Capitolo VIII del Zhuāngzĭ
I PIEDI PALMATI
Un piede palmato o un sesto dito sono più di quanto previsto dalla natura e risultano inutili. Escrescenze e tumori esulano dalla forma ordinaria del corpo e sono anch’essi inutili. Ci sono numerosi tipi di benevolenza e di giustizia ed il loro esercizio viene collegato ai cinque organi (1), ma ciò non è affatto conforme alla Via e alla Virtù. (2)
Infatti, come un piede palmato rappresenta soltanto un’inutile aggiunta di carne al piede e come un sesto dito non accresce per nulla la funzionalità della mano, così le diverse estensioni ed aggiunte all’azione dei cinque organi deformano, per eccesso o per difetto, l’esercizio della benevolenza e della giustizia, proprio come accade nell’uso della vista e dell’udito.
Non constatiamo, in effetti, che una vista troppo acuta conduce ad una confusione dei cinque colori e ad un eccesso nel loro uso? Chi possiede una tale qualità abuserà del verde e del giallo, del bianco e del nero, del blu e dell’azzurro finché non sarà diventato come Lí Zhū. (3) Un udito troppo fine porta a confondere le cinque note (4) e ad abusare dei sei toni musicali. (5) Il possessore dell’orecchio perfetto, nel trarre le note dagli strumenti di metallo, pietra, seta e bambù, giostrando con i semitoni (6) , non si fermerà finché non sarà diventato pari a Shī Kuàng. (7) Allo stesso modo, l’eccesso nel praticare la benevolenza deforma la natura di questa virtù che diventa allora ricerca di fama e reputazione inducendo tutti i flauti e i tamburi dell’Impero a celebrare smodatamente l’uomo benevolo finché costui non sia diventato un nuovo Zēng o un nuovo Shĭ. (8) Una straordinaria abilità nel parlare conduce ad accumulare gli argomenti come un muratore accumula i mattoni. L’oratore troppo bravo si lascia tentare dai sofismi e si diverte a dissertare sui concetti di “durezza” e di “bianchezza” (9), cercando la fama con parole inutili, finché non sia riuscito ad emulare Yáng e Mòzĭ. (10)
Di conseguenza, il modo di procedere che si basa su tutte queste aggiunte ed altri ampliamenti non è la via più corretta da seguire in questo mondo. La via più corretta consiste infatti nel non smarrire il senso di ciò che è la vita. Per questa ragione ciò che la natura ha unito non deve essere considerato inutile e ciò che la natura ha aggiunto non deve essere considerato superfluo, né vi è alcun motivo di ritenere troppo lungo ciò che è lungo o troppo corto ciò che è corto. Le zampe delle anatre, ad esempio, sono corte, ma cercare di allungarle produrrebbe inutilmente dolore. Per converso, le zampe delle gru sono lunghe, ma sarebbe triste ed insensato tagliarle. Non ci sarebbe alcun senso nell’accorciare ciò che è lungo per natura o nell’allungare ciò che è corto per natura; perciò non dobbiamo preoccuparcene. Si deve concludere che la benevolenza e la giustizia non dovrebbero far parte delle relazioni umane. (11 )
Quanti turbamenti non causa infatti la benevolenza? Se un altro dito è congiunto all’alluce, dividerli sarà un’operazione dolorosa; se nella mano c’è un dito di troppo, tagliarlo farà male. Nel primo caso si rimarrà con un dito in più, nel secondo con un dito in meno, ma in entrambi i casi si sarà sofferto. Gli uomini benevoli dei nostri tempi guardano con occhi tristi ai mali del mondo e se ne addolorano; coloro che mancano di questa virtù, avendo alterato con violenza il proprio carattere, perseguono avidamente ricchezze ed onori.(12) Ecco perché si deve concludere che benevolenza e giustizia non sono connaturate all’essere umano.
Non si spiega forse così il fatto che, fin dall’epoca delle tre dinastie, il mondo sia sempre stato pieno di disordine e di tumulto. (13) Dunque, se, per fare qualcosa a regola d’arte, si ha bisogno d’arco e di righello, di squadra e di compasso, anche così si coarta l’operare spontaneo della natura. Se, per fissare un oggetto, si deve ricorrere a fili e corde, lacca e colla, anche in questo modo si altera la naturale funzionalità dell’oggetto. Se si ricorre alle cerimonie ed alla musica, se si invoca la benevolenza e la giustizia per confortare l’animo umano, si ignora come tutti gli uomini sono fatti per natura. Occorre infatti osservare che in natura le cose sono curve senza bisogno dell’arco, dritte senza bisogno del righello, rotonde senza bisogno del compasso e quadrate senza bisogno della squadra. Due cose che aderiscono l’una all’altra non sono tenute insieme dalla colla o dalla lacca e due cose unite l’una all’altra non sono legate da fili o da corde. Tutto, nel mondo, nasce senza che si sappia come nasce, e tutto raggiunge i suoi fini senza che si sappia come li raggiunge. Così era un tempo, così è ora e così sarà sempre.
