L’ORFANO Di CASA ZHÀO
“La Grande Vendetta dell’Orfano della Famiglia Zhào” (趙氏孤兒大報仇 “zhàoshì gū’ér dà bàochóu”) è un’opera teatrale (1) del XIII° secolo d.C., attribuita al drammaturgo Jì Jūnxiáng 纪君祥. (2)
Essa è composta di cinque atti, preceduti da un prologo, e si ispira ad una vicenda del Periodo delle Primavere e degli Autunni 春秋时期 , narrata da Sīmă Qiān 司馬遷 nelle sue “Memorie Storiche”( 史记 “shĭjì”). (3)
La trama è la seguente:
Durante il regno del duca Jĭng di Jìn 晉景公 (4), il comandante dell’esercito Tú‘àn Gŭ 屠岸賈 convince il sovrano che il suo primo ministro Zhào Dùn 趙盾 lo ha tradito e fa massacrare l’intera famiglia Zhào. L’unico superstite è un bambino che sta per nascere, la cui madre, una sorella del duca sposata con un figlio di Zhào Dùn, viene risparmiata e confinata nel palazzo ducale.
Tú‘àn Gŭ ordina al generale Hán Jué 韓厥 di sorvegliare il palazzo per impadronirsi del neonato alla prima occasione favorevole e sopprimerlo.
Qualche giorno dopo la nascita dell’orfano, Chéng Yīng, il medico della famiglia Zhào, sotto pretesto di visitare la puerpera, si reca al palazzo e cerca di farne uscire di soppiatto il neonato nascondendolo nella sua borsa dei medicinali, ma viene scoperto, mentre sta per uscire, da Hán Jué. Quest’ultimo, tuttavia, che è un uomo giusto, non ha il coraggio di uccidere il bambino, ma lascia scappare Chéng Yīng e, subito dopo, si suicida, trafiggendosi con la propria spada.
Venuto a conoscenza di ciò, Tú‘àn Gŭ, furioso, ordina di sterminare tutti i neonati del paese in modo che il piccolo Zhào non abbia scampo.
Chéng Yīng si consulta col principe Chŭjiù 公孫杵臼, un vecchio amico di Zhào Dún, ed i due si rendono conto che l’orfanello potrà essere salvato soltanto se l’uno sacrificherà il proprio figlio e l’altro la propria vita.
Chéng Yīng consegna a Chŭjiù il proprio figlio, nato da poche settimane, e poi si reca da Tú‘àn Gŭ a denunciare che il principe nasconde presso di sé l’orfanello. Chŭjiù ed il neonato vengono uccisi.
Chéng Yīng, disprezzato da tutti come un vile delatore, entra al servizio di Tú‘àn Gŭ, portando con sé il proprio figlio Chéng Bó 程勃, che in realtà non è altri che il piccolo Zhào.
Tú‘àn Gŭ, che non ha figli, finisce per affezionarsi al giovane Chéng Bó e lo adotta come proprio figlio.
Diventato adulto, Chéng Bó, comincia ad avere dei sospetti sulla propria origine e, alla fine, Chéng Yīng gli rivela che egli è in realtà l’ultimo superstite della famiglia Zhào, sterminata molti anni prima per ordine di Tú‘àn Gŭ.
Chéng Bó si rende conto che è suo dovere vendicare lo sterminio dei propri cari ed uccide Tú‘àn Gŭ. In seguito, con il nome di Zhào Wŭ 趙武 (5), riprende i titoli e recupera i beni e le cariche che appartenevano alla sua famiglia.
La fama di questo dramma deriva soprattutto dal fatto che fu la prima opera teatrale cinese ad essere tradotta in una lingua occidentale.
Esso fu infatti tradotto in francese (6) nel 1731 dal missionario gesuita Joseph Henri Marie de Prémare ( 1666-1736), che ne inviò da Macao la traduzione a Étienne Fourmont, membro dell’Académie de France.
