L’”Alba” (日出 “rìchū), seconda opera teatrale di Cáo Yù 曹禺 (1910-1996), sviluppa il tema della progressiva degradazione morale degli individui in una società come quella cinese dei primi decenni del secolo scorso, che ha perso i suoi antichi valori e non ha ancora trovato nuovi riferimenti ideali.
ll dramma fu pubblicato nella rivista “Mensile di letteratura” (文学月刊 ”wénxué yuèkān”) di cui Cáo Yù era redattore nel secondo semestre del 1936, in ragione di un atto per ciascun numero ( vol. 1°, nn.1-4).
La prima rappresentazione avvenne il 3 febbraio 1937 al Teatro Carlton, oggi Teatro dello Yangtze (长江剧场 “chángjiāng jùchǎng “) di Shànghăi, ad opera della Filodrammatica dell’Università Fùdàn (复旦大学戏剧工作社 “fùdàn dàxué xìjù gōngzuò shè”), con Fèngzi 凤子nel ruolo della protagonista Chén Báilù 陈白露.
Sembra che il dramma sia stato ispirato all’autore dal suicidio di una celebre diva del cinema, Ruăn Língyù 阮玲玉, che si uccise nel 1935.
La figlia di Cáo Yù, Wàn Fāng 万方, ne trasse un libretto che fu utilizzato dal compositore Jīn Xiāng 金湘 (1935-2015) per l’opera omonima, messa in scena nel 2015.
Il dramma ha per protagonista Chén Báilù, una ragazza di campagna che, dopo essersi trasferita a Shànghăi, è finita in un giro di prostituzione d’alto bordo.
Chén Báilù passa il suo tempo tra feste e balli e vive in un lussuoso hotel, mantenuta da un ricco banchiere. Non ha vergogna della vita che conduce, perché ritiene di comportarsi onestamente senza fare del male a nessuno. Le persone che le stanno intorno sono il riflesso di una società decadente e priva di valori. Che si tratti del banchiere, di una ricca signora, di un professore di scuola, per non parlare del trafficante legato alla malavita, sono tutti ossessionati da una sola idea: far soldi.
Quando però viene a trovarla Fāng Dáshēng 方达生, un amico dei tempi della sua adolescenza, che vorrebbe sposarla e portarla via da quell’ambiente corrotto, Chén Báilù comincia a riflettere sul senso della propria esistenza.
Un giorno si rifugia nella sua camera d’albergo una ragazzina quindicenne, “Cosetta” 小东西, che gli “amici” di Chén Báilù vogliono avviare alla prostituzione.
Chén Báilù cerca vanamente di salvarla, ma la ragazza finisce in un bordello, dove, disperata, si impicca.
Nel frattempo, il banchiere, lanciatosi imprudentemente in affari rischiosi, va in rovina.
Rimasta priva di ogni appoggio, Chén Báilù si rende conto di aver sprecato la propria vita e si suicida.
Riporto, qui di seguito, la mia traduzione del primo atto.
L’Alba Cáo Yù Teatro Cinese
剧本《日出》曹禺
I personaggi del dramma sono:
Chén Báilù - una giovane donna che vive al Grand Hotel XX, 23 anni.
Fāng Dáshēng – l’ ex "ragazzo" di Chén Báilù, 25 anni.
Zhāng George – un giovane che ha studiato all’estero, 31 anni.
Wáng Fúshēng – un cameriere dell'hotel.
Pan Yueting – dirigente della banca YY, 54 anni.
La signora Gú Bā, una donna danarosa, 44 anni.
Li Shiqing, contabile della Banca YY, 42 anni.
La signora Li - sua moglie, 34 anni.
Huang Lisan – aiuto contabile della Banca YY
Tre malviventi (cioè uomini malvagi) – un magnaccia
Hu Si, domestica, disoccupata, 27 anni.
“Cosetta”: una ragazzina appena arrivata in città, 15 o 16 anni.
(Altri personaggi compaiono in scena durante i tre atti successivi)
Tempo: L’azione si svolge all'inizio della primavera.
Il primo atto è ambientato in una lussuosa stanza del Grand’ Hotel XX alle cinque del mattino.
Il secondo atto si svolge nello stesso ambiente senza soluzione di continuità.
Il terzo atto si svolge in un bordello di basso rango, una settimana dopo, alla 11.30 della sera.
Il quarto atto si svolge nello stesso ambiente del terzo atto, alle quattro del mattino seguente
ATTO PRIMO.
Una lussuosa stanza del Grand Hotel XX.
…
Di fronte all’hotel, dinanzi alla finestra, sorge un altro edificio, cosicché, sebbene sia giorno e la finestra sia ampia, la camera è avvolta in una sorta di semioscurità. Salvo la poca luce che entra dalle persiane lasciate un po’socchiuse la mattina, la camera è in penombra tutta la giornata. I mobili e le suppellettili sono moderni, di forme irregolari, ruvidi e mal rifiniti. Attirano l’attenzione, ma non sono confortevoli.
Si sentono dei passi lenti avvicinarsi lungo il corridoio. La porta della stanza si schiude e si intravede una graziosa mano che preme l’interruttore del lampadario centrale. La stanza si illumina. Chén Báilù entra. Indossa un leggero abito da sera dai colori vivaci e brillanti. Si trascina dietro come una nuvola il giacchetto e due nastri rosa. I capelli corvini, in cui è infilato un fiore rosso, sono pettinati a riccioli che le cascano sugli occhi come ad una bambina. Gli occhi sono luminosi e attraenti, l’aspetto deciso. Ha sempre sulle labbra un sorrisetto di scherno, ma, di tanto in tanto, le appare in volto un’espressione di stanchezza e di disgusto, la stanchezza tipica di coloro che conducono una vita disordinata come la sua. Ama la vita e, al tempo stesso, la odia. L’esistenza per lei è diventata un’abitudine. Non conosce più la consolazione dei sentimenti sinceri. Questi anni di vita sfrenata l’hanno trasformata in una donna astuta e calcolatrice e non è rimasto spazio nel mondo per I suoi sogni d’amore di fanciulla. La vita è una realtà crudele e dura come il ferro. Una volta prese certe abitudini, è difficile sbarazzarsene e, anche se uno vorrebbe avere la libertà di sacrificarsi per l’amore (come dicono con esagerazione i film romantici), diventa arduo uscire dalla gabbia in cui ci si è rinchiusi.
Mentre si dirige con passo stanco verso il centro della stanza, si copre la bocca con l’indice e il medio della mano destra e sbadiglia.
Chén Báilù ( fa due passi, poi torna indietro): Entra! (getta via la borsetta di pelle e si appoggia con la mano allo schienale del divano che sta al centro della stanza, poi, aggrottando le sopracciglia, si sfila le scarpette dai tacchi argentati e, trattenendo il respiro, si accarezza I piedi magri. Ah! È davvero bello tornare a casa e sdraiarsi comodamente sul morbido divano! Oh! All’improvviso s’accorge che la persona che la seguiva non è entrata nella stanza. S’infila di nuovo le scarpe, si alza e si gira, con una gamba ancora mezza distesa sul divano. Guarda sorridendo verso la porta) Ehi! Perché non entri? (un uomo entra nella stanza. È un giovane di circa 27 anni, non bello, accigliato, vestito in modo dimesso. Guarda il disordine che c`è nella stanza con uno sguardo che non si capisce se sia di stanchezza o di disapprovazione e si ferma sulla soglia senza dire una parola, ma la ragazza ha frainteso il senso di quello sguardo e lo fissa negli occhi, sospettosa) Entra, dunque! Di che cosa hai paura?
Fāng Dáshēng (in tono piuttosto freddo): Non ho paura di niente!
Chén ( guardandosi intorno con intenzione): Chi lo sa? (fissandolo) Verosimilmente non c’è nessuno in questa stanza!
Fāng ( con disgusto): Ne ho davvero basta! C` è troppa gente che gira qui dentro.
Chén: (gli risponde duramente, perché il suo atteggiamento la rende infelice) Ce l’hai con qualcuno? Ormai vivi qui e sei ancora a disagio con la gente?
Fāng (la fissa negli occhi, annusandosi di nuovo intorno): È da anni che tu vivi in questo posto!
Chén (in tono provocatorio): Perché? Non è un bel posto?
Fāng (a bassa voce): Ah! (non osando dire chiaramente il suo pensiero): Sì! Sì! È un bel posto…
Chén (ridendo e guardando il ragazzo che appare impacciato): Perché non ti togli il soprabito?
Fāng (irrigidendosi di colpo): Eh…eh…eh…Il soprabito? (sembra non capire di che cosa si stia parlando) Ah sì! In effetti, non me lo sono tolto.
Si toglie il soprabito.
Chén ( ride forte, guardandolo con ironia):Ho visto che non ti sei tolto il soprabito. Perché sei così timido? Non hai l’abitudine di togliertelo da solo?
Fāng (non trova la risposta e rimane un po’imbarazzato): Forse…forse perché non sono abituato ad uscire di casa. (di colpo) Uhm … non è un po’fredda questa stanza?
Chén: Fredda? Non mi sembra davvero. Io ho caldo!
Fāng (cercando di distogliere da sé l’attenzione della ragazza): Vedi…probabilmente non hai chiuso la finestra.
Chén: No! (si avvicina alla finestra e sposta le tendine, mettendo in evidenza la linea elegante del telaio) Vedi che è ben chiusa? (guardando la finestra appare improvvisamente sorpresa) Oh, questa! Corri presto a vedere!
Fāng (senza sapere perché corre verso la finestra): Che c’è?
Chén (sfregando con la mano il vetro della finestra): Guarda! È gelata! È gelata!
Fāng (del tutto sconcertato): È la brina che volevi farmi vedere? Tu, davvero… (lei ne è colpita, è un po’arrabbiata, anche se lui non ha completato la frase, ma ha solo scosso la testa)
Chén (curiosa): Perché c` è ancora la brina se sta arrivando la primavera?
Fāng (pensando tra sé che non c`è niente da fare, che è proprio una bambina): Sì, in effetti è strano.
Chén (ridendo di gioia): Come mi piace la brina! Ricordo che mi piaceva già da bambina. Guarda quanta brina!
Che bello! Che bello! (puntando improvvisamente il dito contro la finestra, come una bambina). Guarda! Guarda!
Questo non sembra a me?
Fāng (allungando la testa per vedere meglio): Che cosa dici? Che cos`è?
Chén (insiste puntando il dito): Sto parlando di questa macchia di brina sulla finestra. Qui! (l’uomo non capisce bene dove deve guardare) No, non lì! Guarda qui! Non sono un paio d’occhi questi? Ed ecco il naso e la bocca…
Questi sono i capelli (batte le mani) Guarda questi capelli, sono proprio i miei.
Fāng (cercando con attenzione, ma senza successo, di scoprire ciò che Chén gli indica): Vedo…uhm… non mi sembra che ci sia una gran somiglianza.
Chén (senza riflettere, ostinata e insistente come un bambino): Che cosa dici? Uguale! Uguale! Uguale! Te lo dico io: è proprio uguale!
Fāng (riluttante): Va bene! Diciamo che sembra a te… sembra a te…ti somiglia molto.
Chén (soddisfatta): Ebbene! Non te l’avevo detto io? (scopre di nuovo qualcos’altro) Guarda! Guarda qui questa testa! Sembra la tua. Sembri proprio tu.
Fāng (indicandosi col dito): Secondo te dovrei essere io?
Chén (stupita della domanda): Ma certo! È naturale! Sei proprio tu!
