TÀO YUĀN MÍNG
(365 d.C.- 427 d.C.)
Di Tào Yuān Míng 陶 淵 明 è celebre l’orgogliosa frase con cui si dimise
dalle sue funzioni per non dover accogliere con tutti gli onori a Péngzé 彭 澤 , il villaggio da lui amministrato, un alto funzionario disonesto e corrotto: “Non sarà un sacco di riso a farmi piegare la schiena di fronte a persone spregevoli”.
Tao Yuān Ming non si pentì mai di quella decisione( anche se essa lo privò del modesto stipendio statale garantito dal “posto fisso”) ed accettò con animo sereno le difficoltà di un’ esistenza marcata da fatiche e stenti.
In questo suo breve racconto intitolato “Táo huā yuán jì” 桃 花 原 記 (“La storia della sorgente dei fiori di pesco”) Tào Yuān Míng immagina l’esistenza di un paese felice, al di fuori del tempo e dello spazio. La stessa storia fu poi ripresa da Wáng Wéi 王 維 nella sua poesia intitolata “Táo yuán xíng” 桃 原 行 ( “Il canto della sorgente dei peschi”, v.pagina“Poesie Cinesi”).
Nella “Vita del signor Cinque Salici”, breve scritto di carattere autobiografico che riporto dopo “La storia della sorgente dei fiori di pesco”, egli mette in risalto come la libertà conquistata con la rinuncia alla carriera pubblica, che gli permette di coltivare la sua passione per la poesia e di determinare senza coazioni esterne i propri comportamenti, compensi ampiamente i problemi materiali che lo tormentano in continuazione.
La Storia della Sorgente dei Fiori di Pesco
All’epoca in cui regnò la dinastia Jìn (1), e precisamente durante l’era Tàiyuán (2), c’era un pescatore di Wŭlíng (3) che, un giorno, risalendo con la sua barchetta il corso di un torrente, si allontanò, senza rendersene conto, dai posti conosciuti. Improvvisamente, si ritrovò in mezzo ad un boschetto di peschi fioriti. Sulle due rive, per molte centinaia di passi, c’erano soltanto alberi di pesco, dai cui rami cadevano, in un turbinio incessante, splendidi petali profumati.
Il pescatore fu molto sorpreso da questa visione, ma andò avanti, perché voleva vedere fin dove giungesse quel boschetto.
Il pescheto finiva proprio accanto alla sorgente del corso d’acqua, dietro la quale si ergeva una montagna. Nella parete rocciosa si scorgeva una fenditura dalla quale sembrava filtrare un po’di luce. Il pescatore lasciò la barchetta e penetrò nella fessura della roccia che, all’inizio, era così stretta da lasciar passare una sola persona. Dopo qualche decina di passi però la galleria sbucava improvvisamente all’aperto in un’ampia pianura, tutta circondata dalle montagne, ed apparivano d’un tratto alla vista numerose e magnifiche case. C’erano bei campi, deliziosi laghetti, filari di gelsi, boschetti di bambù, ed altre cose dello stesso genere. Sui sentieri che si intersecavano tra i campi si sentivano abbaiare i cani, chiocciare le galline. Uomini e donne indossavano abiti di foggia mai vista, come gli stranieri. Vecchi e giovani avevano un aspetto lieto e sereno.
Coloro che scorsero per primi il pescatore ne furono grandemente sorpresi e gli chiesero da dove venisse. Il pescatore glielo spiegò. Allora lo invitarono a casa loro, gli offrirono un bicchiere di vino, tirarono il collo ad una gallina e prepararono da mangiare. Nel villaggio si sparse la voce che era arrivato un forestiero e tutti vennero a fargli domande.
Raccontarono poi che, per sfuggire ai disordini che si erano verificati ai tempi della dinastia Qín (4), i loro antenati avevano preso con sé mogli, figli e compaesani e si erano rifugiati in quell’angolo nascosto, da cui non erano più usciti. Così erano vissuti separati dal mondo esterno.
Gli domandarono come andassero le cose ora. Non sapevano che fosse esistita la dinastia Hàn (5), per non parlare dei Wèi (6) e dei Jìn.
Il pescatore spiegò loro minuziosamente ciò che era accaduto nei secoli precedenti e tutti lo ascoltarono pieni di stupore, sospirando.
Tutti gli altri abitanti del villaggio lo invitarono poi nelle loro case, offrendogli da mangiare e da bere.
Dopo essersi trattenuto alcuni giorni nel paese, il pescatore prese congedo. Al momento di salutarlo, gli abitanti del villaggio lo pregarono di non riferire alla gente di fuori della loro esistenza.
Il pescatore uscì, risalì sulla sua barchetta e, rifacendo il percorso all’inverso, lasciò dappertutto dei segni di riferimento per potere in seguito ritrovare la strada.
Appena arrivato in città, si presentò al prefetto e gli riferì ciò che aveva scoperto. Il prefetto mandò subito degli uomini ad accompagnarlo nella
ricerca dei segni che egli aveva lasciato sul percorso, ma la spedizione si
smarrì e non riuscì più a ritrovare la strada che conduceva al villaggio nascosto.
Liú Zĭjì (7) di Nányáng (8) era un uomo di valore. Quando sentì raccontare questa storia si rallegrò e progettò di andare in cerca del villaggio, ma non poté farlo perché si ammalò e morì.