Il testo finì tuttavia dapprima nelle mani di un altro gesuita, il padre Jean-Baptiste Du Halde (1674-1743), che, invece di trasmetterlo a Fourmont, lo inserì nel quarto ed ultimo volume della sua “Description géographique, historique, chronologique, politique et physique de l’Empire de la Chine et de la Tartarie Chinoise”, pubblicata a Parigi nel 1735 e, successivamente, all’Aja nel 1736.
Il libro ottenne un enorme successo e fu presto tradotto dal francese in numerose altre lingue europee.
Le sue traduzioni inglesi (7), in particolare quella del 1738-1741, furono all’origine dello straordinario interesse per la Cina che si diffuse in Inghilterra nella seconda metà del XVIII° secolo.
Nel 1741 William Hatchett compose un primo adattamento teatrale del testo, che fu intitolato “The Chinese Orphan. An Hystorical Tragedy”. Il dramma, inteso come un attacco politico al primo ministro dell’epoca, Sir Robert Walpole, non fu mai messo in scena.
A Vienna, l’imperatrice Maria Teresa chiese al Metastasio di comporre, su questo tema, un dramma per una recita di corte. Il Metastasio scrisse perciò nel 1752 “l’Eroe Cinese”, la cui trama appare però ridotta e semplificata rispetto a quella del dramma originario, forse perché la recita era prevista a livello amatoriale e con l’intervento di pochi attori.
Nel 1752, Voltaire trasse spunto dalla storia di Zhào per scrivere “L’Orphélin de la Chine”. Egli osservò che il dramma cinese rappresentava “un valido monumento dell’Antichità che ci fornisce un’immagine della Cina molto più precisa di quella offertaci da tutte le storie che sono state scritte e che saranno scritte su questo vasto impero”, pur lamentando che il mancato rispetto delle regole concernenti l’ unità di tempo, di luogo e di azione lo rendessero simile ad alcune delle “mostruose farse” di Shakespeare o di Lope de Vega. Voltaire collocò tuttavia la storia all’epoca di Gengis Khan e vi introdusse anche un elemento che non figurava nel testo originario: la passione del tiranno per la madre dell’orfanello. Il dramma fu messo in scena alla Comédie Française nell’agosto del 1755 e riscosse un discreto successo.
Nel 1756, il drammaturgo irlandese Arthur Murphy scrisse “The Orphan of China”, rappresentato per la prima volta a Londra, con grande successo, nel 1759. Egli omise il tema della passione amorosa, che era stato introdotto da Voltaire e tornò a dare prevalenza al tema della vendetta.
Infine, nel 1834, Stanislas Julien, professore di lingua e letteratura cinese al Collège de France, pubblicò la prima versione completa dell’opera, ivi incluse le arie musicali, traducendo il tutto direttamente dal testo originale.
Riporto, qui di seguito, la mia traduzione di una delle scene più drammatiche dell’opera.
Atto I , SCENA VI
(Chéng Yīng, proveniente dall’interno del palazzo ducale, si dirige in fretta, con una grossa borsa in mano, verso il portone che è sorvegliato dal generale Hán Jué e dai suoi soldati.)
Chéng Yīng: Porto in questa borsa, piena di erbe medicinali, l’orfanello della famiglia Zhào. O Cielo, abbi pietà di noi! Per fortuna le porte del palazzo sono sorvegliate dal generale Hán Jué che deve la sua carriera al ministro Zhào Dùn. Se avessi la fortuna di incontrarlo all’uscita, io e questo bimbetto potremmo salvarci.
(mentre sta per uscire, si sente un ordine)
Hán Jué: (ai soldati) Fermate quell’uomo con la borsa delle medicine! (a Chéng Yīng) Tu, chi sei?
Chéng : Sono un medico. Il mio nome è Chéng Yīng.
Hán: Dove stai andando?
Chéng: Ho portato una medicina alla principessa ed ora torno a casa.
Hán: Di che medicina si tratta?
Chéng: Era uno sciroppo di cardiaca. (8)
Hán: Che cos’hai nella borsa?
Chéng: La mia scorta di erbe medicinali.
Hán: Quali sarebbero?
Chéng: Ho delle radici di campanula (9), delle stecche di liquirizia e della menta.