Fāng (strabuzzando gli occhi come uno che ci vede male): E dove sarei?
Chén: Qui! Qui! Guarda bene qui!
Fāng ( guarda a lungo, si gratta la faccia perplesso, non riesce a scorgere nessuna somiglianza): Io…io non riesco a vedere una grande somiglianza.Chén (delusa): Che bel tipo che sei! Imbranato come sempre! Non c` è proprio niente da fare!
Fāng: Davvero? (si mette improvvisamente a ridere) Oggi t’ho vista in sogno. Eri proprio così, eri proprio così.
Chén: Che cosa stai dicendo?
Fāng (allegro): Dico che ti ho vista ancora bambina proprio come eri una volta.
Chén: Tu…tu dici? (sussurrando) Sono mai stata bambina? (sembra riflettere, aggrotta le sopracciglia, sente un brivido di freddo, come se una mano ghiacciata le carezzasse la schiena)
Fāng: Che succede? A che stai pensando?
Chén (si era eccitata per un attimo come per un soffio di vento, ma, d’un tratto, il suo viso assume un aspetto molto più vecchio. Delle rughe si disegnano sulla sua fronte. Non c’è più traccia dell’eccitazione di qualche secondo prima. Sembra davvero invecchiata) Ero davvero così Dáshēng? Sono mai stata una bambina?
Fāng (capisce il suo stato d’animo e cerca di farle coraggio): Se solo fossi disposta a seguirmi, potresti ancora ritrovare la tua adolescenza e decidere liberamente della tua vita.
Chén (scuotendo la testa, come una persona che ha già vissuto a lungo): Eh? Dove sarebbe questa libertà?
Fāng: Che dici? Tu … ( Si interrompe, rendendosi conto che non è opportuno mettersi a dare consigli. Tira fuori un fazzoletto, come se volesse soffiarsi il naso. Volge gli occhi altrove, guardandosi intorno)
Chén (ritornando al suo solito atteggiamento di indifferenza): Che cosa stai guardando?
Fāng (ride, posando il cappello): Non sto guardando nulla. La tua camera è molto…molto … (fa per indicare col dito il disordine che gli sta intorno, ma di nuovo si trattiene e finalmente trova un’espressione neutra, che gli permette di dissimulare il suo pensiero) … molto interessante.
Chén (senza curarsi di comprendere ciò che Fāng intendesse dire): To’! Che cosa ci vedi di interessante? (tira su da terra un cuscino e lo posa sul divano. Con noncuranza spinge delicatamente col piede una bottiglia sotto il divano) È da tempo che vivo qui. (presa da una sensazione di sonnolenza, involontariamente sbadiglia. Fāng ne è contagiato e sbadiglia pure lui. La ragazza gli sorride. Fāng prende l’aria di un bambino imbronciato, …) Sei stanco?
Fāng: No, va bene.
Chén: Hai sonno?
Fāng: No, sono sveglio
Chén: Vuoi andare a dormire?
Fāng: No, non mi sento stanco. Finché tu sarai qui sola con tutta questa gente che viene a ballare con te, preferisco restare qui con te.
Chén: Perché non ti diverti con noi?
Fāng (con freddezza): Te l’ho già detto! Non so ballare ed in più non ho nessuna voglia di dimenarmi come un ossesso.
Chén (con un riso un po’forzato): Hai ragione, è proprio roba da matti! Eppure io faccio tutti i giorni questa vita da matti. (si odono di lontano voci sguaiate di donne che ridacchiano e lanciano gridolini. Si sente una voce che chiama) Senti? Le prostitute stanno facendo chiasso.
Fāng: Strano. Questo non mi sembra un quartiere di prostitute.
Chén: C’è un mercato nelle vicinanze. (guarda l’orologio e solleva di scatto la testa) Sai che ora è?
Fāng (pensandoci su): Devono essere più o meno le cinque e mezzo. Sarà quasi l’alba. Quando ero in quella sala da ballo guardavo ogni cinque minuti l’orologio appeso alla parete.
Chén (in tono di scherno): Non riuscivi proprio a resistere?
Fāng (con franchezza): Sai che vivo in campagna da molto tempo ormai. Non riesco più a sopportare tutto questo trambusto.
Chén (lisciandosi I capelli): Ed ora?
Fāng: Ora mi sento più calmo. Dal momento che non c` è nessun altro qui, vorrei parlarti. Solo poche parole.
Chén: Ma … (si sdraia di nuovo sul divano, nascondendo uno sbadiglio con la mano) ormai è l’alba (all’improvviso) ehi, perché non ti siedi?
Fāng:: (impacciato) Ma tu…tu non ti sei seduta.
Chén: (scoppia a ridere, scoprendo la metà dei suoi denti bianchissimi) Si vede che sei proprio un topo di biblioteca, un tizio che arriva dalla campagna…un amico che viene a trovarmi non ha bisogno di aspettare che io mi sieda (gli si avvicina e lo spinge gentilmente verso il sofà) dai siediti! (dirigendosi verso il tavolino delle bevande accanto alla parete) Ho sete. Lasciami bere un sorso d’acqua e poi vengo da te (si versa un bicchier d’acqua, prende un pacchetto di sigarette) Fumi?
Fāng (guardandola fissamente): Te l’ho già detto che non fumo.
Chén (sfottendolo benevolmente): Poveretto…sei proprio una persona come si deve (si accende destramente una sigaretta, tirando fuori un accendino azzurro)
Fāng (osservando la ragazza far uscire con abilità volute di fumo dalla bocca, non può fare a meno di osservare con tristezza e compassione): Non riesco proprio a crederlo, Zhùjūn. Sei davvero cambiata.
Chén (mettendo giù la sigaretta): Con che nome mi stai chiamando?
Fāng (sorpreso): Con il tuo nome. Non vuoi che ti chiami con il tuo nome?
Chén (ricordandosi): È da anni, mi sembra, che nessuno mi ha più chiamato con questo nome. Dàshēng, tu…chiamami di nuovo così!
Fāng (con sguardo affettuoso e commosso): Oh! Zhùjūn…
Chén (assaporando le parole del ragazzo): Mi suona dolce e amaro nello stesso tempo…Chiamami di nuovo così!
Fāng():O Zhùjūn! Tu non sai che cosa io provo nel cuore (bloccandosi di scatto) Non c´è davvero nessuno qui?
Chén: No, non c’è nessuno. Certo che non c’è nessuno.
Fāng (tristemente): Dal modo in cui mi guardi, vedo che non capisci che cosa io sento, che non sai che cosa ho nel cuore. Oh….
(Un uomo esce barcollando dalla porta della stanza da letto, sulla destra, in abito da sera, con il colletto slacciato e il papillon che gli pende dalla fronte. È tutto tremolante. Una manica dello smoking non è infilata nel braccio e penzola avanti e indietro. I due si voltano contemporaneamente, ma l’uomo non si turba e rimane ostinatamente piantato dinanzi alla porta. Se ne sta appoggiato al bordo della porta, il volto contorto come una zucca matura, paonazzo, con ciuffi di capelli scarmigliati. Un paio d’occhiali con la montatura di platino sono appesi sulla punta del naso. Rotea gli occhi e si guarda nello specchio. Respira rumorosamente, come se stesse russando.)
L’uomo si fa avanti e sussurra con aria di mistero: Ssss! Si rimette a posto gli occhiali ed indica, barcollando, qualcosa.
Chén (senza respiro per la sorpresa): Georgy!
George (facendosi avanti con aria misteriosa e agitando le mani): Ssss!
( Mentre i due tacciono stupefatti, George si avvicina a Fāng Dàshēng e gli sussurra: Dimmi, che cos’hai nel cuore? (puntandogli il dito sul petto) Che cosa dici che hai nel cuore? Che cosa? (poi si rivolge alla donna in tono confidenziale) Báilù, chi è quest’uomo?
Fāng (seccato e a disagio): Zhùjūn! (indicando George) Chi è costui? Chi è questo tipo?
George (perplesso): Zhùjūn? Ti sbagli: la signorina si chiama Báilù. È la persona più carina che ci sia qui ed appartiene a me. O almeno, è la persona che io ammiro di più…
Chén (protestando risolutamente): Che cosa stai dicendo? Sei proprio ubriaco.
George (accennando a se stesso): Ubriaco! Io? Non sono affatto ubriaco. (puntando il dito sulla ragazza, che appare malferma sulle gambe) Tu…tu sei ubriaca.
(indica di nuovo Fāng) E anche tu sei ubriaco! (Fāng fissa in volto Báilù, poi gira la testa con sguardo severo, ma George continua a puntare il dito su di lui): “Guardati! Guarda che faccia hai! Hai proprio l’aria da ubriaco. Pah!
(Solleva le palme delle mani e le gira verso l’esterno con gesto arrogante): Non posso guardarti.
Chén (che, a questo punto, non regge più): Che fai qui?
Fāng (con durezza): Sì! Che cosa stai facendo qui? ( George lo guarda con due occhi sbarrati)
George (con voce da ubriaco): Beh! Mi sento stanco e sto andando a dormire. (un barlume di coscienza sembra fargli comprendere la stranezza della situazione) Oh! Perché siete qui anche voi?
Chén (fissandolo preoccupata): Questa è la mia suite, mi sembra naturale che io sia qui.
George (incredulo) La tua suite? (con la voce querula di un bambino sospettoso che comincia in tono alto e finisce in un sussurro) Davvero?
Chén (insistente): Che intendi dire? Non ti sei accorto che sei appena uscito dalla mia camera da letto?
George (sempre incredulo): Uscito dalla tua camera da letto? Non è vero…. No! Non sono uscito: … (scuote la testa) No! (si tocca la fronte) Lasciatemi pensare un momento, ragazzi. (assume un’aria ispirata come se stesse pensando al Paradiso)
Chén (guardandolo senza sapere se deve ridere o piangere): Ah! Il signorino ha ancora bisogno di riflettere!
George (muovendo le mani con le palme rivolte verso il basso): Piano! Piano! Aspettate! Non abbiate fretta! Lasciate che ci pensi piano, piano. (A poco a poco gli ritorna in testa confusamente come è arrivato all’Hotel, è entrato nella camera di Chén Báilù, ha visto il comodo letto, si è messo a gettar via le cose, a svestirsi e si è placidamente addormentato. Le labbra gli tremolano come se volesse parlare senza riuscirci, mentre fa dei gesti per aiutarsi a ricordare. Ci pensa su un momento, poi mormora) Avevo bevuto e la testa aveva cominciato a girarmi. Ho bevuto ancora e mi girava, mi girava, mi girava sempre di più…poi…sono venuto qui (tace un momento, non riesce più a ricordare) ah! Ho preso l’ascensore ... ah sì! (si batte la mano sulla fronte tutto contento) sì! Sono entrato in questa camera…no, non proprio…Sono andato più avanti, mi sono svestito e mi sono gettato sul letto, con la schiena in alto e la testa sul cuscino. Mi sentivo stanco e mi sono semplicemente … (si dà uno schiaffetto e riprende con voce normale) Oh, mamma mia! È proprio vero! Che cosa ci facevo nella tua stanza da letto?
Chén (in tono serio): Georgy, tu questa sera sei fuori di testa.
