Jiăng Yun 蒋韵 è nata nel 1954 à Tàiyuān 太原 nello Shānxī 山西, dove è cresciuta, anche se non ha conservato della sua città natale e della sua regione d’origine un ricordo particolarmente felice.
All’età di sedici anni, si trovò coinvolta nella Rivoluzione Culturale e divenne operaia in una fabbrica di materiali da costruzione. Il suo lavoro consisteva nel ritirare i mattoni dal forno e nel disporli in mucchi di dimensioni regolari.
Più tardi fu assegnata ad una squadra che si occupava di impianti idrici ed elettrici.
In quell’epoca ha cominciato a scrivere, forse come compensazione ad un lavoro che le forniva magre soddisfazioni.
Si può quindi affermare che, in un certo senso, faccia parte anche lei di quella corrente letteraria che è nota come “letteratura delle cicatrici” (伤痕”文学的潮流 "shānghén” wénxué de cháoliú).
In seguito alla normalizzazione che seguì la fine della Rivoluzione Culturale, si iscrisse nel 1978 al Dipartimento di letteratura cinese della Scuola Normale di Tàiyuān, dove si diplomò nel 1980 e, successivamente, insegnò dal 1981 al 1992 in qualità di professore d’arte e di letteratura cinese.
Nel 1979 ha pubblicato la sua prima novella, intitolata ”Le mie due figlie”( 我的两个女儿 “wǒ de liǎng gè nǚ'ér”).
Nei successivi trent’anni ha scritto un numero impressionante di romanzi, saggi e novelle, fra i quali spiccano “Pirata della Strada” (现场逃逸 ”xiànchǎng táoyì”) e “Luce nelle tenebre”(冥灯 ”míngdēng”) .
Tutti i suoi scritti sono caratterizzati da una lingua e da uno stile molto personali, che la pongono al di fuori delle correnti letterarie riconosciute.
Jiăng Yùn 蒋韵
Il Distaccamento Femminile Rosso”《红色娘子军》
I
Quel giorno, tre uomini accompagnavano mio marito nella sua escursione sul fiume Singapore.(1) Non conosco quei tre uomini, così come non conosco il fiume Singapore. Molti miei compatrioti hanno visitato Singapore, quel paese insulare, celebre per la sua pulizia, la sua ricchezza, la sua disciplina e i suoi paesaggi affascinanti, ma io non mi sono mai spinta più a sud di Sānyà.(2)
Era circa la metà di novembre e, quella sera, il fiume Singapore era magnificamente illuminato.
Qui, nella nostra città, era già caduta la prima neve e, anche se l’inverno era mite, quasi tutti indossavano spessi abiti invernali.
Quando si imbarcò sul volo della Singapore Airlines, mio marito indossava una giacca a vento. Aveva però portato con sé una camicia ed una giacca elegante, sia perché doveva assistere alla premiazione di un concorso letterario in cui era stato membro della giuria sia perché aveva sottovalutato il caldo.
Si ritrovò quindi sul ponte del battello da crociera sudando abbondantemente, in preda all’impressione che il fiume Singapore fosse un corso d’acqua affollato ed angusto, sebbene sfociasse nel vasto oceano.
In precedenza era stato nelle località più famose, in quei luoghi che un turista non può permettersi di non visitare, come, ad esempio, l’isola di Shéngtàoshā (3), ma non ne aveva ricavato una grande impressione, a causa del calore asfissiante. A Shéngtàoshā, aveva incontrato per caso un gruppo di turisti provenienti da Táiwān, una folta comitiva di giovani che sembravano essere studenti. Erano tutti vestiti all’ultima moda e si mettevano in posa davanti ai suoi occhi, uno dopo l’altro, per farsi fotografare, tutti, senza eccezione, con le movenze, i gesti ed i sorrisi tipici della piccola borghesia che si vedono sui settimanali illustrati.(4) A Shéngtáoshā questi gesti, movimenti e sorrisi si ripetono incessantemente giorno dopo giorno, anno dopo anno. Gli stessi gesti, movimenti e sorrisi nascondono probabilmente tutta Singapore sotto una gigantesca maschera.
Quale sarà il vero aspetto ed il vero sentire di questa città e di questo paese?
Mio marito non poteva fare a meno di domandarselo.
La crociera sul fiume era l’ultimo intrattenimento previsto dagli organizzatori del convegno e si svolgeva durante l’ultima notte del soggiorno a Singapore. ...
Il fiume era illuminato da una moltitudine di lanterne rosse in stile cinese. ...
I motori dei battelli ruggivano.
Ogni battello da crociera aveva un motore assai laborioso e scoppiettante.
I battelli erano piccole barche di legno, che una volta erano usate per trasportare merci, ma che in seguito erano state riciclate ed ornate di lanterne rosse per portare in giro i turisti.
Inutile dire che sul loro battello, mio marito ed i suoi accompagnatori finirono di nuovo in mezzo ai turisti. Erano sempre dei giovani, ma questa volta erano dei ragazzi giapponesi che chiacchieravano ad alta voce tra di loro e si fotografavano a vicenda facendo con le dita il segno della vittoria. Tra il loro chiasso e il rombo del motore, mio marito aveva l’impressione che le acque dense e viscose del fiume stessero penetrando nelle stive del battello.
Due dei tre signori che accompagnavano mio marito si chiamavano Huáng. Per distinguerli l’uno dall’altro potremmo chiamarli provvisoriamente Huáng il vecchio e Huáng il giovane, anche se in realtà erano entrambi più anziani di mio marito. Uno dei due era insegnante e l’altro impiegato in un’azienda. Avevano però un elemento in comune: erano scrittori che scrivevano in cinese. Il terzo signore era un poeta. Si chiamava Luò, cognome tipico della Cina settentrionale. Era di alta statura e portava la barba, come è uso dei Cinesi del settentrione. Questi tre signori avevano accompagnato mio marito per parecchi giorni, sia durante i lavori della conferenza sia durante le escursioni, fungendo anche da autisti e da guide turistiche.
Si era quasi alla fine ed il viaggio stava per terminare proprio come si era svolto sino a quel momento, in modo cortese ed educato, senza lasciare alcuna traccia degna di nota, quando non so chi, forse il poeta barbuto, propose ad un tratto di andare a bere una birra dopo lo sbarco.
