STORIA DELLA CINA
INDICE DELLA RUBRICA
1) Anonimo ( Duō Liánglín ? ) " Poesia dedicata all'Occidente"
2) Tán Sìtóng Versi scritti in prigione, sulla parete della cella
3) G. G. " Come Matteo Ricci divenne Lì Mădòu "
4) Hán Fēi " Hánfēizĭ " ( Capitolo I )
5) Wén Yīduō " La canzone della lavanderia "
Nel 2008, le Olimpiadi di Pechino fornirono ai Paesi Occidentali lo spunto per criticare numerosi aspetti da essi ritenuti negativi della politica e della società cinesi. Queste critiche non furono bene accolte dai Cinesi e, fra le altre reazioni, ci fu anche una “poesia dedicata all’Occidente”( 给 西 方 的 诗 ),che ebbe larga diffusione su Internet sotto il titolo “Diteci, una volta per tutte, che cosa dobbiamo fare!” ( 你 究 竟 要 我 们 怎 样 生 存 ).
Questo testo, la cui traduzione inglese fu pubblicata sul Washington Post, venne attribuito a Duo Liang Lin 林 良 多, già professore di fisica all’Università di Buffalo nello Stato di New York, il quale smentì tuttavia di esserne l’autore, dichiarando di essersi limitato a farlo circolare dopo averlo ricevuto per e-mail da un mittente non identificato.
Prima di presentarne qui la mia traduzione, ritengo opportuno soffermarmi su due punti.
Innanzitutto, tra coloro che hanno commentato il testo su Internet, non è mancato chi ha sostenuto che si tratta semplicemente di un pamphlet politico, di un arido elenco degli infiniti torti asseritamente subiti dalla Cina negli ultimi due secoli.
Per prudenza, ho quindi riportato questa composizione in una rubrica diversa da quella delle poesie. Si tenga tuttavia presente che il negare a priori natura poetica ad ogni testo politicamente impegnato porterebbe a sfoltire notevolmente la poesia europea degli ultimi secoli, ad esempio la poesia italiana del periodo risorgimentale in cui sono frequenti i canti di ispirazione patriottica e nazionalistica.
Va poi osservato, in secondo luogo, che le affermazioni contenute nel testo riflettono il punto di vista cinese circa una serie di problemi sorti nel corso delle relazioni tra la Cina ed i Paesi Occidentali. Si tratta quindi di una visione parziale, che è molto utile conoscere per poter valutare il più correttamente possibile queste relazioni, ma che non può essere assunta come unico metro di giudizio.
A titolo di esempio, da un lato, mi sembra evidente che l’invocazione dei principi del libero commercio per giustificare la “guerra
dell’oppio” appare oggi particolarmente ipocrita e doveva apparirlo anche nel 1842, sebbene la vendita di tale droga non fosse allora legalmente proibita nel Regno Unito e gli Inglesi.non potessero dunque essere accusati di ritenere lecito in Cina ciò che vietavano nel proprio paese. D’altro lato, l’affermazione che i Cinesi hanno annesso il Tibet per “rimettere insieme le
loro terre frammentate” risulta , alla luce dei dati storici disponibili, largamente contestabile, a prescindere dal fatto che la violenta repressione di cui sono attualmente vittime i Tibetani sarebbe inaccettabile anche se questa regione fosse sempre stata una provincia della Cina.
La presentazione del testo che segue in questa rubrica va quindi intesa come un semplice contributo informativo, senza implicare un giudizio sul suo carattere poetico né una condivisione dei suoi contenuti.
Poesia dedicata all’Occidente
Diteci, una volta per tutte, che cosa dobbiamo fare!
Quando eravamo il “malato” dell’Asia,
ci chiamavate il "disordine giallo".
Ora che ci profetizzano il destino d’una grande potenza
ci additate come coloro che vogliono dominare il mondo.
Quando vivevamo per conto nostro, soli e lontani da tutti,
contrabbandavate oppio per sfondare le porte del paese.
Abbiamo accettato il principio del libero scambio
ed ora venite ad accusarci di rubarvi il pane.
Quando eravamo in mezzo alla bufera,
venivate col piede di porco a scassinare i confini,
ben decisi a reclamare la vostra parte di bottino,
ma quando abbiamo cercato di rimettere insieme
le nostre terre frammentate,
ci avete subito detto che eravamo degli invasori
ed avete cominciato ad urlare:"LIbertà per il Tibet".
Quando sperimentavamo il marxismo-leninismo,
deploravate che fossimo diventati comunisti,
ma ora che abbiamo adottato il sistema capitalista,
ci aborrite di nuovo a causa del nostro affarismo.
Quando siamo arrivati ad un miliardo di persone
ci avete detto che stavamo distruggendo il pianeta.
Abbiamo cercato di frenare la crescita demografica
e ci rimproverate di calpestare i diritti dell’uomo.
Quando eravamo dei poveracci, ci trattavate come cani.
Ora che vi prestiamo i soldi,ci incolpate dei vostri debiti.
Se sviluppiamo le industrie,ci chiamate inquinatori.
Se vendiamo dei prodotti, causiamo l’effetto serra.
Quando noi compriamo petrolio,siamo solo sfruttatori ed affamatori.
Se voi fate la guerra per averlo, siete salvatori e liberatori dei popoli.
Quando eravamo immersi nell’anarchia ci dicevate privi di legge,
ora che cerchiamo di mantenere l’ordine, opprimiamo i cittadini.
Quando stavamo in silenzio, dicevate che non c’era libertà di parola.
Ora che parliamo, siamo xenofobi e vittime del lavaggio del cervello.
“Perché ci volete tanto male?”chiediamo. “ Noi non vi odiamo affatto” rispondete.
"Neppure noi vi odiamo. Ma, per favore, diteci sinceramente se ci avete mai capiti".
"Certo che vi capiamo!" è la vostra risposta.
"Noi siamo perfettamente informati su di voi. Non abbiamo l'AFP, la CNN e pure la BBC?
Non potreste spiegarci una volta per tutte come volete che noi ci comportiamo?
Per favore, pensate bene prima di dircelo, perché non avrete un’infinità di opzioni.
Già basta ed avanza ciò che è stato fatto. Il mondo non sopporta più tanta ipocrisia.
Ciò che noi desideriamo è un mondo unito, dei sogni comuni e pace sulla terra.
Questo vasto pianeta azzurro non è forse abbastanza grande per voi e per noi?
