Capitolo VI
Dalla ripresa al declino
Quell’anno Ā Q si fece di nuovo rivedere in paese subito dopo la festa di Mezzo Autunno. (1)
Tutti furono sorpresi nel sentire che era ritornato e solo allora si accorsero che si era allontanato dal villaggio e cominciarono a domandarsi dove fosse stato sino a quel momento.
Le altre volte che era andato in città Ā Q si era premurato di farlo sapere anche ai sassi, ma siccome questa volta era stato zitto, nessuno s’era accorto della sua assenza.
Poteva anche darsi che lo avesse detto al vecchio custode del Tempio degli Dei Tutelari, ma, per antica consuetudine, a Wèizhuāng faceva notizia solo se era il Signor Zháo o il Signor Qián o il Signor Diplomato a recarsi in città.
Se nemmeno lo Scimiottatore dei Maledetti Stranieri era in grado di attirare la pubblica attenzione, tanto meno avrebbe potuto riuscirci Ā Q.
Per questo il vecchio non si sarebbe comunque scomodato a diffondere la notizia al suo posto.
Di conseguenza, gli abitanti di Wèizhuāng non avevano avuto alcuna possibilità di conoscerla.
Questa volta, tuttavia, il ritorno di Ā Q avvenne in modo del tutto diverso rispetto alle precedenti occasioni e fu davvero tale da attirare l’attenzione della gente.
Si stava infatti facendo sera quando egli apparve con aria insonnolita sulla porta dell’osteria, si avvicinò al bancone, frugò intorno alla propria cintura e tirò fuori una manciata di monete d’argento e di bronzo che gettò sul banco ordinando: “Ecco i soldi! Portatemi del vino!”.
Indossava un giubbotto imbottito, nuovo fiammante, e, per di più, dalla vita gli pendeva ostentatamente una grossa borsa, il cui peso considerevole tirava con forza sulla cinghia dei pantaloni facendole fare
un grande arco verso il basso.
Da sempre, a Wèizhuāng, il vedere qualcuno comportarsi in modo abbastanza inusuale induceva a trattarlo con rispetto piuttosto che con indifferenza ed in quel momento, per quanto tutti sapessero bene che era Ā Q quello che si trovavano davanti, dovevano tuttavia constatare che era un Ā Q diverso da quello del giubbotto sbrindellato.
Dicevano gli Antichi: “Chi è stato lontano per tre giorni va guardato con altri occhi”. (2)
Così i servitori, il padrone della trattoria, i clienti ed i passanti gli manifestarono, del tutto spontaneamente, accanto alla diffidenza, anche una forma di rispetto.
Dopo averlo salutato con un vigoroso cenno del capo, il padrone dell’osteria proseguì:“Salve, Ā Q, vedo che sei tornato!”.
“Sì, son tornato”.
“ Hai fatto i soldi, eh...? Dov’eri finito?”.
“Ero andato in città.”
Il giorno successivo l’intera Wèizhuāng era al corrente del ritorno di Ā Q.
Tutti volevano sapere dei soldi e del giubbotto nuovo di zecca e conoscere la storia dei suoi successi e così, nelle taverne, nelle case da tè e sotto i cornicioni dei templi era un continuo scambiarsi notizie tra gli abitanti del villaggio.
Il risultato di tutto ciò fu che Ā Q ne conseguì un inaspettato prestigio.
Secondo quanto raccontava lui stesso , Ā Q era stato al servizio di un Diplomato Provinciale (3) e questo dettaglio della storia metteva in soggezione tutti coloro che lo ascoltavano.
Questo signore si chiamava Bái, ma, siccome era l’unica persona in tutta la città che avesse affrontato con successo gli esami imperiali a livello provinciale, quando si parlava di lui non occorreva pronunciarne il nome: bastava dire il “Diplomato Provinciale” e tutti sapevano di chi si trattava. Per molta gente era come se il suo vero nome e cognome fosse effettivamente “Diplomato Provinciale”.
L’aver lavorato in casa di una tale personalità era naturalmente un titolo d’onore, ma Ā Q aggiungeva che , in seguito, aveva preferito licenziarsi perché il famoso diplomato s’era dimostrato “un gran figlio di buona donna”.