Ho appena ricordato che la crociera sul fiume aveva lasciato mio marito sudato, con la pelle appiccicosa e con una sensazione di disagio. Accettò quindi immediatamente e con piacere la proposta di andare a bere una birra fresca.
Così si sedettero ad un tavolo di un ristorantino che cucinava pesce un po’più avanti.
C’era animazione anche nel ristorantino, ma le persone che stavano sedute li a bere e a mangiare non erano più turisti spensierati, erano gente del posto, che viveva la sua vita normale. Ad un tavolo accanto al loro, una famiglia stava celebrando il compleanno di un bambino e le candeline sulla torta illuminavano allegramente il volto del festeggiato.
La birra era molto buona, della marca “Qīngdăo, la preferita da mio marito.
La brezza del fiume o la brezza marina soffiava loro sul viso.
Si creò subito spontaneamente un’atmosfera distesa e tutti si riilassarono. Le luci rosse delle lanterne sul fiume Singapore davano al paesaggio un aspetto poetico, ricco di calore e di sentimento. Senza rendersene conto, cominciarono a parlare di letteratura.
Mio marito non s’aspettava che i suoi interlocutori conoscessero così bene la letteratura cinese di oggi, che fossero così bene informati sui romanzi, sulle poesie e sugli scrittori contemporanei. Non si trattava di una semplice spolveratina, ma di qualcosa di più importante e prezioso, di una conoscenza seria e profonda. Le persone che stavano chiacchierando con lui conoscevano e avevano letto quasi tutte le opere più rilevanti pubblicate negli ultimi tempi, comprese, naturalmente, quelle di mio marito. A mio marito vennero in mente le parole “persone che credono”e lo sguardo caloroso, appassionato che vide brillare negli occhi dei suoi interlocutori gli fece pensare per un momento che al mondo esistesse davvero il romanticismo. (5) Ne fu commosso.
Parlarono anche della loro solitudine di scrittori, che è la più grave delle solitudini. Non sapevano per quante persone scrivessero, forse non avevano neppure un lettore, ma continuavano a scrivere, ad esprimersi, nel loro cinese imbastardito. (6) Non era soltanto passione, era quasi l’unica loro ragione di vivere.
Il vino e la conversazione arrossavano il volto di mio marito.
Li sentì pronunciare una parola, un nome di luogo che a lui non diceva nulla. Non so se chi lo pronunciò fu Huáng il vecchio, Huáng il giovane o Luò, il poeta barbuto, ma il silenzio che seguì quel nome durò parecchi minuti. Era un nome che mio marito non aveva mai sentito, così insolito che un attimo dopo non riusciva più nemmeno a ricordarsene, ma gli spiegarono che quello strano nome significava “isola bella”, “isola verde”.
II
Nei primi anni “80, quando Teresa Teng (7) era popolare sul Continente, la “Serenata dell’Isola Verde” (8) era stata una delle prime canzoni pop di Táiwān che avevo imparato. A quei tempi ero estremamente ignorante e pensavo che l’Isola Verde fosse una sorta di isola dell’amore, romantica e appassionata. Una volta un amico mi domandò: “Ma non sai davvero che cos’è l’Isola Verde? È un campo di concentramento.” Quella sola parola bastò a mandare in frantumi i miei sogni. Ne fui terrorizzata, senza sapermi spiegare il perché, ed in seguito, per molti anni, non cantai più quella canzone che mi faceva paura.
Quella sera mio marito scoprì che le tre persone che gli stavano di fronte: Huáng il vecchio, Huáng il giovane e Luò, il poeta barbuto, erano tutte reduci da “quel posto” a Singapore.
La birra di Qīngdăo era ricoperta da una schiuma simile a neve, ma mio marito ebbe l’impressione che stesse nevicando nel suo cuore e si sentì rabbrividire.
Scoprì che quell’isola ricca, serena e pittoresca aveva avuto un passato sanguinario e brutale.
Sì, queste tre persone, Huáng il vecchio, Huáng il giovane e Luò, erano stati un tempo dei giovani appassionati, animati da ideali rivoluzionari di estrema sinistra. Certo, si era negli anni “50 e “60. In quei tempi turbolenti, la rivoluzione sembrava essere il destino di tutti i giovani idealisti che amavano la libertà e odiavano l’ingiustizia. Per loro tre la “rivoluzione” aveva avuto un significato particolare: a quei tempi il cinese era una lingua proibita. Essi perseverarono a scrivere e ad esprimersi in cinese e furono annientati insieme con il cinese.
“Ci sono rimasto per otto anni” raccontò Huáng il giovane a mio marito.
Huang il vecchio vi era stato detenuto per sei anni e Luò il barbuto per cinque.
Le luci dei battelli da crociera e le lanterne rosse appese lungo le rive illuminavano a giorno il fiume Singapore, ma più lontano l’oceano appariva come un’enorme massa nera. Le luci brillanti della costa, le luci del mondo non riuscivano a penetrare la vasta, insondabile oscurità dell’oceano. Su quella luminosa isola corallina, piccola come un chicco di senape, anche delle persone che si erano incontrate per caso potevano esprimersi con sincerità. Di fronte ad una coppa di vino ancora caldo, il signor Huáng il giovane, l’impiegato che era stato in campo di concentramento per otto anni, si mise spontaneamente a raccontare la storia del “Distaccamento Femminile Rosso”.
“È la storia di un mio compagno di università, di un “anziano” (9) cominciò Huáng il giovane.
Che tipo di persona era questo “anziano”, a cui egli si riferiva?
“Avete presente il film “Il Distaccamento Femminile Rosso” (10), in cui c’è un episodio intitolato “Chángqīng mostra il cammino"? spiegò Huáng il giovane “Ebbene l’”anziano” era un leader simile a Hóng Chángqīng. (11)
Huáng il giovane, che era cresciuto in un paesino di campagna, era stato ammesso all’Università di Singapore. Arrivato al campus universitario, non sapendo bene dove andare per svolgere le pratiche di iscrizione aveva domandato informazioni e la persona a cui si era rivolto aveva preso in mano la sua valigietta di rattan e lo aveva accompagnato, sotto il sole cocente, sino all’ufficio in cui doveva recarsi. Durante il cammino avevano conversato. Huáng aveva osservato che il campus era molto grande e l’altro gli aveva risposto citando un antico detto:” Sì, Cháng’Ān è veramente grande e non è facile viverci”.(12)
La persona che gli aveva fatto da guida in quell’occasione era l’”anziano”.
