LĂO ZĬ
老 子
IL LIBRO DELLA VIA E DEL SUO POTERE (1)
道 德 經
Il Dào Dé Jīng 道 德 經 si presenta come un testo di 81 capitoli, tradizionalmente suddiviso in due parti: il Dào Jīng 道 經 (capitoli I-XXXVII) ed il Dé Jīng 德 經 (capitoli XXXVIII-LXXXI).
Questa suddivisione fu improvvisamente rimessa in discussione nel 1973, quando furono scoperti, in una tomba di Măwángduì 馬 王 對, risalente al 168 a.C., due testi, scritti su rotoli di seta, nei quali il Dé Jīng 德 經 precedeva il Dáo Jīng 道 經.
Riesce difficile pensare che l’inversione dell’ordine tradizionale riscontrata nei rotoli di Măwángduì sia dovuta ad un errore materiale del copista. Nella Cina della dinastia Hàn la scrittura era appannaggio di un’ élite intellettuale ristretta e selezionata ed appare molto improbabile che un letterato potesse ignorare il testo codificato di un’opera come il Dào Dé Jīng.
Mi sembra invece più ragionevole immaginare che un testo codificato fosse a quell’epoca ancora in via di formazione attraverso il progressivo consolidamento di due distinte raccolte di riflessioni sorte nell’ambito della dottrina taoista: il Dé Jīng ed il Dào Jīng.
Se si ipotizza che il corpus più antico fosse costituito dalle massime sul buon governo( il Dé Jīng) si può immaginare che la successiva elaborazione filosofica (il Dào Jīng) si presentasse in un primo momento come una sorta di appendice. I rotoli di Măwángduì corrisponderebbero precisamente a questa fase di sviluppo.
L’evoluzione dei secoli seguenti, culminata nel testo“canonico” giuntoci con il famoso commento di Wáng Bì 王 弼 (226 d.C.-249 d.C.), portò a riconoscere accresciuta rilevanza all’aspetto“metafisico” dell’opera, maggiormente presente nel Dào Jīng, che divenne così la prima parte del Dào Dé Jīng.
NOTA
1) Il termine 德 “dé”che figura nel titolo viene spesso tradotto con “virtù”, da intendersi tuttavia, nel senso originario di questa parola, come “ forza che consente di raggiungere un risultato”,”capacità”, “energia”,”potere”. Il potere della Via facilita il governo degli Stati in quanto l’adesione ai
princìipi taoisti implica che i sovrani comprendano le leggi della natura e vi si adeguino.
I
Ciascuno di noi è in grado di riconoscere il bello
perché esiste il brutto.
Ciascuno di noi sa discernere il bene,
perché esiste il male. (1)
Infatti,
l’essere e il non essere nascono l’uno dall’altro,
il facile ed il difficile sono complementari,
il lungo ed il corto si integrano a vicenda,
l´alto ed il basso si sostengono mutualmente,
la voce ed il tono si armonizzano tra di loro,
il prima ed il dopo si alternano costantemente.(2)
Perciò il saggio si fonda sulla regola del non agire(3)
ed insegna senza dare lezioni.
È aperto a tutto
e non respinge nulla.
Produce le cose, ma non se ne appropria.
Le usa, ma non conta su di esse.
Acquista meriti, ma non li fa valere
perché, soltanto se non li reclama,
tali meriti sono veramente suoi.
NOTE
(1) La traduzione letterale sarebbe: “ Nel mondo ciascuno sa cos’è il bello, perciò esiste il brutto. Ciascuno sa cos’è il bene, perciò esiste il male”. L’idea che l’autore intende esprimere è che un concetto può essere definito solo contrapponendolo a ciò che è “altro “,”diverso”,”opposto”.(È del resto l’idea insita anche nell’etimologia del nostro termine “definizione”:una cosa può essere individuata e definita solo se possiamo delinearne i
“fines”, cioè i limiti.) Se tutti fossero belli,nessuno sarebbe bello, perché mancherebbe qualsiasi termine di paragone per definire la nozione
di “bello”. La stessa cosa vale per la nozione di “brutto” e per qualsiasi altro concetto.Ciò che non ha limiti non può essere concepito né individuato né definito. Ecco perché il cap. I dichiara “La via che si può descrivere non è la Via”.
(2) È espresso in questi versi il principio dell’interazione degli opposti ( yīn 陰 e yáng 陽 ) che trova espressione grafica nel tàijítú 太 極 圖 , il simbolo della dottrina taoista.
(3 ) Il “ non agire” (無 為 “wú wéi”),uno dei principî fondamentali della dottrina taoista, non va inteso come pura “inazione”, ma piuttosto come “ azione conforme alla natura”, l’unico tipo di comportamento che può essere coronato dal successo.
III
Astenetevi dal premiare i più meritevoli,
così non creerete rivalità fra la gente.
Non accumulate beni preziosi,
così la gente non sarà indotta a rubare.
Non esibite oggetti lussuosi,
così la gente non vi invidierà.
I saggi reggitori abbiano per regola
di riempire le pance e non i cervelli,
di rafforzare i muscoli e non la volontà,
di tenere il popolo lontano
dalla conoscenza e dalle passioni. (1)
Non permettano ai filosofi
di occuparsi della vita pubblica.
Governando senza agire
eviteranno il disordine.
NOTA
(1) Se Lăo Zĭ 老 子 , il mitico saggio che varcò i confini dell’Impero e si diresse, cavalcando il suo bufalo,verso il deserto come per dissolversi nel nulla dopo aver lasciato in dono al guardiano della frontiera la raccolta delle sue massime, ritornasse oggi a predicare tra di noi sarebbe immediatamente denunciato per grave turbamento dell’ordine pubblico.
Quelli che leggiamo nei versi di questo capitolo sono infatti soltanto i primi di una serie di pressanti inviti a svalutare l’intelligenza, a trascurare lo studio e la cultura, a mantenere il popolo nell’ignoranza, a zittire gli intellettuali, ad abbandonare la giustizia, ad accantonare le leggi,
a bandire pietà e compassione, ad astenersi dall’agire e dall’intraprendere, a rifiutare lo sviluppo della tecnica, a respingere l’accumulo di capitale ed a disprezzare la produzione di ricchezza.
Tutto ciò lo fa necessariamente apparire, ad un osservatore moderno, come il campione assoluto ed insuperabile del pensiero politicamente
scorretto.
Tali esortazioni vanno tuttavia inquadrate in una filosofia che mostra numerosi punti di contatto con idee che appaiono regolarmente in tutta la
storia del pensiero occidentale dall’antichità classica fino ai tempi più recenti.
Basta guardare all’”età aurea” cantata da Esiodo e da Virgilio, al “paradiso terrestre” descritto nella Bibbia, al “buon selvaggio”lodato da
Rousseau o alla “naturale saggezza” dei contadini russi esaltata da Tolstoj per ritrovare espressi con parole simili, a volte quasi identiche, i concetti
sviluppati da Lăo Zĭ.
Elemento comune a tutti gli esempi citati è la convinzione che sia esistita un’antichissima età nella quale l’uomo era “naturalmente”buono ( o
che tale bontà originaria si sia miracolosamente conservata in popolazioni primitive sfuggite ad ogni contatto con la civilizzazione oppure in classi
sociali rimaste al margine del cosiddetto progresso). In quest’età leggendaria, in cui gli uomini conducevano una vita pienamente conforme ai dettati della natura (o della divinità, quando all’origine del mondo si poneva l’azione di un Creatore), la virtù era il frutto spontaneo di questo modo di vita che non aveva bisogno di alcuna costrizione.