George (mettendosi un dito di fronte alle labbra, con un’aria da star di Hollywood): Zitta! Se te lo dico io puoi stare tranquilla: non sono ubriaco. Semplicemente mi sono addormentato sul tuo letto e mi sembra anche di avere un po’bevuto sul tuo letto… (a voce alta) Oh, come sto male! Ho di nuovo voglia di vomitare… (ha un conato di vomito) Oh … pardon, Mademoiselle Mi scusi, Signorina ( fa un passo e si gira di nuovo) La prego di scusarmi, Signore…pardon, Monsieur ( fa due passi pieni di imbarazzo, si gira indietro e solleva le braccia come in confidenza. Alla fine saluta i due che lo guardano esterrefatti, porge loro la mano e fa loro un inchino. Venite, voi due.
Goodnight! Good night! My lady and gentleman! Oh, oh, good bye, au revoir, Madame et Monsieur. ..I…I...I..shall …I shall…( non resiste più. Corre verso la porta, scosso da irresistibili conati di vomito. Appena chiusa la porta, si sente che sta vomitando nel corridoio. Qualcuno sembra corrergli in aiuto ed il rumore si allontana)
(Chén Báilù guarda Fāng Dàshēng e si siede attonita)
Fāng ( con un’espressione di grande disgusto): Che bella roba!
Chén (facendogli cenno di tacere): Questa è l’élite del posto. Hai visto che spettacolo!
Fāng: C’è veramente da divertirsi. Che razza di tipo! Io mi domando perché tu ti metti con certa gente. Chi è? Perché ha dei rapporti così stretti con te?
Chén (si accende una sigaretta e si siede): Immaginati che è il meglio che si trova sulla piazza. Ha studiato all’estero, dove racconta di aver ottenuto qualcosa come un dottorato. Si fa chiamare con un nome straniero: George. All’estero era George Zhāng, qui da noi è Zhāng George. Tornato in Cina, sembra che sia stato nominato capo divisione da qualche parte. Ha un sacco di soldi in tasca.
Fāng (le si avvicina): Ma tu come hai conosciuto questo bel tipo? Come è possibile che tu non capisca che è un buono a nulla?
Chén (inalando il fumo): Non te l’ho detto? Ha dei soldi.
Fāng: Allora se uno ha dei soldi, tu sei disposta…
Chén (completa la frase): Se uno ha dei soldi, può fare la mia conoscenza. Una volta che ballavo, mi ha fatto un po’ di corte.
Fāng (capisce che la donna che ha di fronte a sé non è più quella che lui pensava): Allora, non c’è da stupirsi che ti tratti in questo modo. (china la testa)
Chén: Sei veramente un ragazzo di campagna. Sei troppo serio. Se prestassi più attenzione a queste cose, capiresti che cos’è la vita? Qui sono tutti così, perché tu hai una mente così ristretta? Va bene, va bene…no. Ragazzo mio, dimmi di che cosa mi vuoi parlare.
Fāng (come se si riscuotesse da una profonda meditazione): Che cosa ti stavo dicendo?
Chén: Hai una cattiva memoria. (con vivacità) Mi stavi dicendo che cosa avevi nel tuo cuore. Poi è arrivato il signor Zhāng.
Fāng (esita, sospira): Sì … ”nel mio cuore”, “nel mio cuore”. Io sono uno fatto così. Forse Zhùjūn, (con sincerità) tu non capisci che cosa c’è davvero nel mio cuore …( smette di parlare sentendo il cigolio della porta che si apre). Forse il signor Zhāng è già di ritorno.
(Entra il cameriere del piano. Ha un viso astuto ed un’espressione adulatoria)
Wáng Fúshēng: Non è il signor Zhāng, sono io. (sorride quasi volesse scusarsi) È ritornata presto, signorina Chén.
Chén: Perché sei qui?
Wáng: Lei ha appena visto il signor Zhāng.
Chén: Ebbene?
Wáng: L’ho aiutato a mettersi a letto in un’altra camera.
Chén (in tono seccato): Ogni volta che si innamora, dovunque vada, tu vieni a raccontarmi che cosa fa.
Wáng: Sì. Il signor Zhāng ha detto che gli dispiaceva molto per Lei. È corso nella Sua camera e ha vomitato.
Chén: Ha vomitato sul mio letto?
Wáng: Sì, signorina Chén, ma non si preoccupi, pulirò tutto. (La ragazza fa per alzarsi, ma il cameriere la blocca) Non entri nella stanza, Signorina, si risparmi questo spettacolo.
Chén: È una cosa davvero…va bene, vai pure tu.
Wáng (voltandosi): Oggi Lei è stata fuori tutta la serata, Signorina. Sono venuti a cercarla il signor Lǐ Wǔ, il signor Fāng Kēzhǎng e il signor Liú Sì. Il direttore Pán l’ha cercata tre volte. Inoltre, ha chiamato la signora Gú Bā per pregarLa di passare da lei domani sera.
Chén: Lo so. Richiamala e dille di venire lei qui domani pomeriggio a svagarsi un po’.
Wáng: Dimenticavo il signor Hú. Ha detto che intende passare più tardi a trovarLa.
Chén: Se vuol passare, chiamalo pure. Tutti sono i benvenuti.
Wáng: C’è ancora quel giornalista, quel Zhāng.
Chén: Lo so. L’ho invitato qui a giocare.
Wáng: Si ricordi che il direttore Pán ha chiamato tre volte stasera. Ora lui…
Chén (con impazienza): Lo so, lo so. Me l’hai appena detto.
Wáng: Ma, signorina Chén, questo signore adesso…
Chén: Che te ne frega? È mio cugino.
Wáng (sconcertato): Suo cugino?
Chén: Dormirà qui.
Fāng: No, Zhùjūn. Non rimarrò qui a dormire. Me ne vado fra un momento.
Chén: Va bene. (non s’aspettava che Fāng fosse così brusco e così indisponente) Fa’ come ti pare. (si rivolge al cameriere) Tu non preoccuparti. Va pure a mettere in ordine la mia camera. (Wáng esce dal soggiorno)
Fāng: Perché ti stai comportando così, Zhùjūn?
Chén (secca): Che vuoi dire?
Fāng (facendo marcia indietro): Eh…eh…perché sei diventata così ospitale… eh…intendevo dire disinibita?
Chén: Così io sarei molto disinibita?
Fāng (non volendo lasciarsi trascinare a dire ciò che pensa): Ecco … io non…non intendevo dire questo…volevo dire che mi sembri diventata molto più generosa di quanto eri un tempo…
Chén (lo incalza): Già. Perché prima ero così avara! Non nasconderti dietro bei giri di parole. Dimmi pure ciò che pensi. So bene che, nel tuo intimo, tu ritieni che io sia leggera, disordinata ed incurante, non è vero? Probabilmente pensi anche che io sia un po’puttana, non è vero?
Fāng (impacciato): Io … io…come puoi pensare?...io
Chén (facendo un passo avanti): Tu sei abituato a dire sempre la verità, non è vero?
Fāng (facendosi improvvisamente coraggio): Sì…è così! Sei cambiata molto rispetto a prima. Non sei più la persona a cui pensavo una volta. Il tuo modo di parlare, di camminare non è più lo stesso. I tuoi gesti, il tuo comportamento sono cambiati. Ho passato la notte ad osservarti. Sono stato seduto fino all’alba ai bordi della pista da ballo per vedere che cosa facevi. Non sei più la ragazza sincera e spontanea di una volta. Sei diventata un’altra. Mi hai deluso. Sì, mi hai molto deluso.
Chén (sorpresa): Ti ho deluso?
Fāng (con amarezza): Mi hai deluso…sì, mi hai deluso. Quando sono venuto qui, non mi aspettavo questo. Sei diventata una donna facile.
Chén (seccamente): Mi stai facendo la predica? Lo sai che non mi piace ascoltare le prediche.
Fāng: Non ti sto facendo la predica. Semplicemente, non posso sopportare di vederti così. C’erano delle voci che circolavano al paese, ma io non credevo a nulla di ciò che dicevano di te. Non potevo credere che la persona che mi era più cara al mondo facesse sparlare di sé, che si potesse dire che era una poco di buono. Perciò sono venuto a trovarti e ho visto che vivi qui da sola. Una donna sola, ma circondata da tanti cari amici. In breve, vivi in modo disordinato ed immorale. Che cosa vuoi che ti dica?
Chén (si alza in piedi, accendendosi ostentatamente una sigaretta): Come osi dire queste cose dinanzi a me? Che cosa stai facendo in casa mia? Chi ti autorizza a darmi lezioni? Che cosa hai a che fare con me? Che cosa pretendi di insegnarmi?
Fāng (capendo di averla offesa): È vero. Ora non ho più nulla a che fare con te.
Chén( ): Perché “ora”? Forse prima avevamo una relazione?
Fāng (a disagio): Hum…hum…no, naturalmente non posso dire che avessimo una relazione… (abbassando gli occhi) però dovresti ricordarti che provavi una certa simpatia per me. E sai perché sono venuto a trovarti questa volta?
Chén (dura come una pietra): Non ne ho la minima idea. Perché?
Fāng (implorante): Non posso sopportare di vederti così, non mi piace che tu tenga in mia presenza un comportamento così sregolato. Vorrei che tu ritornassi al paese con me.
Chén (stupefatta): Ritornare al paese? E dove dovrei andare a stare? Sai bene che non c`è più nessuno a casa mia.
Fāng: No, no! Intendevo dire che tu verrai a stare da me. Io voglio…voglio che tu mi sposi.
Chén (come se cominciasse improvvisamente a capire): È per questo dunque che sei venuto a trovarmi ieri? Per chiedermi di sposarti! (d’un tratto le è tutto chiaro) Aaah……
Fāng (sempre più disagio): Ecco, non intendevo dire che io voglio che tu mi sposi…ecco…io sarei tuo marito e tu saresti mia…
Chén: Va bene! Va bene! Non hai bisogno di spiegarmelo. Noi ragazze siamo ancora in grado di capire che cosa significa la parola “sposarsi”. Ma, amico mio, pensi davvero che sia una cosa così semplice?
Fāng (tirando fuori di tasca dei biglietti): Ecco i biglietti. Possiamo ancora prendere il treno delle dieci del mattino. Vieni con me!
Chén: Fammi vedere! (prende i mano i biglietti) Avevi già comprato i biglietti?! Andata e ritorno per te e solo ritorno per me. Ed anche le cuccette.( si mette a ridere) Sei proprio molto previdente.
Fāng (muovendosi in fretta) Se tu sei d’accordo, non c`è nessun problema (fa per prendere il cappello)
Chén: No! Aspetta un momento! Lasciami dire una parola…
Chén: Non capisci? Ti chiedo forse di “mantenermi”? (Il ragazzo non riesce a comprendere il significato della parola e rimane sconcertato) Oh? Non guardarmi così! Tu pensi che non dovrei parlare in questo modo? Sto solo dicendo che ho bisogno di qualcuno che mi paghi da vivere, mi capisci? Voglio vivere in mezzo alle comodità, lo capisci o no? Voglio andare in macchina, divertirmi ad indossare abiti eleganti, giocare e ballare. Lo capisci o no?
Fāng (con freddezza): Ascoltami, Zhùjūn! Tu hai dimenticato chi sei.
Chén: Tu vuoi che io mi ricordi chi sono? Allora ascoltami: Io sono la signorina Chén, originaria di Méndì nel distretto di Shūxiāng. Ho frequentato la scuola femminile Àihuá, dove mi sono distinta per la mia attività sociale, ho organizzato giochi a fini caritativi e sono stata membro del comitato di accoglienza. Poi mio padre è morto e la mia famiglia s’è impoverita. Sono diventata popolare come attrice del cinema e danzatrice. Come ho fatto? E io non saprei chi sono?