L’”anziano” era veramente una persona nata per essere un leader.
Studiava economia, ma era a suo agio anche con la poesia e la letteratura.
Occupava una posizione importante nelle organizzazioni studentesche ed era redattore capo di una rivista chiamata “L’Annuncio dell’Aurora”, il cui solo nome già bastava per far capire che si trattava di un foglio rivoluzionario.
L’”anziano” chiese a Huáng il giovane di scrivere un articolo per la rivista e da quel momento il nostro Huáng, il figlio di un pescatore, si trovò coinvolto in avventure avvincenti, pur andando incontro ad un destino arduo e disgraziato.
L’anziano era un bel ragazzo. Il suo volto deciso, dai tratti tipicamente malesi, era caratterizzato da due occhi profondi, luminosissimi, come la stella del mattino che era il titolo della sua rivista. Quando sorrideva, i suoi denti erano così bianchi che facevano male agli occhi. Era il tipo d’uomo destinato ad essere amato dalle donne.
Nel campus c’erano parecchie ragazze a cui piaceva. Molte studentesse - si diceva - partecipavano alle riunioni, alle sfilate e alle altre manifestazioni dell’estrema sinistra soltanto per potergli andar dietro. L’”attrazione” che provavano per lui faceva loro sopportare molte circostanze sgradevoli.
Poi l’”anziano” si innamorò. Si innamorò di una “matricola”, di una ragazza delicata come un bocciolo. Fu un colpo di fulmine. L’”anziano” si innamorò a prima vista di questa ragazzina e fu, sin dal primo momento, un amore per tutta la vita.
La ragazza aveva un nome molto diffuso tra le famiglie di modeste condizioni: si chiamava Mēiyù, Táng Mēiyù.
Táng Mēiyù era una fanciulla quieta, timida e delicata, che rifuggiva dalla politica e dai grandi problemi mondiali e che non provava alcun interesse per la rivoluzione che tanto appassionava l’”anziano”.
Di fronte a lei, quel ragazzo così assertivo e dinamico, quel leader naturale, in un certo modo si calmava, si raddolciva e sembrava vedere, attraverso gli occhi di lei, cose che in precedenza spesso gli sfuggivano come la bellezza delle nuvole che si rincorrevano nel cielo, la chiarezza cristallina delle gocce di rugiada, la varietà dei fiori. Per l’”anziano”, in passato, i fiori erano stati un concetto piuttosto vago, di una bellezza per così dire astratta, mentre ora gli parevano esseri viventi, pronti ad animarsi ad ogni istante. Era veramente un altro mondo, di cui prima non aveva mai avuto il tempo di occuparsi, un mondo banale e minuscolo senza dubbio, eppure, al tempo stesso, vasto e profondo.
In quel mondo circolavano anche personaggi importanti: i fantasmi. L’”anziano” non s’era mai reso conto che ci fosse un così gran numero di fantasmi intorno a lui: nel seminterrato della biblioteca, nel laboratorio, nelle residenze studentesche. Erano fantasmi che, a quanto si diceva, non avevano nulla di terrificante. Erano soltanto persone morte che, pur essendo passate ad un altro mondo, avevano ancora nostalgia di questo. Le storie di questi fantasmi venivano tramandate da una generazione di studenti all’altra ed erano diventate una tradizione nel campus della città universitaria. Una storia del genere riguardava, ad esempio, una coppia di innamorati vissuta nel periodo in cui i costumi sessuali non erano ancora liberi come oggi. Abitavano in un pensionato universitario, il ragazzo al primo piano, dove alloggiavano i maschi, e la ragazza al pian terreno, riservato alle femmine. Le regole in vigore nel pensionato impedivano loro di vedersi se non in rare occasioni. Così ogni sera, all’ora di cena, la fanciulla innamorata preparava per il suo moroso un dolcetto, una zuppa di fagioli rossi o delle polpette di riso al vin dolce. Ogni sera, all’ora di cena, il ragazzo calava dalla sua finestra un canestro di bambù legato ad una corda e la ragazza vi infilava dentro la ciotola con la zuppa di fagioli rossi. Ogni sera, essi si scambiavano in questo modo la testimonianza del loro amore. Un giorno, all’improvviso, a causa di un problema importante, il ragazzo fu autorizzato a rendere visita alla sua amata. Entrò tutto eccitato nella parte dell’edificio in cui erano alloggiate le femmine e le studentesse furono molto sorprese dalla sua visita. “Non c`è più” gli dissero “È morta da piu di un mese”. “Come è possibile?” esclamò il ragazzo, esterrefatto” Ho mangiato ancor ieri sera la zuppa che mi preparava sempre”. Si scoprì poi che la fanciulla si era trasformata in un fantasma e che tornava ogni sera a preparare la cena per il suo innamorato...
Storie così infantili, fantasmi così ingenui facevano spesso ridere l’”anziano”.
Allora Táng Méiyù gli domandava: “Come fai a non aver paura dell’oscurità della notte?”. L’oscurità le faceva paura perché rappresentava l’ignoto e lei temeva le forze che si agitavano nell’oscurità.
Passeggiavano, mano nella mano, sulle rive del mare, guardando come la notte inghiottiva completamente e spietatamente l’oceano. Le luci della costa, le luci di migliaia di case nella città, apparivano basse e fioche, come sospese sul bordo di un’oscurità simile ad un abisso.La fanciulla si rannicchiava accanto al suo “anziano” e, con una vocina che sembrava perdersi nel vento, gli ripeteva la domanda: “Come fai a non aver paura dell’oscurità della notte?”.
III
L’”anziano” fu arrestato dopo una grande manifestazione contro non so più quale disegno di legge. A tarda sera, la polizia militare circondò il campus universitario e portò via l’”anziano” e Huáng il giovane. Mentre lo trascinavano via, l’”anziano”pregò le persone che assistevano al suo arresto di dire a Meiyù che lo dimenticasse.
Nella confusione e nel panico causati da questi avvenimenti forse nessuno si ricordò di riferire alla delicata fanciulla le parole dell’”anziano” o forse lei non ne tenne conto, fatto sta che da quel momento Méiyù cominciò ad aspettare e a cercare il suo “anziano”.