Rotto per sua colpa questo divino equilibrio, l’uomo cerca invano di ricreare con mezzi artificiali la situazione di innocenza primordiale di cui
gli è rimasto il ricordo. Le leggi, lo studio, il sapere, l’attività produttiva, la creazione di ricchezza, la compassione per gli altri dovrebbero riportarlo
alla spontaneità ed alla genuinità delle sue origini. In realtà, messi in opera da animi ormai corrotti, anche questi strumenti sono stravolti e non fanno che concorrere ad una sempre maggiore corruzione.
L’unico mezzo di salvezza è il ritorno alla purezza originaria, che per il Taoista è il ritorno alla Via.
IV
La Via è come una sorgente:
zampilla in permanenza
e puoi abbeverartene
senza che mai si esaurisca.
Essa è profonda
come l’origine dell’universo.
È smussata, ma tagliente,
semplice, ma intricata,
è armonia e luce
ed è insieme
polvere e fango.
Sembra impalpabile,
eppure esiste.
Non sappiamo di chi sia figlia,
ma già viveva
prima che nascessero
i nostri più lontani antenati.
V
L’universo è spietato.
Per lui tutte le cose sono come fantocci di paglia. (1)
Il saggio è spietato.
Anche per lui gli uomini non sono che burattini.
Tutto ciò che esiste fra cielo e terra
è come un mantice:
è vuoto,
ma soffia sempre.
Più lo premi
e più aria ne esce fuori,
incessantemente.
A che servono i grandi discorsi ?
Non son forse meglio moderazione ed equilibrio?
NOTA
(1) Il testo cinese usa il termine 芻 狗 (“chú gŏu”, “cane di paglia”). Sū Zhé 蘇 轍 (1039-1112) così commenta questo verso: “ Cielo e Terra non hanno sentimenti. Non distruggono le cose per crudeltà né le creano per bontà, proprio come facciamo noi quando fabbrichiamo cani di paglia da offrire in sacrificio. Li orniamo e li deponiamo sull’altare, ma non perché li amiamo, e, terminato il sacrificio, li gettiamo via, ma non perché li odiamo”.
VI
Lo Spirito della Valle non muore.
Lo chiamano “La Donna Misteriosa”.
“La Porta della Donna Misteriosa” è il nome che si dà all’origine
dell’universo.
Lo Spirito permane sempre
e non si consuma mai.
NOTA
(1) Lo Spirito della Valle ( 谷 神 “gŭ shén”) e la Donna Misteriosa ( 玄 牝 “xuán pìn”) sono entrambi metafore della Via ( 道 “dào”). La Valle, la Donna e la Via condividono infatti le caratteristiche del principio cosmico femminile 陰(yīn): mistero, oscurità, passività, ricettività, calma e, soprattutto, capacità di generare. (La Valle genera vita perché, essendo vuota, accoglie la luce del sole che la riscalda e le acque dei torrenti che la irrigano e la rendono fertile).In un articolo del 1974 E.M.Chen formula addirittura l’ipotesi che la filosofia taoista si sia sviluppata a partire dall’antico culto di una Dea-Madre.
VII
Come si può spiegare l’eternità del Cielo e della Terra?
Durano così a lungo perché non vivono per sé stessi.
Il saggio si tira indietro
e si ritrova tra i primi.
Non si cura di sé stesso
ed è lui che sopravvive.
Non è forse proprio la sua rinuncia all’egoismo
che alla fine lo serve meglio di tutti coloro che
sono mossi soltanto dal loro interesse personale?
VIII
La bontà perfetta è come l’acqua
che giova a tutti
senza mai rivaleggiare con nessuno.
La puoi trovare anche nei posti
che l’uomo evita e disprezza.
Per questo essa è ciò
che più si avvicina alla Via.
La perfezione di una dimora sta nel terreno su cui è costruita.
La perfezione di un animo sta nella profondità dei sentimenti.
La perfezione di un amico sta nella generosità.
La perfezione delle parole sta nella sincerità.
La perfezione di un governo sta nella disciplina.
La perfezione degli affari sta nell’esperienza.
La perfezione dell’agire sta nella tempestività.
Solo rinunciando all’ambizione
sarai senza macchia.
IX
A che ti serve riempire i tuoi forzieri
fino a farli traboccare?
Nemmeno la spada più tagliente
li proteggerà a lungo.
Chi riuscirà mai a difendere
sale piene d’oro e di giada?
Ricchezza, gloria e superbia
generano sempre sventura.
Compi il tuo dovere e ritirati:
ecco la Via del Cielo.
X
Rafforza spirito ed istinto nella loro unità (1)
ed evita contrasti nel tuo cuore.
Concentra la tua forza vitale
e sii agile e flessibile
come un neonato. (2)
Purifica i tuoi pensieri più nascosti
e sii raggiante e senza macchia.
Ama il paese e dirigine il popolo,
ma astieniti dall’azione.
Quando le porte del Cielo
si aprono e si chiudono,
accetta senza resistere
il volere della divinità.
Cerca di capire il mondo
con una visione profonda
che vada al di là
della pura erudizione.
Crea qualcosa ed abbine cura,
ma fallo senza appropriartene.
Opera senza pretendere.
Guida senza dominare.
Ecco quello che chiamano
“Il Potere Arcano”.(3)
NOTE
(1) Molti commentatori leggono il binomio 營 魄 (“yíng pò” “esercito ed istinto”) , che figura nel primo verso, come 魂 魄 (“hún pò” “spirito ed istinto”), conformemente alla dottrina taoista, secondo cui l’uomo deve sforzarsi di conservare l’unità del suo essere sottoponendo i propri istinti animali al costante controllo delle facoltà razionali.
(2) Appare qui un altro dei temi ricorrenti del Taoismo: il richiamo alla semplicità naturale. Chi può essere il miglior modello di semplicità se non il neonato, il cui comportamento , ancor libero da qualsiasi costrizione e da qualsiasi artificio, è esempio di assoluta spontaneità e sincerità?
(3) Il Potere della Via è un “potere arcano” (玄 德 “xuándé”) perché, conformemente alla natura stessa della Via, esso opera senza manifestarsi. La sua è un’azione “armoniosa”, “soffice”, “femminile” che ottiene i migliori risultati senza rivendicazioni arroganti e senza contrasti violenti. È questo il modo di procedere che ispira il comportamento dei governanti saggi ed avveduti. Mi pare significativo, a questo riguardo, che il nome di cortesia di Liú Bèi 劉 備 , uno dei politici più accorti del periodo dei Tre Regni, fosse appunto Xuándé.
XI
Trenta raggi intorno al mozzo formano una ruota,
ma è grazie agli interstizi vuoti
che il carro si muove.
Mescolando acqua ed argilla fabbrichiamo un vaso,
ma è proprio perché è vuoto
che possiamo usarlo.
Per fare una dimora apriamo porte e finestre.
Sono vuote,
ma sono esse che rendono abitabile la casa.
Perciò,
proprio quando traiamo vantaggio dall’essere,
dobbiamo riconoscere l’utilità del non essere.
XII
Troppi colori rendono ciechi.
Troppi suoni rendono sordi.
Troppi sapori ottundono il gusto.
Galoppo sfrenato e caccia furiosa
fanno uscire di senno.
L’eccessivo amore per il lusso
ostacola la libertà dell’azione.
Perciò il saggio guarda alla sostanza
e disdegna le apparenze.
Non ingoia tutto, ma sceglie e scarta.