Perché allora si deve sempre ricorrere alla benevolenza e alla giustizia come se fossero lacca e colla, fili e corde ed introdurle là dove dovrebbero operare soltanto la Virtù e la Via, confondendo così gli uomini? Se la confusione è piccola, essa altera il modo di vivere; se è grande, cambia la natura stessa dell’uomo.
Come faccio a sapere che le cose stanno in questo modo? Da quando Shùn (14) invocò la benevolenza e la giustizia per distorcere il mondo, gli uomini non hanno mai cessato di affannarsi per la benevolenza e per la giustizia. Non sono forse la benevolenza e la giustizia che hanno cambiato la natura dell’uomo? Perciò io mi sforzo di argomentare che, fin dai tempi antichi, la natura dell’uomo è cambiata. L’uomo meschino sarà disposto a morire per i soldi, l’uomo colto sarà disposto a morire per la fama, il nobile sarà disposto a morire per l’onore della famiglia, il saggio sarà disposto a morire per il bene del mondo. Sebbene tutti costoro abbiano interessi e ambizioni diverse , giacché alcuni di loro vogliono conseguire la fama mentre altri perseguono obiettivi differenti, una cosa li accomuna, il fatto che tutti forzino il proprio istinto naturale dimostrandosi pronti a morire per i propri fini.
Zāng e Gŭ (15) erano due pastori che persero entrambi il proprio gregge. Se chiederete che cosa stesse facendo Zāng, vi diranno che s’era messo a leggere un libro. Se chiederete che cosa stesse facendo Gŭ, vi diranno che era andato a giocare. Erano due attività ben diverse, ma il risultato fu, in entrambi i casi, la perdita del gregge.
Bóyí morì di stenti per conquistare la fama di uomo saggio ai piedi del monte Shŏuyáng (16); Zhí, il brigante (17), fu ucciso sul monte Dōnglíng mentre devastava il territorio e ne saccheggiava gli abitanti. Non morirono nello stesso modo, ma la violenza che essi fecero alla propria vita e alla propria natura fu identica. Come possiamo essere sicuri che il comportamento di Bóyí fosse buono e quello di Zhí cattivo?
Gli uomini però distinguono la causa per cui si muore. Se uno si sacrifica per l’umanità e la giustizia dicono che è un uomo dabbene; se muore per i soldi dicono che è un miserabile. Sono morti tutti e due, ma uno è considerato un galantuomo e l’altro un farabutto. Il che non toglie che il galantuomo e il farabutto abbiano entrambi gettato via la propria vita. Se si guarda all’offesa recata alla vita e alla violenza fatta alla natura, allora Zhí il brigante e Bóyí il saggio sono identici e non ha più senso distinguere tra di loro il buono e il cattivo.
Mettiamo pure che uno praticasse la benevolenza e la giustizia in modo tale da eguagliare Zhèng e Shĭ, non per questo sarei tenuto a considerarlo perfetto, allo stesso modo per cui non avrei motivo di considerare perfetto chi eguagliasse Yú Ér (18) nella percezione dei gusti, Shī Kuàng nella percezione dei suoni o Lí Zhū nella percezione dei colori. Ritengo infatti che la perfezione non risieda nella pratica della benevolenza e della giustizia, bensì nella coltivazione della Via. E coloro che coltivano la Via non sono, secondo me, coloro che praticano la benevolenza e la giustizia, bensì coloro che si conformano alla natura delle cose. Ciò che io chiamo perfezione nel sentire non è ascoltare gli altri, ma se stessi. Ciò che io chiamo perfezione nel vedere non è conoscere gli altri, ma se stessi. Colui che non si occupa di se stesso bensì degli altri, conoscerà gli altri, ma non sarà padrone di se stesso, vale a dire che si renderà conto di ciò che riguarda gli altri ma non si renderà conto di ciò che riguarda se stesso, ed invece di essere se stesso sarà un altro, errore fatale di cui si resero colpevoli tanto il brigante Zhí quanto il saggio Bóyí.