Chiedeva a quasi tutti coloro che incontrava: ”Ditemi dov’è!” e tutti potevano vedere che l’improvviso spavento e lo schock avevano fatto appassire questa fanciulla povera ma bella (13), questo fiore cresciuto in una serra. Stava diventando pazza. Vagava per il campus universitario e per le strade, percorreva il lungomare, si inoltrava sui moli e, una volta, prese addirittura uno dei battelli che andavano a Shéngtàoshā.
...
Si recava in tutti i posti in cui era stata con lui, cercandolo, chiedendo di lui alla gente che incontrava per la strada.
Ogni sera faceva la fila davanti al “Lán Jì” per comprare la sua torta di taro preferita (14).
Quando uscivano insieme, l’”anziano” soleva scherzare con lei, mentre mangiava la torta di taro, dicendole:” Se un giorno saremo separati l’uno dall’altra, non dimenticare che appenderò un canestro di bambù alla mia finestra. Sarà questo il mio segnale di riconoscimento. Quando vedrai il canestro, mettici dentro una torta di taro ed io saprò che sei stata tu”.
“Non necessariamente. Forse sarà un fantasma che verrà a mettere la torta nel canestro.”
Lui rideva e, ponendole un braccio intorno alle spalle delicate, fragili come quelle di una bambina,le rispondeva: “Se il fantasma sarà il tuo fantasma, sarà il fantasma più carino del mondo. Di che cosa dovrei aver paura?”
Dopo la scomparsa dell’”anziano”, la ragazza si mise a girare per la città, con un pezzo di torta di taro in mano, cercando dappertutto una finestra da cui pendesse un canestro di bambù, quasi slogandosi il collo per guardare in alto, inciampando ad ogni passo e sperando in un miracolo.
Quale miracolo?
In mezzo a quel mare di gente, c’erano milioni di finestre, finestre lussuose, finestre semplici, finestre illuminate, finestre buie, ma nessuna era la sua, nessuna portava il suo segno di riconoscimento: il canestro di bambù appeso fuori.
Non le rimase che gettare la torta di taro nell’oscurità del mare, l`immenso canestro di Dio, implorando con timore reverenziale e con sconfinata fiducia: ”Mare, tu sei la mia unica speranza. Soltanto tu puoi portargli questa torta. Te la affido”.
Un giorno, finalmente, mentre attendeva notizie di lui, le giunse un messaggio, un suo messaggio, soltanto pochi caratteri, scritti col sangue su un pezzo di camicia strappata.
Col sangue lui le aveva scritto: “Méiyù, bambina mia, dimenticami e cerca di vivere come meglio puoi”.
La ragazza mostrò il messaggio scritto con il sangue a tutti quelli che conosceva, domandando loro:” Guardate che cosa mi ha scritto! Non vi sembra strano?”.
Andò al molo, tenendo in mano il messaggio scritto col sangue e salì su un traghetto. Quando il traghetto fu al largo si gettò in mare, si lasciò cadere nel “canestro”. Le ultime parole che qualcuno sentì pronunciare dalla poveretta furono:”Mare, tu che puoi farlo, portami da lui, te ne prego!”.
Ci volle molto tempo prima che l’”anziano” venisse a conoscenza di questa tragica fine. Undici anni, vale a dire quattromila gorni e quattromila notti, dovettero trascorrere prima che venisse a sapere ciò che era accaduto.
Per più di quattromila notti, su quell’isola che aveva l’apparenza di un’”isola verde”, le onde tenebrose del mare, succedendosi pazientemente, l’una dopo l’altra, risciacquarono e sbiancarono la sua giovinezza, la sua vita.
Ricordava le parole della fanciulla:” Come fai a non aver paura dell’oscurità della notte?”.
Durante il giorno, le strida dei gabbiani lo spingevano a fantasticare “in libertà”. Chiudeva gli occhi e la immaginava, con estrema precisione, sotto un cielo azzurro. La vedeva sposarsi, dar vita prima ad una figlia, poi ad un figlio, prendere peso, diventare grassottella. Queste fantasticherie gli procuravano dolore, ma lo inorgoglivano anche un po’: era l’orgoglio del sacrificio che aveva compiuto.(15)
Dopo undici anni, scontata la sua pena, l’”anziano” uscì dal carcere. Non aveva ancora quarant’anni, ma le sue tempie erano già grigie. Quando, infine, degli amici gli raccontarono la fine di Táng Méiyù, i suoi capelli incanutirono da un momento all’altro, come era successo a Wῡ Zixῡ dinanzi al valico di Wénzhāo. (16)
Ma la vita continuava.
La lingua cinese non era più proibita, anzi veniva insegnata a scuola e non c’era più bisogno di sacrificarsi per difenderla. S’era trasformata in una materia di superba difficoltà, che terrorizzava i giovani studenti e faceva loro venire il mal di testa. Chi sentiva ancora il bisogno di ricordare che poco tempo prima era stata una lingua perseguitata?
La vita continuava.
Praticamente non succedeva più niente di grave.
...
Col passare del tempo, l’”anziano” si sposò, ebbe dei figli, trovò un lavoro modesto ma sufficiente a nutrire lui e la sua famiglia.
Conduceva una vita ordinaria, quella di coloro che cominciano a lavorare alle nove del mattino e smettono alle cinque del pomeriggio.
Contrariamente alla maggioranza delle persone, che si tingono i capelli per continuare a sembrare giovani, l’”anziano” non faceva nulla per nascondere i suoi capelli, bianchi come la neve, che gli davano l’aspetto di un vecchio dallo sguardo assente, di un poveraccio che aveva sparato tutte le sue cartucce.
La maggior parte dei compagni di università e degli amici del passato avevano cessato di frequentarlo, salvo alcuni che, come ad esempio Huáng il giovane, erano anche loro reduci da “quel posto”.
Fumava molto e sua moglie, per quanto la cosa le desse fastidio, non riusciva ad impedirglielo.
Beveva anche. Si scolava quasi ogni sera qualche bicchiere di alcool di sorgo della marca “Golden Gate”(17), ma non lo si vedeva mai ubriaco, e meno che mai così sbronzo da perdere il controllo di sé. Per lui l’alcool non era altro che un medicinale un po’più gustoso, una sorta di sonnifero.
Nei giorni di festa andava a pescare in riva al fiume, pensando a come era stato limpido un tempo quel fiume.