XIII
Il saggio cerca di evitare sia la fama sia l’ignominia.
Esse sono per lui una grande sofferenza come il peso del corpo.
Che cosa significa che occorre evitare fama ed ignominia?
Avere successo e non averlo sono entrambi fatti negativi.
Ecco perché si dice: “Evita entrambe le cose”.(1)
Che cosa significa che per il saggio una grande sofferenza è come il peso del corpo?
La sola ragione per cui siamo in condizioni di soffrire è che abbiamo un corpo.
Se non avessimo un corpo, come potremmo provare sofferenza?
Al saggio che tratta il mondo come il proprio corpo possiamo affidare l’Impero.
A chi ama il mondo come il proprio corpo possiamo affidare il governo dello Stato. (2)
NOTE
(1) Mi sembra di poter interpretare i versi in questo senso: Il saggio deve rifuggire dagli estremi e dagli eccessi , conducendo una vita
ragionevole ed equilibrata.Deve quindi evitare tanto l’ambizione smodata quanto la rinuncia a qualsiasi impegno.
(2) L’ambiguità degli ultimi due versi ha consentito di interpretarli nei modi più svariati. Essi affermano infatti che le più alte responsabilità possono essere affidate a chi “valuta” ed “ama il mondo come il proprio corpo”. Ma ci sono innumerevoli maniere di “stimare” ed “amare” il proprio corpo. Lăo Zĭ ci spiega che la dipendenza dal corpo è la sola ragione che rende l’essere umano capace di soffrire.Se ne dovrebbe dedurre, a mio avviso,che quanto più una persona riesce a considerare con distacco il proprio corpo ed a dominare le passioni materiali, tanto più essa riduce la possibilità
di soffrire. Il saggio è perciò colui che “stima” ed “ama” il proprio corpo con la razionalità e con la spassionatezza che sono necessarie per evitare la
sofferenza.Chi sa portare la stessa razionalità e la stessa spassionatezza nel campo della politica è il più adatto a governare lo Stato.
XIV
La si guarda e non la si vede, perciò è detta trasparente. (1)
La si ascolta e non la si sente, perciò è detta eterea.
La si tocca e sfugge al tatto, perciò è detta impalpabile.
Queste tre qualità
si presentano tutte insieme
senza che si possa distinguerle
e perciò si fondono in una sola.
Quando sorge non porta luce.
Quando tramonta non porta oscurità.
Priva di qualsiasi nome,
scorre come una gomena senza fine
mentre ritorna al non essere.
Dicono che è forma priva di contorni,
apparenza senza sostanza,
immagine indistinta.
Valle incontro e non ne vedrai la fronte.
Seguila e non ne vedrai la schiena.
Eppure, devi comprendere la Via del passato
per muoverti nel mondo di oggi,
perché solo chi conosce le origini primordiali
può cogliere l’essenza della Via. (2)
NOTE
1) Questo capitolo si cimenta con la descrizione della Via e risolve il problema nell’unico modo possibile: con un’affascinante descrizione della sua indescrivibilità.
2) Se la Via non si può descrivere nè capire, essa si può forse “sentire”, “intuire”. Tale era senza dubbio la situazione nei tempi antichissimi in cui tutto il creato, compreso l’uomo, si trovava in spontanea consonanza con le leggi della natura. Chi riuscisse ad immaginarsi la felicità naturale dell’ età originaria sarebbe in grado di “cogliere l’essenza della Via”.
Il mito che sta alla base della dottrina taoista non sembra poi molto diverso dai miti dell’”età dell’oro” e del “paradiso terrestre” che costituiscono una
componente essenziale della cultura occidentale.
XV
Gli antichi saggi erano persone colte,
intelligenti, sottili, misteriose, perspicaci,
di mente così profonda
da non poter essere esplorata.
Non riuscendo a comprenderne l’essenza,
possiamo solo descrivere la loro apparenza.
Erano cauti come chi guada un fiume d’inverno.
Erano attenti come chi fiuta pericoli da ogni parte.
Erano cerimoniosi come chi è ospite in casa d’altri.
Erano aperti ed espansivi come ghiaccio che fonde.
Erano semplici come un tronco di legno non lavorato. (1)
Erano d’animo vasto come sono ampie le vallate.
Erano imperscrutabili come uno stagno fangoso.
Erano placidi come la serena distesa dell’oceano,
eppure erano vivaci ed in perpetuo movimento.
Chi può mai trasformare, a poco a poco,
nella calma più completa,
uno stagno fangoso in un limpido lago?
Chi può mai passare,
con movimento lento e graduale,
dall’inerzia alla vita?
Coloro che seguono la Via
non si lasciano sommergere dai desideri.
Il saggio si astiene da ogni eccesso
ed è per questo che egli è come un abito
che copre durante tutte le stagioni
ed è sempre nuovo.
NOTA
(1) Ritorna qui il leitmotif della semplicità: il saggio è spontaneo, genuino, privo di qualsiasi artificio e di qualsiasi orpello come un tronco di legno grezzo (樸 “pŭ”).
XVI
Chi ha fatto il vuoto completo dentro di sé
ha raggiunto la vera quiete.
Il mondo intero può ben agitarsi,
ma io vedo che tutto segue il suo ciclo.
Tutte le cose fioriscono,
poi ciascuna ritorna alle sue radici.
Tornare alle radici è ritrovare la pace.
Ritrovare la pace è compiere il destino.
Compiere il destino è conformarsi
alle leggi eterne dell’universo.
Conformarsi alle leggi eterne
è conseguire l’illuminazione;
ignorarle è precipitare
nella follia e nel disastro.
Chi conosce le leggi eterne è paziente.
Chi è paziente è giusto.
Chi è giusto è perfetto.
Chi è perfetto appartiene al Cielo.
Il Cielo è la Via
e la Via è eterna.
Perciò il saggio non muore,
anche se il suo corpo perisce.
XVII
Il miglior governante è colui di cui il popolo neppure si accorge.
Viene poi colui che è conosciuto e stimato.
In seguito troviamo chi è temuto
e, da ultimo, chi è disprezzato.
Dove la sincerità non viene apprezzata,
subentra l’ipocrisia.
Riflettete a lungo prima di parlare.
Fate il vostro dovere,
svolgete i vostri compiti
e tutti diranno:
“Noi stessi non avremmo fatto diversamente”.
XVIII
Quando fu smarrita la Via Maestra
nacquero l’umanità e la giustizia.
Quando apparvero l’intelligenza e la conoscenza
si tramarono grandi inganni.(1)
Quando i rapporti sociali sono stravolti
si distinguono gli uomini virtuosi.(2)
Quando lo Stato sprofonda nel disordine
comprendiamo chi sono i buoni ministri.
NOTE
(1) La seconda frase del capitolo XVIII sembra essere in contraddizione con le altre. Infatti,la possibilità di distinguere il bene deriva necessariamente dall’esistenza del male. Come l’apparizione della bontà e della giustizia non è causa, bensì effetto dello smarrimento della Via, come il delinearsi della virtù non è causa, bensì effetto del dilagare del vizio, come il riconoscimento del buon governo non è causa, bensì effetto del propagarsi del malgoverno,così la diffusione dell’ intelligenza e della cultura non dovrebbe essere fonte di malizia e d’inganno, bensì conseguenza di questi ultimi in quanto strumento inventato dagli uomini per sfuggire alle trappole della malafede.