Io mi vergogno delle mie carenze nel perseguimento della Via e della Virtù, ma, d’altro lato, non mi avventuro a praticare nobilmente la benevolenza e la giustizia, né mi abbandono bassamente a condotte depravate ed anomale. (19)
NOTE
1) I“cinque organi” (五 藏 “wŭ zàng”) sono: cuore, polmoni, fegato, milza e reni.
2) Si può forse comparare la dottrina cinese che collegava le virtù ai “cinque organi interni” con la “teoria degli umori”, ideata da Ippocrate di Coo, che fu largamente diffusa in Europa fino al Rinascimento e che faceva dipendere i diversi temperamenti dai quattro “umori”: il sangue, il flemma, la bile e l’atrabile. Come per gli Europei la deficienza o l’eccesso di uno di questi liquidi corporei conduceva a squilibri del comportamento e della salute, così per i Cinesi l’influsso eccessivo di uno dei “cinque organi interni” rendeva impossibile l’esercizio corretto delle virtù. In entrambi i casi vale la massima latina “in medio stat virtus”.
3) Lí Zhū 離朱 è un personaggio mitico noto per la sua vista acutissima, che gli permetteva di scorgere “le nuvole a mille miglia di distanza” e “la punta di un ago in cima ad una scala di cento gradini.” Secondo la leggenda, sarebbe stato un cortigiano dell’Imperatore Giallo. È menzionato anche in un altro paragrafo di questo capitolo nonché al paragrafo 4 del capitolo intitolato “Cielo e Terra (天地 “tiān dì”) in cui si legge: “L’Imperatore Giallo, mentre era a nord del Fiume Rosso, ascese il monte Kūnlún, dalla cui cima guardò verso sud. Sulla via del ritorno smarrì la sua perla magica. Inviò la Saggezza a cercarla, ma la Saggezza non la trovò. Allora inviò Lí Zhū, che aveva una vista estremamente acuta…”.
4) La musica cinese usa una scala pentatonica, cioè una scala composta di cinque note. I cinque “modi” (調式 “diáoshì”) che si ottengono suonando la pentatonica a partire da una nota differente sono chiamati rispettivamente gōng 宫 , shāng 商 , jué 角 , zhǐ 徵 e yǔ 羽.
5) La musica cinese conosce dodici semitoni (noti nel loro insieme come ”lǜ lǚ” 律呂 ) divisi in due serie di sei: quelli detti “yáng lǜ” 陽律, noti anche come “liù lǜ” 六律 , e quelli detti “yīn lǚ” 陰呂, noti anche come “liú lǚ” 六呂.
6) Ho indicato con l’espressione ”semitoni” i termini“ huángzhōng”( 黃鐘) e “dàlǚ” (大呂). “ Huángzhōng”( 黃鐘) è il diapason, cioè l’altezza sonora di base con riferimento alla quale vanno intonati gli strumenti. Esso era fissato da decreti imperiali e poteva quindi variare secondo le epoche. Il ”huángzhōng” (黃鐘) divide l’ottava in dodici semitoni. Esso corrisponde al “do”, mentre il semitono successivo, il “dàlǚ” (大呂)corrisponde al “do diesis”.
7) Shī Kuàng 師曠, un maestro di musica vissuto nel periodo delle Primavere e degli Autunni 春秋時代 , era famoso per avere l’udito finissimo e l’orecchio perfetto. Secondo la leggenda fu in grado di informare il duca Píng di Jìn 晉平公 dell’avanzata e della successiva ritirata di un esercito nemico ascoltando a grande distanza ed interpretando i trilli degli uccelli.
8) Zēng Shēn (505 a.C.- 435 a.C.), filosofo e discepolo di Confucio, fu famoso anche per la sua straordinaria pietà filiale. Secondo la leggenda, una volta che era uscito a raccogliere legna nel bosco, dei visitatori si presentarono inaspettatamente a casa sua. La madre, non sapendo come avvertirlo della visita, si morse un dito. Zēng sentì una forte fitta al cuore e temendo che la madre non stesse bene corse subito a casa. Si racconta pure che, dopo la morte dei genitori, non fosse capace di recitare le preghiere funebri senza scoppiare in un pianto dirotto.