Dopo di lui, nessuno s’è più curato di cercare il paese della felicità.
NOTE
(1) La dinastia Jìn governò la Cina dal 265 d.C. al 420 d.C.
(2) L’era Tàiyuán comprende gli anni che vanno dal 376 d.C. al 396 d.C., sotto l’imperatore Xiàowŭ dei Jìn Orientali.
(3) L’antica Wŭlíng è oggi la città di Chángdé, nella provincia di Húnán.
(4) I” disordini verificatisi all’epoca dei Qín”sono verosimilmente le rivolte e le guerre che fecero seguito alla morte di Qín Shĭ Huáng Dì (210 a.C.) e che portarono infine all’instaurazione della dinastia Hàn (206 a.C.). Si potrebbe però anche pensare che gli abitanti del villaggio si riferiscano alle campagne di conquista del Primo Imperatore, Qín Shĭ Huáng Dì, che indussero molte popolazioni a fuggire dalla Cina ed a cercare scampo in territori ancora deserti.
(5) La dinastia Hàn durò dal 206 a.C.al 220 d.C.
(6) La dinastia Wèi, nota anche come Cáo Wèi, per distinguerla dalla successiva dinastia dei Wèi del Nord, durò dal 220 d.C. al 265 d.C.
(7) Liú Zĭjì è menzionato solo in questo scritto di Tào Yuān Míng. Alcuni commentatori affermano, sulla base di non si sa quale fonte, che era un eremita.
(8) Nányáng, conosciuta nei tempi più antichi come Wănchéng, è una città del Hénán.
(Traduzione di Giovanni Gallo)
15 giugno 2012
L’ideale di una vita semplice e naturale, cui si ispira “La storia della sorgente dei fiori di pesco” 桃 花 原 記 ( táo huā yuán jì ) di Tào Yuānmíng 陶 淵 明 , è enunciato in numerosi capitoli del testo sacro del taoismo con una serie di affermazioni che travalicano ampiamente i limiti di ciò che oggi è considerato “politicamente corretto”. Il capitolo LXXX del Dào Dé Jīng 道 德 經 , qui sotto riportato, può ad esempio facilmente essere visto come l’elogio di una società chiusa ed immobile che rifiuta qualsiasi sviluppo, politico, sociale, intellettuale, economico o tecnico che sia. È però opportuno ricordare che i miti del "paradiso terrestre", dell'"età dell'oro" e del "buon selvaggio" sono sempre stati un elemento fondamentale anche della coscienza religiosa, filosofica e letteraria della nostra civiltà.
Se governassi un piccolo regno con pochi abitanti,
farei in modo che la gente non usasse strumenti capaci di moltiplicare il lavoro dell’uomo,
farei in modo che i cittadini tenessero alla propria vita e non emigrassero in terre lontane.
Se ci fossero imbarcazioni e veicoli, farei in modo che nessuno li utilizzasse.
Se ci fossero armi ed armature, farei in modo che nessuno se ne equipaggiasse.
Farei in modo che il popolo tornasse a contare annodando le corde.
Farei in modo che trovasse piacevole il cibo che mangia ed eleganti le vesti che indossa, confortevoli le case che abita e dignitosi gli usi ed i costumi ereditati dalla tradizione.
Anche se i villaggi degli Stati confinanti fossero così vicini ai nostri villaggi da permetterci di sentire le galline che chiocciano ed i cani che abbaiano i miei sudditi dovrebbero invecchiare e morire senza mai
averli visitati.
小 國
寡 什
使 有 什 伯 之 器 而
不 用
使 民 重 死 而 不 遠
徙
雖 有 舟 輿 無 所 乘
之
雖 有 甲 兵 無 所 陳
之
使 民 復 結 繩 而 用
之
甘 其 食
美 其
服
安 其 居
樂 其
俗
鄰 國 相 望
雞 犬
之 聲 相 聞
民 至 老
死
不 相 往
來
(Traduzione di Giovanni Gallo)
29 giugno 2012
VITA DEL SIGNOR CINQUE SALICI
Non si sa donde venga questo signore né quale sia il suo vero nome. Lo hanno soprannominato così perché accanto alla sua abitazione ci sono cinque salici.
Parla poco e conduce vita ritirata.
Non é ambizioso né avido di denaro.
Gli piace leggere e studiare, ma non si picca di fare il filosofo. Ogni volta che si imbatte in un pensiero interessante, è così felice che dimentica persino di mangiare.
Ama molto il buon vino, ma, essendo povero, di solito non può permetterselo. I vecchi amici, che conoscono questa sua debolezza, lo invitano talvolta a brindare insieme a loro. Allora beve senza ritegno, sino ad ubriacarsi. Quando è ubriaco se ne va via ed è in uno stato di sovrana indifferenza a qualsiasi cosa.
I muri della sua casa sono decrepiti e non lo proteggono né dal freddo né dal caldo.
Il suo abito di ruvida stoffa è tutto stracciato e rattoppato.
La sua scodella di riso è spesso vuota.
Eppure è contento di vivere in questo modo.
Scrive perché ciò lo diverte e gli permette di esprimere i propri sentimenti.
Gli interessi materiali non lo toccano minimamente.
Ed è così che andrà avanti sino alla fine.
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