Hán: Hai qualcos’altro nascosto nella borsa?
Chéng: No! Assolutamente nulla!
Hán: Se è così, puoi andare.
(Chéng fa per allontanarsi, ma Hán lo richiama)
Hán: Torna indietro, Chéng Yīng! Che cos’hai nella borsa?
Chéng: Ho soltanto delle erbe medicinali.
Hán: Sei sicuro di non avere nient’altro?
Chéng: Ne sono assolutamente sicuro.
Hán: Allora, vai pure.
(Chéng fa di nuovo per allontanarsi, ma Hán lo richiama una seconda volta)
Hán: Torna indietro, Chéng Yīng! Il tuo comportamento non mi sembra chiaro: quando ti dico che puoi andartene ti allontani con la velocità di una freccia, quando ti dico di tornare indietro cammini a passi lenti lenti. Dimmi, Chéng Yīng: tu pensi davvero che io non ti conosca? (canta) (10)Tu eri al servizio della famiglia di Zhào Dùn, io invece sono un subordinato di Tú‘àn Gŭ. Tu stai cercando di nascondere quel prestigioso rampollo (11), che non ha ancora compiuto un mese di vita. (con volto accigliato) Mi capisci, Chéng Yīng? (canta di nuovo) Come pensi di poter scappare da questa tana di bestie feroci che non ha uscite? Non sarei l’ufficiale in seconda di Tú‘àn Gŭ, se ti lasciassi andar via senza interrogarti. (aggiunge) Chéng Yīng, io penso che tu stia facendo quel che fai per devozione alla famiglia Zhào.
Chén: Devo senz’altro ammettere che sono riconoscente alla famiglia Zhào della benevolenza con cui mi ha sempre trattato.
Hán (cantando): Tu mi dici che hai un debito di riconoscenza verso i Zhào, però io temo che, anche volendolo, ti sarà difficile tirarti fuori dalla situazione in cui ti sei cacciato. Tutte le porte, interne ed esterne, sono strettamente sorvegliate. Non c`è nè in terra né in cielo un solo posto in cui tu possa trovare rifugio. Anche se tu ritornassi indietro, saresti accuratamente perquisito ed il bambino verrebbe scoperto. Non puoi salvarti! Non hai più scampo! (rivolgendosi ai soldati di guardia) Ritiratevi! Andate a riposarvi un momento e ritornate quando vi chiamerò.
Le guardie: Agli ordini!
(Allontanati i soldati di guardia, Hán apre la borsa e vede il neonato)
Hán: Chéng Yīng! Tu mi parlavi di radici di campanula, di stecche di liquirizia e di menta, ma io qui trovo anche del ginseng. (12)
(Chéng Yīng si getta disperato ai piedi di Hán Jué, il quale continua a cantare. Appare la fronte del neonato imperlata di sudore, si vedono gli angoli della bocca da cui cola ancora il latte del seno materno, il corpicino che si contorce in continuazione e un paio d’occhietti sbarrati. Esce dalla borsa un suono simile ad un gorgoglío. Tutto avvolto nelle fasce, il bimbo cerca, senza riuscirci, di liberare i piedini, come se si sentisse stretto in una morsa. Sembra un adulto angosciato, anziché un bimbo senza pensieri).
Chéng: Non ve la prendete con me, Signore! Lasciate che io vi dica come stanno realmente le cose: Vi ricorderete di certo che Zhào Dùn era un apprezzato ministro del duca di Jìn e che Tú‘àn Gŭ, provandone gelosia, gli aizzò contro un feroce mastino perché lo sbranasse. (13) Zhào Dùn riuscì a sottrarsi all’attacco e uscì di corsa dalla porta del palazzo. Nel cortile, Líng Zhé, grato perché Zhào Dùn gli aveva un tempo salvato, la vita (14), gli venne in aiuto e lo accompagnò sino al suo cocchio. Zhào Dùn ci salì sopra e fuggì tra le montagne. Nessuno sa che fine abbia fatto.