Shĭ 史 fu un ministro del Regno di Wèi 魏国 celebre perché praticava in sommo grado le virtù confuciane
9) Troviamo qui un riferimento al Gōngsūn Lóngzĭ 公 孫 龍 子 , opera filosofica attribuita a Gōngsūn Lóng 公 孫 龍 (325 a.C.-250 d.C.), della quale ci sono giunti soltanto alcuni capitoli. Il testo a cui Zhuāngzĭ sembra specificamente riferirsi è il sesto capitolo, intitolato “Dialogo del duro e del bianco” (堅 百 論 “jiān bái lùn ”), nel quale, sulla falsariga del “Dialogo del cavallo bianco” (白 馬 論 “bái mă lùn”) (v. in questo sito alla rubrica “Argomenti Diversi)”, si dimostra che “una roccia dura” non può essere “una roccia bianca”.
10) Yáng Zhū 杨朱 (440 a.C.-360 a.C.) fu un filosofo che propugnò l’”egoismo etico” in contrapposizione al Confucianesimo e al Mohismo.
Mòzĭ 墨子 (479 a.C.-381 a.C), fondatore del Mohismo, insegnava l’”amore universale”.
Entrambe le dottrine risultavano incompatibili con i princìpi fondamentali del Taoismo.
11) L’affermazione, per quanto ci possa sembrare forte, è perfettamente coerente con la dottrina taoista, la quale afferma con assoluta chiarezza che la natura è priva di sentimenti. Per maggiori dettagli sulle caratteristiche del pensiero taoista, rimando a quanto detto, in questo sito, nelle note alla traduzione del Dào Dé Jīng e dei primi sette capitoli del Zhuāngzĭ.
12) La virtù non esercita ovviamente alcuna influenza su chi non la possiede, ma che cosa apporta a chi la possiede? Null’altro che amarezza e sofferenza nel vedere come vanno le cose di questo mondo. Si deve quindi concludere, indubbiamente con notevole pessimismo, che gli uomini che si lasciano troppo prendere dal sentimento della compassione e dal bisogno di giustizia non sono in grado di comprendere perfettamente le leggi della natura.
13) Il termine ”sān dài” 三代 , letteralmente “tre generazioni”, designa il periodo più antico della storia cinese, quello in cui regnarono le dinastie Xià 夏朝, Shāng 商朝 e Zhōu 周朝.
14) Il mitico imperatore Shùn 舜, vissuto, secondo la tradizione, verso la fine del 3° millennio a.C., è qui chiamato Yú Shì 虞氏, vale a dire “il membro della famiglia Yú” perché faceva parte del clan “Yŏuyú” 有虞.
15) I due pastori Zāng e Gŭ sono menzionati unicamente in questo passo del Zhuāngzĭ.
16) Bó Yí 伯 夷. e Shū Qí 叔 齊 sono due personaggi semileggendari vissuti verso la fine della dinastia Shāng 商 朝 (prima metà dell’XI° secolo a.C.). Erano rispettivamente il primogenito ed il terzo figlio del re di un piccolo Stato vassallo dei Shāng, il Regno di Gūzhú 孤 竹 國. Quando il padre, morendo, lasciò il regno a Shū Qí, trascurando il primogenito, quest’ultimo, anziché difendere con la forza i propri diritti, andò volontariamente in esilio. Shū Qí, commosso dal comportamento del fratello, abbandonò il trono e lo raggiunse.Avendo avuto notizia delle buone qualità del re Wén di Zhōu 周 文 王i due si misero in cammino per recarsi presso di lui, ma quando giunsero alla corte dei Zhōu , scoprirono che il re Wén era morto e che il suo figlio e successore Wŭ 周 武 王﹐senza nemmeno rispettare il lutto per il padre, stava già preparando una rivolta contro la dinastia Shāng, di cui anche i Zhōu erano vassalli. I due fratelli protestarono contro questa iniziativa, che, a loro parere, contrastava sia con la pietà filiale sia con il dovere di lealtà dei vassalli nei confronti dei loro sovrani, ma non furono ascoltati, anzi per poco non furono uccisi. Delusi ed amareggiati decisero di abbandonare il mondo e di ritirarsi sulle pendici del monte Shoŭyáng 首 陽 山,dove, poco tempo dopo, morirono di denutrizione e di stenti. La tradizione ne conservò il ricordo, esaltandoli come esempi di bontà, di umiltà e di lealtà.
17) Zhí il brigante 盜跖 è il protagonista di un intero capitolo del Zhuāngzĭ,
il ventinovesimo, intitolato appunto, “Il brigante Zhí”, che lo vede dialogare con Confucio. Poiché risulta dal testo che “comandava 9.000 uomini”, si è congetturato che fosse un ribelle piuttosto che un semplice bandito. Le sue gesta non lasciavano tuttavia percepire una grande differenza tra le due qualità.