Fāng (sprezzante): Mi sembri piuttosto vanitosa.
Chén: Perché non dovrei esserlo? Da quando sono partita me la sono sempre cavata da sola, senza il minimo aiuto né da parte dei parenti né da parte degli amici. Vattene via e, se non ce la fai, crepa! Come puoi vedere, finora ce l’ho fatta ed anche bene. Perché non dovrei esserne orgogliosa?
Fāng : Pensi davvero che ci sia da andare orgogliosa dei soldi che guadagni in questo modo?
Chén: Povero Dàshēng! Sei proprio un po’ottuso. Pensi davvero che il modo in cui tutte queste persone stimate guadagnano soldi sia onorevole? Come avrai visto, qui mi gira intorno gente importante di tutti i tipi: banchieri, industriali, funzionari. Se tu credi che costoro guadagnino onestamente i loro soldi, posso dirti che io li guadagno in modo molto più onesto di loro.
Fāng: Non capisco che cosa tu intenda dire. Forse l’onestà…
Chén: Forse tu intendi per onestà qualcosa di un po’diverso da ciò che intendo io. Non ho mai fatto del male a nessuno, non ho mai portato via il cibo agli altri. Mi piace il denaro proprio come piace a loro, ma lo pago con la cosa più preziosa che ho. Non mento, non cerco di rubare agli altri, posso vivere così perché c’è gente volontariamente disposta a mantenermi perché mi sacrifico. Io rendo agli uomini il servizio meno nobile che le donne possano loro rendere e ne ricevo il giusto compenso.
Fāng (fissando lo sguardo negli occhi chiari della ragazza): Ma questo è terribile…terribile…Com’è possibile che tu non abbia il minimo scrupolo, che tu non provi alcuna vergogna? Non capisci che i soldi non sono niente, che ciò che importa è la vita che uno vive? È mai possibile che un sentimento prezioso come l’amore voli via come un uccellino da una gabbia?
Chén (con voce venata da una punta d’amarezza): L’amore? ( fa una pausa, soffia fuori per un lungo momento il fumo di una sigaretta) Che cos’è l’amore? (fa un gesto con la mano come se volesse disperdere queste parole allo stesso modo del fumo) Sei solo uno stupidotto! Non voglio più parlare con te.
Fāng (determinato a non cedere): Va bene, Zhùjūn. Io credo che la vita che hai condotto negli ultimi due anni ti abbia reso quasi insensibile, ma ora sono qui io e, vedendoti ridotta così, non posso sopportarlo. Devo fare qualcosa per te, voglio…
Chén (non riesce a trattenersi dal ridere): E che cosa vorresti fare per me?
Fāng: Bene. Ridi pure. Non voglio mettermi a discutere con te adesso. So che mi consideri un poveretto e che pensi che io sia venuto a trovarti da così lontano solo per dirti un mucchio di stupidaggini, ma voglio ancora farti…voglio ripeterti una richiesta idiota: spero ancora che tu voglia sposarmi. Pensaci bene! Spero proprio che entro ventiquattro ore mi dirai di sì.
Chén (fingendosi spaventata): O che paura! Ventiquattro ore! Sembra un ultimatum. E se il termine scadrà senza che io ti abbia dato una risposta soddisfacente, che cosa farai? Ordinerai la mobilitazione generale e mi costringerai a sposarti con la forza?
Fāng: Ecco…oh…ecco
Chén: Su, dimmi che farai!
Fāng: Se non mi sposi…
Chén: Allora?
Fāng (disperato): Allora…potrei uccidermi.
Chén (con tristezza): Come t`è venuta in mente una cosa del genere?
Fāng (rendendosi conto di aver parlato come un personaggio da romanzo): No, non mi ucciderò. Non preoccuparti! Non mi suiciderò come farebbe una donna. Me ne andrò via da solo e cercherò di andare il più lontano possibile.
Chén (spegne la sigaretta): Finalmente parli come un adulto. (si alza) Va bene, stupidello! Non avrai bisogno di aspettare ventiquattro ore.
Fāng (alzandosi di scatto anche lui): Come?:
Chén (sorridendo): Posso risponderti subito.
Fāng (spaventato): Ora? No! No! Aspetta! Non dirmelo subito! Sono un po’ agitato. Lascia prima che mi calmi!
Chén (tranquilla): Non agitarti, per favore! Vuoi che ti prepari una tazza di tisana?
Fāng: No! Non ce n’è bisogno.
Chén tira fuori una sigaretta e fa per offrirgliela.
Fāng (tristemente): Te l’ho già ripetuto almeno tre volte che non fumo. (si tocca il petto) È passato. Va già meglio. Che cosa volevi dire?
Chén: Sei calmo ora?
Fāng (con voce tremante): Sì.
Chén (porgendogli il cappello): Allora puoi andartene.
Fāng: Che vuol dire?
Chén: Che non ho alcuna intenzione di sposarti.
Fāng: Perché?
Chén: Perché no! Quanto sei stupido! Perché non riesci a capire che non ho alcuna ragione di sposarti?
Fāng: Allora non provi nulla per me?
Chén: Mettiamola così.
Fāng cerca di prenderle la mano, ma la ragazza si allontana da lui e si dirige verso la parete.
Fāng: Che cosa stai facendo?
Chén: Voglio suonare il campanello
Fāng: Per far che?
Chén: Se tu vuoi davvero ucciderti, chiamo qualcuno che possa testimoniare ciò che farai.
Fāng (guarda Chén negli occhi e si lascia cadere pesantemente sul sofà): Se le parole che m’hai detto poco fa corrispondono ai tuoi sentimenti, perché ti comporti così?
Chén: Ti pare che in questo momento io abbia l’aria di una persona che si interessa ancora a te?
Fāng (alzandosi dal divano) Zhùjūn! (prende in mano il cappello)
Chén: Che fai?
Fāng : Addio!
Chén: Allora addio! (gli prende la mano, molto scossa) Addio per sempre!
Fāng (stentando a trattenere le lacrime): Sì, addio per sempre.
Chén (accompagnadolo alla porta): Vuoi davvero andar via?
Fāng: Sì!
Chén: Mi sembra che tu abbia dimenticato il tuo biglietto di ritorno.
Fāng: Oh! (torna indietro)
Chén (tenendo in mano il biglietto): Vuoi veramente andartene?
Fāng: Sì, Zhùjūn (non può trattenersi dall’asciugarsi le lacrime col fazzoletto)
Chén (posandogli ambo le mani sulle spalle): Che cosa ti succede, stupidotto? Hai un bruscolino negli occhi? Tu sei un uomo forte. Lo sai, vero, che le lacrime vanno lasciate alle donne? (come se consolasse un fratellino) Va bene, bambino mio, fammi piangere con te! Uh….Vedi, ti sto accarezzando…un omone come te…mi sembra uno scherzo.
Non piangere! Non piangere più! D’accordo? (Queste moine invece di consolarlo lo rattristano ancora di più e si sente che deglutisce come se avesse un groppo in gola. Chén ride e premendogli le spalle con le mani lo spinge a sedere sul divano) Dàshēng, pensa a quello che fai! Ti dirò la verità. Non comportarti come un bambino! Tu credi proprio, se vuoi andartene, di potertene andare così, di punto in bianco?
Fāng (guardandola dal basso in alto): Che vuoi dire?
Chén (alzando la mano in cui tiene il biglietto del treno): Questo è il tuo biglietto?
Fāng: Sì. Perché?
Chén : Guarda cosa succede! (strappa il biglietto in due pezzi) Guarda ancora! (strappa ancora in due i pezzi del biglietto e li getta nella sputacchiera). Li conserverò qui per te. Va bene?
Fāng: Tu…tu…che cosa…?
Chén: Non capisci?
Fāng: Come sarebbe, Zhùjūn? MI stai di nuovo promettendo…?
Chén: No, no! Non fraintendermi! Non ti ho promesso nulla. Ho soltanto strappato il tuo biglietto, non il mio atto di vendita. In questo posto io ho venduto tutta la mia esistenza.
Fāng: Allora perché non vuoi lasciarmi andar via?
Chén: Perché ti lasci così prendere dalla passione? Credi davvero che io non voglia sposarti perché ti detesto? Non potresti rimanere con me un giorno o due e parlare con me del passato? Sei così fuori moda da ritenere che per poter essere amici ci si debba necessariamente sposare?...Non possiamo forse pensare con un po’ di nostalgia alla simpatia che ci ha legati in passato? Hai aggrottato le ciglia non appena sei entrato qui. Hai pensato che io fossi una donna dappoco. () Mi hai detto che non ci si comporta come faccio io, che io mi comporto male. M’hai fatto la lezione, m’hai rimproverata, poi m’hai guardata semplicemente in faccia e m’hai detto che volevi che ti sposassi subito. Ho ancora tempo ventiquattro ore per risponderti o vuoi che ti segua subito? Per te una donna deve essere sottomessa come una pecora e non fare mai storie?
Fāng (rigido): Io sono fatto così. Non so dimostrare l’amore che sento. Tu dici che dovrei inginocchiarmi e mormorare qualche frase dolce. Non ne sono capace.
Chén: Oh…Potresti venire a lezione da me e in un paio di giorni impareresti anche tu. D’accordo, non vorresti stare con me un paio di giorni?
Fāng (deciso): Che cosa vuoi dire?
Chén: Ci sarebbe molto da dire. Io potrei presentarti alla gente di qui e trattarti bene. Tu potresti vedere come vive la gente qui.
Fāng: No, non ce n’è bisogno! Le persone che hai intorno sono gente senza sostanza. Non ho nulla da imparare da loro. Del resto, ho già fatto mandare il mio bagaglio alla stazione.
Chén: Davvero?
Fāng: Sì…Io non mento mai.
Chén: Fúshēng! ( Il cameriere esce dalla stanza dalla stanza da letto)
Wáng: Non si preoccupi, signorina Chén. Il suo letto è di nuovo perfettamente in ordine.
Chén: Non è di questo che volevo parlarti. Volevo chiederti…Ti ricordi? Quando sono uscita, ti ho telefonato dall’Hotel Oriente…non è vero? Hai recuperato quei bagagli che erano stati mandati alla stazione?
Wáng: Quelli del signor Fāng intendete dire? Sì, li ho recuperati. Li ho fatti venire dall’hotel della stazione.
Fāng: Zhújūn, come hai osato far portare via i miei bagagli dal mio albergo?
Chén: Sì! Ho osato far portare via i tuoi bagagli dal tuo albergo. Stupidone che non sai dire una bugia.(rivolgendosi al cameriere) In quale camera li hai fatti depositare?
Wáng: Nella n. 24 del lato est.
Chén: È una bella camera?
Wáng: Se togliamo la vostra, è una delle più belle camere dell’hotel.
Chén: Bene! Accompagna il signor Fāng alla sua camera. Se non gli piace, dimmelo, ed io gli cederò la mia.
Wáng: Come volete, signorina Chén.
Fāng (arrossendo di rabbia): Ma è ridicolo, Zhújūn…
Chén: Stai dicendo un mucchio di sciocchezze, signor Fāng. Questa volta ti prego di stare più attento. Quei tuoi vecchi occhiali fuori moda sono tutti rotti.
Fāng.: Dovresti ancora pensarci, Zhújūn.
Chén: Non dire sciocchezze! Ora va’! (lo spinge) Fúshēng! Fúshēng! Fúshēng!
Il cameriere accorre sollecitamente.