Nell’udir ciò, tutti gli ascoltatori sospiravano, pur provando allo stesso tempo un senso di soddisfazione, perché , se da una parte vedevano confermata la loro convinzione che Ā Q fosse sostanzialmente inadatto a servire in casa di un rispettabile diplomato, dall’altra dovevano riconoscere che ritrovarsi senza lavoro è una brutta cosa.
Ā Q raccontava che era ritornato anche perché non gli piaceva la gente della città, che chiamava “panche” i banchi e che cucinava le carpe con scalogno finemente tritato invece di tagliarlo a spicchi e, per di più, aveva appena scoperto un altro difetto: le donne della città camminavano ancheggiando in modo piuttosto sgraziato.
Ciò non toglieva comunque che anche in città ci fosse qualcosa da ammirare: ad es. la gente di Wéizhuāng non sapeva giocare a scacchi con 32 pezzi e solo lo scimiottatore dei diavoli stranieri era in grado di giocare a mah-jong, mentre in città qualsiasi monello di strada era un esperto di quel gioco. Persino l’imitatore dei diavoli stranieri, messo di fronte ad un ragazzino di dieci anni in città, avrebbe fatto la figura di un piccolo diavolo
dinanzi al Signore dell’Inferno.
Al sentir questo tutti gli ascoltatori arrossivano di vergogna.
“Avete mai visto un’esecuzione capitale?” domandò loro Ā Q. “Eh...quello è uno spettacolo. Quando accoppano i rivoluzionari...sì...quello è davvero uno spettacolo.”e ,parlando, scuoteva la testa di qua e di là, cosicché uno spruzzo di saliva finì sulla faccia di Zhào Sīchén.
Tutti coloro che ascoltarono questa parte della storia, si misero a tremare.
Allora Ā Q, dopo aver girato lo sguardo tutt’intorno, sollevò improvvisamente il pugno e lo lasciò ricadere sulla coppa di Wáng il barbone che aveva allungato il collo per poter ascoltare meglio, urlando a gran voce “ ...eh...zacchete!
Wáng il barbone fece un salto dallo spavento ed istantaneamente tirò indietro la testa con un guizzo simile al balenare di un lampo o di una scintilla, mentre tutti i presenti sentivano un brivido correre lungo la schiena. Da quel momento, Wáng il barbone rimase inebetito per parecchi giorni e non osava più riavvicinarsi ad Ā Q, che anche gli altri cercavano di evitare.
Ā Q acquistò in quel periodo, agli occhi della gente di Wéizhuāng, un reputazione che se- a voler essere onesti – non superava quella del vecchio signor Zhào, le faceva però – e lo si può affermare senza allontanarsi troppo dalla realtà- una bella concorrenza.
Poco tempo dopo, la fama di Ā Q cominciò improvvisamente a diffondersi anche tra le donne di Wéizhuāng. Sebbene le uniche due famiglie importanti di Wéizhuān fossero i Qiān e i Zhào e, tolte le donne di queste due famiglie i nove decimi delle altre disponessero di ben poche risorse, le donne son sempre donne, e ciò permette di capire come si fosse verificato un fatto così curioso.
Quando due donne si incontravano, la loro conversazione era sempre di questo tipo: “ La signora Zōu ha comprato da Ā Q una camicetta di seta azzurra. Non era proprio nuova, ma l’ha pagata solo novanta soldi. Inoltre, la madre di Zhào Báiyán ( a questo proposito occorrerà indagare perché, secondo altre fonti, si sarebbe trattato della madre di Zhào Sīchén) ha comprato, anche lei, un vestitino di seta rossa per bambini, fabbricato all’estero e l’ha pagato solo trecento soldi, con uno sconto dell’otto per cento”.
Allora, tutte quelle che non avevano una camicetta di seta sentirono un gran bisogno di vedere Ā Q per chiedergli di vendergliene una e quelle che non avevano un vestitino di seta per i bambini volevano comprarlo anche
loro.
Se prima lo sfuggivano, ora quando incontravano Ā Q per strada, lo seguivano implorandolo di fermarsi: ".Ā Q, non avresti ancora qualche camicetta di seta? No?! Allora un vestitino per bambini. Non ne hai davvero nessuno?".
Più tardi la notizia finì per arrivare dalle case dei poveri alle case dei ricchi, giacché la signora Zōu, estremamente contenta di aver comprato una camicetta di seta, la mostrò alla vecchia signora Zhào perché la valutasse e la signora Zhào, a sua volta, ne parlò al vecchio signor Zhào con grande ammirazione.