Il duca Líng (15) credette alle calunnie di Tú‘àn Gŭ e concesse pieni poteri a quel malvagio. Suo cognato (16) fu costretto ad uccidersi e con lui era destinata ad estinguersi l’intera famiglia Zhào. (17) Più tardi, la principessa fu confinata in questo gelido palazzo, senza una sola persona amica che le stesse intorno. Partorì un bambino, che fu chiamato l’”orfanello”. Madre e figlio non avevano nessuno su cui contare. La principessa ha nascosto il bambino e me lo ha affidato perché io lo salvi dal pericolo. Fra molti anni, quando sarà adulto, potrà prendersi cura delle sepolture dei suoi familiari. (18) Ora che mi sono imbattuto in voi generale, vi imploro di aiutarmi. Se voi spezzaste questo germoglio, uccidendo il neonato voi estinguereste la sua famiglia, spegnereste la sua casata. Come potete avere il coraggio di farlo?
Hán: Ti rendi conto, Chéng Yīng, che se io consegnassi questo bambino a Tú‘àn Gŭ sarei colmato di ricchezze e di onori? Ma io, Hán Jué, sono un uomo che ha un nome e un rango. (19) Come potrei mai compiere una tale infamia? (ricomincia a cantare) Se consegnassi il bambino, avrei riconoscimenti e vantaggi di carriera, ma non si direbbe che ho badato soltanto al mio interesse rovinando gli altri? Povero piccolo, che, invece di ricevere baci ed affetto, è perseguitato senza sosta da chi vuole ucciderlo. (riflette) Se Tú‘àn Gŭ vedesse questo orfanello …(canta di nuovo) Temo che non riceverò alcuna decorazione da appuntarmi al petto perché non ho nessuna intenzione di meritarmela con un’”impresa” di questo genere. (si rivolge a Chéng Yīng) Tu, prendi l’orfanello e vattene! Se Tú‘àn Gŭ mi domanderà che cos`è successo, ne risponderò io al tuo posto.
Chéng : Grazie infinite, Generale! (prende la borsa con il neonato e fa per allontanarsi, ma torna subito indietro e si getta ai piedi di Hán Jué)
Hán: Quando ti ho detto di andartene, Chéng Yīng, non l’ho detto per scherzo. Vattene via subito!
Chéng: Grazie, grazie, Generale! (se ne va, ma torna immediatamente indietro)
Hán: Perché torni indietro, Chéng Yīng? (canta) Ah, ho capito: tu hai paura che io ti stia tendendo un tranello. Ora vedo perché sospiri….(in tono serio) Chéng Yīng! (canta) Se tu temi di rischiare la vita, chi dovrebbe esporsi al tuo posto per salvare l’orfanello? Non si dice forse che il servitore fedele non ha paura di morire e che chi ha paura di morire non è un servitore fedele?
Chéng: Se io esco dalla porta di questo palazzo, Generale, voi lo riferirete a Tú‘àn Gŭ, che mi farà inseguire e catturare. Allora sarà davvero finita per questo povero orfanello. Basta! Basta! Basta! Fatemi arrestare, Generale, ed incassate la vostra ricompensa. Preferisco morire qui, subito, insieme con l’orfanello di casa Zhào.
Hán: Chéng Yīng! Vedo che non ti fidi proprio quando ti dico di andartene.
(canta) Tu cerchi disperatamente di salvare l’ultimo erede della famiglia Zhào, ma io che cos’ho a che fare con quel quel farabutto di Tú‘àn Gŭ? Ebbene, mostrerò a tutti i miei soldati che sono un uomo d’onore. Tu sei un servitore devoto ed anch’io voglio essere una persona in cui si può aver fiducia. Come tu sei disposto ad affrontare la morte per portare in salvo l’orfanello, così io sono pronto, per salvarlo, a tagliarmi la gola.
Oh, quant’è difficile esprimere con le parole ciò che sento in me!