Fāng.: Non riuscirò a dormire in un albergo come questo.
Chén: Non riuscirai a dormire? Ho qui delle pastiglie di sonnifero. Prendine un paio! Non c`è bisogno d’essere nervosi. D’accordo?
Fāng.: Non scherzare! Ti dico seriamente che non intendo rimanere qui.
Chén: No, devi almeno dare un’occhiata alla camera. Voglio che tu ci dia un’occhiata. (al cameriere) Accompagnalo nella sua camera. (mentre spinge Fāng verso la porta, gli dice) Affrettati a fare un bagno e va’ a dormire tranquillo. Domani ti alzerai e ti vestirai. Ti farò avere abiti puliti.
Ora va’! Su, obbedisci! Fa’ ìl bravo! MI hai sentito? Goodnight. (Si sente un rombo lontano) Non ascoltare! Ormai è tardi. Sbrigati ad andare a letto.
Il ragazzo fa il broncio e si oppone testardamente, ma non riesce a resistere alle mani e agli occhi di Chén Báilú che, carezzandolo, lo spinge dolcemente verso la porta.
Chén chiude la porta. È talmente agitata che deve appoggiarsi allo stipite della porta. Sembra stanca come se avesse realmente fatto un grosso sforzo fisico. Le sigarette, l’alcool, l’eccitazione di un’intera notte l’hanno prostrata. Si frega gli occhi. Si avvicina alla tavola e si accende una sigaretta. Dall’esterno si ode un altro suono simile ad un ruggito. Si gira e guarda verso la finestra. Fuori, una nube di colore scuro come l’inchiostro si propaga rapidamente. Chén si avvicina alla finestra leggera come un uccellino e strofina via con la mano la patina di brina. Lascia cadere la sigaretta e si dà un pizzicotto sul volto. Cerca di sorridere, ma la sua faccia tradisce un sentimento di paura. Si ritrae rapidamente dalla finestra.
Riprende coraggio e posa il palmo delle mani sul vetro brinato. “Come è freddo” esclama con un gridolino di gioia. Sorride. Libera col dorso della mano dalla brina un pezzo del vetro e sbircia attraverso il varco. Ora comincia a ricordarsi: Perché non ha aperto la finestra per vedere l’alba? Sta per staccare la catenella che chiude la finestra, ma improvvisamente le viene in mente che dovrebbe spegnere la luce. Corre verso l’altro lato della stanza e sparisce dalla scena. La stanza piomba nell’oscurità. Soltanto la finestra rimane visibile avvolta in una luce verdastra. Si intravede l’ombra di una donna che apre la finestra.
Fuori, nel cielo cupo, una fioca luce si fa avanti con passo silenzioso. Fuori della finestra c’era una larga macchia nera che ora sta svanendo. Il cielo scuro riflette I bordi e gli angoli dell’edificio sul lato opposto. Sembra qualcosa come un appendiabiti e un letto.
Ombre di forte sovrapposizione sono mascherate. Chén si addossa alla finestra e guarda fuori. Sospira profondamente ed è colta involontariamente da un brivido. Da lontano risuonano tristemente il fischio attutito di una sirena ed uno squillo grave come quello dei tromboni usati nei funerali.
La camera è immersa nella penombra. Non si distinguono i contorni delle cose. Una figura umana si insinua circospetta da dietro la credenza sul lato sinistro della camera. Appoggiandosi alla credenza, tremante, avanza a tentoni verso la porta per scappare. In quel momento Chén avverte una presenza estranea. Si volta e guarda atterrita. La figura umana rimane inchiodata alla credenza.
Chén (in un soffio, senza riuscire a parlare): Un ladro.
Lo sconosciuto (con voce ansimante): No! Non chiamate!
Chén (atterrita): Chi sei?
Lo sconosciuto (ansimante e tremante, con un filo di voce): Signorina! Signorina!
Chén (facendosi forza): Che cosa stai facendo?
Lo sconosciuto: Io…io…(singhiozza)
Chén corre rapidamente alla parete per accendere la luce e la stanza si illumina. Una bambina magra e spaventata le sta di fronte. È una ragazzina di quindici o sedici anni con due treccine che le scendono sul petto. I capelli sono in disordine. Guarda Chén Báilù con gli occhi sbarrati mentre le lacrime le rigano le guance. Indossa un camicione di seta blu pieno di macchie d’olio e con le maniche così lunghe che toccano il pavimento. Anche i pantaloni sono sproporzionati ed i bordi sfregano sempre il pavimento. I vestiti la fanno sembrare ancor più debole e piccola, come una bimbetta avvolta negli abiti di un gigante. Trema a causa del freddo e della paura. I suoi occhi brillanti sono pieni di innocenza e di tristezza. A testa bassa cerca di fare qualche passo, tirandosi sù i pantaloni con le mani per paura di inciampare.
Chén (guardando questo esserino ridicolo): Oh, poveretta, era tutto qui…una cosetta da niente.
Cosetta (spaventata) Sì! Sì! Signorina! ( Fa un passo indietro, inciampa nell’orlo dei pantaloni e quasi cade)
Chén (non può trattenersi dal ridere, ma la guarda deliberatamente in faccia): Come potevi pensare di rubarmi qualcosa? Dimmi! (in tono irato) Dimmelo!
Cosetta (tenendosi sù i pantaloni con le mani): Io…non ho rubato nulla
.
Chén (puntandole il dito contro): Allora a chi hai rubato questi vestiti?
Cosetta (guardandosi gli abiti): Io…sono i vestiti della mamma.
Chén: Chi è tua madre?
Cosetta (fissando lo sguardo sui capelli corti di Chén): Mia madre…non so chi è mia madre.
Chén (ridendo): Sei così spaventata che non ricordi neppure chi è tua madre. Dove abita?
Cosetta (indicando il tetto): Su per le scale. In alto.
Chén: Su per le scale. (improvvisamente capisce) Chi ti ha detto di scappar via?
Cosetta (in un sussurro): Io…io volevo scappar via.
Chén: Perché?
Cosetta (terrorizzata): Perché… quelli…(abbassa la testa)
Chén: Perché?
Cosetta: Perché quelli...l’altra sera (il terrore le impedisce di parlare)
Chén: Raccontami…qui non devi aver paura.
Cosetta: Quelli…l’altra sera…volevano che dormissi con un negro grosso e grasso. Io ho rifiutato e loro…(singhiozza)
Chén: Oh! Ti hanno picchiata?
Cosetta (facendo segno di sì con il capo) : Sì! Con una cinghia di cuoio. Poi ieri sera mi hanno riportata qui e c’era di nuovo il negro. Io ero terrorizzata. Ero talmente spaventata che quel negro grosso e grasso ha preferito andarsene. Allora quelli … (singhiozza di nuovo)
Chén (di scatto): … ti hanno picchiata di nuovo.
Cosetta (scuote la testa, piangendo): No. C’era gente nella stanza vicina. Avevano paura che li sentissero. Hanno smesso di picchiarmi sulla bocca, di schiaffeggiarmi e (piange) hanno preso un mozzicone di sigaretta acceso e me lo hanno schiacciato sul corpo (trattiene le lacrime) Guardate! Guardate! (Si sporge in avanti. Chén le prende la mano. Le ginocchia le cedono per la debolezza e si accascia con un lamento, ma si rialza immediatamente)
Chén: Che cosa c’è che non va?
Cosetta (con una smorfia di dolore): Mi hanno anche bruciacchiato una gamba, signorina!
Chén: Santo Cielo! (non osa guardarle il braccio) Perché il tuo braccio è così rigido? (si terge le lacrime con un fazzoletto)
Cosetta: Non importa, signorina. Non piangete! (si copre le braccia) Mi hanno portato via i vestiti perché non scappassi e mi hanno detto di coricarmi nel letto e di non muovermi.
Chén: Che cosa facevano quando sei scappata?
Cosetta: Stavano fumando e giocando a carte nella stanza accanto. Solo allora mi sono alzata e mi sono messa i vestiti della mamma.
Chén: Perché non sei subito scappata via il più lontano che potevi?
Cosetta (molto turbata): Dove dovrei andare? Non conosco nessuno. Non ho soldi.
Chén: Ma non parlavi di tua madre?
Cosetta ( con aria instupidita): Sta sù.
Chén: No. Ho detto tua madre. Quella che ti ha fatto nascere.
Cosetta (con le lacrime agli occhi): È morta tanto tempo fa.
Chén: E tuo padre?
Cosetta: È morto il mese scorso.
Chén (voltandosi indietro): Perché sei venuta qui da me? Ti troveranno facilmente.
Cosetta (terrorizzata): Noo! Noo! Nooo! (si inginocchia) Signorina, per favore. Mi aiuti. Non li chiami. Mi stanno cercando. Mi uccideranno. ( afferra la mano di Chén) Signorina, mi protegga! (si prostra con la fronte a terra)
Chén: Alzati! (la tira su da terra) Non ho detto che ti rimanderò da loro. Prima siediti. Riflettiamo.
Cosetta: Grazie, Signorina, grazie! (corre di scatto alla porta e la chiude)
Chén: Che cosa stai facendo?
Cosetta: Ho chiuso la porta. Così non possono entrare.
Chén: Non importa. Non devi aver paura? Ma non volevi andartene.
Cosetta (annuisce): Sì.
Chén: Dove stai andando ora?
Cosetta (bisbigliando): Voglio tornare indietro.
Chén (stupita): Tornare? Tornare da quelli?
Cosetta (abbassando il capo): Sì.
Chén: Perché?
Cosetta: Ho fame. Ho una gran fame. Forse non si sono ancora accorti che sono scappata. Oppure mi picchieranno, ma alla fine mi daranno una tazza di zuppa. Fuori non avrei nemmeno quello.
Chén: Non ti hanno ancora dato da mangiare?
Cosetta: Se non mi danno niente da mangiare, morirò di fame. Ma so che non vogliono lasciarmi morire di fame. Lo so.
Chén: Da quanto tempo non hai mangiato? (va verso la dispensa)
Cosetta: È da più di un giorno che non mangio. Mi hanno detto che non avrei mangiato finché non fossi andata con quel negro grasso.
Chén: Ecco. Mangia subito dei biscotti.
Cosetta (afferra i biscotti) Grazie, Signorina. (mangia avidamente con la schiena appoggiata al muro)
Chén: Piano, piano. Non ingozzarti.
Cosetta: C`è solo questo da mangiare?
Chén (guardandola con compassione): Non preoccuparti. C` è ancora altra roba. (tristemente) Come si riduce uno per la fame. (la porta della camera si apre)
Cosetta (ingurgita in fretta il cibo e si nasconde in un angolo) Ah! Signorina!
Chén: Chi è?
Entra Wáng Fúshĕng.
Wáng: Sono io, sono Fúshĕng.
Cosetta (terrorizzata): Signorina…quell’uomo…quell’uomo
Chén: Non devi aver paura, bambina, è il cameriere del piano
Wáng: Signorina. Il signor Pán, direttore della Banca Dàfĕng, è venuto a cercarla tre volte ieri sera.
Chén: Lo so. Lo so.
Wáng: Il signor Pán non è ancora andato via.
Chén: Non se n` è ancora andato? Perché non se ne va?
Wáng: Non c’è un palazzo accanto a questo hotel? Il direttore Pan può parlare con il suo segretario. Ma mi ha detto di avvisarlo quando la signorina fosse ritornata. Vuole parlarvi.
Chén: È davvero strano. Mi disturbano in camera mia. Vengono qui per parlarmi in piena notte.