Questa era pressoché la sua unica distrazione. Gli piaceva la quiete che lo circondava, gli piaceva stare a guardare il fiume, gli piaceva la sensazione di distacco dalla vita reale. Non sarebbe stato in grado di dire se il fiume fosse ricco di pesci, perché assai raramente ne pescava qualcuno.
Coloro che gli passavano accanto avevano tutti l’impressione di vedere un vecchio al tramonto, desolato e indifferente a tutto ciò che accadeva intorno a lui.
Non mangiava più le torte di taro.
Di tanto in tanto, assai di rado, anzi rarissimamente, forse perché aveva bevuto un po più del solito, faceva, come un sonnambulo, una di quelle cose assurde che fanno gli ubriachi: appendeva alla finestra della sua camera da letto una pentola di acciaio inossidabile che aveva legato facendo passare attraverso i due manici una cordicella di nylon. Nella sua immaginazione si trattava probabilmente di un canestro di bambù, un canestro di bambù che permetteva di comunicare con l’altro mondo. Qualche volta un refolo di brezza notturna faceva oscillare la pentola sospesa a mezz’aria senza alcun punto d’appoggio, la quale andava a sbattere contro il muro con un rimbombo sordo che si perdeva nell’oscurità della notte, quella notte sfregiata da tante cicatrici e abitata da tanti spaventi, ma ricca di tanta innocenza.
L’”anziano” s’addormentava e sognava la notte, ma era una notte senza fantasmi.
IV
Ma ecco che arrivò in tournée nel paese una compagnia di balletto.
Il signor Huáng il giovane ne informò per telefono l’”anziano”, che però era già al corrente della notizia. Tutti i mezzi di comunicazione avevano parlato di questo evento, così importante nel settore dello spettacolo. Un corpo di ballo cinese offriva due rappresentazioni: una di esse era una selezione di pezzi classici, l’altra...
“Il Distaccamento Femminile Rosso” disse Huáng al telefono, cercando di mascherare la sua euforia “ Ho trovato due biglietti. I posti sono ottimi. Vuoi venire?”.
L’”anziano” non aveva voglia di andare – gli spettacoli che giocavano sulle emozioni e sui sentimenti lo annoiavano- ma, di fronte al dispiacere e alla delusione di Huáng, non riuscì a mantener fermo il suo proposito.
”Potresti andarci con qualcun altro...”suggerì.
Dall’altro capo del filo ci fu un attimo di silenzio, poi giunse la risposta di Huáng:” Se tu non vieni, non ci vado neppure io. Non mi viene in mente nessun altro che potrei invitare.”
Così, l’”anziano” si presentò a casa del signor Huáng, come d’accordo. Indossava una maglietta a maniche corte, senza colletto. Huáng ne fu sorpreso. Si era dimenticato di ricordargli che per andare a teatro era opportuno un abbigliamento un po’più formale. Non gli era neanche venuto in mente quanto l’”anziano” fosse estraneo ad un posto come il teatro. La signora Huáng tirò fuori in fretta una camicia e un abito di suo marito perché l’”anziano” potesse cambiarsi. L’”anziano” però era più alto del signor Huáng e l’abito tirava. Allargò le braccia e, sorridendo, disse a Huáng: “Una volta, sono stato io a prestarti un vestito. Te ne ricordi ancora?”.
Per tanti anni non avevano quasi mai parlato del passato: era un tabù.
Quel giorno, tuttavia, l”anziano” appariva piuttosto allegro. Il teatro non era molto lontano dalla casa del signor Huáng. Si avviarono, fianco a fianco, proprio come un tempo, quando si incamminavano, fianco a fianco, per recarsi ad una manifestazione, una di quelle manifestazioni che facevano ribollire il sangue della gente. Il sole stava tramontando e l’oceano sembrava in fiamme, tinto di un rosso sanguigno come se qualcuno l’avesse pugnalato. L’”anziano” indossava un abito non suo, che gli cadeva male, rideva senza motivo, con un'allegria forzata (18), e andava a vedere il “Distaccamento Femminile Rosso”.
Il “Distaccamento Femminile Rosso “ risveglia anche in me alcuni ricordi indelebili. Quante volte, di fronte a tutta quella gente sconosciuta che aveva su di me potere di vita e di morte, ho dovuto ripetere quelle parole: “Wú Qiónghuā fu sopraffatta dall’emozione quando vide la bandiera rossa fluttuare al vento e si precipitò innanzi...”Bandiera rossa! Bandiera rossa! Finalmente ti ho trovata...”.(19) La mia voce era tesa, tremante, artefatta. Dinanzi a quella folla non riuscivo a nascondere una specie di disperata vergogna. Di fronte a quella gente, di fronte ad una possibilità di restare in città e di sopravvivere, anche se con un lavoro modesto, sapevo che avrei fallito, ma continuavo a lottare disperatamente, ferendomi ogni volta in modo sempre più orribile.(20) A quell’epoca migliaia di persone condividevano il mio destino: eravamo chiamati “ i giovani della massa” o “ i giovani istruiti”. (21)
Mi ricordo che congiungevo le mani sopra la testa per suggerire la forma di un cappello di bambù e recitavo: “L’acqua del fiume Wán Quàn è limpida, così limpida...voglio intrecciare un cappello di bambù per offrirlo ai combattenti...”.(22)
Potrei quasi dire che quella posa e quella mimica sintetizzano tutta la mia giovinezza.
Non ho mai dimenticato l’urlo che sentii proprio in quell’istante, il grido di una ragazza, acuto come il suono di un fischietto metallico o il verso mai sentito di un uccello sconosciuto: “Gé Huá, tuo padre si è gettato da una finestra”.
Ho ancora ben nitido il ricordo di quel giorno. Il nostro gruppo di propaganda teatrale stava facendo le prove dello spettacolo al quarto piano dell’edificio. In scena, indossavamo camicie di seta rosa ed eravamo vestite come ragazze delle isole (23), ma, non so più per quale ragione, non avevamo i cappelli di bambù.