Non vuoi davvero capire, Chén Yīng? Prendi l’orfanello e fuggi lontano tra le montagne, poi educalo finché non sia diventato adulto ed insegnagli a coltivare gli studi e a praticare le arti marziali perché possa prendere il controllo dell’esercito e mettere le mani su quel brigante di Tú‘àn Gŭ spaccandogli la testa e facendolo a pezzi per vendicare i suoi familiari. Così non avrà dimenticato l’odio inestinguibile che tu ed io portiamo a Tú‘àn Gŭ (20) e, nonostante i pericoli e le difficoltà, si sarà preso con successo la rivalsa del torto fatto alla sua famiglia.
Vai ora, Chéng Yīng, e non aver paura. Allorché mi chiederanno di fornire spiegazioni, come potrò sopportare le torture cui mi sottoporrà quel farabutto? Ebbene, sono pronto ad uccidermi. (21) Anche se non potrò lasciare un nome glorioso nei secoli (22), sarà bello andare a tenere compagnia all’anima leale di Chú Ní. (23)
Tu , tu, tu dovrai vegliare senza riposo su questo orfanello, che deve essere la linfa vitale di casa Zhào. Quando sarà divenuto adulto, raccontagli ciò che è accaduto e non dimenticarti di insegnargli che deve vendicarsi del suo nemico. Fa’ in modo che non dimentichi il gran sacrificio che io ho compiuto per lui. (si taglia la gola con la spada)
Chéng Yīng: Ahimè! Il generale Hán si è ucciso. Che cosa succederebbe se i soldati si accorgessero di ciò che è accaduto e ne informassero Tú‘àn Gŭ? Devo prendere in braccio l’orfanello e scappare in gran fretta.
(allontanandosi recita i seguenti versi):
Leale e virtuoso era il generale Hán
che si è ucciso per salvare l’orfano.
Me ne vado ora con animo sereno.
Nel villaggio di Tàipíng vedrò che fare.
(Esce di scena)
NOTE
1) L’opera appartiene al genere “zájù” 雜 劇 (letteralmente: “dramma vario ”) fiorito all’epoca della dinastia Yuán 元朝 (1271 d.C.-1368 d-C.), che era caratterizzato da un insieme di recitativi (in prosa e in versi), di arie musicali, di danze e di pantomime.
2) Questo drammaturgo, di cui non ci è pervenuto alcun dato biografico, fu autore di 6 opere, di cui la più nota è quella comunemente conosciuta come “L’Orfano della Famiglia Zhào”( 趙氏孤兒 “zhàoshì gū’ér”).
3) Il dramma trae lo spunto dagli intrighi politici alla corte del duca di Jìn 晉 che, intorno alla fine del VII° secolo a.C., portarono al massacro dei Zhào 趙氏 e alla successiva vendetta del solo superstite della famiglia. La vicenda è narrata da Sīmă Qiān 司馬遷 nelle sue “Memorie Storiche”( 史记 “shĭjì”), al capitolo 43 della parte dedicata alle “Case Principesche”( 世家 “shìjiā), intitolato “La Casa dei Zhào” ( 赵世家 “zhàoshìjiā”).
4) Il duca Jĭng di Jìn regnò dal 600 a.C. al 581 a.C.
5) Zhào Wŭ 趙武 ( nato intorno al 597 a.C., morto intorno al 540 a.C.), sopravvissuto fortunosamente allo sterminio della sua famiglia, fu in seguito ministro del duca Píng di Jìn 晉平公.
6) Il De Prémare tradusse tuttavia soltanto i recitativi. Per i testi delle arie musicali fu invece necessario attendere la traduzione di Stanislas Julien del 1834.
7) Una prima traduzione in inglese venne effettuata da Richard Brookes nel 1736. La seconda fu compiuta dall’irlandese Green e dallo scozzese Guthrie. I due ci lavorarono insieme dal 1738 al 1741, ma il risultato della loro collaborazione non dovette essere esaltante, se prestiamo fede ad una battuta del famoso lessicografo Samuel Johnson, secondo cui “Green diceva che Guthrie non padroneggiava l’inglese e Guthrie sosteneva che Green non capiva il francese”. La terza traduzione, quella di Thomas Percy, del 1762, fu in sostanza una revisione della traduzione di Green e Guthrie.