Wáng: È ciò che ha detto.
Chén: Allora perché non me l’hai detto prima?
Wáng: Non l’ho detto prima perché qui c’era ancora il signor Fáng.
Chén: Allora di’ al direttore Pán di non venire. Digli che voglio andare a dormire.
Wáng: Come? Non volete vederlo? Il signor Pán, il direttore della grande banca?
Chén (che odia i gesti del cameriere): Che me ne importa? Non voglio vederlo. Hai sentito? Non voglio più vederlo.
Wáng ( con espressione umile, ma senza trattenere un sorrisetto) Non deve arrabbiarsi, Signorina. (Tira fuori un foglio di tasca) Mi ascolti, senza adirarsi.
Una fattura della gioielleria Mĕifēng per 554 yuán, una fattura della seteria Yōngchāng per 355 yuán e cinquanta centesimi, la fattura dell’hotel per 279 yuán, una fattura dello Studio Fotografico Hóngshēng per 117 yuán, una fattura della calzoleria Jiŭhuáchāng per 91 yuán e trenta centesimi. Per il noleggio dell’automobile, questa settimana, una fattura di 76 yuán e cinquanta centesimi…e poi ancora…
Chén (stizzita): Basta! Non leggere più. Non ti ascolto.
Wáng: Ma, Signorina! Non è che io non aspetti il suo “vecchio”, come Lei mi ripete ogni giorno. È facile da dire, ma se non mi dà un soldo nemmeno oggi, non si può più andare avanti in questo modo.
Chén (sospirando): Soldi! Soldi! Sempre solo soldi! (con tristezza) Perché parli così per spaventarmi?
Wáng: Non vorrei dirlo, Signorina, ma quest’anno non è stato buono e il mercato non tira. Oggi va e domani non sai che cosa succederà…
Chén: Non mi sono mai rivolta agli altri per pagare I miei debiti. Li ho sempre pagati io….
Wáng: Certo! L’identità della Signorina è importante, ma…
Chén: Va bene! Ci penserò dopo. Intanto di loro che non si preoccupino..
Wáng (sul punto di andarsene) Oh… Signorina, da dove salta fuori questa ragazza?
(Cosetta guarda a Chén con apprensione)
Chén (andando verso di lei): Non preoccuparti, bambina.
Wáng (guardando con attenzione Cosetta): Mi sembra di riconoscere questa ragazzina. Signorina! Le consiglierei di non immischiarsi in queste cose.
Chén: Che vuoi dire?
Wáng: C’è qualcuno fuori che la sta cercando
Chén: Chi?
Wáng: Un gruppo di poco di buono con abiti neri e cappelli di feltro, pronti a menar le mani
Cosetta (terrorizzata) Ah, Signorina! (va verso Wáng e gli si avvinghia) Ah, Signore! Salvatemi!
Cosetta fa per inginocchiarsi, ma Wáng si scosta.
Wáng (a Cosetta): Lasciami stare.
Chén (a Wáng): Chiudi la porta a chiave.
Wáng: Ma, Signorina…
Chén : Chiudi la porta.
Wáng (chiudendo la porta) Signorina, non possiamo nasconderla. Sua madre e suo padre la stanno cercando dappertutto nell’hotel.
Chén: Non può essere. Da’ loro dei soldi.
Wáng: È di nuovo generosa, Signorina. Dar loro dei soldi. Quanti soldi ha?
Chén: Che cosa dici?
Wáng: Può dar loro dei soldi adesso…ma ne vorranno ancora
Chén: Allora noi…
Si sentono dei passi vicino alla porta, poi una voce.
Wáng: Zitti! C` e qualcuno fuori (ascolta un momento) Sono qui davanti alla porta.
Cosetta (disperata) Ah, Signorina!
Chén (tenendole stretta la mano): Se singhiozzi ancora, se non riesci a controllarti, ti caccio fuori.
Cosetta (con voce spenta): Signo …signorina…no…nooo
Chén (in un sussurro): Non parlare! Ascoltiamo!
Si sente di fuori una voce maschile irritata: Maledetta ragazzina! Che sfortuna! È riuscita ad uscire dalla stanza e vuole scappar via! È proprio una fottuta contadinotta, ma finiremo per scovarla..
Si sente una voce stridula di donna: Guarda come si lamenta il signor Jīn Bā per essersi lasciato scappare la bambina!
Una seconda voce maschile (lenta e sorda): Come? Era Jīn Bā che la sorvegliava?
La voce di donna: Ecco che è arrivato il dio della vita e della ricchezza! Però, questa dannata bambina ci è scappata. Vedi un po’ di spiegarcelo!
La prima voce maschile (rivolgendosi alla donna in tono aspro ed impaziente): Vai a farti fottere! La bambina è scappata perché tu non l’hai sorvegliata a dovere. Ed ora cianci, cianci e continui a dire un mucchio di idiozie. (la donna tace) Hei, vecchio, stiamo attenti che non ci sfugga!
La seconda voce maschile (la voce lenta e impostata di un vecchio magnaccia che sa quello che fa): No! No! Per scappare ha rubato l’abito di una donna adulta. Ha indosso soltanto la gonna. Con il freddo che fa oggi, dove potrebbe andare?
La voce femminile (inserendosi nel discorso con l’intenzione di ingraziarsi l’uomo): No! Dove potrebbe andare? Ha preso una delle mie gonne. Ma al primo piano e al secondo piano ci hanno detto di non averla vista. Dove pensi che si sia nascosta?
Una terza voce maschile ( la voce dura di una persona che sa il fatto suo): Donna! Il cameriere di questo piano ci ha detto che l’ha appena vista passare. Dove potrà essersi cacciata?
Si sente la voce roca del primo uomo concludere in tono deciso: Allora deve trovarsi da qualche parte in questo piano
La voce femminile (borbottando); Uh! Non ho più fiato. Maledetta ragazza!
Le voci maschili:
Non prendertela, donna!
Di qua! Cerchiamola separatamente!
Dovete trovarla!
Le tre persone che si trovano nella camera ascoltano, con il fiato sospeso, i passi che si allontanano.
Chén: Se ne sono andati?
Wáng: Sì. Credo proprio che se ne siano andati.
Chén: Vediamo! ( apre di scatto la porta, ma, mentre sta per sporgere la testa, la bambina la prende per un braccio e la tira indietro disperatamente)
Cosetta( scuote la testa, implorando): Signorina! Signorina!
Wáng ( chiude con forza la porta e, facendo segno di no con la testa, ammonisce Chéng): Non si occupi di queste cose, Signorina.
Chén: (rivolgendosi a Cosetta) Non aver paura! Non è nulla. ( a Wáng) Che cosa succede? Questo è…
Wáng: È meglio non irritare questa gente. Sono individui che è pericoloso provocare e con cui non conviene fare gli eroi.
Chén: Che vuol dire?
Wáng: Sono una banda di delinquenti. Si impadroniscono di bambini e vivono sfruttandoli.
Chén: Ma sono pazzi! Picchiare una bambina in questo modo! Guarda!(solleva il braccio di Cosetta) L’hanno torturata a sangue con un mozzicone di sigaretta acceso.. Se tu hai paura di metterti nei guai, posso denunciarli io.
Wáng (con un gesto di scherno): Denunciare! Chi volete denunciare? Sono tutti bene ammanicati con i pezzi grossi della città. Credete davvero che la vostra denuncia avrebbe un seguito? Che cosa farete dopo esservi attirata il loro odio?
Chén: Come sarebbe? Dovrei forse consegnare loro questa bambina?
Cosetta (spaventatissima, parlando a fatica): Noo, Signorina! (si asciuga con la manica del vestito le lacrime che le colano silenziosamente dagli occhi)
Wáng (scuotendo la testa): È una brutta faccenda. A mio parere, dovreste rimandare indietro la bambina senza fare storie. Ho sentito dire che questa bambina ha schiaffeggiato il signor Jīn Bā e che il signor Jīn Bā era furioso. Non lo sapevate?
Chén: Il signor Jīn Bā? Chi sarebbe questo Jīn Bā?
Cosetta (alzando la testa): È un grassone con la pelle scura.
Wáng (stupito che Chén Báilù non conosca il signor Jīn Bā): Il signor Jīn Bā? Il signor Jīn Bā è uno degli uomini più ricchi della città. Soldi e potere. Controlla tutto il mercato della prostituzione. Non ne avete mai sentito parlare?
Chén (trattenendo il respiro per lo stupore): Come? Jīn Bā? Proprio lui? E lo hanno lasciato entrare in questo hotel?
Wáng: A casa sua si annoiava e così è venuto qui a giocare e a divertirsi. C`è qualcosa che non si possa fare con i soldi?
Chén (sussurrando): Jīn Bā! Jīn Bā! (a Cosetta): La tua sorte è davvero amara, piccola. Come sei finita in un simile inferno? È vero che lo hai schiaffeggiato?
Cosetta (con ingenuità): Chi? Quel grassone dalla pelle scura?...Sì. Mi stringeva con forza ed io non riuscivo a liberarmi. Così l’ho schiaffeggiato. (il ricordo sembra divertirla) Ho dato un mucchio di schiaffi al suo faccione.
Chén (fra di sé, con serietà): Hai picchiato Jīn Bā?
Cosetta (timorosa di aver sbagliato, con voce implorante): Ma, Signorina, non lo farò mai più, non lo picchierò più.
Chén (parlando a sé stessa): Ben fatto! Ben fatto! Chissá che divertimento deve esser stato.
Wáng (esitante): Signorina! Vorrei dirle subito che preferirei non immischiarmi in questa faccenda. Abbia pure compassione di questa bambina e se ne prenda cura: sono affari suoi. Ma io non voglio averci niente a che fare. Fra un po’ chiederanno anche a me…
Chén (decisa): Va bene. Gli dirai che non hai visto nulla.
Wáng (fissando Cosetta): Non ho visto nulla?
Chén (in tono imperioso): Ti chiedo di dire che non hai visto nulla.
Wáng ( a disagio): Ma…
Chén: Se ci sarà qualche problema, me ne prenderò io la responsabilità.
Wáng (che attendeva solo di sentir pronunciare queste parole): Bene! Bene! D’accordo! Se ci sarà qualche guaio, se ne prenderà Lei la responsabilità. (in tono untuoso) Come ha già detto Lei, qui ho visto solo i lampadari in alto ed il pavimento in basso.
Chén (con un cenno d’assenso): Va bene! D’accordo! Non torno su quello che ho detto. Adesso vai a chiamarmi il direttore Pān.
Wáng: Ma non mi ha detto proprio adesso che non voleva vederlo?
Chén: Non t’ho detto di andare? E allora vai, senza dire stupidaggini!
Wáng (strascicando le parole): Sì….sì….sì.
Se ne va visibilmente seccato.
Chén (a Cosetta): Hai finito di mangiare.
La bambina, che è riuscita a mangiare soltanto due panini, mormora qualcosa con la bocca piena.
Chén: Che stai dicendo?
Cosetta: Io…io…non sono ancora sazia.
Chén: Mangia pure tutto quello che vuoi.
Cosetta: No.No. Basta
Chén: Perché?
Cosetta: Ho paura. Ho davvero paura. (si mette a piangere)
Chén (confortandola): Non piangere! Non piangere!
Cosetta: Non mi rimanderai da loro, vero, Signorina?
Chén: No, non lo farò. Non piangere! Non piangere! Ascolta! Fuori c’è qualcuno.