La contraddizione è tuttavia soltanto apparente. Una volta rotto l’equilibrio originario, tutto è preso in un vortice, in una spirale senza fine
nella quale causa ed effetto si confondono e risultano intercambiabili. Il rimedio diventa allora peggiore del male. Elementi di per sè positivi, come
l’intelligenza e la cultura,vengono distorti dal loro fine ed utilizzati anche dagli ingannatori per meglio compiere i loro misfatti.
(2) Ho reso con “rapporti sociali” l’espressione 六 親 (“liù qīn”, “le sei parentele”). Essa ricorda infatti l’espressione 五 倫 ( “wŭ lún”, “le cinque
relazioni” ) con cui Confucio designa i cinque tipi di rapporto sui quali si regge la convivenza sociale ( principe-suddito, padre-figlio, fratello
maggiore-fratello minore, marito-moglie, amico-amico). Alcuni commentatori del Dào Dé Jīn interpretano le “sei parentele” con riferimento ai sei personaggi che sono alla base dei rapporti più importanti nell’ambito di un nucleo familiare: padre e figlio, fratello maggiore e fratello minore, marito e moglie.
XIX
Bandisci l’intelligenza, abbandona il sapere
ed il popolo se ne avvantaggerà mille volte.
Bandisci la compassione, abbandona la giustizia
ed il popolo ridiventerà virtuoso e generoso.
Bandisci l’abilità, abbandona il profitto
e non ci saranno più né ladri né briganti.
Sono tre cose di bella apparenza, ma non bastano.
La gente deve affidarsi a qualcosa di solido.
Mostrale la semplicità!
Falle amare la spontaneità!
Elimina l’egoismo
e non ci saranno più passioni.
XX
Rinuncia allo studio e sarai libero dagli affanni. (1)
Che importa saper distinguere “wéi” da “ā” (2)
quando non si sa discernere il bene dal male?
Basta forse dire: il male è ciò che la gente non fa?
Chi mai oserebbe fare ciò che nessuno fa?
Sarebbe questo il criterio di distinzione?
Tutti sono gioiosi
come se partecipassero ad una grande festa,
come se salissero su una terrazza
in un giorno di primavera.
Io solo sono inerte
come un bimbo appena nato
che non ha ancora dato segno di vita.
Tutti hanno più del necessario.
Io solo non ho nulla.
Le mie idee non son forse quelle d’un idiota?
La mia mente è confusa è torbida.
Gli altri hanno pensieri chiari e logici.
Io solo non riesco a ragionare.
La gente normale è vivace ed allegra.
Io solo sono melanconico e depresso.
Tutti sono capaci di fare qualcosa.
Io solo sono ottuso ed ostinato.
Io solo sono differente da tutti gli altri
perché rendo onore alla Madre che ci nutre. (3)
NOTE
(1) Vediamo qui quanto Lăo Zĭ differisca da Confucio nel definire la saggezza. Per il taoismo, non è saggio chi coltiva la propria intelligenza e si applica con assiduità allo studio, bensì chi sa rimanere ingenuo come un bambino, semplice e piano come un’ asse di legno grezzo. Ne consegue inevitabilmente che il saggio è spesso considerato dagli altri come lo scemo del villaggio. Egli però non se ne cura, perché è ben cosciente di essere invece il solo che vive in perfetta consonanza con le leggi naturali e con il vero spirito del mondo.
(2) ” Wéi” 唯 e “ ā ” 阿 sono due particelle di significato abbastanza simile che esprimono diverse sfumature di consenso. Per saper distinguere esattamente i casi in cui va usata l’una anziché l’altra occorre avere un’ottima conoscenza di tutte le sottigliezze della lingua e quindi essere una persona colta.
(3) Il termine “la madre che ci nutre” (食 母 “sì mŭ”) designa senza dubbio la “Via”, come risulta chiaramente dal capitolo XXV in cui la Via è
definita “la madre di tutte le cose”.
XXI
Perviene al culmine della virtù solo chi segue la Via.
La Via è una cosa vaga, indistinta.
È vaga ed indistinta, eppure ha forma.
È vaga ed indistinta, eppure ha sostanza.
È profonda ed oscura, eppure ha energia,
un’energia che è molto concreta e reale.
Dall’antichità fino ad oggi
il suo nome non è svanito
ed essa è ancora e sempre il criterio
per valutare tutte le cose.
Come faccio a conoscere tutte le cose?
Il mio strumento è la Via.
XXII
È spezzata eppure è intera.
È piegata eppure è diritta.
È concava eppure è convessa.
È consumata eppure è nuova.
Puoi appropriartene per poco o nulla
ma le ricchezze non riescono a comprarla.
Il saggio sa cogliere l’unità della Via
e diviene perciò un modello per tutti.
Non si mette in mostra ed è celebrato.
Non fa nulla per distinguersi ed è famoso.
Non si vanta di ciò che fa ed è stimato.
Non è orgoglioso di sé e viene onorato.
È il solo che non si pone in concorrenza con gli altri
eppure nessuno al mondo
è in grado di competere con lui.
Non è forse veritiero l’antico adagio:
“ Imperfetto eppure compiuto”.?
Esso definisce la vera perfezione. (1)
NOTA
(1) Nella concezione del mondo sviluppata dal pensiero cinese ogni realtà risulta dal gioco di due principî opposti che concorrono a
formarla. Nulla, pertanto, può essere solo bianco o solo nero, anzi quanto più si vuole rafforzare fino all’estremo una delle componenti, tanto più ci si avvicina alla componente opposta: quanto più avanza la notte, tanto più è vicina l’alba. I versi di questo capitolo applicano questa visione alla
Via. Essa è tutto e, contemporaneamente, il contrario di tutto: spezzata ma intera ( e , qui, non si può non pensare ai 64 esagrammi del Libro dei Mutamenti , 易 經 “Yì Jīng” , ciascuno dei quali, salvo i due estremi, risulta da varie combinazioni di linee intere e spezzate),piegata ma diritta, concava ma convessa.Il saggio è colui che si rende conto di questa realtà e che non cerca di raggiungere a tutti i costi la perfezione perché, come già ben sapevano gli antichi ,“ la perfezione sta nell’incompiutezza”.
XXIII
Parlare con moderazione è conforme alla natura umana.
Infatti,
una raffica di vento non dura tutto il mattino,
uno scroscio di pioggia non dura tutta la giornata.
Chi produce il vento e la pioggia?
Il cielo e la terra.
Ora ,se il cielo e la terra dopo un po’ si stancano,
a maggior ragione dovrà stancarsi l’uomo.
Perciò, nel tuo agire ispirati alla Via.
Se segui la Via sarai tutt’uno con essa,
se segui la virtù sarai tutt’uno con essa,
se segui il vizio sarai tutt’uno con esso,
perché
la Via si offre volentieri a chi la segue,
la virtù si offre volentieri a chi la segue,
il vizio si offre volentieri a chi lo segue.
Quando la sincerità non è apprezzata
subentra l’ipocrisia. (1)
NOTA
(1) Anche nel parlare chi segue la Via si distingue dagli altri.Il suo linguaggio è laconico e sincero. Egli parla solo quando è necessario e dice unicamente la verità.
XXIV
Chi sta in punta di piedi non è saldo sulle gambe.
Chi divarica le ginocchia non può marciare bene.
Chi guarda solo sé stesso è ignorato dagli altri.
Chi si occupa solo di sé stesso non interessa gli altri.
Chi si vanta di sé non ha successo con gli altri.
Chi è orgoglioso di sé non è onorato dagli altri.
Di costoro la Via dice che sono inutili come avanzi di cucina.
Come si fa a non disprezzarli?
Perciò, chi si conforma alla Via non se ne cura.