8) Il termine 益母 (“yìmŭ ) designa la cardiaca (nome scientifico:”leonurus cardiaca”), pianta erbacea perenne appartenente alla famiglia delle Lamiaceae, che, per la sua azione sedativa, era usata nella medicina tradizionale come rimedio a palpitazioni, dolori mestruali e disturbi gastrici.
9) Il termine 桔梗 (“jiégĕng”) designa le radici della campanula cinese (nome scientifico: “platycodon grandiflorus”) che, nella medicina tradizionale , erano usate come antinfiammatorio e per la prevenzione di tosse e raffreddore.
10) L'annotazione "canta" indica i punti in cui si passa dal "recitativo" ad un "aria musicale". Sembra che i testi più antichi riportino i titoli delle arie, menzionati dal Julien nella trascrizione in uso all'epoca della sua traduzione ("Ho si heou ting hoa","Ki tsan eul", "Tsoui tchan tien", "Tsou fou kouei", "Tsan cha wei", "Tsing ko eul"), ma la melodia di queste arie è andata perduta. Sarebbe possibile, consultando le liste disponibili dei "cípái" 词牌, ricostruire i titoli in caratteri cinesi, ma tale ricerca non apporterebbe nessun elemento supplementare alla conoscenza dell'opera.
11) Hán Jué usa l’espressione 麒麟種 (“qílín zhōng”), il cui significato letterale è “discendenza dell’unicorno”, come metafora per esprimere il sospetto che Chéng Yīng nasconda nella sua borsa il neonato che è l’ultimo esponente di una famiglia importante e prestigiosa.
12) Il ginseng è chiamato in cinese 人參 (“rénshēn”) perché la forma caratteristica delle sue radici ricorda una figura umana, come quella del neonato che Hán ha appena visto nascosto nella borsa.
13) Chéng Yīng riassume qui per sommi capi una storia che è raccontata con abbondanza di particolari nelle già citate “Memorie Storiche” di Sīmă Qiān e nei “Commentari di Zuŏ” ( 左传 “zuŏ zhuàn”).
14) Una dettagliata descrizione di quest’episodio è fornita dal “Commentario di Gōngyáng” ( 公羊傳 “gōngyáng zhuàn) nel capitolo relativo al “Sesto anno di regno del duca Xuān di Lŭ”( 宣公六年 “xuān gōng liù nián”):
“A quel punto, i soldati che stavano in agguato si gettarono su Zhào Dùn, ma uno di essi, invece di assalirlo, gli si pose al fianco e lo difese con le proprie armi, consentendogli così di raggiungere il suo cocchio, che aveva lasciato nel cortile del palazzo. Zhào Dùn, salendo sul cocchio, gli domandò “Perché mi hai aiutato?” L’altro gli rispose: "Perché, una volta, avete spartito il vostro cibo con me mentre stavo morendo di fame in un bosco.” “Chi sei?” gli domandò ancora Zhào Dùn. “Che importanza ha conoscere il mio nome in un momento come questo?” gli rispose il soldato."
Da altre fonti sappiamo che il soldato si chiamava Líng Zhé 靈輒 e che molti anni prima era stato soccorso da Zhào Dùn mentre vagava stremato in una foresta.
15) Il duca Líng di Jìn 晋灵公 regnò dal 620 a.C. al 607 a.C.
16) Si tratta di Zhào Shuò 趙朔, figlio di Zhào Dùn 趙盾 e padre dell’orfanello, che aveva sposato una sorella del duca Líng.
17) L’originale reca 滅九族都無活路 (“miè jiǔzú dōu wú huólù”) che, letteralmente, significa “nove generazioni non poterono più vivere”.
18) Troviamo qui un tratto caratteristico della cultura cinese: è importante perpetuare la stirpe perché i discendenti possano ricordare ed onorare gli antenati. Già all’epoca di Confucio si riteneva perciò che uno dei più gravi peccati contro la “pietà filiale” fosse il non preoccuparsi di avere dei figli. La venerazione degli antenati, che assumeva aspetti quasi religiosi, fu risolutamente osteggiata dai missionari cattolici, la cui intransigenza su questo punto fu il principale motivo della loro cacciata dalla Cina agli inizi del XVIII° secolo.