Cosetta smette immediatamente di piangere e fissa la porta trattenendo il respiro.
Entra il direttore Pān, un omone dai capelli grigi, tagliati corti. Si muove con lentezza , ma, alla vista di Chén Báilù, sembra ridiventare giovane e scattante come i suoi figli, il più giovane dei quali ha già compiuto vent’anni. Il suo cranio pelato luccica. Ha gli occhi da miope ed il naso come quello di un cane pechinese. Ha il doppio mento ed una grande bocca. I suoi denti d’oro brillano ostentatamente quando ride. Indossa una lunga tunica di pelliccia su cui porta un gilè di satin. Dal taschino del gilè gli pende una catenella d’oro con ciondoli di giada verdazzurra. Sembra che stia finendo di vestirsi, ma i bottoni del colletto non sono ancora allacciati. Il bordo superiore del colletto è rivoltato verso l’interno e lui, un po’imbarazzato, lo tiene con una mano cercando di tirarlo fuori. Aggrotta la fronte, ma, al tempo stesso, gli viene da ridere, quando pensa che si sta presentando a Báilù in un modo così goffo.
Pān: Lo sapevo che mi avresti fatto chiamare. Ho aspettato tutta la notte. Per fortuna, Lĭ Shíqīng è venuto a parlarmi degli affari della banca, altrimenti non so davvero che cosa sarebbe successo. Ho mandato un cameriere a chiamarti, ma non è tornato. Ne ho mandato un altro, ma non è tornato neppure lui. Ti ho invitata a cena e non sei venuta. Ti ho invitata al dancing e non sei venuta. Ti ho invitata senza successo…ma (nel mio inconscio) sapevo che presto o tardi mi avresti fatto chiamare.
Chén: Credi proprio di essere così attraente?
Pān ( con presunzione): È un peccato che tu non mi abbia visto quando ero giovane…(si volta improvvisamente verso Wáng) Che cosa ci stai a fare qui? Vattene!
Wáng: Me ne vado subito, Signor Direttore.
Il cameriere esce dalla stanza.
Pān: (a bassa voce) Ti manco. Lo sapevo!( in tono appassionato) Non è vero? Su! Dimmi che ti manco.(scoppia in una risata)
Chén: Mi manchi.
Pān: Lo sapevo.(indicandola con il dito) Tu sei una brava ragazza.
Chén: Vorrei che tu facessi qualcosa per me.
Pān: (aggrottando deliberatamente la fronte) Questo è un altro discorso! Questo è un altro discorso! Guardarmi. È possibile che tu non sappia far altro che tirarmi fuori queste stupidaggini.
Chén: Come fai a dirlo?
Pān: Wáng mi ha raccontato tutto.
Chén: Te ne occuperai, non è vero?
Pān: (avvicinandosi alla bambina) Sarebbe questa qui Cosetta?
Cosetta: Sissignore, sono io.
Chén: Guarda come è ridotta….Era…
Pān: Lo so. Ho capito tutto. È sempre la stessa storia.
Chén (con insistenza): Te ne occuperai, Yuètíng?
Pān: Me ne occuperò! Me ne occuperò!
Chén: Ringrazia il signor Pān, Cosetta.
(Cosetta fa per inginocchiarsi)
Pān: (trattenendola) Va bene! Va Bene! Báilù, tu vuoi proprio mettermi nei guai.
Chén: Ascoltate! (fuori si sentono delle voci) Devono essere davanti alla porta. Va’ di là, Cosetta (le fa segno di andare verso destra. Cosetta si nasconde nella camera da letto.)
Si sente la voce maschile di prima: È questa la porta?
La seconda voce maschile: Sì.
Chén ( a Pān): Credo che stiano indicando la porta della mia suite. Oh, Pān Yuètíng!
La voce del primo uomo: Sii preciso! L’hai vista entrare qui?
La voce dell’altro uomo: Ma?!
La voce del primo uomo: E non è più uscita?
La voce di donna: Guardalo! Perché hai paura di bussare?
Il terzo uomo : Siamo sicuri di non bussare alla porta sbagliata?
Le voci dei due uomini si mescolano.
Chén: Yuètíng, non puoi lasciarli entrare qui. Esci fuori e digli che se ne vadano.
Pān: Probabilmente è tutta gente che mi conosce. Non sarà un problema dir loro di andarsene.
Chén: Bene così, Yuètíng. Grazie! Grazie! Sei davvero una brava persona.
Pān: (sogghignando) Da quando ti conosco è la prima volta che mi dici grazie.
Chén (scherzando): Perché è la prima volta che ti comporti da galantuomo.
Pān: Mi stai di nuovo prendendo in giro, Báilù?...Tu…
Chén: Non cominciamo a discutere. Esci e falli andar via!
Pān: Va bene.
Mette la mano sulla maniglia per aprire la porta
Chén: Lo sapevi che questa povera bambina volevano consegnarla a Jīn Bā?
Pān: Che cosa? Jīn Bā?
Ritira la mano dalla maniglia della porta.
Chén: Ha offeso Jīn Bā.
Pān: È questa la ragazzina che Jīn Bā sta cercando?
Chén: Non te l’ha detto Wáng?
Pān: No, non me l’ha detto. Sta’ attenta! È pericoloso fare una mossa sbagliata. (esita e torna indietro)
Chén: Che succede, Yuètíng? Hai cambiato idea?
Pān: Tu non lo sai, Báilù, ma questo Jīn Bā è una bestia senza cuore, è il capo della malavita.
Chén: Così non vuoi occuparti della bambina?
Pān: No! Non posso! È una faccenda di cui non sono in grado di occuparmi…e poi, che cosa ti interessa la sorte di una contadinella…
Chén: Non cercare di bloccarmi, Yuètíng. Se non vuoi occupartene tu, non occupartene, ma non dire a me che cosa devo fare.
Pān: Sta ’attenta, per favore! Sta’ attenta!
Da fuori si sentono la voce del terzo uomo che bussa forte alla porta: Deve essere qui! È senz’altro qui!
Si sente la voce dura del capo: Ne siete sicuri?
La voce del terzo: Guarda! Non è il fazzoletto della nostra madama? La bambina non è scappata indossando i suoi vestiti?
La voce della donna: No. Non è il mio fazzoletto.
La voce del primo uomo, urlando: La porta deve essere questa. È senz’altro qui dentro. Aprite! Aprite!
Chén: Ah! Così tu non vuoi far niente (è in procinto di aprire la porta per affrontare quelli che stanno fuori)
Pān: (trattenendola per la mano): Fingi di non essere in camera.
Il terzo uomo fuori della porta: Aprite! Aprite! Stiamo cercando qualcuno.
Chén: Vattene via, Yuètíng, così non avrai problemi. Io voglio aprire la porta.
Pān: Non farlo, Báilù.
Chén: Vattene! (gli fa segno di uscire, indicandogli una porta sulla sinistra). Vattene o mi arrabbio.
Pān: Va bene. Me ne vado.
Chén: Fila via!
Appena Pān esce dalla porta che si apre sul lato sinistro del salone, Chén spalanca la porta centrale.
Chén (sulla soglia): Benvenuti! Chi state cercando?
L’uomo che sta di fronte alla porta (vestito di nero e con un cappello nero in testa): Che te ne frega di chi stiamo cercando? (rivolgendosi con rabbia ai compagni che gli stanno dietro) Su, entriamo tutti e mettiamoci a cercare!
Chén (assumendo di colpo un’espressione dura): Fermi tutti! Chi vi ha detto d’entrare? Abbiamo forse pascolato i maiali insieme? Se volete fare i prepotenti e non siete capaci di ragionare, qui avete trovato una che è più prepotente di voi. ( si mette a sghignazzare) State cercando merci di contrabbando? Se cercate oppio, io qui ce l’ho, se cercate pistole, io qui ce le ho. ( gonfia il petto) Non vi dico il falso. Lì (indica la stanza a sinistra) ci sono quattrocento tael di sigarette e lì (indica la stanza a destra) ci sono ottanta rivoltelle. Ditemi che cosa volete? Ce n’è abbastanza per farvi giocare tutti.(Gli uomini dinanzi alla porta hanno un momento di incertezza. Chén indica loro la soglia) Su, avanti tutti, signori e signore!(con esagerata gentilezza) Perché non entrate? Siete grandi e grossi e siete cosi timidi?
Il primo uomo (indeciso): Entrate! Entrate! Che cosa facciamo?
Il terzo uomo: Cretino! Chi ti ha detto di entrare? Andiamocene.
Il primo uomo (confuso ed incerto): Andarcene? Perché?
Il terzo uomo (ridendo, rivolto a Chén): Non si arrabbi! Con chi se la prende? Siamo gente come si deve e non siamo venuti qui a darle noia. Stiamo cercando un bambino che ha fatto una grossa marachella. Siamo venuti a chiedere anche qui, per trovare dove si nasconde, e ci dispiace di averla spaventata, Signorina.
Chén (interrompendolo): Allora, tutta la vostra banda è venuta a disturbarmi per cercare una bambina.
Il primo uomo (molto preoccupato): Lei dovrebbe averla vista entrare.
Chén: Mi dispiace. Non ho visto nessuno.
Il primo uomo: Però davanti alla Sua porta abbiamo trovato un fazzoletto della ragazzina.
Chén: L’avrà perso passando dinanzi alla mia porta. Che c’entro io?
Il primo uomo: La avverto che qualcuno ci ha riferito di aver visto la ragazzina entrare proprio qui poco tempo fa.
Chén: Se è entrata nel mio appartamento e mi ha rubato qualche cosa, allora posso garantirvi che vi considererò responsabili di ciò che è successo.
L’uomo (ridendo): Non sia così aggressiva. Non possiamo forse dire che apparteniamo tutti ad una stessa famiglia? Se Lei ci fa un favore, io posso fare in modo che Lei e il signor Bā…
Chén: Il signor Bā? Ah! Anche voi siete amici del signor Bā?
Il primo uomo (shignazzando): Evidentemente gli amici non gli bastano. Quel buon vecchio cerca roba giovane.
Chén: Magnifico, allora! Il signor Bā mi ha appena detto di invitare chi sta bussando alla porta, cioè voi, ad andarsene via.
Il primo uomo: Come sarebbe? Tu hai parlato con il signor Bā?
Chén (portando all’estremo la sua finzione): Sì! Il signor Bā è qui da me.
Il primo uomo (dubbioso) È qui da te? È uscito dall’hotel pochi minuti fa.
Chén: Forse voi non l’avete visto rientrare.
Il primo uomo: È rientrato in albergo? (fa per allontanarsi, ma poi si ferma e rimane perplesso, sospettando che la ragazza menta) Dobbiamo vederlo per riferirgli ciò che è successo. (si riavvicina alla porta) Stai dicendo la verità?
Quelli che stanno davanti alla porta (tutti insieme): Sì, dobbiamo vederlo!
Chén ( con calma): Assolutamente no! Il signor Bā ha detto che non vuole vedere nessuno.
Il primo uomo: Non vuol vedermi?ma sono io, sono io che voglio vederlo!
Chén: Assolutamente no! Non puoi vederlo!
Il primo uomo: Non posso vederlo? Ma io voglio vederlo! (in quel momento si accorge che nella suite, a destra, c`è una porta. È la porta della stanza in cui è nascosta Cosetta) Il signor Bā deve certamente trovarsi in quella stanza.
Chén ( corre di scatto a sinistra, verso la porta della stanza dove s’è rifugiato il direttore Pán e si piazza deliberatamente dinanzi alla porta) Va bene! Vai pure a vedere in quella stanza, ma non entrare in questa.