(Traduzione di Giovanni Gallo)
2 luglio 2012
Tán Sìtóng 譚 嗣 同 (1865-1898), letterato, filosofo ed uomo politico del periodo Qīng, è ricordato come uno dei “Sei galantuomini del 1898” ( 戊 戌 六 君 子 ”Wùxū liù jūnzĭ" ) (1) (2), che furono giustiziati dopo il fallimento delle riforme tentate dall’imperatore Guāngxù 光 緒 帝 tra il giugno ed il settembre 1898 (3).
Nominato consigliere dell’imperatore nell’aprile 1898, Tán ebbe il 18 settembre un colloquio con il generale Yuán Shìkăi
袁 世 凱 , dal quale sperava di ottenere appoggio contro possibili tentativi di colpo di stato da parte delle forze ostili alle riforme, che facevano capo all’imperatrice vedova Cíxĭ 慈 僖 太 后.
Yuán Shìkăi tuttavia riferì il contenuto del colloquio a Cíxĭ, la quale, temendo che l’udienza nel frattempo concessa da Guāngxù
al primo ministro giapponese Hirobumi Ito 博 文 伊 藤 il 20 settembre 1898 potesse costituire l’avvio di una politica di stretta
collaborazione tra la Cina e le Potenze, prese rapidamente l’iniziativa esautorando, il 21 settembre 1898, l’imperatore ed ordinando l’arresto dei ministri riformisti.
Avvertito di ciò che stava accadendo ed invitato a salvarsi con la fuga, come fecero alcuni dei suoi amici, Tán rispose: “Un paese non può essere trasformato in modo incruento. La Cina è rimasta povera ed arretrata perché finora nessuno ha mai messo in conto di morire per la causa delle riforme. Perciò, io voglio essere il primo a sacrificarmi.”
Rinchiuso nella prigione di Juemingshi, fu decapitato sulla piazza Càishìkŏu 菜 市 口 davanti alla Porta di Xuānwŭ 宣 武 門
il 28 settembre 1898.
Sul muro della sua cella furono ritrovati i seguenti versi:
( "VERSI SCRITTI IN PRIGIONE, SULLA PARETE DELLA CELLA" )
( 獄 中 題 壁 ) Yù zhōng tì bì
望 門 投 止 思 長 儉 Wàng mén tóu sī Zhāng Jiăn
忍 死 須 與 待 杜 根 Rĕn sĭ xū yŭ dài Dù Gēn
我 自 橫 刀 向 天 笑 Wŏ zì héng dāo xiàng tiān xiào
去 留 肝 膽 兩 崑 崙 Qù liú gān dăn liăng Kūnlún
Guardando la porta della cella, penso a Zhāng Jiăn. (4)
Nell’affrontare la morte mi torna in mente Dù Gēn. (5)
Quando la spada calerà su di me, io sorriderò al cielo.(6)
Sia il partire sia il restare sono scelte da galantuomini.(7)
L’una e l’altra sono nobili ed elevate come il Kūnlún.(8)
(Traduzione di Giovanni Gallo)
Queste parole si possono considerare come una sorta di testamento politico.
Nella menzione di Zhāng Jiăn e Dù Gēn (cfr.note 4 e 5) non è difficile cogliere un riferimento a Kāng Yŏuwéi 康 有 為 e Liáng Qĭcháo 粱 啟 超 , i due intellettuali impegnati con Tán Sìtóng nelle Riforme dei Cento Giorni, che sfuggirono alla morte rifugiandosi all’estero.
Tán li stima profondamente e non li condanna affatto. Il loro comportamento rimane degno ed esemplare anche se essi hanno rinunciato all’aureola del martirio.Nulla impone infatti a chi lotta per un ideale politico di giungere fino al deliberato sacrificio della propria vita.
La scelta di Tán è però diversa. Egli sa che il “martirio”ha una forza di convinzione immensamente superiore a quella di qualsiasi argomento logico e decide perciò, con piena consapevolezza, di affrontare la morte.
L’ultimo verso ci mostra la razionalità ed il pragmatismo di Tán. Egli non si gloria affatto della propria scelta e non vede in essa nulla di eccezionale. Un movimento che si propone di realizzare riforme fondamentali nella società non ha bisogno soltanto di “eroi”. Gli amici che si sono salvati manterranno vivo l’ideale e potranno continuare la lotta. Il farsi uccidere tutti sarebbe insensato. Ma, altrettanto assurdo sarebbe il fuggire tutti, lasciando pensare alla gente che le idee riformistiche siano così inconsistenti da non meritare il sacrificio supremo. Occorre almeno un testimone del loro valore, un “martire”, e Tán Sìtóng si offre per questo ruolo, in tutta semplicità, senza alcuna retorica e senza rimpianti.
NOTE
(1) Il termine 戊 戌 “Wùxū ” indica, nel calendario cinese, il 35° anno del ciclo sessagesimale. Esso è individuato dai segni zodiacali 戊 “wù” (“branca maggiore della terra”) e 戌 “xū” (“cane”). Nel ciclo sessagesimale che decorre dal 1864, l’anno “wùxū” corrisponde quindi al 1898 del calendario occidentale.
(2) Ho tradotto 君 子 “jūnzĭ” con “galantuomini” tenendo conto del senso confuciano di questo termine che sottolinea le qualità morali più che l’appartenenza alla classe nobiliare.
(3) Queste riforme sono conosciute come “Riforme del 1898” ( 戊 戌 邊 法 , “wùxū biànfā” ) o come “Riforme dei
Cento Giorni” ( 百 日 維 新, “băirì wéixīn” ), con riferimento alla loro breve durata.
(4) Zhāng Jiăn 張 儉 (115 d.C.-198 d.C.), originario di Gāopíng 高 平 nel Shānyáng 山 陽 , visse sotto la dinastia dei Hàn Orientali 東 漢 朝 . Esercitò cariche pubbliche nella sua regione e fu membro di numerose associazioni di letterati e di personaggi eminenti , facendo parte, tra l’altro, del gruppo degli “otto uomini di talento”( 八 俊 “bājùn”) di Jiāngxià e del gruppo delle “otto guide” ( 八 及 "bājí" ) di Shānyáng. Nel 166 d.C., come magistrato locale di Gāopíng, si oppose ad alcuni abusi dell’eunuco Hòu
Lăn 候 覽 ,uno dei Dieci Assistenti Regolari dell'Imperatore, che era originario dello stesso paese e vi possedeva delle proprietà. Per vendicarsi, Hòu Lăn fece credere all’imperatore che le riunioni di letterati cui partecipava Zhāng Jiăn fossero incontri di
cospiratori che tramavano rivolte contro il governo. Nel 169 d.C. Zhāng Jiăn fu costretto a fuggire per evitare l’arresto e la condanna a morte e potè essere riabilitato e reintegrato nelle sue funzioni solo molti anni più tardi.