Il grido echeggiò all’improvviso. Ci precipitammo verso la finestra della stanza, da dove si poteva guardare in basso, e vedemmo l’uomo, che giaceva nel cortile. Le gambe e le braccia erano distese, come a formare il carattere “grande” (24). Il viso sembrava tranquillamente appoggiato al suolo. La scena, almeno a prima vista, non incuteva terrore, non metteva tristezza. Il sangue e la materia cerebrale si erano sparsi in uno spazio estremamente piccolo. Un uomo aveva voluto uccidersi lanciandosi dall’alto e tutta l’energia che aveva posto in quel gesto, tutto l’amore e tutto l’odio racchiusi nel suo corpo non erano riusciti a far altro che a sporcare un angoletto del cortile. Il cielo era rimasto azzurro, gli alberi erano rimasti verdi come prima. I pruni continuavano a fiorire nella splendida volgarità dei loro colori e gli uomini continuavano a vociare: una cerchia di persone vive e vocianti si era formata intorno al cadavere.
Poi, scorsi una ragazza che si faceva largo tra gli astanti. Sembrava fuori di sé. Penetrò all’interno della cerchia dei curiosi, esitò un istante, un attimo solo, e “pfui!”, d’improvviso e con una brutalità inaudita, sputò sul morto, immerso nella sua pozza di sangue.
Alcuni tra i presenti applaudirono, altri si misero a urlare degli slogan.
Non dimenticherò mai il nome di quella ragazza sconosciuta: Gé Huá. “Gé Huá! Tuo padre si è buttato giù dalla finestra”. Quel grido e quello sputo – la figlia che sputa sul cadavere del padre immerso in una pozza di sangue – hanno attraversato la mia vita come una pallottola, si sono impressi in modo indelebile nel mio corpo e nella mia mente ancora immaturi. La ”Danza del Cappello di Bambù” non è mai più stata la stessa per me. Nonostante tutti i miei sforzi, non è più riuscita a ridestare in me alcuna sensazione di felicità o di allegria.
Parecchi anni più tardi una troupe dell’opera in tournée sostò nella nostra citta e diede una rappresentazione in cui figurava precisamente quella scena del “Distaccamento Femminile Rosso”. Quando sentii il coro cantare “L’acqua del fiume Wán Quàn è limpida, così limpida...voglio intrecciare un cappello di bambù per offrirlo ai combattenti...”, la vista mi si annebbiò di colpo. Ci incontrammo di nuovo io e Gé Huá, quella ragazza sconosciuta, io e Gé Huá, quella ragazza che avevo visto in mezzo al fuoco e al sangue (25), che mi aveva ferita e che, nello stesso tempo, mi aveva fatto pietà. Però le donne di quel Distaccamento Femminile Rosso, le attrici che recitavano la parte delle rivoluzionarie, le danzatrici che si muovevano sul palcoscenico erano tutte fanciulle attraenti ed aggraziate, che non avevano nulla a che vedere né con il Distaccamento Femminile Rosso degli anni “30, né con il Distaccamento Femminile Rosso degli anni “60 e “70, e nemmeno con la storia di Gé Huá e del mio Distaccamento Femminile Rosso. Nonostante il loro travestimento e il loro trucco, risultava impossibile non accorgersi del fatto che erano ragazze belle e raffinate ed anche le uniformi grigie che indossavano davano più l’idea di abiti alla moda che di rozze tenute militari.
Secondo me, la rappresentazione alla quale l’”anziano” e Huáng assistettero quella sera doveva essere uno spettacolo di questo tipo: un “Distaccamento Femminile Rosso” raffinato ed alla moda. Ciò non toglie, tuttavia, che il colore di fondo dello spettacolo rimanesse il rosso, il colore del sangue, della passione e del sacrificio. Mentre piovevano dall’alto le note malinconiche che superavano le differenze tra i popoli (26), nel lussuoso teatro, neppure il potente sistema di climatizzazione riusciva a smorzare la fiamma rabbiosa che ardeva sotto il grande albero di baniano dove Hóng Chángqīng veniva torturato a morte.
Gli spettatori, signori e signore della buona società (27) - abiti di gala e scarpe di vernice (28)-, che avevano speso parecchi soldi per assistere alla rappresentazione, guardavano a bocca aperta lo splendido spettacolo, il cui sfarzo non riusciva a toccare l’”anziano” e il signor Huáng, i quali avevano conservato l’entusiasmo prezioso, ma estremamente fragile della loro giovinezza. (29)
Al termine dello spettacolo, alcuni spettatori salirono sul palcoscenico per offrire mazzi di fiori alle danzatrici.
La troupe fu richiamata più volte sulla scena tra scrosci di applausi che non finivano più. Il pubblico invocava il bis dei pezzi più ammirati. Il profumo dei fiori che si spandeva dappertutto procurava alla gente un leggero senso di stordimento.
Uscendo dal teatro, l’”anziano” e il signor Huáng furono avvolti da un’improvvisa ondata di calore. Huáng si tolse la giacca e la cravatta, che aveva strettamente annodato intorno al collo, ma l’”anziano” non sembrava accorgersi del caldo e camminava rapido, con passo precipitoso, i capelli bianchi che sbattevano al vento afoso come piume d’uccello. Huáng, che faceva fatica a seguirlo, gli gridò dietro per fermarlo e proporgli di andare a bere una birra.
L’”anziano”, che, in quel momento passava sotto un lampione, si fermò di scatto, si aggrappò al lampione e si lasciò scivolare giù lentamente, rimanendo accovacciato a terra.
Poi il signor Huáng udì un urlo straziante. L’”anziano”, accovacciato a terra aggrappato al lampione, piangeva a dirotto.
Durante gli undici anni di prigionia, per tutte le quattromila notti in cui aveva atteso la liberazione
tra l’incessante frastuono delle onde, non aveva mai pianto, nemmeno quando gli avevano portato la notizia della morte di Táng Mĕiyù, la fanciulla simile a un fiore che si era gettata in mare. Tutti pensavano che il suo carattere fosse duro come il ferro.
In un istante anche il signor Huáng si mise a piangere a calde lacrime.
Tutt’intorno, sulle rive del fiume Singapore, le gioiose lanterne rosse che illuminavano la notte smorzarono la loro luce come colte da un improvviso spavento, ma presto ripresero animo: si ritrovavano su quel fiume ogni notte, c’era forse qualcosa che non avessero ancora visto?
Improvvisamente si sentì qualcuno che intonava a voce alta e chiara un’aria d’opera (30) “Attraversando le nuvole, solcando le onde” (31), ma si trattava, come è ovvio, di qualcuno che cantava per i turisti.