19) L’espressione 頂天立地 (“dǐng tiān lì dì”) che si può rendere con “ la testa in cielo, i piedi sulla terra” è un’espressione idiomatica usata per indicare una persona che è grande sia per le cariche che ricopre sia per la sua statura morale. Hán Jué intende qui dire che la sua reputazione e le alte funzioni da lui svolte lo vincolano ad un comportamento giusto e dignitoso.
20) Hán Jué prova gli stessi sentimenti di Chéng Yīng perché conosce la rettitudine dell’ex primo ministro Zhào Dùn, sotto il cui governo ha compiuto la propria carriera militare, e la malvagità di Tú‘àn Gŭ.
21) Ho qui usato, genericamente, il verbo “uccidersi” perché, se nella frase c`è l’espressione 撞階 (“zhuàng jiē”) che può essere letta come “sbattere la testa contro i gradini”), più tardi viene usata l’espressione 自刎 (“zìwĕn”) che significa “tagliarsi la gola”. Potremmo trovarci di fronte ad una distrazione dell’autore, il quale ha forse pensato a Chú Ní, il personaggio menzionato subito dopo, che si suicidò sbattendo la testa contro una colonna.
22) Il termine (香名“xiāng míng”), letteralmente “nome profumato”, indica la gloria. Hán Jué sa che, suicidandosi, non potrà più compiere le grandi imprese militari che potrebbero rendere il suo nome famoso nei secoli, ma preferisce obbedire ai dettami della coscienza e dell’onore.
23) Chú Ní 鋤麑 era un soldato che fu incaricato dal duca di Jìn di assassinare il primo ministro Zhào Dùn. Penetrato di nascosto in casa di quest’ultimo, Chú Ní lo scorse mentre stava consumando un pasto estremamente frugale. Convinto che un uomo di abitudini così austere non potesse essere un politico corrotto, Chú Ní non fu capace di colpirlo, ma si uccise invece lui stesso sbattendo la testa contro una colonna.