(5) Dù Gēn 杜 根 , dignitario di corte all’epoca dell’imperatore Ān 漢 安 帝 (106 d.C.-125 d.C.), presentò nel 107 d.C. un memorandum in cui si invitava l’imperatrice madre Dèng Suí 鄧 綏 , che fungeva da reggente, a restituire al giovane imperatore l’esercizio effettivo del potere . L’imperatrice ordinò che fosse chiuso in un sacco di seta e bastonato a morte. I funzionari incaricati di sovrintendere all’esecuzione, che stimavano Dù Gēn, lo dichiararono morto dopo un paio di bastonate e gli
permisero poi di allontanarsi di nascosto. Dù Gēn si rifugiò in “una località lontana dove servì come cameriere in un’osteria” e potè ritornare alla capitale solo dopo la morte dell’imperatrice.
(6) “Héng dāo” 橫 刀 significa letteralmente “la spada orizzontale”. Con questa espressione, Tán Sìtóng intende riferirsi al momento in cui sarà decapitato. Infatti, la spada che il carnefice cala dall’alto assume una posizione orizzontale nel preciso istante in cui la lama raggiunge il collo del condannato.
(7) Il termine 肝 膽 “gāndăn” (letteralmente: “fegato” 肝 e “milza” 膽) esprime insieme i concetti di coraggio, sincerità, lealtà, dedizione completa.e ricorda un po’ ciò che noi intendiamo quando parliamo di un sentimento“viscerale”. L’espressione “gān dăn xiāng zhào” 肝 膽 相 照 indica la lealtà reciproca.
(8) Le Montagne del Kūnlún 崑 崙 山 erano considerate dai Taoisti come la sede del Paradiso ed erano perciò simbolo di
nobiltà e grandezza morale. I versi vanno di conseguenza interpretati nel senso che entrambi i tipi di comportamento menzionati ( fuggire, come hanno fatto Kāng e Liáng, o rimanere, come ha fatto Tán ) sono degni e leali.
3 luglio 2012
Come Matteo Ricci divenne 利 瑪 竇 ( Lì Mădòu )
Matteo Ricci nacque a Macerata, nei pressi di Ancona, il 6 ottobre 1552. Il padre, di famiglia aristocratica, fu, per qualche tempo, governatore della città, che apparteneva allora agli Stati Pontifici; la madre era nota per la sua profonda religiosità. Dopo aver ricevuto una prima educazione privata nella casa paterna, il giovane seguì gli studi classici, a partire dal 1561, nel Collegio dei Gesuiti di Macerata. Nel 1568 fu inviato dai genitori a Roma, dove si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza. Il 15 giugno 1571 chiese di entrare a far parte della Compagnia di Gesù e fu accolto, come novizio, nel Collegio di Sant'Andrea al Quirinale.
Dal 1572 al 1576 Matteo Ricci studiò matematica e fisica al Collegio Romano, assistendo ai corsi del celebre Cristoforo Clavio.
Essendosi offerto volontario per svolgere attività missionaria nell'Estremo Oriente, salpò nel maggio 1577 per il Portogallo, dove studiò durante qualche mese all'Università di Coimbra mentre attendeva l'occasione di imbarcarsi su una nave diretta alle Indie.
Partito il 24 marzo 1578 da Lisbona, sbarcò il 13 settembre a Goa, sulle coste occidentali dell'India, dove completò la propria formazione religiosa presso il Collegio di San Paolo, fondato da Francesco Saverio.
Fu ordinato sacerdote nel 1580 a Cochin, nel Malabar, località in cui era stato inviato a trascorrere un periodo di convalescenza dopo una malattia.
Successivamente, insegnò nel Collegio di San Paolo a Goa fino al mese d'aprile del 1582, quando fu trasferito a Macao, centro commerciale portoghese situato sulla costa meridionale della Cina.
Al suo arrivo, nell'agosto del 1582, incontrò Padre Alessandro Valignano, che stava proprio allora organizzando una missione in Cina.
Già Francesco Saverio, uno dei primi compagni di Ignazio di Loyola, il fondatore dei Gesuiti, aveva cercato di svolgere attività missionaria in Cina, ma i suoi sforzi erano risultati vani, ed egli era morto nel 1552 sull'isola di Shàngchuān 上 川 島, senza neppure essere riuscito a penetrare nella Cina continentale.
Dopo la morte di Francesco Saverio, nessun ulteriore tentativo di evangelizzazione era stato realizzato durante molti anni. Nel frattempo, i Gesuiti avevano profondamente modificato la loro strategia missionaria, adottando un approccio molto più rispettoso delle tradizioni e delle culture nazionali.
In ogni caso, fu solo con la nomina di Alessandro Valignano a "visitatore", cioè a supervisore ufficiale delle missioni gesuitiche in Estremo Oriente, che fu ripresa l'idea di cristianizzare la Cina.
Nel corso del suo soggiorno a Macao, Ricci cominciò a studiare la lingua cinese.
Nel settembre 1583 Matteo Ricci ed un suo confratello, Michele Ruggieri, travestiti da monaci buddhisti, raggiunsero Zhàoqìng
肇 慶 nel Guăngdōng 廣 東. Essi procedettero con molta cautela ed in un primo momento si astennero da qualsiasi opera di proselitismo, accontentandosi di attirare l'attenzione delle persone più colte con orologi, mappe, dipinti e libri europei e di risvegliarne l'interesse con la propria vasta erudizione.
Durante il loro soggiorno a Zhàoqìng, Ricci e Ruggieri lavorarono alla creazione di un dizionario portoghese-cinese, il Pú Hàn Cí Diăn ( 葡 漢 辭 典 ). Il manoscritto di quest'opera, che costituisce il primo tentativo conosciuto di translitterare i caratteri cinesi nell'alfabeto latino e di tradurne il significato in una lingua europea, andò purtroppo smarrito negli Archivi della Compagnia di Gesù a Roma e fu ritrovato soltanto nel 1934. Esso fu infine pubblicato nel 2001.
Nel novembre del 1588 Ruggieri ritornò in Italia, lasciando al più giovane confratello l'intera responsabilità della missione in Cina.
L'anno successivo, il nuovo viceré della regione del Guăndōng-Guănxī 廣 東 廣 西, ostile alla presenza di stranieri, ordinò ai missionari europei di lasciare Zhàoqìng. Ricci, dopo essere stato costretto a vendere a basso prezzo i beni della missione, fu tuttavia autorizzato a rimanere in Cina ed a stabilirsi nella città di Sháoguān 韶 關. Qui fece amicizia con un insigne letterato della scuola confuciana Qú Tàisù 瞿 太 素.