Quella stessa sera, a cena, il vecchio signor Zhào parlò della cosa con il figlio diplomato, domandandosi se non ci fosse qualcosa di losco nel modo di fare di Ā Q e se non fosse opportuno sorvegliare meglio le porte e le finestre.
Non sapevano però se Ā Q avesse già venduto tutte le sue merci e pensavano che forse si sarebbe ancora potuto trovare, nel suo campionario, qualcosa di conveniente.
Visto che la vecchia signora Zhào avrebbe desiderato comprare un bel giacchino di pelle che non costasse troppo, il consiglio di famiglia affidò alla signora Zōu l’incarico di accostare Ā Q per fissargli un appuntamento,
derogando così, per la terza volta, alle regole di casa Zhào: quella sera infatti venne temporaneamente deciso, a titolo speciale, di accendere una lampada ad olio.
Buona parte dell’olio s’era già consumata ed Ā Q non compariva ancora.
Tutta la famiglia Zhào cominciava a spazientirsi ed a sbadigliare: alcuni dicevano che Ā Q era un gran maleducato, altri sospettavano e deploravano che la signora Zōu non avesse insistito abbastanza. La vecchia signora Zhào temeva che Ā Q non osasse presentarsi a causa del divieto che gli era stato fatto in primavera, ma il vecchio signor Zhào le disse che non c’era motivo di preoccuparsi, perché “questa volta sono io che l’ho mandato a chiamare”, ed i fatti provarono che aveva proprio ragione lui, visto che, alla fine, Ā Q arrivò, seguito dalla signora Zōu che arrancava dietro di lui.
“Continuava a ripetermi che non aveva più niente da vendere“ riferì quest’ultima, ansimando e sospirando,” e, quando io gli rispondevo di venire a raccontarvelo di persona, insisteva a dirmi che era inutile, ed io gli
dicevo...”.
“Signor Zhào...”esclamò tutto d’un fiato Ā Q, tentando un sorriso, mentre si fermava dinanzi alla casa, sotto lo spiovente del tetto.
“Ā Q ...abbiamo sentito dire che, lontano di qui, sei diventato ricco.” lo salutò il signor Zhào, andandogli incontro con lentezza e squadrandolo fisso da capo a piedi “ Molto bene...davvero molto bene!...ed ora...abbiamo saputo che hai alcune cianfrusaglie da vendere. Potresti prenderle e portarcele tutte qui... per farci dare un’occhiata. Non per altro, in realtà vorremmo solo...”.
“Non ho più niente. L’ho già detto alla signora Zōu”.
“Non hai più niente?”domandò il vecchio signor Zhào con una voce che tradiva il disappunto “Come hanno fatto queste cose a sparire così in fretta?”.
“Me le aveva date un amico, e non era poi tanta roba. Un po’ le hanno
comprate...”.
“Ti sarà pur rimasto qualcosa?”.
“Mi è rimasto soltanto un tendaggio per le porte.”
“Allora faccelo vedere” gli disse subito la vecchia signora Zhào.
“ Va bene...non c’è fretta “ intervenne il vecchio signor Zhào senza molto entusiasmo “Puoi passare anche domani. E se in futuro ti dovesse capitare
qualcosa tra le mani, vieni immediatamente da noi a farcelo vedere”.
“Non ti pagheremo certo meno degli altri” aggiunse il giovane diplomato, mentre sua moglie lanciava uno sguardo furtivo per spiare l’espressione di Ā Q.
“ Mi piacerebbe un giacchino di pelle” disse la vecchia signora Zhào.
Ā Q rispose di sì, ma con una tale svogliatezza che i suoi interlocutori non capirono se gliene importasse qualcosa di ciò che gli stavano dicendo.
Il vecchio signor Zhào ne fu così seccato, irritato e disturbato che smise addirittura di sbadigliare. Anche il giovane diplomato trovò inqualificabile l’atteggiamento di Ā Q. “Bisogna fare attenzione a questi mariuoli. Forse sarebbe bene chiedere alle guardie municipali che gli vietino di soggiornare a Wéizhuāng”.