(程婴做慌走上,云)我抱着这药箱,里面有赵氏孤儿。天也可怜,喜的韩厥将军把住府门,他须是我老相公抬举来的。若是撞的出去,我与小舍人性命都得活也
〔做出門科〕〔正末云〕小校,拿回那抱藥箱兒的人來。你是什麼人?〔程嬰云〕我是個草澤醫人,姓程,是程嬰。〔正末云〕你在那裡去來?〔程嬰云〕我在公主府內煎湯下藥來。〔正末云〕你下什麼藥?〔程嬰云〕下了個益母湯。〔正末云〕你這箱兒裡面什麼物件?〔程嬰云〕都是生藥。〔正末云〕是什麼生藥?〔程嬰云〕都是桔梗、甘草、薄荷。〔正末云〕可有什麼夾帶?〔程嬰云〕並無夾帶。〔正末云〕這等你去。〔程嬰做走,正末叫科,云〕程嬰回來。這箱兒裡面是什麼物件?〔程嬰云〕都是生藥。〔正末云〕可有什麼夾帶?〔程嬰云〕並無夾帶。〔正末云〕你去。
程嬰做走,正末叫科,云〕程嬰回來。你這其中必有暗昧。我著你去呵,似弩箭離弦,叫你回來呵,便似氈上拖毛。程嬰,你則道我不認的你哩!〔唱〕
你本是趙盾家堂上賓,我須是屠岸賈門下人。你便藏著那未滿月麒麟種,〔帶雲〕程嬰你見麼?〔唱〕
怎出的這不通風虎豹屯?我不是下將軍,也不將你來盤問。〔云〕程嬰,我想你多曾受趙家恩來。〔程嬰云〕是知恩報恩,何必要說。〔正末唱〕你道是既知恩合報恩,只怕你要脫身難脫身。前和後把住門,地和天那處奔?若拿回審個真,將孤兒往報聞,生不能,死有准。
云〕小校靠後,喚您便來,不喚您休來。〔卒子云〕理會的。〔正末做揭箱子見科,云〕程嬰,你道是桔梗、甘草、薄荷,我可搜出人參來也。〔程嬰做慌,跪伏科〕〔正末唱〕
見孤兒額顱上汗津津,口角頭乳食噴;骨碌碌睜一雙小眼兒將咱認,悄促促箱兒里似把聲吞;緊綁綁難展足,窄狹狹怎翻身?他正是成人不自在,自在不成人程嬰詞云〕告大人停嗔息怒,聽小人從頭分訴:想
趙盾晉室賢臣,屠岸賈心生嫉妒;遣神獒撲害忠良,出朝門脫身逃去;駕單輪靈輒報恩,入深山不知何處。奈靈公聽信讒言,任屠賊橫行獨步。賜駙馬伏劍身亡,滅九族都無活路。將公主囚禁冷宮,那裡討親人照顧?遵遺囑喚做孤兒,子共母不能完聚。才分娩一命歸陰,著程嬰將他掩護。久以後長立成人,與趙家看守墳墓。肯分的遇著將軍,滿望你拔刀相助。若再剪除了這點萌芽,可不斷送他滅門絕戶?〔正末云〕程嬰,我若把這孤兒獻將出去,可不是一身富貴?但我韓厥是一個頂天立地的男兒,怎肯做這般勾當!〔唱〕。
我若是獻出去圖榮進,卻不道利自己損別人。可憐他三百口親丁盡不存,著誰來雪這終天恨。〔帶雲〕那屠岸賈若見這孤兒呵,〔唱〕怕不就連皮帶筋,捻成齏粉。我可也沒來由立這樣沒眼的功勛。
云〕程嬰,你抱的這孤兒出去。若屠岸賈問呵,我自與你回話。〔程嬰云〕索謝了將軍。〔做抱箱兒走出又回跪科〕〔正末云〕程嬰,我說放你去,難道耍你?可快出去!〔程嬰云〕索謝了將軍。〔做走又回跪科〕〔正末云〕程嬰,你怎生又回來?〔唱〕
敢猜著我調假不為真,那知道蕙嘆惜芝焚。去不去我幾回家將伊盡,可怎生到門前兜的又回身?〔帶雲〕程嬰,唱〕你既沒包身膽,誰著你強做保孤人?可不道忠臣不怕死,怕死不忠臣。
程嬰云〕將軍,我若出的這府門去,你報與屠岸賈知道,別差將軍趕來拿住我程嬰,這個孤兒萬無活理。罷,罷,罷!將軍,你拿將程嬰去,請功受賞。我與趙氏孤兒,情願一處身亡便了。〔正末云〕程嬰,你好去的不放心也!唱〕醉扶歸你為趙氏存遺胤,我於屠賊有何親?卻待要喬做人情遣眾軍,打一個回風陣。你又忠我可也又信,你若肯舍殘生我也願把這頭來刎。
端的是一言一言難盡,
帶雲〕程嬰,〔唱〕你也忒眼內眼內無珍。將孤兒好去深山深處隱,那其間教訓成人,演武修文;重掌三軍,拿住賊臣;碎首分身,報答亡魂,也不負了我和你硬踩著是非門,擔危困。
帶雲〕程嬰,你去的放心者。〔唱
能可在我身兒上討明白,怎肯向賊子行捱推問!猛拚著撞階基圖個自盡,便留不得香名萬古聞,也好伴
鋤麑共做忠魂。你,你,你要殷勤,照覷晨昏,他須是趙氏門中一命根。直等待他年長進,才說與從前話本,是必教報仇人,休忘了我這大恩人。〔自刎下〕
程嬰云〕呀,韓將軍自刎了也。則怕軍校得知,報與屠岸賈知道,怎生是好?我抱著孤兒須索逃命去來。〔詩云〕韓將軍果是忠良,為孤兒自刎身亡。我如今放心前去,太平莊再做商量。〔下〕