XXV
Qualcosa di indistinto esisteva
prima del cielo e della terra.
Era silenzioso e vuoto,
solitario ed immutabile.
Pervadeva tutto
ed era immortale.
Lo si può considerare
come la madre di tutte le cose.
Non sappiamo come si chiami,
ma, se dovessimo dargli un nome,
lo chiameremmo la “Via”,
se dovessimo sforzarci di definirlo,
diremmo che è grande,
diremmo che essere grande significa
essere in perpetuo movimento,
che muoversi significa andare lontano,
che andare lontano significa ritornare.
La Via è grande
come sono grandi il cielo e la terra,
come è grande anche l’uomo. (1)
Vi sono al mondo quattro tipi di grandezza
ed uno di essi appartiene all’uomo.
L’uomo si conforma alla terra,
la terra si conforma al cielo,
il cielo si conforma alla Via,
ma la Via non ha altro modello
che sé stessa.
NOTA
(1) Dopo aver definito le caratteristiche della grandezza, l’autore precisa che anche l’umanità possiede queste caratteristiche. Sembra
infatti di dover leggere come “uomo” il termine “wáng” 王 “re”, che figura, per esempio, nell’edizione canonica del Dào Dé Jīng pubblicata da
Wáng Bì 王 弼 (226 d.C-249 d.C.). Questa interpretazione risulta confermata da un testo, ritrovato in una tomba di Xúzhōu aperta nel 574 d.C. e pubblicato qualche tempo dopo da Fù YÌ 傅 奕 (555 d.C.- 639 d.C.), nel quale figura effettivamente il termine “uomo” 人 “rén.”
XXVI
Come ciò che è leggero nasce da ciò che è pesante
così la ponderazione deve guidare qualsiasi azione.
Un uomo importante,
dopo aver viaggiato tutto il giorno,
non perde di vista i suoi bagagli
nemmeno di fronte ad uno splendido panorama,
ma mantiene la calma ed il controllo di sé.
Come potrebbe un signore
che schiera in campo
diecimila carri da guerra
permettersi di essere
più spensierato dei suoi sudditi? (1)
La leggerezza è l’origine dei disastri.
L’incapacità di riflettere
porta i principi alla rovina.
NOTA
(1) L’importanza degli Stati nell’antica Cina era valutata con riferimento alla loro potenza militare che si misurava in carri da guerra (l’equivalente dei carri armati moderni). Uno Stato capace di schierare diecimila carri da guerra, disponeva necessariamente di un esercito numeroso e ben equipaggiato ed era quindi una “grande potenza".
XXVII
L’azione perfetta è senza sbavature.
Il discorso perfetto non mostra segni di limatura.
Il calcolo perfetto non ha bisogno dell’abaco.
La porta perfetta
non è rafforzata da alcun catenaccio
eppure nessuno riesce ad aprirla.
L’ incastro perfetto
non è assicurato da alcuna corda
eppure nessuno riesce a smontarlo.
Il saggio eccelle sempre nell’aiutare gli uomini
perché non volta loro la schiena.
Il saggio eccelle sempre nel salvare le cose
perché non le lascia da parte.
Ciò è detto pervenire alla comprensione.
Perciò l’uomo virtuoso è il maestro di chi non lo è
e chi non è virtuoso è la risorsa del saggio. (1)
Se l’allievo non rispetta il maestro
e se il maestro non ama l’allievo,
tutta la scienza è sprecata.
Ecco il più profondo dei segreti.
NOTA
(1) Il termine 資 “zī” che figura nel testo originale può essere tradotto con “ricchezza”, “capitale”, “risorse”. Sarebbe quindi limitativo intenderlo nel senso che gli uomini non virtuosi sono semplicemente la “materia prima” che il saggio plasma con il proprio esempio e la propria scienza. In realtà, il rapporto non è affatto unilaterale, ma bilaterale, e può portare frutti solo se entrambe le parti vi si impegnano con sincerità, l’allievo rispettando il maestro ed il maestro amando l’allievo. Colui che si pone come modello senza amare il mondo e l’umanità non è un vero saggio e trasmette solo aride nozioni prive di vita.
XXVIII
Chi conosce la propria forza,
ma sa cedere e piegarsi,
è il fiume in cui tutti confluiscono.
Se è il fiume in cui tutti confluiscono
la virtù non lo abbandonerà mai
e ritornerà allo stato di fanciullo.
Chi conosce la propria luce,
ma sa rimanere nell’oscurità,
è il modello a cui tutti guardano.
Se è il modello a cui tutti guardano
la virtù lo accompagnerà sempre
ed egli ritornerà all’equilibrio.
Chi conosce la propria gloria,
ma sa mantenersi modesto,
è la valle verso cui tutti scendono.
Se è la valle verso cui tutti scendono,
la sua virtù sarà sempre abbondante
ed egli ritornerà alla semplicità
di un pezzo di legno grezzo.
Quando un pezzo di legno grezzo
viene lavorato
si trasforma in uno strumento utile.
Nelle mani del saggio
diventa il primo dei ministri.
Il migliore artefice è quello
che sembra non aver quasi toccato
la sua materia prima. (1)
NOTA
(1) Questo capitolo riprende tutte le metafore del saggio che abbiamo finora incontrato ( il fanciullo, la valle, il pezzo di legno grezzo) e
ribadisce il concetto del “non agire” inteso nel senso di limitarsi ad assecondare quanto più possibile l’azione della natura. Come abbiamo già
visto, il governante migliore è colui che lascia credere ai suoi sudditi di governarsi da soli.
XXIX
Vediamo che chi voleva conquistare il mondo
e modellarlo a proprio arbitrio
non è mai riuscito nel suo intento.
Il mondo è uno strumento divino
che l’uomo non può maneggiare.
Chi lo tocca, lo danneggia.
Sfugge a chi cerca di afferrarlo.
In natura, c’è chi precede e chi segue,
c’è chi sbuffa e c’è chi ansima,
c’è chi vince e c’è chi perde,
c’è chi comanda e c’è chi obbedisce.
Perciò il saggio rinuncia
alla ricchezza, al lusso e alla grandezza.
XXX
Colui che consiglia un sovrano ispirandosi alla Via
non accrescerà l’impero facendo ricorso alla guerra
perché le armi si ritorcono sempre contro chi le usa.
Dove si sono accampati i soldati crescono erbacce e rovi.
Alla mobilitazione di un esercito seguono anni di miseria.
Il saggio raggiunge il traguardo che s’era prefisso e si ferma.
Si guarda bene dal proseguire una rischiosa corsa al potere.
Non si vanta del risultato ottenuto e non se ne gloria.
Non è orgoglioso dell’obiettivo raggiunto e non ne va fiero.
È contento di ciò che ha conseguito e non è ambizioso,
perché il culmine della potenza è il preludio della decadenza,
perché la ricerca del predominio non è conforme alla Via
è ciò che non è conforme alla Via cade rapidamente in rovina.
XXXI
Il saggio non ricorre alle armi
perché esse, anche se belle,
sono strumenti di sventura.
Poiché le armi sono portatrici di sventura,
esse non sono strumenti adatti al saggio.
Se in tempo di guerra la precedenza
è data alla mano che porta la spada,
in pace essa spetta al braccio sinistro. (1)
Il saggio preferisce la pace e la tranquillità
ed usa le armi solo se non può farne a meno.
Quando vince, non se ne vanta.
Menarne vanto significa infatti
rallegrarsi di aver versato il sangue
e chi si compiace di avere ucciso
non ha le qualità per governare.