Il vecchio signor Zhào però non fu d’accordo perché temeva che ciò potesse provocare del risentimento da parte di Ā Q ed aggiunse che, in faccende di questo tipo, era molto probabile che valesse il proverbio “l’aquila non fa razzie nel proprio nido”. Non c’era quindi sicuramente bisogno che loro, compaesani di Ā Q ,si inquietassero: sarebbe bastato stare un po’ più attenti la notte.
Questo “insegnamento impartito nel cortile di casa” (4) fece molta impressione sul giovane diplomato, che ritirò immediatamente la proposta di cacciare Ā Q dal villaggio e raccomandò ripetutamente alla signora Zōu di non farne parola con anima viva.
Tuttavia, il giorno seguente, la signora Zōu, mentre si recava a far tingere di nero la camicetta di seta blu, menzionò i sospetti espressi dal padrone a proposito di Ā Q, anche se si astenne dal riferire che il giovane diplomato avrebbe voluto cacciarlo via dal paese. Già questo bastò comunque per
recare grave danno ad Ā Q. Come prima cosa, la guardia municipale andò a trovarlo e gli confiscò il tendaggio per le porte. Ā Q ebbe un bel dire che la vecchia signora Zhào desiderava vederlo. L’agente non se ne diede per inteso, anzi cercò addirittura di ricattare Ā Q ingiungendogli di pagare ogni mese una certa somma per essere lasciato tranquillo. In secondo luogo, l’atteggiamento dei compaesani nei suoi confronti mutò da un momento all’altro. Infatti, pur non osando ancora mostrarsi irrispettosi, cercavano di tenersi il più possibile lontani da lui. Questo comportamento non era più l’effetto della paura che li prendeva quando lui urlava “ e ...zacchete!”, ma piuttosto il sacro timore dei saggi nei confronti degli spiriti . (5)
Alcuni sfaccendati che volevano sapere esattamente che cosa c’era dietro quelle voci andarono a chiedere informazioni dettagliate ad A Q, il quale
non cercò di nascondere nulla, anzi raccontò loro con orgoglio le proprie
esperienze.
Vennero così a sapere che, non essendo capace di arrampicarsi sui muri
di cinta e neppure di introdursi nelle case attraverso i fori praticati nelle
pareti, si era sempre limitato a far da palo, attendendo , di fuori, che gli
passassero gli oggetti rubati.
Una notte, un attimo dopo che il capobanda gli aveva affidato un pacco
di roba rubata ed era rientrato nella casa che stavano svaligiando, aveva
sentito all’interno un grande strepito ed era scappato a gambe levate.
Quella stessa notte aveva lasciato di nascosto la città ed era ritornato a Wéizhuāng. Da allora non aveva più avuto il coraggio di riprendere quel tipo di attività.
Tuttavia, questa storia non si rivelò vantaggiosa per A Q. Infatti, gli abitanti del villaggio avevano nutrito per lui un sacro timore perché avevano paura della sua inimicizia. Chi avrebbe mai potuto pensare che fosse soltanto un ladruncolo che non osava nemmeno rimettersi a rubare? Ora sapevano veramente che era uno “che non poteva far paura a nessuno”.(6)
NOTE
1) La Festa di Mezzo Autunno ( 中 秋 節 “zhōngqiūjié”), detta anche Festa della Luna o Festa delle Lanterne, si svolge tra la fine di settembre e l’inizio d’ottobre e deriva dai festeggiamenti che un tempo accompagnavano il raccolto.
2) L’autore si riferisce qui ad un episodio narrato nel capitolo 54 ( “Biografie di Zhōu Yú, Lŭ Sù e Lǚ Mēng
“ 周 瑜 魯 肅 呂 蒙 傳 ) della “Cronaca di Wú” ( 吳 志 ), parte delle “Cronache dei Tre Regni” ( 三 國 志 ), che ha per protagonisti Lŭ Su e Lü Mēng.
Lŭ Su (172 d.C.-217 d.C.) fu un famoso uomo politico, generale e diplomatico al servizio di Sūn Quán 孫 權, re di Wú.
Quando Lŭ Sù subentrò a Zhōu Yú come comandante in capo dell’esercito di Wú, ebbe occasione di incontrare di nuovo il generale Lǚ Mēng, che aveva conosciuto molto tempo prima e di cui si ricordava come di un soldataccio rozzo ed ignorante.