A Sháoguān Ricci fece costruire una chiesa ispirata in parte a modelli architettonici cinesi.
Fu inoltre durante il soggiorno in questa città che egli abbandonò gli abiti da bonzo e cominciò ad indossare il costume caratteristico dei letterati confuciani, che godevano di maggior prestigio.
Matteo Ricci era convinto che il suo piano di evangelizzazione della Cina potesse avere successo soltanto se egli fosse stato in grado di avvicinare l'Imperatore e di convincerlo della bontà della fede cristiana. Per poter fare ciò, era tuttavia indispensabile raggiungere Pechino.
Un'occasione favorevole gli si presentò nel 1595, quando un alto funzionario diretto alla capitale accettò di prenderlo al proprio seguito, ma, giunti a Nanchino 南 京 ( Nánjīng ), i viaggiatori vennero a sapere che Toyotomi Hideyoshi aveva appena attaccato la Corea, Stato vassallo dell'Impero Míng, il quale aveva subito inviato truppe in soccorso dell'alleato. Nell'atmosfera di sospetto creata dalla guerra, gli stranieri potevano facilmente essere scambiati per spie del nemico. Ricci capì che non era prudente proseguire il viaggio e ritornò indietro, stabilendosi a Nánchāng 南 昌. nel Guăngxī 廣 西., dove rimase dal 1595 al 1597. Là, accedendo alla richiesta di un principe della casa imperiale di cui era divenuto amico, compose la sua prima opera in lingua cinese: "Jiā Yŏu Lùn ( 夾 友 論 ) ovvero "Dell'amicizia".
Nel 1597 il Visitatore Padre Alessandro Valignano lo nominò Superiore della Missione Cattolica in Cina.
Un secondo tentativo di raggiungere Pechino ebbe luogo nel 1598. Un alto funzionario del Ministero dei Riti Wáng Hónghùi
王 弘 誨 aveva infatti pregato Ricci di accompagnarlo fino alla capitale per aiutarlo nella preparazione del calendario. Anche questa volta, tuttavia, il persistere del conflitto con i Giapponesi in Corea e della conseguente diffidenza nei confronti degli stranieri, obbligarono il gesuita a ritornare indietro, dopo aver invano atteso per due mesi, alle porte di Pechino, l'autorizzazione ad entrare in città.
Matteo Ricci si stabilì allora a Nanchino, dove si impegnò principalmente nella divulgazione delle conoscenze astronomiche e geografiche. Egli stesso ricorda, nei suoi diari, che le spiegazioni chiare e logiche da lui fornite ai sapienti cinesi su queste materie furono così apprezzate che da allora in poi essi smisero di chiamarlo "barbaro" come usavano fare con tutti gli stranieri.
Nel 1601 Ricci si diresse ancora una volta verso Pechino, accompagnato da due confratelli, uno dei quali era lo Spagnolo
Diego Pantoja.
L'eunuco Mă Táng 馬 堂, volendo impadronirsi dei regali che i missionari portavano all'imperatore Wànlì 萬 歷, tentò di farli imprigionare, ma, alla fine, lo stesso Wànlì, cui era già giunta l'eco della fama conseguita da Ricci, intervenne personalmente perché fosse concessa ai gesuiti l'autorizzazione di presentarsi alla corte e di consegnare i loro doni.
Ciò avvenne in un'udienza svoltasi il 25 gennaio 1601, durante la quale numerose delegazioni di inviati stranieri, fra cui i missionari, furono ammesse a presentare i loro omaggi all'Imperatore, rappresentato simbolicamente dal trono "vuoto". Del resto, durante tutta la durata della sua residenza a Pechino, Ricci non ebbe mai occasione di vedere personalmente l'Imperatore.
L'arrivo di Matteo Ricci a Pechino è ricordato nei Míng Shí Lù 明 實 錄 ("Annuali autentici della Dinastia Míng").
I missionari ottennero dall'Imperatore un terreno per costruirvi la loro residenza ed una chiesa nonché un sussidio per il loro mantenimento.
Quando morì, il 10 maggio 1610, Matteo Ricci era ormai un personaggio molto noto in Cina ed ai gesuiti fu concessa, con editto imperiale, l'autorizzazione di erigergli un monumento funebre nel quartiere di Zhàlán 柵 欄.
I suoi sforzi per attirare e convertire gli intellettuali cinesi lo posero in contatto con personalità eccezionali quali Xŭ GuāngqĬ
徐 光 啟, LĬ Zhīzăo 李 之 藻 e Yáng Tíngyún 楊 廷 筠, che furono in seguito ricordati come " i tre pilastri del cattolicesimo in Cina" e che lo aiutarono specialmente nella sua attività letteraria, la quale comprende circa venti opere che spaziano dagli opuscoli religiosi ai manuali scientifici, dai trattati filosofici alle raccolte di curiosità locali. Un altro dei suoi amici fu Féng Yīngjīng
馮 應 京, autore di un'enciclopedia.
L'opera più famosa di Ricci è la Kŭnyŭ Wànguó Quántú 梱 與 萬 國 全 圖 (" La grande mappa di tutti i paesi del mondo"), stampata nel 1602, la prima mappa cinese a prendere in considerazione il continente americano, se si eccettuano presumibilmente due precedenti mappe disegnate dallo stesso Ricci nel 1584 e nel 1600, che sono andate perdute. Molto conosciuto è anche il trattato intitolato Tiān Zhŭ Shí Lù 天 主 實 錄 ("Un autentico discorso su Dio"), nel quale è esposto un assai controverso tentativo di realizzare una sorta di sincretismo tra il Cristianesimo ed il Confucianesimo.
Altri lavori sono la traduzione in lingua cinese di preghiere e dottrine cristiane ( il Pater Noster, l' Ave Maria, il Credo, i Dieci Comandamenti), di trattati matematici, di studi filosofici.
I Diari di Ricci, scritti in italiano, vennero ritrovati nel suo ufficio dopo la sua morte e furono tradotti in latino dal Padre Nicolas Trigaut, che li pubblicò nel 1615 ad Augusta (Augsburg) sotto il titolo "De Christiana expeditione ad Sinas suscepta ab Societate Jesus". Con la pubblicazione di questi diari furono diffuse per la prima volta in tutta l'Europa informazioni precise e corrette sulla Cina. Curiosamente, il manoscritto originale, in italiano, fu pubblicato soltanto all'inizio del XX° secolo dal Padre Pietro Tacchi Venturi S.J. sotto il titolo "Commentarj della Cina", come parte del libro "Opere storiche del Padre Matteo Ricci S.J.", 2 vol., Macerata, 1911 e 1913.