Perciò la sinistra è simbolo di prosperità,
la destra è segno di terrore e di morte.
I posti d’onore nelle parate militari
sono quelli delle cerimonie funebri.
Il vicecomandante marcia a sinistra
ed il comandante supremo a destra.(2)
Infatti , un esercito che ha massacrato
va accolto con tristezza, pianti e gemiti.
È giusto che il vincitore di una battaglia
sfili come se partecipasse a un funerale.
NOTE
(1) Nella tradizione cinese, la mano destra simboleggia la “forza”, mentre la mano sinistra simboleggia la saggezza. Di conseguenza, con la
sola eccezione dei periodi di guerra, i funzionari civili godono della precedenza rispetto ai militari, che sono considerati inferiori. Questa
precedenza si manifesta coll’occupare, nelle cerimonie e nei ricevimenti, i posti situati alla sinistra del sovrano o della massima autorità
presente.
(2) La regola secondo cui, nelle cerimonie militari, il comandante supremo sfila o siede alla destra del vicecomandante è solo apparentemente in
contraddizione con il rango rispettivo dei due generali. Essa si richiama infatti al giudizio complessivo che il pensiero cinese dà dell’attività
militare.Poiché la missione fondamentale di un esercito è uccidere, in ambito militare le precedenze sono fissate secondo i principî che disciplinano i funerali. Nei funerali i posti di riguardo sono quelli di destra, perché la destra è legata allo yáng 陽, che è, tra l’altro, il simbolo della morte.
XXXII
La Via è eterna, ma non ha nome.
È semplice, è la più piccola delle cose,
ma nessuno è capace di soggiogarla.
Quando principi e re sapevano conformarsi ad essa
tutto il creato rendeva loro uno spontaneo omaggio,
cielo e terra, insieme, stillavano una dolce rugiada,
gli uomini vivevano in armonia, di libero accordo.
Non appena s’è persa la semplicità originaria,
le cose hanno cominciato a ricevere un nome,
ma quando cominciano ad essere dati i nomi
si deve anche capire che è tempo di fermarsi. (1)
Chi sa evitare gli eccessi non sarà mai in pericolo.
Tutto confluisce nella Via
proprio come ruscelli e torrenti
si riversano nei fiumi e nel mare.
NOTA
(1) Il nocciolo di questo capitolo mi sembra consistere nella contrapposizione di due distinte situazioni caratterizzate l’una dal termine
樸 “pú” (“pezzo di legno grezzo”, “cosa semplice”), l’altra dal termine 制 “zhì” (”sistema”, “cosa elaborata”). Nella prima vediamo tutte le caratteristiche dell’”età dell’oro”: la natura amica (“cielo e terra che stillano rugiada”), il rispetto spontaneo dell’ordine sociale e della giustizia, l’uguaglianza tra gli uomini. Nella seconda intuiamo invece la presenza di una società civilizzata, in cui tutto viene a poco a poco definito e regolato. Il termine “shĭ ”始 (“comincia”) che precede il termine “zhì“ (sistema”) ci lascia intendere, anche se il testo non contiene indicazioni di tempo, che la prima situazione è anteriore alla seconda. Questa precisazione non sarebbe, d’altra parte, neppure necessaria, visto che il passaggio da un
primitivo stato di innocenza naturale alla corruzione della società organizzata è uno dei principali temi della dottrina taoista.
Lo stesso concetto è ribadito dalla contrapposizione tra la Via, che non ha nome, ed i nomi, che vengono dati non appena la società comincia ad
organizzarsi. Nel pensiero taoista la necessità di utilizzare dei nomi è tuttavia un evidente segno di limitatezza e di corruzione I nomi infatti
definiscono un concetto, ma un concetto può definirsi soltanto se non ingloba tutto, se è limitato, se si trova in presenza di qualcosa di diverso da esso che permette di circoscriverlo. Nella società primordiale, in cui tutti erano buoni, nessuno poteva essere chiamato buono perché il concetto di “bontà” può solo definirsi in relazione a ciò che è diverso da essa, la “malvagità”. Allo stesso modo l’apparizione dei nomi/concetti di “giustizia”, “onestà”,“umanità”, “virtù” è la prova provata dell’esistenza dei loro contrari e quindi del degrado della società. Più l’uomo si organizza, più si allontana dalla purezza originaria. Ogni passo in avanti su questa via (con la minuscola) porta ad una sempre maggiore corruzione.
XXXIII
Conoscere gli altri è giudizio.
Conoscere sé stessi è sapienza.
Dominare gli altri è forza.
Dominare sé stessi è virtù.
Sapersi accontentare è ricchezza.
Seguire la propria via è determinazione.
Chi sa stare al proprio posto dura a lungo.
Egli muore, ma non perisce.
Ecco che cos’è l’eternità.
XXXIV
La Via Maestra è come un fiume in piena
che straripa ora a destra ora a sinistra.
L’universo le deve la propria esistenza
ed ella ne prende costantemente cura.
Compiuta la sua missione,
non ne rivendica alcun merito.
Veste e nutre le creature
e non se ne proclama padrona.
Poiché è priva di qualsiasi appetito
e di qualsiasi desiderio
può essere definita modesta,
ma, poiché tutte le creature
ritornano a lei
anche se non ne reclama il dominio,
può essere definita grande.
Nella vita il saggio non si dichiara mai grande
e proprio per questo consegue la grandezza.
XXXV
Il possesso della grande figura (1)
fa accorrere tutti
senza recar danno,
tranquilli, pacifici,
nella massima serenità.
Musica e cibi prelibati
trattengono i passanti.
La Via, invece, è insipida,
non ha alcun gusto.
La guardi e non la vedi.
La tocchi e non la senti.
Ma quando ne fai uso,
si mostra inesauribile.
NOTA
(1) Il termine 大 象 (dà xiàng), cioè la “Grande Immagine” è concordemente inteso dai commentatori come una metafora della Via. Esso figura infatti tra le definizioni della Via che appaiono nel capitolo XLI ( 大 象 無 形, “dà xiàng wú xíng”, “una grande figura priva di forma”).
Fin da tempi molto antichi 大 象 ha avuto anche il significato di “elefante”. Si veda, ad esempio,.nello Hóuhànshū 後 漢 書 ,il paragrafo 69 degli “Annali degli imperatori Hé e Shāng” 老 和 老 殤 帝 記:
“Il sesto anno, in primavera, nel primo mese....i barbari che stavano al di là della frontiera presso Yŏngchāng inviarono ambasciatori ad
offrire rinoceronti ed elefanti” ( 六 年 春 智 月...永 昌 外 夷 遣 使 譯 獻 犀 牛大 象 ).
Ho provato, per curiosità, a sostituire la.”Grande Immagine” con “elefante”. Questa interpretazione un po’bislacca non conduce ad un risultato
particolarmente abnorme, anzi sembra adattarsi abbastanza bene alla logica del capitolo. L’esposizione di un elefante attira frotte di curiosi come una banda di suonatori o un ristorante che pubblicizzi piatti prelibati, la Via invece non è in apparenza così attraente, ma il profitto che essa offre è inesauribile.
XXXVI
Ciò che si sta riducendo è certamente stato ampio.
Ciò che si sta indebolendo è certamente stato potente.
Ciò che sta deperendo è certamente stato fiorente.
Ciò da cui si sta prendendo è di certo ciò a cui fu dato.
Capirlo è comprendere la sottigliezza della natura
che fa prevalere il molle sul duro, il debole sul forte.