NOTE
1) Il fiume Singapore, lungo soltanto 11 km, scorre dalla parte centrale dello Stato omonimo fino all’Oceano Pacifico. La sua foce costituisce il porto della città di Singapore.
2) Sānyà 三亚 è una città dell’isola di Hăinán 海南, nella parte più meridionale della Cina.
3) Shéngtàoshā 圣淘沙 è un’isoletta che costituisce una delle principali attrazioni turistiche di Singapore. Celebre per le sue spiagge assolate, per i suoi boschi lussureggianti e per i suoi parchi di diverimenti, è anche centro termale ed ospita nei suoi grandi alberghi convegni e conferenze.
4) È qui ripreso il punto di vista di un Cinese del Continente, che si compiace di osservare come i giovani taiwanesi (ed i giovani giapponesi, di cui si parlerà poco più tardi) imitino, senza il minimo senso critico, tutte le mode del mondo occidentale. Un gruppo di studenti cinesi si comporterebbe, ovviamente, con maggior misura e decoro.
5) Il termine 浪漫, che si pronuncia “làngmàn” e che significava, in origine, “indulgente”, ”spontaneo”, è in seguito stato impiegato come corrispondente fonetico di “roman” per rendere l’idea di “romantico”.
6) La formulazione della frase sembra nascondere un giudizio leggermente dispregiativo o leggermente compassionevole, secondo i punti di vista. Vi si dice infatti che i tre scrivevano in cinese (中文 “zhōngwén”, termine che indica la lingua letteraria), ma si sente poi l’obbligo di precisare che questo cinese era il cinese di Singapore (华语 “huáyŭ”, termine che designa la lingua parlata dal popolo”), cioè una lingua un po’imbastardita e lontana dall’eleganza della lingua letteraria.
7) Dèng Lìjῡn 邓丽君 (1953-1995), meglio nota come Teresa Teng ,era una cantante ed attrice di Táiwān, che conseguì grande fama a livello internazionale ed anche nella Cina continentale.
8) La “Serenata dell’Isola Verde” ("綠島小夜曲 “lǚdăo xiăoyèqǔ”), resa celebre da Teresa Teng, è una canzone composta nel 1954 da Zhōu Lánpíng 周藍萍, probabilmente su parole di Pān Yīngjié 潘英傑.
Sebbene sia stata intesa dal pubblico come una canzone d’amore, alcuni sostengono che abbia un significato politico nascosto.
L’”Isola Verde”, un tempo conosciuta anche con i nomi di Sanasama o Sanasai, ospitò infatti dalla fine degli anni “40 alla fine degli anni “80 un famigerato campo di concentramento per gli oppositori politici.
Vi è però un particolare che lascia alquanto perplessi: l’”Isola Verde” si trova in realtà nelle acque di Táiwān non in quelle di Singapore.
Non sono riuscito finora a trovare le ragioni per cui il racconto è ambientato a Singapore anzichè a Táiwān, anche se un racconto di fantasia non deve necessariamente essere fedele alla realtà storica.
Va comunque osservato che persecuzioni degli oppositori politici e dei movimenti rivoluzionari non mancarono certamente neppure a Singapore.
9) La parola 学長 ”xuézhăng” corrisponde al nostro termine gergale “anziano”, che designa una persona iscritta al terzo o al quarto anno di un corso di studi universitari.
10) La storia del “Distaccamento Femminile Rosso( 红色娘子军 “hóngsè niángzǐjūn”), un unità dell’esercito rivoluzionario composta di sole donne, creata nel 1931, fu oggetto di varie narrazioni e racconti, finché non venne condensata nel 1961 in un famoso film, cui fece seguito qualche anno dopo un balletto dell’Opera di Pechino.
I fatti si svolgono nel 1930 sull’isola di Hăinán, all’estremità meridionale della Cina.
Wú Qiónghuā 吴琼花, giovane domestica del signore della guerra Nán Bátiān 南霸天, spesso maltrattata e violentata dal suo padrone, viene salvata da Hóng Chángqīng 洪常青, un attivista rivoluzionario, che ha organizzato un distaccamento militare composto di sole donne. La ragazza si unisce al distaccamento e, dopo la morte di Hóng Chángqīng, ne diventa il capo. Al termine di una lunga lotta, Nán Bátián viene infine catturato e giustiziato.
11) Hóng Chángqīng 洪常青, figura esemplare di rivoluzionario, organizzatore politico e combattente, è uno dei personaggi principali del film e del successivo balletto “Il Distaccamento Femminile Rosso”.
12) Quando il giovane Bái Jῡyì 白居易, appena giunto a Cháng’Ān 长安, si presentò al famoso poeta Gù Kuàng 顾况 per mostrargli le proprie poesie, quest’ultimo cominciò a scherzare sul suo nome dicendogli che “Cháng’Ān era grande e il viverci (居 ”jῡ”) non era facile (易”yì”). Dopo aver cominciato a leggere una delle poesie, tuttavia, mutò parere e predisse allo sconosciuto esordiente un avvenire di grande successo in campo letterario. La frase 长安大,居不易 (“cháng'ān dà, jūbúyì”) si è conservata nel tempo come detto popolare.
13) Il termine 小家碧玉 “xiāojiābìyù” designa una bella fanciulla nata in una famiglia di modeste condizioni. Qui viene forse usato per sottolineare la semplicità e la spontaneità della ragazza.
14) È chiamato “torta di taro” (芋头糕 “yùtougāo”) un dolce cinese preparato con farina e taro, spesso ricoperto di uno strato di cipolle fritte, cotto a vapore o fritto in padella. Il taro ( “colocasia esculenta”) è una pianta originaria dell’Asia Sudorientale la cui radice, che deve sempre essere cotta, ha un gusto di patata dolce ed è usata, tra l’altro, nella preparazione di dolciumi.
15) L’”anziano” immagina che la fanciulla conduca una vita “normale e felice” e si sente anche un po’ orgoglioso di aver contribuito a questa felicità sciogliendo l’amata da tutte le promesse di fedeltà che si erano scambiati quando lui era ancora libero.