Il metodo ricciano dell'"accomodamento culturale" fu la ragione del grande successo dell'apostolato cattolico in Cina. Più tardi, tuttavia, il rifiuto del Papa di consentire che i convertiti cinesi praticassero il "culto degli antenati" portò alla cosidetta "questione dei riti", che inflisse un colpo disastroso all'attività dei missionari nel Celeste Impero.
Ricci è attualmente conosciuto in Cina con il nome cinese che egli stesso si era attribuito: Lì Mădòu 利 瑪 竇.
La sua tomba nel cimitero gesuita di Zhàlán 柵 欄 ( che si trova ora nel parco del Collegio Amministrativo di Pechino) fu danneggiata dai Boxers nel 1900, ma la stele che la sovrasta fu rimessa a posto dopo la fine della ribellione. Durante la Rivoluzione Culturale, alcune Guardie Rosse scavarono nel terreno una fossa in cui nascosero le pietre tombali di Ricci e di altri missionari gesuiti. Tuttavia, alla fine del 1978, la politica del governo cinese cominciò lentamente a mutare e poco tempo dopo Dèng Xiăopíng 邓 小 平 ordinò di restaurare l'antico cimitero. La stele del Padre Ricci fu la prima ad essere ricollocata al suo posto.
Oggi Matteo Ricci è ricordato tanto dai Cinesi quanto dagli Europei come un eccezionale mediatore culturale, il cui agire fu caratterizzato da una straordinaria forza di volontà e da una incredibile apertura mentale.
(G.G. 3 agosto 2012)
Il pensiero politico ebbe un grande sviluppo in Cina durante il Periodo degli Stati Combattenti (戰 國 時 代 “Zhànguó Shìdài”). Sorsero in quell’epoca numerosi importanti pensatori, uno dei quali fu Hán Fēi 韓 非, che espose nei 55 capitali dell’opera conosciuta come Hánfēizĭ 韓 非 子 la propria dottrina sull’organizzazione statale e sui rapporti fra gli Stati.
Il capitolo iniziale di quest’opera è costituito da un memoriale che Hán Fēi presentò al re di Qín in occasione del loro primo incontro.
Ne presento qui di seguito la mia traduzione.
HÁNFĒIZĬ
Capitolo I
Io, il vostro servitore, ho sentito dire:” Il ministro che parla senza sapere è uno stupido, ma quello che sa e non parla è un suddito sleale. Non solo chi tace subdolamente, ma anche chi afferma il falso, merita la morte.” Ciononostante, io sollecito da Vostra Maestà il permesso di esporgli il mio pensiero, anche a rischio di essere ritenuto colpevole di un crimine di questo genere.
Mi è stato riferito che Yān, nel Nord, Wèi, nel Sud, Zhào e Jīng, con l’appoggio di Qí e di Hán, hanno costituito nell’ambito dell’Impero la cosiddetta Alleanza Verticale per mettere in difficoltà la potenza occidentale, il Regno di Qín.(1) Mi sia consentito di riderne tra di me. Ci sono nel mondo tre cose che portano alla rovina e quest’alleanza le possiede tutte, senza eccezione. Sappiamo infatti che uno Stato mal governato non può attaccare uno Stato ben governato senza avere la peggio, che uno Stato corrotto non può attaccare uno Stato integro senza soccombere e che uno Stato che non segue le leggi di natura non può attaccare uno Stato che vi si conforma senza esserne sbaragliato.
Gli alleati non dispongono di denaro né di armi a sufficienza. I loro granai ed i loro depositi di viveri sono vuoti. Le loro truppe, tra
ufficiali e soldati, ammontano a parecchie centinaia di migliaia di uomini, ma, anche se tutti si dichiarano pronti a morire combattendo, ce ne saranno forse mille, tra i loro comandanti, disposti a farlo veramente. Tutti gli altri, quando si vedessero attaccati di fronte con le spade ed incalzati alle spalle con le asce, fuggirebbero a gambe levate abbandonando qualsiasi idea di morire eroicamente. Non è che i loro ufficiali e soldati non siano capaci di affrontare la morte in combattimento, ma i loro superiori non sanno motivarli. Infatti dichiarano che ricompenseranno gli atti di coraggio,ma non lo fanno, e proclamano che puniranno gli atti di viltà ,ma non lo fanno. Così, poiché né le promesse di premio né le minacce di pena vengono mantenute, ufficiali e soldati non hanno alcuna ragione di combattere sino alla morte.
Il Regno di Qín, invece, quando emette degli ordini, sa premiare chi li esegue e punire chi li viola, distinguendo nettamente i valorosi dai vigliacchi. Perciò, i cittadini di Qín, anche se non han mai visto uno scontro armato da quando sono stati svezzati, nel momento in cui sentono che c’è una guerra, pestano i piedi e si rimboccano le maniche, decisi a morire affrontando le lame affilate o gettandosi in mezzo agli incendi.Indubbiamente la risoluzione a morire contrasta con l’istinto di sopravvivenza, ma la gente di Qín riesce a vincere questo istinto, perché in questo regno è grandemente onorato chi muore combattendo.In realtà un coraggioso che non tema di morire può affrontare dieci nemici, dieci coraggiosi possono affrontarne cento, cento possono affrontarne mille, mille possono affrontarne diecimila e diecimila possono affrontare il mondo intero.
Il Regno di Qín ha un territorio che si estende per parecchie migliaia di “lĭ” ed un eccellente esercito , forte di centinaia di migliaia di uomini. Per quanto riguarda il rigore nell’attribuire i premi e nell’infliggere le pene ed i vantaggi derivanti dalle sue particolarità geografiche, nessun altro Stato nell’Impero può essergli paragonato.Sotto questi aspetti, può tener testa a tutto l’Impero e fare anche di più. Perciò Qín, quando è entrato in guerra, ha sempre vinto, quando ha attaccato, ha sempre conquistato, travolgendo chiunque gli si opponesse ed annettendosi migliaia di“lĭ” di territorio. Ecco le sue grandi imprese.
Tuttavia, ultimamente, il suo esercito e le sue armi non brillano più, la sua nobiltà ed il suo popolo si sentono a disagio, risparmi e ricchezze svaniscono, granai e magazzini sono vuoti, i signori feudali circostanti non obbediscono più e Qín stenta a svolgere il ruolo di Stato egemone.