18) Yú Ér era un’antica divinità della montagna. In questo passo del Zhuāngzĭ il nome è riferito ad un personaggio mitico che sapeva riconoscere perfettamente tutti i gusti. Non risulta da nessuna fonte che il personaggio possa essere identificato con la divinità.
19) Zhuāngzĭ riconosce di essere ancora lontano da una perfetta adesione alla Via, ma ciò nonostante ritiene che si debbano respingere gli atteggiamenti con essa contrastanti, sia quando assumono una forma nobile ( 上 “shàng”, cioè “in alto”) come l’esercizio della benevolenza e della giustizia, sia quando assumono una forma ignobile (下 “xià”, cioè “in basso”) come ad es. Il brigantaggio.
駢拇第八
駢拇枝指,出乎性哉!而侈於德。附贅縣疣,出乎形哉!而侈於性。多方乎仁義而用之者,列於五藏哉!而非道德之正也。是故駢於足者,連无用之肉也;枝於手者,樹无用之指也;多方駢枝於五藏之情者,淫僻於仁義之行,而多方於聰明之用也。
是故駢於明者,亂五色,淫文章,青黃黼黻之煌煌非乎?而離朱是已。多於聰者,亂五聲,淫六律,金石絲竹黃鐘大呂之聲非乎?而師曠是已。枝於仁者,擢德塞性以收名聲,使天下簧鼓以奉不及之法非乎?而曾、史是已。駢於辯者,纍瓦結繩竄句,遊心於堅白同異之閒,而敝跬譽無用之言非乎?而楊墨是已。故此皆多駢旁枝之道,非天下之至正也。
彼正正者,不失其性命之情。故合者不為駢,而枝者不為跂;長者不為有餘,短者不為不足。是故鳧脛雖短,續之則憂;鶴脛雖長,斷之則悲。故性長非所斷,性短非所續,無所去憂也。意仁義其非人情乎!彼仁人何其多憂也?
且夫駢於拇者,決之則泣;枝於手者,齕之則啼。二者,或有餘於數,或不足於數,其於憂一也。今世之仁人,蒿目而憂世之患;不仁之人,決性命之情而饕貴富。故意仁義其非人情乎!自三代以下者,天下何其囂囂也?
且夫待鉤繩規矩而正者,是削其性者也;待繩約膠漆而固者,是侵其德者也;屈折禮樂,呴俞仁義,以慰天下之心者,此失其常然也。天下有常然。常然者,曲者不以鉤,直者不以繩,圓者不以規,方者不以矩,附離不以膠漆,約束不以纆索。故天下誘然皆生而不知其所以生,同焉皆得而不知其所以得。故古今不二,不可虧也。則仁義又奚連連如膠漆纆索而遊乎道德之間為哉,使天下惑也!
夫小惑易方,大惑易性。何以知其然邪?自虞氏招仁義以撓天下也,天下莫不奔命於仁義,是非以仁義易其性與?故嘗試論之,自三代以下者,天下莫不以物易其性矣。小人則以身殉利,士則以身殉名,大夫則以身殉家,聖人則以身殉天下。故此數子者,事業不同,名聲異號,其於傷性以身為殉,一也。臧與穀,二人相與牧羊而俱亡其羊。問臧奚事,則挾筴讀書;問穀奚事,則博塞以遊。二人者,事業不同,其於亡羊均也。伯夷死名於首陽之下,盜跖死利於東陵之上。二人者,所死不同,其於殘生傷性均也。奚必伯夷之是而盜跖之非乎?天下盡殉也。彼其所殉仁義也,則俗謂之君子;其所殉貨財也,則俗謂之小人。其殉一也,則有君子焉,有小人焉。若其殘生損性,則盜跖亦伯夷已,又惡取君子小人於其間哉!
且夫屬其性乎仁義者,雖通如曾、史,非吾所謂臧也;屬其性於五味,雖通如俞兒,非吾所謂臧也;屬其性乎五聲,雖通如師曠,非吾所謂聰也;屬其性乎五色,雖通如離朱,非吾所謂明也。吾所謂臧者,非仁義之謂也,臧於其德而已矣;吾所謂臧者,非所謂仁義之謂也,任其性命之情而已矣;吾所謂聰者,非謂其聞彼也,自聞而已矣;吾所謂明者,非謂其見彼也,自見而已矣。夫不自見而見彼,不自得而得彼者,是得人之得而不自得其得者也,適人之適而不自適其適者也。夫適人之適而不自適其適,雖盜跖與伯夷,是同為淫僻也。余愧乎道德,是以上不敢為仁義之操,而下不敢為淫僻之行也。
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