Abbiamo già visto come nell’opera di Bái Jūyì non manchino poesie che guardano con simpatia alla povera gente e ne compiangono la vita piena di stenti e di miserie. Le miserabili condizioni di vita dei contadini, spesso costretti a vendere i loro poderi per soddisfare gli insaziabili esattori delle imposte, hanno ispirato i versi che seguono.
GUARDANDO MIETERE IL GRANO, quando ero giudice a Zhōuzhì (1)
(觀 刈 麥 時 為 盩 厔 縣 尉 Guān yì mài shí wéi Zhōuzhì xiànwèi)
Pochi mesi riposano i contadini.
A partire da giugno non c’è più tregua.
Quando di notte si leva il vento del sud
e il grano copre di giallo le colline,
le donne con le loro ceste di cibo,
i ragazzini con le brocche di vino,
tutti in fila per il sentiero dei campi.
I mietitori, sui pendii assolati,
le gambe cotte dal vapore torrido,
la schiena bruciata dal sole spietato,
così esausti da non sentire il calore,
da trovar corto questo giorno d’estate. (2)
Accanto ad essi le mogli, disgraziate,
stringendo i loro bambini tra le braccia,
raccolgon per terra le spighe cadute,
le gettano nei canestri sfasciati
che portano appesi alla spalla sinistra.
Se ascolti le parole che si scambiano,
quello che senti ti sconvolge l’animo:
“Vendemmo il podere per pagar le imposte.
Ora spigoliamo per poter mangiare”.
Per quali meriti non ho mai dovuto
faticare sui campi ed in mezzo ai gelsi?
Uno stipendio da duecento quintali! (3)
Finito l’anno, c’è ancora da scialare.(4)
Quando ci rifletto mi viene vergogna,
non penso più ad altro tutta la giornata.
NOTE
1) Nell’806 d.C. Bái Jūyìi ricoprì l’incarico di “xiànwèi” 縣 尉 , funzionario con compiti di polizia e poteri di giurisdizione a Zhōuzhì 盩 厔 , che oggi si scrive 周 至, nello Shănxī 陝 西
(2) I mietitori, abbrutiti da una giornata di lavoro ininterrotto, sono ormai ridotti ad automi che non sentono più la fatica e che ripetono all’infinito gli stessi gesti meccanici.
(3) Nell’antica Cina, probabilmente in ricordo di epoche arcaiche nelle quali i funzionari erano pagati in natura, l’ammontare degli stipendi era espresso in misure di grano (o di riso). Lo stipendio che Bái Jūyì dichiara di ricevere è di 300 石 “shí” di grano per anno. Poiché lo “shí”( o “dàn”) era una misura tradizionale di peso che corrispondeva a 60,49 chili di grano, lo stipendio di Bái Jūyì equivaleva quindi al valore sul mercato di oltre 180 quintali di grano. Ho usato il termine “quintali” per mantenere anche nella traduzione italiana l’evidenza del contrasto tra le poche manciate di chicchi da cui dipende la sopravvivenza delle spigolatrici e delle loro famiglie e le molte centinaia di sacchi di cereali a cui corrisponde lo stipendio di un funzionario.
(4) Il divario tra la situazione dei contadini affamati, che faticano a tirare avanti giorno per giorno, e quella dei funzionari ben pagati che, pur vivendo nell’agiatezza, arrivano alla fine dell’anno senza nemmeno aver consumato per intero i loro stipendi, è abissale. Bái Jūyì si rende conto dell’enorme ingiustizia sociale e ne prova vergogna.