A che cosa è dovuto tutto ciò? Ad una sola causa: alla slealtà di tutti i suoi ministri.
Il vostro servitore osa ricordare quanto segue:
Anticamente, Qí attaccò Jīng a sud, Sòng ad est, Qín ad ovest, Yān a nord, e rese tributari, al centro, Hán e Wèi. Grazie alla vastità del suo territorio ed alla forza del suo esercito, Qí, quando entrava in guerra, vinceva, quando attaccava, conquistava, cosicché riuscì a conseguire l’egemonia su tutto l’Impero. Il limpido Fiume Azzurro ed il torbido Fiume Giallo erano i suoi confini; lunghe mura e solidi terrapieni erano i suoi baluardi. Qí vinse cinque guerre, ma, quando ne perse una, cessò di avere
qualsiasi importanza. . Si vede perciò che la guerra è questione di vita o di morte anche per gli Stati più potenti. (2)
Inoltre, è noto il proverbio: “Estirpa anche le radici e non avrai guai”. Quando le truppe di Qín e di Jīng si affrontarono in battaglia, Qín riportò una grande vittoria ed occupò Yĭng, Dòngtíng, Wŭhú e Jiāngnán, costringendo i principi ed i dignitari del Regno di Jīng a rifugiarsi ad est nel Regno di Chén per sfuggire all’annientamento. In quel preciso momento, se si fosse proseguita l’offensiva, Jīng avrebbe potuto essere conquistato e, se Qín avesse conquistato Jīng, avrebbe potuto arruolarvi altri soldati e sfruttarne le risorse agricole.e, così rafforzato, avrebbe potuto indebolire, ad est, Wèi e Yān, ed attaccare, al centro, i tre Jìn (3). Se avesse fatto questo, avrebbe potuto conquistare in un solo colpo il titolo di Stato egemone ed avrebbe potuto rendere tributari i principi circostanti. Invece, i ministri non si comportarono così: ritirarono l’esercito e fecero la pace con i sovrani di
Jīng, ai quali permisero di rientrare nel loro paese distrutto, di raccogliere la popolazione dispersa, di rialzare gli altari dedicati agli dei della terra e del raccolto, di riedificare i tempi ancestrali, e di rimettersi insieme con tutti gli altri Stati dell’Impero per rendere la vita difficile al Regno di Qín. Fu questa la prima volta che Qín si lasciò sfuggire l’egemonia.(4)
Quando gli altri Stati dell’Impero si allearono ancora una volta contro Qín e schierarono le loro truppe sulle pendici del monte Huā, il re di Qín ordinò ai suoi soldati di disperdere i nemici. L’esercito marciò fino alla città di Liáng, che fu assediata e che avrebbe potuto essere presa; se Liáng fosse stata presa, il regno di Wèi avrebbe potuto essere conquistato; se fosse caduto Wèi, sarebbe stata preclusa a Zhào e Jīng la possibilità di sostenersi reciprocamente; se Zhào e Jīng non avessero potuto sostenersi reciprocamente, il regno di Zhào sarebbe potuto cadere; se Zhào fosse caduto, il Regno di Jīng sarebbe rimasto isolato e privo di appoggi. Se ciò fosse avvenuto, Qín avrebbe potuto indebolire Qí e Yān ad est e tenere a bada i tre Jìn al centro, conquistando così in un sol colpo il ruolo di Stato egemone e sottomettendo a tributo i principi circostanti. Invece, i ministri di Qín ritirarono l’esercito e fecero pace con i sovrani di Wèi, ai quali consentirono di rientrare nel loro paese distrutto, di raccogliere la popolazione dispersa, di rialzare gli altari dedicati agli dei della terra e del raccolto, di riedificare i templi
ancestrali, e di rimettersi insieme con gli altri Stati dell’Impero per rendere la vita difficile al Regno di Qín. Fu questa la seconda volta che Qín si lasciò sfuggire l’egemonia.(5)
Ancora parecchio tempo fa, il Marchese di Ráng, quando governava Qín, usò l’esercito di un solo Stato per difendere gli interessi di due Stati. Di conseguenza, i soldati di Qín passarono tutta la loro vita fuori del paese, mentre anche la nobiltà ed il popolo in patria dovevano affrontare gravi difficoltà.Il sovrano di Qín non poté ottenere il predominio sull’Impero e fu questa la terza volta
che Qín si lasciò sfuggire l’egemonia.(6)
I sovrani di Zhào reggono lo Stato situato al centro, che è abitato da una popolazione eterogenea, volubile e difficile da governare. In questo Stato gli ordini non vengono eseguiti, premi e punizioni rimangono lettera morta, la conformazione geografica non è favorevole e le autorità non sanno stimolare le energie dei loro sudditi.Questi sono i sintomi di uno Stato destinato alla rovina, eppure, incuranti del benessere dei loro cittadini, i responsabili di Zhào mobilitarono nobiltà e popolo ed inviarono le loro truppe nei dintorni di Chángpíng per contestare al Regno di Qín il possesso di Shángdăng nella regione di Hán. Il re di Qín spedì contro di loro il suo esercito, che li sconfisse ed occupò Wŭ’ān. In quel periodo, tra la gente di Zhào, i notabili ed il popolo minuto si detestavano reciprocamente, i nobili ed i plebei non avevano alcuna fiducia gli uni negli altri. In queste condizioni, Hándān non avrebbe potuto resistere a lungo.La presa di Hándān avrebbe permesso a Qín di occupare lo Shándōng
e lo Hoqían, poi di avanzare verso ovest e di occupare Xiūwŭ. In seguito, attraversato lo Yúhuá, Qín avrebbe potuto conquistare Dài e Shángdăng In questo modo, i trentasei distretti di Dài ed i diciassette di Shángdăng sarebbero potuti diventare territorio di Qín senza che si sprecasse una sola corrazza e senza che rimanessero feriti un solo ufficiale od un solo soldato.
