la portò a corte e ne fece una sua concubina. Insieme con la sorella gemella Zhào Hédé 趙 合德 , anch’essa una bellissima ragazza, riuscì presto a conquistare il cuore di Chéng ed a far cacciare l’imperatrice Xŭ Huánghòu 許 皇 后 e la prima consorte Bān Jiéyú 班 婕 妤 , accusandole di stregoneria. Nel 16 a.C. fu nominata imperatrice, dopo che l’imperatore aveva nobilitato il suo padre adottivo Zhào Lín 趙 臨 per superare le obiezioni sollevate dall’imperatrice madre Wáng Zhèngjūn 王 政 君, che gli aveva fatto rilevare le origini assai modeste di Fēiyàn. Non avendo avuto figli da Chéng, Fēiyàn fu sospettata di aver fatto uccidere i figli
di alcune altre concubine per non perdere la sua posizione in caso di morte dell’imperatore. Quando Chéng morì nel 7 a.C., il nuovo sovrano, che Fēiyàn aveva sostenuto nella lotta per la successione, l’autorizzò a conservare il titolo e il rango di imperatrice vedova, ma nell’1 a.C., in seguito ad un ulteriore cambio di governo, ella fu progressivamente emarginata e costretta, infine, al suicidio.
(8) Il paragone con Fēiyàn va chiaramente inteso come favorevole a Yáng Guìfēi, perché la prima potrebbe forse reggere il confronto con la seconda soltanto se abbigliata con gli splendidi abiti spettanti ad un’imperatrice, che Yáng Guìfēi non può indossare perché ha solo il rango di onorevole consorte. In evidente malafede, Yáng Guìfēi sostenne invece che già il solo fatto di aver osato accennare ad un paragone era un’offesa alla sua bellezza.
(9) La menzione del balcone settentrionale non è pura pignoleria. È invece un raffinato riferimento alla famosa poesia di Lĭ Yánnián che comincia con la frase “ Al nord ci sta una bella” e permette al poeta di identificare implicitamente la favorita con “la bella che travolge i regni”. ( Un riferimento esplicito figurava già nel primo verso della quartina, dove l’espressione“qīng guó” 傾 國, che ho tradotto con “la donna più splendida” significa letteralmente “la rovesciatrice dei regni” ed è presa tale e quale dalla poesia di Lĭ Yánnián.) L’uso del termine “settentrionale” potrebbe inoltre nascondere un’altra allusione anch’essa molto adulatoria. L’ala settentrionale di un palazzo era tradizionalmente quella riservata alla consorte ufficiale di un sovrano o di un nobile (si veda in proposito l’espressione giapponese “kita no kata” che significa “la signora del nord”, utilizzata per indicare la moglie di un principe). Dicendo che Yáng Guìfēi si affaccia al “balcone settentrionale” del palazzo, Lĭ Bái mostra quindi di considerarla degna del titolo di imperatrice.
In questa poesia intitolata "La canzone di Cháng Gān"長 干 行 ("Cháng Gān Xíng") Lĭ Bái ci descrive con molta delicatezza i tormenti di una giovane sposa il cui marito è dovuto partire per un lungo viaggio dal quale non si sa quando farà ritorno.
Una raffinata sensibilità psicologica permette al poeta di immedesimarsi con la fanciulla ed è veramente dalla viva voce di lei che ci
sembra di ascoltare le varie tappe della sua breve storia: i giochi infantili, il matrimonio in tenera età, la timidezza, il nascere della confidenza e dell'amore, la partenza del marito, l'ansia, la tristezza, la solitudine, la speranza di rivedere presto l'uomo amato.
Tanto è il desiderio di riabbracciarlo che la donna si dichiara disposta ad andargli incontro fino a Cháng Fēng Shā 長 風 沙, il più vicino porto fluviale sullo Yángzĭjiāng 揚 子 江 ad una distanza di circa 200 miglia da Cháng Gān. Si trattava , a quei tempi, di un viaggio lungo e difficoltoso, e lo era ancora di più per una ragazza mai uscita dal proprio villaggio.
Una versione poetica inglese del testo è stata elaborata da Ezra Pound, a partire da una traduzione letterale dal giapponese di Ernest Fenollosa, con il titolo “The river merchant’s wife: a letter”.
LA CANZONE DI CHÁNG GĀN
Quando ero ancora una bambina coi capelli corti,
mi divertivo a cogliere fiori dinanzi alla porta
ed un ragazzetto in sella ad un cavallo di bambù
mi inseguiva tra le aiuole tirandomi prugne verdi.