Come il pesce non può saltar fuori dall’acqua profonda,
così conviene che le risorse dello Stato restino segrete.(1)
NOTA
1) La terza parte di questo capitolo non sembra essere unita alle precedenti da un nesso logico individuabile. Analoghe incongruenze si
riscontrano anche in altri capitoli dell'opera.
Il Dào Dé Jīng si presentava originariamente come una serie ininterrotta di ideogrammi non separati tra di loro da alcuna cesura né da
alcun segno di interpunzione, anche se forme rudimentali di suddivisione in capitoli appaiono già nei rotoli di Măwángduì.
La suddivisione in 81 capitoli è dovuta alla tradizione, tant’è vero che esistono antiche versioni del testo in cui il numero di capitoli
risulta inferiore.
È molto probabile che gli antichi “editori” dell’opera abbiano scelto di suddividerla in 81 capitoli perché 81 è il quadrato di 9, che è numero
legato alla divinità.
Secondo alcuni studiosi, le difficoltà di interpretazione del Dào Dé Jīng deriverebbero in parte dal carattere arbitrario di questa suddivisione,
che non sempre sarebbe stata effettuata con mano felice, oltre che dallo stile estremamente conciso ed essenziale, dal linguaggio poetico e dal lessico arcaico dell’opera.
Secondo altri , invece, molte oscurità nascerebbero da un fattore puramente materiale. Come si sa i testi dei classici vennero copiati sulla carta
da testi scritti sulla seta che a loro volta erano stati copiati da testi più antichi incisi su listelli di bambù tenuti insieme da strisce di seta in modo da
formare tavolette di varia lunghezza, che, avvolte,.assumevano la forma di rotoli. Si può immaginare che i monaci incaricati di ricopiare testi depositati da decenni negli archivi dei monasteri trovassero spesso le strisce di seta corrose dal tempo o rosicchiate da animali ed insetti ed i listelli di bambù ammucchiati in disordine l’uno sull’altro. I tentativi di ricomposizione del testo, inevitabilmente soggettivi, avrebbero portato a risultati più o meno lontani dal testo originale.
XXXVII
La Via non agisce, eppure nulla rimane incompiuto.
Quando principi e re la seguono,tutto si trasforma.
Se ,dopo la trasformazione, permane il desiderio d’agire,
facciamo ricorso alla semplicità di ciò che non ha nome.
La semplicità di ciò che non ha nome spegne le passioni.
Quando svaniscono le passioni regnano pace e tranquillità.
E così, senza costrizione, il mondo intero sarà in ordine.
XXXVIII
Negli uomini più virtuosi la pratica della virtù è schietta e spontanea. (1)
Nei meno virtuosi la pratica della virtù è cosa deliberata ed artificiale.
È per questo che i primi possiedono la virtù ed i secondi ne son privi.
I più virtuosi praticano l’inazione e sono completamente disinteressati.
I meno virtuosi agiscono in vista del perseguimento di determinati fini.
Gli uomini più generosi sono compassionevoli senza rendersene conto
I più giusti si conformano alla rettitudine perché la ritengono un bene.
Coloro che si fondano soprattutto sulle norme (2),
se la gente non obbedisce, ricorrono alla forza.
Perciò si dice che,
smarrita la Via, subentra la virtù;
smarrita la virtù, subentra l’umanità;
smarrita l’umanità, subentra la giustizia;
smarrita la giustizia, subentrano le norme.
Che cosa sono le norme
se non una lieve patina
di lealtà e di sincerità
e l’ inizio del disordine?.
Che cos’è il falso sapere
se non un orpello della Via
e l’inizio della follia?
Perciò il saggio
costruisce su ciò che è solido
e non già su ciò che è fragile,
si fida della sostanza,
non delle apparenze,
e, sulla base di questo,
sceglie ciò che è buono,
scarta ciò che è cattivo.(3)
NOTE
(1) Secondo la dottrina taoista, per la quale la Via è“senza nome” ( 無 名 “wú míng” ) e “senza forma” ( 無 象 "wú xiàng" ), la perfezione è evidentemente l’immedesimarsi spontaneo ed incosciente nell’insieme indistinto dell’universo.
Purtroppo, l’uomo è ormai lontano da questo mitico stato di beatitudine e vive in un mondo di nomi e di forme nel quale non potrà più
raggiungere la perfezione ma solo sperare di avvicinarvisi.
Chi vi si approssima di più è il saggio che pratica la virtù ( 德 "dé" ) istintivamente, senza proporsi alcun fine. Egli “è” virtuoso , perché vive in
armonia con le leggi eterne del cosmo.
Viene poi chi “fa” il virtuoso, cioè chi ha già smarrito l’originaria consonanza con la natura e cerca di ritrovarla, senza troppo successo, attraverso la deliberata ricerca di atteggiamenti virtuosi.
Coloro che “vogliono” essere virtuosi hanno ormai perso di vista il cammino tracciato dalla natura, e, a differenza dei saggi, che applicano senza alcuno sforzo l’aurea regola del “non agire” ( 無 為 “wú wéi”), cercano vanamente di recuperare l’innocenza primitiva attraverso l’azione.
La forma più elevata di azione è quella ispirata dalla“umanità” ( 仁 "rén" ), che è empatia con gli altri, amore e compassione. Questa azione è disinteressata e non mira ad ottenere alcun riscontro.
La forma meno elevata di azione è quella ispirata dall’equità o rettitudine ( 義 "yí" ), che tende a raggiungere un risultato realizzando la giustizia fra
gli uomini.
Queste due forme di azione sono ancora caratterizzate dal fatto che esse escludono qualsiasi tipo di pressione morale o fisica.
L’ultimo grado di decadenza è rappresentato dal “lĭ” 禮 (rito o cerimonia), con il quale entrano ormai in gioco le prescrizioni che esigono di
essere rispettate per garantire l’ordine e la coesione all’interno della collettività. Il progressivo degrado che, nella concezione taoista, è
all’origine delle forme sempre più elaborate di organizzazione sociale e statuale trova puntuale riflesso nel fatto che le prescrizioni comportano ormai un elemento di coercizione fosse pure soltanto sotto forma di riprovazione morale.
Si giunge così al fondo della scala. Una società basata sulla costrizione anziché sulla spontanea adesione alla Via è evidentemente quanto di
più lontano ci può essere dall’ideale taoista.
(2) Ho usato il termine “norme” perché, parlando di “lĭ”(riti), Lăo Zĭ ne mette espressamente in risalto l’elemento prescrittivo. Questo termine
non va tuttavia inteso nel senso di “leggi” 法 “fă”, cioè quei precetti la cui violazione non comporta più soltanto una sanzione morale,
ma anche punizioni materiali di diversa gravità.La scuola legalistica 法 家 (“fă jiā”) che sviluppò l’idea di una società fondata su rigide leggi il cui rispetto era assicurato da un sistema di pene particolarmente severe fiorì infatti in epoca posteriore all’elaborazione del Dào Dé Jīng, che ne avrebbe comunque dato, se l’avesse conosciuta, un giudizio ancor peggiore di quello espresso sui riti.
(3) Il testo cinese dice semplicemente “lascia quello, prende questo” ( 去 彼 取 此 "qù bì qŭ cĭ").È però evidente da tutto il contesto che si tratta di una scelta di carattere etico.
XXXIX
Ecco le cose che hanno raggiunto l’unità:
Il cielo e la terra, gli spiriti e le valli,
l’universo intero, i principi ed i re.