Dopo che Dài e Shángdăng fossero caduti senza combattere nelle mani di Qín, Dōngyáng e Héwài sarebbero stati occupati da Qí senza colpo ferire ed, a nord, Zhōngshān e Hūtuó sarebbero stati annessi da Yān senza alcun problema. Di conseguenza il regno di Zhào sarebbe crollato. Senza Zhào, Hán non sarebbe più stato in grado di resistere. Caduto Hán, né Jīng né Wèi sarebbero più stati capaci di mantenersi in piedi. Se Jīng e Wèi non fossero più stati in grado di mantenersi in piedi da soli, allora Qín avrebbe potuto distruggere Hán, attaccare Wèi ed occupare Jīng, indebolendo, ad est, i regni di Qí e di Yān. Poi, avrebbe potuto rompere la diga del Cavallo Bianco ed inondare il territorio di Wèi. In conseguenza di tutto questo, anche i tre Jìn sarebbero crollati ,l’alleanza contro Qín avrebbe cessato di esistere ed il sovrano di Qín avrebbe potuto aspettare con calma che
tutto l’Impero gli si sottomettesse e gli riconoscesse il titolo di egemone. Ma i suoi ministri non seguirono questa linea, anzi ritirarono l’esercito e fecero la pace con Zhào. Così, nonostante l’intelligenza del sovrano e la forza dell’esercito, l’incapacità dei ministri fece ancora una volta sfuggire il predominio a Qín. Non fu conquistato un pollice di territorio, ma si guadagnarono solo gli insulti di uno Stato destinato alla rovina.(7)
Fu così che Zhào, uno Stato destinato alla rovina, non fu distrutto e che Qín, uno Stato votato al predominio, si lasciò sfuggire l’egemonia.E fu così che tutti capirono quanto fossero abili i ministri del re di Qín.Successivamente, i soldati di Qín attaccarono Hándān, ma non riuscirono a conquistarla, anzi,ebbero paura e, abbandonate le armature e gettati via gli archi, si diedero alla fuga. Fu così che tutti si fecero un’idea di come si fosse ridotto l’esercito di Qín. Si ritirarono e ripiegarono su Lixia, dove il sovrano venne loro in aiuto con forze fresche. Combatterono di nuovo. ma non furono capaci di vincere e, quando vennero a mancargli i rifornimenti, furono nuovamente costretti a ritirarsi. Così tutti capirono, per la terza volta, quanto fosse decaduta la potenza di Qín.Ci si rese conto che, all’interno, i ministri valevano poco e che, all’esterno, le nostre forze potevano essere logorate. Da questo punto di vista, il vostro servitore crede che i nemici non avranno molte difficoltà. All’interno del paese, le truppe sono demoralizzate e mal equipaggiate, nobiltà e popolo sono disorientati, mezzi e risorse mancano, l’agricoltura è in abbandono, granai e magazzini sono vuoti. All’esterno del paese, tutti i nemici si stanno coalizzando contro di noi. Vostra Maestà ha veramente di che preoccuparsi.
Inoltre, il vostro servitore ha inteso dire: “Siate attenti e prudenti, ogni giorno di più. Se sarete attenti e prudenti, il mondo sarà
vostro”. Come si può provare la verità di questa massima? Nei tempi antichi l’imperatore Zhōu, al comando di molte centinaia di migliaia di uomini, fece deviare, sulla sinistra del suo esercito, il torrente Qí e, sulla destra del suo esercito, il torrente Huán, per mettere in difficoltà il re Wŭ di Zhōu, ma quest’ultimo, alla testa di soli tremila uomini armati di corrazze bianche (8), lo attaccò ed in un solo giorno di battaglia ne distrusse la potenza, lo prese prigioniero, ne occupò il territorio e ne assoggettò i cittadini, tra la gioia generale.(9) Un’altra volta, il conte Zhì guidò le forze di tre Stati contro il visconte Xiāng, asserragliato nella città di Jìnyáng e, dopo aver deviato il corso del fiume Qín, inondò la città per tre mesi, conducendola all’orlo della resa. Allora il visconte Xiāng
esaminò le fessure sulle corrazze delle tartarughe e gettò i listelli di bambù per indovinare quale decisione potesse essergli vantaggiosa o svantaggiosa e per vedere a quale dei tre Stati dovesse arrendersi. Il suo messaggero Zhāng Mèng Tán ,allontanatosi a nuoto dalla città, riuscì a convincere i due alleati di Zhì a denunciare il patto che avevano stipulato con quest’ultimo e, grazie al loro aiuto, sconfisse Zhì, lo fece prigioniero e restaurò l’autorità di Xiāng.(9)
Attualmente il regno di Qín dispone di un territorio che si estende per molte migliaia di “lĭ” e di un esercito eccellente, forte di parecchie centinaia di migliaia di uomini.L’ottima amministrazione e la situazione geografica favorevole fanno sì che nessun altro Stato gli sia paragonabile in tutto l’Impero.Tenendo conto di ciò, Qín sarebbe in grado di conquistare tutto l’Impero.
Il vostro servitore, rischiando la pena di morte, ha osato chiedere udienza a Vostra Maestà, per spiegare come Vostra Maestà possa sconfiggere l’allenza degli altri Stati dell’Impero,occupare Zhào, distruggere Hán, rendere vassalli Qíng e Wèi, ottenere l’amicizia di Qí e Yān, per conseguire infine l’egemonia e sottoporre a tributo tutti i signori circostanti.
Vostra Maestà ascolti queste mie parole. Se, in un sol colpo, l’alleanza degli altri Stati dell’Impero non dovesse essere sconfitta, Zhào non fosse occupato, Hán distrutto, Qíng e Wèi resi vassalli, se non si dovesse ottenere l’amicizia di Qí e Yān, se Qín non dovesse conseguire l’egemonia e sottoporre a tributo tutti i signori circostanti, Vostra Maestà mi faccia decapitare per avergli dato consigli sleali, come esempio per il paese.
NOTE
1) “Hézóng” 合 從 (“alleanza verticale”) era il termine con cui si designava, nella dottrina politica cinese, una coalizione di più
Stati volta ad opporsi al tentativo di un singolo Stato, più forte degli altri, di conquistare il predominio.
Gli Stati che si erano da tempo resi independenti nell’ambito dell’antico Impero dei Zhōu 周 朝, al cui sovrano veniva ormai
riconosciuto soltanto un primato cerimoniale, erano all’epoca di Hán Fēi i seguenti: Chŭ 楚, Hán 漢, Qí 齊,Qín 秦, Yán 燕, Wèi 魏 e Zhào 趙. ( Hán Fēi usa l’antico nome di Chŭ 楚 vale a dire Jīng 荊 per non violare un tabù scrivendo il nome personale del padre del re di Qín, che era Zī Chŭ 子 楚).
Una prima coalizione contro il regno di Qín fu organizzata nel IV° secolo a.C. da Sū Qín 蘇 秦.Quella cui si riferisce Hán Fēi
fu probabilmente un ultimo tentativo degli altri Stati di opporsi alla sempre crescente potenza di Qín.