Eravamo vicini di casa,nel villaggio di Cháng Gān.
Eravamo piccoli e non ci trovavamo male insieme.
Ma, a quattordici anni sono diventata tua moglie.
Ero così timida che non osavo mostrare il mio viso
e sedevo a testa china,in un angolo,contro il muro.
Potevano chiamarmi mille volte, non mi giravo mai.
All'età di quindici anni ho cominciato a sorridere
ed a desiderare di poter sempre stare insieme a te,
a pensare che nulla avrebbe potuto separarmi da te.
Quante speranze avevamo a quell'epoca, tu ed io !
Allorché ho compiuto sedici anni sei andato lontano
a navigare sul fiume vorticoso tra Qū Táng e Yàn Yù. (1)
Trascorsi cinque mesi non riuscivo più a resistere
e soffrivo pensando alle urla delle scimmie tra le gole.
Davanti alla soglia di casa un verde strato di musco,
ormai così denso che non si riesce più a spazzarlo via,
ha finito per coprire le orme dei tuoi passi esitanti.
Cadono presto le foglie ai soffi del vento d'autunno.
Sono passati otto mesi ed ora sono giunte le farfalle,
che volano appaiate sull'erba del giardino dell'ovest.
Il vederle così è un tormento che mi strazia il cuore.
Siedo inerte e temo che il mio bel viso appassisca.
Di mattina o di sera, non appena oltre le Tre Rapide, (2)
spedisci subito una lettera perché lo si sappia a casa.
Per poterci riabbracciare non c'è distanza che tenga:
ti correrò incontro, d'un fiato, fino a Cháng Fēng Shā.
E continua a piangere, e si fa sempre più pallida.
NOTE
(1) La Gola di Qū Táng (瞿 塘 峽 Qū Táng Xiá) era una delle famose Tre Gole ( 三 峽 “sānxiá") dello Yángzĭjiāng 揚 子 江. Lunga 8 chilometri, era larga solo 150 metri ed era circondata da altissime pareti rocciose.
Il Yàn Yù 灩 澦 era un enorme scoglio, molto pericoloso per la navigazione, situato all’entrata della gola.
(2) Le Tre Gole 三 峽 ( Qūtán 瞿 塘 挾, Wŭ 巫 峽 e Xīlíng 西 陵 峽 ) erano una zona in cui lo Yāngzĭyāng 揚 子 江 si restringeva per una lunghezza di circa 120 chilometri. Le rapide che si formavano nelle gole erano assai suggestive, ma molto rischiose per i naviganti.
LONTANANZA E NOSTALGIA
Ecco due poesie di Li Bai che, nell'originale cinese, recano il medesimo titolo "Cháng xiàng sī zài Cháng'Ān" (長 相 思 在 長 安) per mettere in evidenza che si tratta di due composizioni che fanno "pendant", vale a dire di una stessa situazione vista da prospettive
simmetriche: quella dell'uomo condannato all'esilio e quella della donna rimasta sola nella dimora familiare.
Nella traduzione italiana ho preferito dare alle due poesie titoli diversi ("Sempre pensando a Cháng'Ān" e "Un solo pensiero") per sottolineare il diverso atteggiamento psicologico dei due personaggi.
L'uomo è una persona di rilievo, partecipa alla vita politica e sociale, porta con sé passioni letterarie e ideologiche, rimpiange la propria
libertà di movimento e la vita brillante della capitale e, se anche soffre per la mancanza della moglie o della compagna che ha dovuto lasciare, non lo dà a vedere, perché la manifestazione di questo affetto non sarebbe consona al suo rango ed alla sua dignità.
La donna, invece, si confessa senza ritegno ed urla la sua angoscia e la sua disperazione per la lontananza dell'amato senza pensare a nient'altro.
SEMPRE PENSANDO A CHÁNGĀN
Autunno.
Ronzio di insetti impigliati nella zanzariera
presso il bordo dorato del pozzo.(1)
Piccoli aghi di brina tremolano
minacciosi
sulla stuoia colorata.
La lampada solitaria non
manda più luce,
le passioni si smorzano.
Sollevo le tapparelle
e, con un lungo sospiro,
guardo in cielo la luna,
circondata dalle
nuvole,
come una bella in mezzo ai fiori.
In alto l'azzurra
profondità del cielo infinito,
in basso l'acqua che turbina in onde verdi e blu.
Immenso è il cielo, lungo è il cammino,
l'animo vaga
assorto in amari pensieri.