Il primo uomo: Ah! “Madame” Bā vorrebbe davvero lottare con me (le si avvicina con un sorrisetto cattivo) Levati di torno! Fatti da parte!
Chén: Si vede che hai proprio voglia di morire! (si gira di nuovo verso la porta e urla) Signor Bā! Signor Bā! Esca subito e dia loro una lezione!
La porta si apre e ne esce il direttore Pán Yuètíng, in pigiama.
Pán (indicando la porta, a bassa voce): Báilù, perché urli? Il signor Bā sta dormendo. (guarda il primo uomo) Ah! Il Nero ! Che ci fai qui?
.
Il primo uomo (sorpreso): Oh! Signor Pán! È qui anche Lei?
Pán: Sono appena entrato nella stanza con il signor Bā. Sono venuto qui per riposarmi un attimo e per fumare una sigaretta. Perché stai piantando casino? Qual è il problema?
Il primo uomo (balbettando): Ch...che problema? (sorride imbarazzato) uh...se il signor Bā sta dormendo....
Pán: Com’è? Vuoi entrare e parlargli con comodo? Va bene! Ti prego, entra e siediti! (socchiude un poco la porta) Mentre io mi fumo una sigaretta, tu entri nella stanza e chiedi al signor Jìn Bā di alzarsi e di starti a sentire...
Il primo uomo (sorridendo con imbarazzo): Che idea Le è venuta, signor Pán? Sta scherzando?
Pán: Perché non entri e non ti siedi, invece di stare in piedi accanto alla porta? Non ti va?
Il primo uomo: No! No! Però ..vede...il fatto è che abbiamo anche degli affari importanti...
Pán: Perfetto! Se hai qualche problema da discutere, allora esci e vieni con me, ma smettila di star qui a dire sciocchezze!
Il primo uomo (con atteggiamento sottomesso): Va bene, signor Pán. Per favore non si arrabbi così. Ci scusiamo molto per la nostra cattiva educazione. (Si volta verso i suoi compari che attendono sulla soglia della suite) Che cosa state a guardare, bastardi? Non ve ne andate ancora? Li mortacci vostri! (si gira di nuovo, sorridente) Non hanno proprio nessuna maniera. Che gente! ( si rivolge al direttore Pán) Per favore, signor Pán, quando il signor Bā si sarà svegliato, non gli dica che siamo stati qui, Anche Lei, signorina, non dica male di noi, non dica nulla di ciò che è successo poco fa. Poco fa, stavo solo scherzando, stupido che sono! (si dà una pacca sulla bocca) Accidenti a me! Stupido che sono!
Chén: Va bene! Va Bene! Adesso, vattene!
Il primo uomo (sfoderando un gran sorriso): Non è più arrabbiata con noi? Sono contento. Andiamo subito via.
(esce dalla suite)
Chén (chiudendo la porta) Uff, è finita! (mormora fra sé) È la prima volta che faccio qualcosa che mi dá tanta soddisfazione.
Pán: È andata! È la prima volta che faccio una scena così ridicola.
Chén: Va bene! Andiamo! Manda pure via il signor Jìn Bā.
Pán (borbottando): “È facile invocare il demonio, ma è difficile mandarlo via”. È stato facile cacciarli via con questo trucco, ma , quando incontreremo Jìn Bā, avremo un sacco di problemi.
Chén: Non preoccuparti oggi di ciò che succederà domani. Comunque è stato divertente.
Pán: Divertente?
Chén: MI è sembrato tutto “così divertente”. A te no? (sbadiglia) Sono davvero stanca (all’improvviso intravede un raggio di sole brillare sul pavimento) Ehi! Guarda! Guarda!
Pán: Che cosa succede?
Chén: Il sole...il sole...è sorto il sole (corre alla finestra e l’apre)
Pán (seccamente): È vero. All’alba sorge il sole. Che motivo c’è di gridare così?
Chén (esponendosi ai raggi del sole, mentre da fuori proviene un leggero cinguettio): Il cielo è pieno di nuvole! Il cielo è pieno di luce! Ascolta! I passeri cinguettano. (fuori dalla finestra si sente il cinguettio dei passeri) È arrivata la primavera ( tutta gioiosa accenna con le mani a movimenti di danza) Oh, quant’è bello il sole! Quant’è bella la primavera! Quant’è bella la giovinezza! Quanto sono contenta di me stessa! Oh, quanto mi piace tutto ( aspira una lunga boccata d’aria fresca).
Pán (distratto): Che bello! Che bello! Di che cosa stai parlando? (improvvisamente) Bái Lù, in questa stanza fa troppo freddo. Ti congelerai. Chiudiamo la finestra!
Chén ( con ostinazione): No! No! Non voglio chiuderla!
Pán: Va bene. Va bene. Va bene. Se non vuoi chiudere la finestra, non chiuderla. Che cosa posso farci io? Non sono mai stato così premuroso con mia figlia.
Chén (voltando la testa): Che c’è di strano? Se io fossi tua figlia non avresti di certo per me tutte le premure che hai adesso, non credi?
Pán: Hai ragione, hai proprio ragione...(in tono implorante) ma, per favore, chiudi la finestra (apre la bocca e storce il naso, sta per starnutire)...atciú...(starnutisce rumorosamente), guarda! Mi sto raffreddando.
Chén (staccandosi dalla finestra): Sciocchino, perché non me l’hai detto subito?
Pán (soddisfatto): Allora, per favore, chiudi la finestra.
Chén (scuotendo la testa): No! Ti porterò dei vestiti. Dai siediti, indossa il mio mantello, mettiti al collo la mia sciarpa e copriti le gambe con la mia vestaglia di pelliccia. Prendi anche la mia borsa dell’acqua calda. Guarda, non va bene così? (lo fa sedere su divano conciato in modo abbastanza curioso) Come sei bello! Sembri mio padre, il mio povero vecchio paparino. Vi sentite tutti male qui da me.
Pán (spingendola via): Báilù (tenta di alzarsi dal divano) Non voglio che tu mi chiami “vecchio paparino”.
Chén (ricacciandolo giù): Mi piace chiamarti “vecchio paparino”. Voglio proprio chiamarti “il mio vecchio paparino”.
Pán (protestando): Non sono vecchio. Perché vuoi chiamarmi “vecchio paparino”?
Chén (ridendo, mentre gli accarezza la testa come ad un gattino ed accosta ripetutamente il suo volto a quello di Pán): Sì, voglio gridarlo! Voglio urlare: il mio vecchio paparino! Il mio vecchio paparino!
Pán (facendo finta di opporsi e cercando di rialzarsi, anche se in realtà è felice delle moine): Se vuoi chiamarmi così, chiamami come vuoi! Va bene anche così, chiamami pure in questo modo! È un bel nomignolo. È un bel nomignolo.
Chén (all’improvviso): Stai fermo, Yuètíng! (gli getta addosso un mucchio di vestiti e lo blocca di nuovo sul divano) Per me sei come il mio bebé. Lascia che ti canti una ninna-nanna.
Pán (esterrefatto): Una ninna-nanna? (accarezzandosi la barba grigia) No! No! Così non va!
Chén: Allora lascia che ti legga un libro. Io leggo e tu ascolti. (prende in mano un elegante volumetto)
Pán (sbirciando il titolo del libro che Chén tiene in mano):”L’Alba”? No! Non voglio! Già il titolo non mi piace!
Chén (con caparbietà degna di un bambino):Anche se non ti piace, lo ascolterai lo stesso.
Pán: Non ti ascolterò. Non ho voglia di ascoltare.
Chén (ostinata):Voglio che tu mi ascolti. Insisto perché tu mi ascolti.
Pán (sospirando con l’aria seccata di chi è costretto a fare qualcosa controvoglia): Su, leggi! Ti ascolto! Ti ascolto!
Chén (cominciando a leggere): “Sorge il sole. L’oscurità si allontana...”.
Pán (sbadigliando): Che scemenze! Che scemenze! Questo libro non vale niente..
.
Chén (ignorandolo):”Ma non è il nostro sole. Noi andiamo a dormire”.
Pán (sbadigliando profondamente): “Il libro è senza senso, ma l’ultima frase che hai letto perlomeno ha un significato”.
Chén (chiudendo il libro con un gesto di impazienza): Sei davvero irritante. Se continui a parlare così, prendo il libro e..”(sta per alzare il braccio e gettar via il libro).
Dalla camera da letto, sulla destra, si sente un cagnolino che abbaia, poi Cosetta che urla.
Pán: Ascolta! Che cosa sta succedendo?
Chén si alza dal divano.
Improvvisamente Cosetta esce correndo dalla camera da letto, inseguita da un cagnolino pechinese. Ha le scarpe in mano ed incespica nei pantaloni troppo lunghi. Terrorizzata, cerca di chiudere la porta, mentre il cagnolino abbaia dalla fessura.
Cosetta (ansimante, imbarazzata, quasi sul punto di cadere): Signorina! Signorina!
Chén: Che ti succede?
Cosetta: Lui...lui mi sta inseguendo. Lui...si è risvegliato.
Chén (impallidendo): Che cosa? Chi...chi ti insegue?
Cosetta (spaventata e affannata): Il vostro cagnolino...il vostro cagnolino s’è svegliato (si guarda indietro) e mi ha morsicata...non voleva vedermi nella stanza.
Chén (rassicurata): Cara bambina! Per un momento ho temuto davvero che fossero entrati dalla camera da letto.
Pán: Vedi come è noiosa questa faccenda?
(Si sente bussare alla porta)
Cosetta: Signorina! Stanno bussando.
Pán: Saranno mica quelli di prima che tornano alla carica?
Chén (avvicinandosi alla porta): Chi è?
(Fāng Dàshēng spinge la porta ed entra nella stanza)
Fāng (in pigiama e pantofole): Sono io, Zhújῡn.
Chén (piuttosto scossa): Perché non sei andato a letto?
Fāng: C’era troppo rumore qui intorno. Non riuscivo a dormire. Fúshēng mi ha appena raccontato che è arrivata la tua figlioccia.
Chén: La mia figlioccia?
Fāng (perplesso): Che cosa vuol dire?
Chén (che ha capito) Ah, sì. (mostrandogli Cosetta). Eccola qui. Guardala! Va bene? Lei è la mia figlioccia.
Fāng (con interesse): è proprio solo una ragazzina.
Pán (emergendo dalla pila di vestiti e di sciarpe, rosse e verdi, che lo ricoprono): Héi, héi, Bàilù, perché parli con un tono così allegro? Chi sarebbe questo signore?
Chén (fingendosi preoccupata): Oh... non lo conosci? Permettimi di presentartelo. È mio cugino.
Pán (sorpreso): Tuo cugino?
Fāng (accorgendosi solo in quel momento che nella stanza c’è un altro uomo): Che succede, Zhújῡn? Perché in questa stanza...?
Chén ( con aria seria): Ah, non lo conoscevi? Ti presento mio padre.
Fāng (esterreffatto): Tuo padre?
Pán (rivolgendosi con ironia a Báilù): Toh, un membro della nostra famiglia. (indicando improvvisamente la finestra) ma chiudi.... chiudi quella finestra! (storce naso e bocca mentre continua ad indicare la finestra) chiudila, dunque! Atciù (starnutisce) Guarda, questa volta mi sono veramente beccato un bel raffreddore.
I tre rimangono come instupiditi a fissare Cosetta.
Fine del Primo Atto
.