2) Dopo un periodo di supremazia iniziato nel 301 a.C. Qí subì nel 284 a.C. una rovinosa sconfitta ad opera delle truppe di Yān
guidate dal generale Yuè Yì 樂 毅. Sopravvisse, profondamente indebolito, fino al 221 a.C. quando fu conquistato da
Qín.
3) I Tre Jìn 三 晉 sono i tre regni ( Hán 漢,Wèi 魏 e Zhào 趙)in cui fu diviso nel 453 a.C. l’antico regno di Jìn 晉.
4) Nel 278 a.C. il generale Bái Qĭ 白 起 ,alla testa dell’esercito di Qín, sconfisse Chŭ e ne occupò la capitale Yĭng 郢 con numerose altre città.
5) Nel 273 a.C. l’esercito di Qín ,dopo aver sconfitto le armate di Wèi e di Zhào, pose l’assedio alla città di Dàliáng 大 粱, capitale del regno di Wèi. Prima che la città fosse presa d’assalto, si giunse ad un accordo col quale Wèi ottenne la pace al prezzo di pesanti cessioni territoriali. Secondo Hán Fēi, se il regno di Wèi fosse stato distrutto, Qìn avrebbe potuto già allora dominare l’intera Cina.
6) Wèi Răn 魏 冉, marchese di Ráng 穰 候,fu cancelliere del regno di Qín dal 305 a.C. al 266 a.C. e condusse una politica aggressiva nei confronti dei regni vicini, in particolare del regno di Qí, cui sottrasse importanti territori che governò personalmente come propri feudi.
7) Nel 262 a.C. Zhào e Qín si affrontarono per il possesso di Shángdăng 上 當, il cui territorio era in precedenza appartenuto al regno di Hán. Nel 260 a.C. l’esercito di Zhào fu annientato nella disastrosa battaglia di Chángpíng 長 平 e le truppe di Qín assediarono la città di Hándān 邯 鄲,capitale del regno di Zhào, che fu salvata dall’intervento dell’esercito di Wèi. La potenza di Zhào fu tuttavia annientata per sempre e qualche decennio dopo il regno di Zhào cadde sotto il dominio di Qín. Hán Fēi sembra qui ritenere che la mancata presa di Hándān fosse stata dovuta unicamente all’insipienza dei ministri del regno di Qín.
8) Le truppe del re Wŭ di Zhōu 周 武 王 indossavano corazze bianche in segno di lutto per il decesso del padre del re, Wén di Zhōu 周 文 王。
9) Il re Wŭ di Zhōu 周 武 王sconfisse il re Zhòu 紂 王 della dinastia Shāng 商 朝 nella battaglia di Mùyĕ 牧 野 (1046 a.C.)
10) Nel 455 a.C. Zhì Xiāngzĭ 智 襄 子,capo del clan Zhì nel regno di Jìn 晉 國 , attaccò, con l’aiuto dei clan Hán e Wèi, la città di Jìnyáng 晉 楊 , difesa da Zhào Xiāngzĭ 趙 襄 子, capo del clan Zhào. Dopo due anni di assedio, Zhào Xiāngzĭ riuscì a creare discordia tra i nemici e Zhì fu ucciso dai suoi alleati.
GLI EMIGRATI CINESI IN AMERICA
Inserisco in questa rubrica la traduzione che segue, perché la poesia intitolata “La Canzone della Lavanderia”
( 洗 衣 歌“xĭyīgē”) mi sembra ispirarsi soprattutto alla denuncia sociale.
Essa descrive infatti le misere condizioni degli immigranti cinesi che, agli inizi del XX° secolo nelle città del Nord-America,
costituivano un sottoproletariato cui venivano riservati i lavori più umili e degradanti. Col trascorrere dei decenni anche la situazione delle minoranze etniche è migliorata ed i loro membri rappresentano oggi un ceto medio che è uscito definitivamente dal ghetto ed ha ormai accesso a tutte le professioni.
Il suo autore Wén Yīduō 闻 一 多 ( nome d’arte di Wén Jiāhuá 闻 家 驊 ), nato nel 1899, dopo aver frequentato l’università a Pechino, si recò nel 1922 negli Stati Uniti per studiare belle arti e letteratura all’Art Institute di Chicago. Ritornato in Cina, divenne noto per la sua attività poetica e per il suo impegno politico. Fu ucciso nel 1946 da agenti del Guómíndăng 國 民 党 .
LA CANZONE DELLA LAVANDERIA
Il mestiere tipico dei Cinesi in qualsiasi località dell’America è quello del lavandaio. Perciò tutti gli studenti che arrivano qui
si sentono domandare: “Tuo padre lavora in una lavanderia?”.
( 1 capo di biancheria... 2 capi... 3 capi )
Lavateli bene!
( 4 capi.... 5 capi... 6 capi)
Stirateli come si deve!
Penso io ai fazzoletti umidi di lacrime.
Ripulisco io le camicie annerite dalla disonestà, unte dalla cupidigia, macchiate dalla lussuria e da tutte le sporcizie che avete in
casa.
Datemele da lavare! Datemele da lavare!
Quanto sudiciume per un nichelino, quanta puzza per guadagnarsi la vita.
Queste sozzure, voi sareste capaci di lavarle?
Voi, che sapete solo sporcare di nuovo la biancheria pulita,
voi, brava gente, lo sapreste fare?
Per voi il lavandaio è un mestiere da miserabili.
Chi si abbasserebbe a farlo se non un cinese?
Eppure i vostri predicatori ci raccontano
che il padre di Gesù era un falegname.
È vero o no? Non dicono proprio così?
Lavorare con acqua e sapone non porta da nessuna parte.
Costruire incrociatori è molto meglio che lavare i panni.
Anch’io mi domando che razza di vita sia
sudare sangue per lavare il sudore degli altri.
Voi lo fareste?
Sareste disposti a fare i lavandai?
Un anno passa. Ne comincia un altro.
Mi vengono le lacrime pensando al paese.
È mezzanotte.
Nella lavanderia la lampada è ancora accesa.
È un lavoro da miserabili? Non preoccupatevene.
Mettete solo da parte ciò che non è pulito,
ciò che non è stirato,
e chiamate “quello là”,
chiamate il cinese.
Penso io ai fazzoletti umidi di lacrime.
Ripulisco io le camicie annerite dalla disonestà, unte dalla cupidigia, macchiate dalla lussuria e da tutte le sporcizie che avete in
casa.
Datemele da lavare! Datemele da lavare!
( 1 capo... 2 capi...3 capi)
Lavateli bene!
(4 capi...5 capi...6 capi)
Stirateli come si deve!