Sogno
di potermi muovere liberamente,
sempre pensando a Chang'An.(2)
NOTE
(1) L'espressione "bordo dorato" è certamente poetica e suggestiva, ma non può essere interpretata nel senso che all'epoca dei Táng le bocche dei pozzi fossero cerchiate d'oro. Si può però immaginare che, alla luce del sole o al chiaro di luna, il bordo metallico di un pozzo emettesse un riflesso dorato.
(2) L'originale cinese è più complicato. Esso dice letteralmente: "Sogno di non arrivare alle difficoltà di una barriera tra le montagne". I posti di controllo erano infatti situati sui valichi di montagna e, sognando di non incappare in una barriera, il poeta esprime la speranza di ritrovare la propria libertà di movimento e di poter presto ritornare alla capitale.
UN SOLO PENSIERO
Il sole è già tramontato,
un vapore
sottile sale dai fiori.
In cielo brilla la luna,
ma io,
poveretta,
ti desidero, soffro e non dormo.
Ho appena deposto
l'arpa di Zhào (1)
sul suo sostegno a forma di fenice
e la cetra di Shŭ si appresta ora (2)
a far risuonare le corde d'anatra.
In queste canzoni c'è tutto il mio amore,
ma nessuno le ascolta.
Ah,se accompagnassero la brezza di primavera
volando fino a te come
rondini.
Ti penso anche se siamo così lontani,
separati dalla
distesa del cielo azzurro.
Dai miei occhi, un tempo splendenti,
ora sgorgano a fiotti le lacrime.
Se dubiti dell'affetto della
tua donna,
torna! vieni a vedere!
controlla tu stesso dinanzi al
lucido specchio!
NOTE
(1) Lo strumento qui menzionato è il "sè" 瑟 che, per l'elevato numero di corde, fissate alla cassa armonica con dei gancetti, ricorda un po' l'arpa
(2) Il poeta si riferisce qui al "qín"琴, uno strumento con un numero più limitato di corde, che può essere paragonato alla cetra. Le corde del "qín" erano fatte normalmente con fili di seta, ma forse per gli strumenti tradizionalmente fabbricati nella regione di Shŭ si utilizzava il budello d'anatra.
LE BALLATE DELLE QUATTRO STAGIONI
Anche Lĭ Bái si cimenta con la descrizione delle “Quattro Stagioni”, uno dei “temi obbligati” della lirica cinese, ma lo fa da par suo, in modo particolarmente originale. Egli pone infatti ciascuna stagione in rapporto con una figura femminile che, in un certo senso, la rappresenta : la freschezza della primavera è impersonata da una giovane e ardita contadinella, l’opulenza dell’estate da una donna nella piena maturità della sua bellezza, la malinconia dell’autunno da un’innamorata che pensa all’amante lontano, la tristezza dell’inverno da una madre in ansia per il figlio, soldato in una guarnigione di confine.
CANTO DELLA PRIMAVERA ( 春 歌 "Chūn gē")
In riva al ruscello una fanciulla di Qín (1)
è intenta a raccogliere foglie di gelso,
le candide manine sui verdi rami,
il bel volto splendente alla luce del sole.
"I bachi hanno fame, devo correre via.
Non fate scalpitare cinque cavalli.”
NOTE
1) Lĭ Bái trae ispirazione da un'antica ballata popolare che mette in scena una storia di tentata seduzione simile a quelle descritte nelle "pastorelle" della letteratura medioevale europea. Il governatore, che rientra in città su una carrozza trainata da ben cinque cavalli, scorge una raccoglitrice di foglie di gelso ( il termine “luó fū” 羅 敷, da molti inteso come nome proprio, indica in realtà un lavoro
specifico: “raccogliere(“luó”) le foglie di gelso e spargerle (“fū) per preparare il “letto” necessario alla coltura dei bachi da seta)
al margine della strada e vorrebbe convincerla a fare un giretto con lui, ma la fanciulla respinge con dignità la proposta dell'importuno, invocando le esigenze inderogabili del proprio lavoro.
2) Qín 秦 國 è il nome di un antico Stato cinese, ma, nella ballata popolare ripresa da Lĭ Bái, è il nome della famiglia o del clan a cui appartiene la fanciulla.
CANTO DELL'ESTATE ( 夏 歌“xià gē")
Per trenta leghe si stendono le rive dello Specchio. (1)
Nel mese di giugno la bella Xī Shī (2) viene a cogliere
i boccioli di loto divenuti turgidi fiori,
mentre i curiosi si assiepano sulle sponde del lago.