16) Wῡ Zìxῡ era il secondo figlio di Wῡ Shé 伍奢, tutore del principe ereditario del Regno di Chǔ 楚. Il re di Chǔ aveva fatto venire da uno Stato vicino una principessa che intendeva dare in sposa al figlio, ma, sedotto dalla bellezza della fanciulla, aveva poi deciso di tenerla per sé. Uno dei ministri gli disse allora che il principe ereditario, sdegnato per ciò che era successo e sobillato dal suo tutore, stava complottando contro di lui. Il principe riuscì a fuggire, ma Wῡ Shé fu arrestato.Temendo che i figli di Wῡ Shé, che erano noti per la loro pietà filiale e che erano sfuggiti alla cattura, tentassero di vendicarlo, il re costrinse il padre a scrivere loro una lettera con cui li incitava a raggiungerlo, perché il re gli aveva perdonato. Il figlio maggiore cadde nel tranello, Wῡ Zìxῡ, invece, fiutò la trappola e decise di rifugiarsi nel confinante regno di Wῡ 吴. Avvicinandosi al valico di frontiera di Wénzhāo 文昭关, si rese conto di quanto fosse difficile attraversarlo senza essere riconosciuto. Durante la notte, mentre ,nascosto in un bosco,rifletteva su qualche stratagemma che gli permettesse di attraversare il confine, i suoi capelli divennero completamente bianchi.Potè quindi lasciare il paese senza che le guardie di frontiera lo riconoscessero.
17) Il termine “gāoliáng” 高粱 (“sorgo”) indica una bevanda alcolica che si ottiene per distillazione dal sorgo fermentato. Il “Golden Gate Sorghum” è una nota marca taiwanese di alcool di sorgo.
18) Il testo cinese usa l’avverbio 茫然地 (“mángránde”), che significa “distrattamente”, “pensando ad un’altro”, “senza rendersi conto di ciò che si fa”. L’”anziano” deve motrarsi allegro perché è stato invitato da un amico ad assistere ad uno spettacolo teatrale, ma è evidente che si tratta di un’allegria coatta, che non corrisponde al suoi vero stato d’animo.
19) La citazione è tratta da una scena del secondo atto del balletto, quando la protagonista, sfuggita all’oppressore, scorge in lontananza la bandiera rossa dei rivoluzionari.
20) Solo fornendo la prova di una fede rivoluzionaria pura ed incrollabile un giovane studente poteva evitare di essere spedito a compiere la sua rieducazione nelle più sperdute campagne del paese. La perfetta conoscenza dei pensieri di Máo nonché dei testi artistici consacrati dalla Rivoluzione Culturale (tra i quali spiccava “il Distaccamento femminile Rosso”) era un requisito essenziale per dimostrare la sincerità del proprio ardore rivoluzionario.
21) Il termine 社会青年 “shèhuìqīnɡnián”, che può essere tradotto come “i giovani della società” o “la massa dei giovani”, indicava, ai tempi della Rivoluzione Culturale, le masse giovanili che, terminati gli studi, non trovavano sbocco nel mondo del lavoro ed era un sinonimo del termine “disoccupati”.
Il termine 知识 “zhīshì”, abbreviazione di 知识青年“zhīshì qīngnián”, che significa “giovani istruiti”, indicava i giovani studenti liceali e universitari delle aree urbane, che, ai tempi della Rivoluzione Culturale, furono inviati in massa a “rieducarsi” nelle campagne.
Com’è ovvio, la qualità di “studente” o di “giovane disoccupato” non era di per sé sufficiente a giustificare provvedimenti di “rieducazione”, ma spesso bastava già il solo fatto di abitare in quartieri non proletari o di frequentare dei disoccupati a suscitare sospetti, che potevano essere fugati soltanto con straordinarie manifestazioni di zelo rivoluzionario.
22) È qui citata una scena del quarto atto del balletto “Il Distaccamento Femminile Rosso”: la” Danza del Cappello di Bambù”.
23) La storia è ambientata nell’isola di Hăinán. Gli abiti di scena si ispirano quindi all’abbigliamento tipico delle isole della Cina meridionale.
24) L’autrice intende dire che la posizione del corpo con le braccia distese e le gambe allargate ricordava la forma del carattere 大 “dà”.
25) L’espressione 血火中 (“xuè huò zhōng”), letteralmente “in mezzo al sangue e al fuoco”, è un’espressione idiomatica che rende bene l’idea delle circostanze drammatiche in cui l’autrice ha incontrato Gé Huá.
26) Ci si domanda quale sia nel contesto il senso dell’aggettivo “internazionale” (国际 “guójì”) A mio parere, l’autrice ha inteso dire, con questo termine, che la musica è “internazionale” in quanto ha la capacità di suscitare le stesse emozioni anche in persone di nazionalità, di lingua e di cultura diverse.
27) Il termine 衣香鬓影 ”yī xiāng bìn yǐng”, letteralmente “abiti profumati, ombra delle basette”, è un’espressione idiomatica in uso per definire un ambiente elegante e ricercato. Esso è qui impiegato per dire che gli spettatori appartengono alla “buona società” di Singapore.
28) Nelle società asiatiche, a causa della fortissima ed ormai secolare influenza europea e nordamericana, l’abbigliamento di gala è costituito da abiti di taglio occidentale (西装 “xīzhuān”) e da scarpe di pelle verniciata (革履 “gélǚ”).
29) L’autrice mette accuratamente in risalto il diverso impatto che lo spettacolo ha sulla generalità degli spettatori, da un lato, e sui due ex-carcerati, dall’altro. Il pubblico, che, per nazionalità e per estrazione sociale, è totalmente estraneo ed insensibile alle vicende rappresentate, ammira soltanto la bellezza delle attrici, l’eleganza dei costumi, l’armonia dei canti ed il ritmo delle danze. L’”anziano” e il signor Huáng rivivono invece, in ciò che vedono sulla scena, la loro esperienza personale e ne sono profondamente turbati, mentre i dettagli che entusiasmano gli altri spettatori li lasciano del tutto indifferenti.
30) Il testo precisa che si tratta di un brano dell’opera Gezai (歌仔戏 “gezĭxî), genere d’opera largamente diffuso a Táiwān e nel Fújiàn meridionale.
31) La frase 穿云破浪 “chuānyún pòláng”, vale a dire ”tra le nubi e le onde” potrebbe essere un buon titolo per un’aria operistica, ma potrebbe altresì semplicemente indicare che la melodia si innalza nell’aria e si spande sul fiume. Entrambe le interpretazioni mi sembrano accettabili.