Con sua grande sorpresa constatò invece che, negli anni trascorsi da allora, Lǚ Mēng aveva compiuto una vera metamorfosi ed era diventato una persona colta e raffinata.
Allorché glielo fece rilevare, Lǚ Mēng gli rispose: “ Chi è stato lontano per tre giorni va guardato con altri
occhi”.
3) Il sistema degli esami imperiali, che disciplinò dal 605 d.C. a 1905 l’accesso alla burocrazia statale nel Celeste Impero, si articolava su tre livelli.
Il primo era costituito da esami che si svolgevano ogni anno in sede distrettuale. Il loro superamento portava a conseguire un diploma paragonabile al diploma di maturità, che dava diritto a fregiarsi del titolo di 秀 才 ( “xiùcái”, “talento fiorente”).
Il secondo era costituito da esami che si svolgevano ogni tre anni in sede provinciale. Il loro superamento portava a conseguire un diploma paragonabile al diploma di laurea, che dava diritto a fregiarsi del titolo di
舉 人 (“jŭrén”, “persona commendevole”).
Il terzo era costituito da un esame nazionale che si svolgeva ogni tre anni nella capitale. Il suo superamento portava a conseguire un diploma paragonabile al diploma di dottorato, che dava diritto a fregiarsi del titolo di
進 士 (“jìnshì”, “gentiluomo compiuto”).
4) L’espressione庭 訓 (“tíng xùn”, “insegnamenti del cortile di casa”) implica un riferimento ironico ad un brano dei Dialoghi di Confucio (XVI,13):
“ Chén Kàng ( 陳 亢 ) chiese a Bóyú (伯 魚 ) se suo padre gli avesse mai insegnato qualcosa in privato.
“No,” gli rispose Bóyú” ma, una volta che era solo, mentre io stavo attraversando a passi svelti il cortile di casa, mi domandò: “Hai letto il Libro delle Odi?” e, alla mia risposta negativa, aggiunse:”Se non avrai letto il Libro delle Odi, non sarai in grado di sostenere una conversazione”.
Mi ritirai e cominciai a studiare le Odi.
Un’altra volta, di nuovo mentre attraversavo il cortile, mio padre, che era solo, mi domandò: “Hai letto il Libro dei Riti?”. Gli risposi di no ed egli allora mi disse: “Se non avrai letto il Libro dei Riti, non avrai mai una formazione solida”.
Mi ritirai e mi misi a studiare i Riti.
Ecco i soli insegnamenti che ho ricevuto da mio padre.”
Chén Kàng si ritrasse soddisfatto pensando:” Con una sola domanda ho avuto tre risposte: ho saputo che cosa il Maestro pensa del Libro delle Odi, ho saputo che cosa pensa del Libro dei Riti ed ho capito che il saggio mantiene un certo distacco anche nei confronti dei suoi figli.”
Ovviamente, l’essere stati impartiti “nel cortile di casa” è l’unico punto che gli “insegnamenti” del signor Zhào hanno in comune con quelli di Confucio.
5) I pettegolezzi della signora Zōu danneggiano gravemente la reputazione di Ā Q. Se, prima, gli ingenui compaesani nutrivano nei suoi confronti il timore reverenziale che si ha nei confronti di chi “ha visto il mondo”, ora cominciano invece a tenersi lontani da lui per il disagio e la paura di aver a che fare con un delinquente. In seguito, confessando la propria totale inettitudine, Ā Q perderà anche quel poco di rispettabilità “negativa” che gli derivava dalla fama di ladro audace e spregiudicato.
Anche qui l’autore cita ironicamente i classici, comparando Ā Q agli “spiriti”, che, secondo Confucio, dovevano essere “onorati, standone lontani”. ( Dialoghi di Confucio, VI,22 : “ A Fán Chí che gli domandava in che cosa
consistesse la saggezza, il Maestro rispose: “ Nel trattare il popolo con giustizia e nell’onorare gli spiriti, tenendosene distanti”.)
6) Il capitolo termina con un’ultima citazione dai Dialoghi di Confucio (IX,23): “Il Maestro disse:'Dobbiamo aver paura dei giovani perché forse un giorno ci raggiungeranno, ma ,se un quarantenne o un cinquantenne non ha ancora fatto parlare di sé, non dobbiamo più averne alcun timore'.”
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