Al ritorno, i battelli non attendon che spunti la luna.
Alzan la vela e navigano verso la reggia di Yuè.(3)
NOTE
1) Il Lago dello Specchio ( 鏡 胡 "jìng hú") è un lago artificiale fatto scavare nel II° secolo a.C. dal governatore di Yuè. Le sue rive, assai frastagliate e ricche di boschi e di colline, offrono allo sguardo un paesaggio estremamente suggestivo e sono molto adatte alle gite in barca.
2) Xī Shī 西 施 è una fanciulla vissuta nel Regno di Yuè 越 國 all'inizio del V° secolo a.C. che divenne leggendaria per la sua
avvenenza. ( È la prima, in ordine cronologico, delle Quattro Grandi Bellezze: 西 施 Xī Shī, 王 昭 君 Wáng Zhāojūn, 貂 蟬 Diāo Chán e 楊 貴 妃 Yáng Guìfēi ). Xī Shī fu inviata dal re Gōujiàn di Yuè 越 王 勾 踐 alla corte del suo nemico, il re Fūchāi di Wú 吳 王 夫 差, con il segreto incarico di sedurlo. La ragazza riuscì così bene nella sua missione che il re Fūchāi, follemente innamorato di lei, trascurò sempre di più gli affari di Stato ed alla fine non fu più in grado di resistere agli attacchi del Regno di Yuè.
3) Affermando che i battelli veleggiano verso il palazzo del re di Yuè, il quale era un famoso ammiratore delle belle donne, il poeta sottintende che essi sono pieni di deliziose fanciulle e rivolge quindi un raffinato complimento a tutte le dame che si sono recate a cogliere i fiori di loto sulle rive del Jìng Hú.
CANTO DELL'AUTUNNO ( 秋 歌“qiū gē")
Uno spicchio di luna illumina Cháng'Ān.(1)
Dappertutto le donne battono i panni.(2)
Il vento d'autunno soffia senza sosta.
Il pensiero corre al Passo della Giada.(3)"
Saranno mai pacificati i barbari?
Quando il mio amato tornerà dalla guerra?
NOTE
1) Cháng'Ān 長 安, nei pressi dell'attuale Xī'Ān 西 安 nello Shănxī 陝 西, era la capitale dell'impero cinese all'epoca dei Táng 唐 朝.
2) La sera le donne battevano i panni lavati il mattino e messi ad asciugare all'aperto durante il giorno. Una traduzione letterale del verso (“ Da innumerevoli case si ode il tambureggiare dei battipanni” ) sarebbe stata più suggestiva perché avrebbe meglio reso l’idea di questo rumore che sale da ogni angolo dell’immensa città come il rombo di un terremoto, ma non sarebbe stata compatibile con il rispetto di una struttura metrica, anche se approssimativa.
3) Il Passo della Giada ( 玉 門 關 "Yùménguān"), nella provincia di 甘 肅 Gānsù, non lontano dall'oasi di 敦 煌 Dūnhuáng, costituì per lungo tempo una postazione avanzata dell'impero cinese nell'Asia Centrale. Al di là di questo passo cominciavano le regioni abitate dalle tribù barbare che furono per secoli in lotta con le truppe cinesi inviate a controllare la Via della Seta.
CANTO DELL'INVERNO (冬 歌 " dōng gē")
Un corriere parte domattina all’alba.
Tutta la notte ad imbottire una giubba,
i gelidi aghi nelle ruvide mani.
Come riesce ancora a tener le forbici?
Taglia. Cuce. Spedisce il pacco lontano.
"Quanto ci vorrà per arrivare a Lín Táo?".
NOTE
1) Lín Táo 臨 逃 era una guarnigione di confine, molto lontana dalle regioni centrali della Cina , nelle quali venivano spesso reclutati i soldati da inviare alla frontiera.
ELOGIO DELL’UBRIACHEZZA
Sarebbe di certo troppo riduttivo non vedere in Lĭ Bái altro che uno sfaccendato perennemente ubriaco. Egli subì infatti, come risulta da molte sue poesie, l’influenza della dottrina taoista,che, in contrasto con i rigidi precetti del confucianesimo, predicava il disimpegno dalle attività politiche e tollerava che tale disimpegno si manifestasse in forme talvolta assai originali.