L’unità mantiene puro il cielo e quieta la terra,
riempie di intelligenza gli spiriti e colma le valli,
dà vita e nutrimento a tutte le cose del mondo,
fa di principi e sovrani il modello dei loro sudditi.
Ecco il frutto dell’unità:
Se il cielo non fosse puro, si spaccherebbe.
Se la terra non fosse quieta, sprofonderebbe.
Se gli spiriti non comprendessero, perirebbero.
Se le valli non fossero colme, si inaridirebbero.
Se il mondo non crescesse, si estinguerebbe.
Se principi e re non fossero di modello a tutti
perderebbero il trono e cadrebbero in rovina. (1)
È per questo
che i nobili non dimenticano le loro origini modeste
sapendo che tutto ciò che s’innalza nasce dal basso.
È per questo che principi e re
chiamano sé stessi “orfani”,”indigenti”, “miseri”. (2)
Non è questa la prova del fatto
che riconoscono l’umiltà dei loro inizi?
E non è forse vero?
Il massimo della gloria non porta con sé alcuna gloria.
Non desiderate gli oggetti preziosi.
Gemme e gioielli sono come la giada.
E che cos’è la giada? È solo una pietra. (3)
NOTE
(1) la dottrina esposta in questo capitolo potrebbe essere graficamente sintetizzata dal “taìjítú” 太 極 圖 , il “logo” del Taoismo, che si presenta
nella forma che segue:☯.
L’unità è il cerchio, che mostra al suo interno una parte bianca ed una parte nera. Ciò significa che ogni realtà contiene in sé elementi opposti:
nulla è completamente bianco e nulla è completamente nero. Solo la presenza contemporanea di elementi opposti forma l’unità di una cosa e ne garantisce l’equilibrio. L’eccesso di un elemento porta alla rovina ed alla distruzione: se il cerchio fosse tutto bianco si dissolverebbe sullo sfondo bianco e non esisterebbe più. Questo aspetto del pensiero cinese mi sembra particolarmente importante perché consente di evitare una delle trappole in cui tende talvolta a cadere la cultura occidentale: il manicheismo, vale a dire l’idea che possano esistere realtà totalmente buone e realtà totalmente cattive. Chi comprende l’unità degli opposti comprende la natura delle cose: il vuoto delle valli non è un valore in sé, ma diventa un valore solo se visto in rapporto con i fiumi che riempiono le valli, le irrigano e le rendono fertili. Allo stesso modo, i sovrani, ricchi e potenti, possono compiere con profitto la loro missione solo se si ricordano costantemente di coloro che sono il loro esatto opposto, i poveri ed i deboli, e se ne prendono cura.
La metà bianca e la metà nera del cerchio possono essere visti come una specie di vortice, un ciclone in continuo movimento. Il puntino di colore diverso rappresenta, per così dire, l’occhio del ciclone. Chi si trova nell’occhio del ciclone è sottoposto a forze di estrema violenza, ma sa bene che, raggiunto il culmine, l’uragano non può che diminuire progressivamente d’intensità, per cessare infine del tutto. Sotto l’aspetto dottrinale, il
puntino di colore diverso ci ricorda quindi che anche ( e soprattutto) quando un fenomeno sembra occupare ogni angolo della realtà rimane sempre (anche se latente) una parte del fenomeno opposto, da cui questo può cominciare la sua rinascita.
(2) L’abitudine di usare espressioni ispirate ad umiltà e modestia per indicare se stessi era così diffusa nell’antica Cina che, a poco a poco, tali espressioni soppiantarono quasi completamente il pronome di prima persona e persero, per così dire, la loro valenza originaria, divenendo poco
più di una clausola di stile. Solo così si spiega ad es.che un poeta famoso come Hán Yù si definisca 才 薄 “cái bó”“quest’ uomo di scarso talento”
(cfr. la poesia “I Tamburi di Pietra” 石 鼓 歌 ).
Nello stesso modo, i sovrani chiamavano se stessi 孤(“gū” “solitario”, “orfano”), 寡 (“guă” "indigente", “inetto”, ”indegno”) 不 穀 (“bù gŭ”, “privo di
risorse”, “miserabile”, termine che può essere inteso anche nel senso di capo di uno Stato insignificante).
Lăo Zĭ ci indica la ragione profonda di questo uso: la consapevolezza del fatto che le cose possono cambiare in un istante, che
l’apice della gloria è ad un passo dall’inizio della rovina, che la ricchezza e la potenza sono nate dalla miseria e dalla debolezza e che anche il più
splendido impero può da un attimo all’altro dissolversi nel nulla.
(3) Il testo cinese degli ultimi due versi si può interpretare in vari modi. Io l’ho letto scandendolo in tre frasi distinte: Non desiderate oggetti preziosi. ( 不 欲 琭 “bú yú lù”) Gli oggetti preziosi sono come monili di giada.( 琭 如 玉“lù rù yù”) I monili (di giada) sono come pietre ( 珞 珞 如 石 “luò luò rù shí”). Questa lettura consente - a mio parere - di mantenere il parallelismo concettuale con le riflessioni che precedono, nelle quali è espressa l’idea della coincidenza degli opposti. Come i re si definiscono “orfani” perché sanno che la loro potenza è nata dal nulla e che, una volta giunta al culmine, ritornerà presto al nulla, come l’apice della gloria è al tempo stesso l’inizio della rovina, così, in determinate circostanze, anche la più rara e costosa delle pietre preziose, la giada, può di nuovo essere considerata da un momento all’altro ciò che essa realmente è (ed è sempre stata agli occhi del saggio): una semplice pietra priva di qualsiasi valore.
XL
Il movimento della Via è ciclico
ed il suo motore è la decadenza,
perché tutto nasce dall’essere
e questo nasce dal non-essere.
XLI
Per quanto riguarda l’insegnamento della Via,
l’uomo superiore lo ascolta e vi si conforma,
l’uomo mediocre lo ascolta e poi lo dimentica,
l’uomo da nulla lo ascolta e si mette a ridere.
La Via non sarebbe la Via
se non fosse irrisa dagli stolti.
Ecco la ragione del proverbio (1) che dice:
“ La Via è chiara ma sembra oscura.
La Via avanza ma sembra tornare indietro.
La Via è rettilinea ma sembra piena di curve.
La virtù più eccelsa sembra spesso un baratro.
La virtù più pura sembra spesso inquinata.
La virtù più generosa sembra spesso insufficiente.
La virtù più salda sempra spesso barcollante.”
La Via è naturale e genuina ma sembra artificiale.
Somiglia ad un grande quadrilatero privo di angoli, (2)
ad un grande vaso che non riesca a prender forma,
ad una grande voce che non sappia emettere suoni,
ad una grande figura dai contorni vaghi e indistinti.
La Via è nascosta e senza nome,
eppure è essa sola
che sostiene tutte le cose
e le conduce alla perfezione.
NOTE
(1) Alcuni studiosi hanno sostenuto che 建 言 “jiànyán”, termine che si può tradurre con “detti consolidati” o “massime tradizionali”, non sia un termine generico, bensì il titolo di una specifica raccolta di proverbi. A sostegno di questa tesi, il Prof. Gāo Hēng 高 亨 ha citato numerosi antichi testi, il cui titolo contiene la parola 言 “yán” (“detto”, “proverbio”).
(2) Secondo gli antichi Cinesi,la terra aveva la forma di un immenso quadrato sul quale si stendeva la cupola celeste. Così ce la descrive
l’astronomo Zhāng Héng 張 衡 ( 78 d.C – 139 d.C.): “I cieli sono simili ad un uovo e sono rotondi come il proiettile di una balestra. La terra è