La passione che Lĭ Bai dimostra qui per i divertimenti e, soprattutto, per le grandi bevute, appare smodata, ma sincera. Ho usato
abbondanza di imperativi e di punti esclamativi per rendere al meglio il ritmo vigoroso ed incalzante della sua perorazione.
SI VERSI IL VINO
Non vedi, amico?
Piovute dal cielo, le acque del Fiume Giallo (1)
scorrono verso l’oceano, senza ritorno.
Non vedi, amico?
Negli specchi l’orrore dei capelli bianchi:
corvini all’alba, candida neve la sera.
Perciò, divertiamoci! Perciò, stiamo allegri!
Non sia mai vuota la coppa al chiaro di luna!
Perché rinunciare a ciò che il Cielo ci dona?
Getti via le ricchezze? Potrai trovarne altre!.
Arrostite l’agnello! Macellate il bue!
Fate baldoria senza un attimo di sosta!.
Beviamo insieme! Tracanniamo con vigore!
Scoliamoci d’un sorso trecento bicchieri! (2)
Tu, Cén , il maestro, e tu, Dān Qiū, lo studente,(3)
versate vino! Versate, non vi fermate!
Cantiamo insieme una canzone! Do io il tono.
Attenti, amici miei, porgetemi l’orecchio!
“A noi non bastano campanelle e tamburi;
non sappiam che fare di cibi e di gioielli.
Vogliamo essere perpetuamente sbronzi,
non ritrovare mai i lumi della ragione.
Chi ricorda tutti i saggi e i grandi di un tempo?
Solo degli ubriaconi c`è giunta la fama.
Una volta, nel Palazzo della Gioiosa Pace, (4)
il principe di Chén diede un grande banchetto.(5)(6)
Allegria degli ospiti. Scrosci di applausi.
Diecimila per un barilotto di vino.(7)
“Non ci son più soldi” mormorò l’intendente.
“Signore, dovremmo interrompere la festa”.
“ Il mio cavallo pezzato. Le mie pellicce.
Prendeteli! Vendeteli!. Comprate vino.!
Beviamo in compagnia. Quest’è il miglior rimedio
per liberarsi delle tristezze del mondo!”.
NOTE
1) La mitologia cinese pone le sorgenti del Fiume Giallo nella Via Lattea, che, non per nulla, è chiamata il Fiume Celeste ( 天 河 “tiān hé”).
2) Si tratta senza dubbio di una “licenza poetica”, pur tenendo conto del fatto che Lĭ Bái era un robusto bevitore e che i “bicchieri”
erano minuscole coppette simili a quelle che si usano per il sake.
3) Cén Shēn 岑 參 ( 715 d.C. -770 d.C.) fu un famoso politico e letterato dell’epoca dei Táng. A Dān Qiū , religioso taoista, di cui
fu amico per molti anni, Lī Bái dedicò una breve poesia intitolata” Il Canto di Ruăn Dān Qiū” 阮 丹 丘 歌.
4) Il Pínglèguān 平 樂 觀 (“Belvedere della Gioiosa Pace”) sorgeva presso la porta occidentale della città di Luòyáng 洛 陽.
5) Cáo Zhí 曹 值 (192 d.C - 232 d.C.), figlio di Cáo Cāo 曹 操, il famoso ministro che aveva assunto il potere effettivo nella Cina Settentrionale negli ultimi anni della dinastia Hàn 漢 朝, fu un uomo di grande intelligenza ed ambizione, ma sprecò le occasioni di una straordinaria carriera politica a causa della sua condotta disordinata e delle frequenti ubriacature, che indussero il padre a preferirgli, come proprio erede, il fratello Cáo Pī 曹 丕. Questi depose nel 220 d.C. l’ultimo imperatore della dinastia Hàn e si proclamò imperatore della nuova dinastia Wèi 魏 朝, mentre Cáo Zhí dovette accontentarsi del principato di Chén 陳.
6) La festa ricordata da Lĭ Bái è menzionata dallo stesso Cáo Zhí in una sua poesia intitolata 名 都 篇 (“míng dū piān” “Le Famose Capitali”) , nella quale, dopo aver descritto una battuta di caccia nei dintorni di Luòyáng, scrive: “Ritorniamo e facciamo festa nel Belvedere di Pínglè”.
7) Anche questa è una citazione letterale dalla poesia di Cáo Zhí. La misura di volume che ho tradotto con “barilotto” è il 斗 “dŏu”,
corrispondente a circa dieci litri. Non è precisato il tipo di moneta, ma, anche se si tratta, come è probabile, di monete di bronzo, il costo del vino è comunque molto elevato.
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