“Uccello Morto”
La gente di Tiānjīn è davvero scherzosa. Infatti, sono tanti quelli che hanno dei nomignoli. Di questi nomignoli, alcuni si possono dire anche in presenza degli interessati, altri si possono soltanto mormorare alle loro spalle. Tutto dipende da come si sono formati.
Dietro ogni nomignolo c’è sempre una storia divertente. Ma c’è storia e storia. Ci sono storie che possono essere raccontate senza problemi per un momento di allegria e ci sono storie che bisogna essere prudenti nel menzionare.
Hè Dàotái era un uomo assolutamente ordinario, il vero maialino della famosa corsa. (1) Ma non sempre le persone mostrano la loro autentica natura e spesso possono celare dei segreti. Il nostro aveva in sé due aspetti nascosti: il primo era il suo servilismo nei confronti dei superiori, il secondo la sua passione per gli uccelli.
Essere il tirapiedi del capo non è un’impresa da poco. Bisogna scodinzolargli intorno tutto il giorno, facendo sempre attenzione a non essere né troppo lenti né troppo premurosi. Se uno non gli è subito accanto in caso di bisogno, il capo si preoccupa; se uno, al contrario, gli sta sempre tra i piedi, il capo si irrita.
Non si tratta soltanto di correre dietro ad una persona come un cagnolino. Bisogna anche comprendere le situazioni, indovinare l’umore del capo, intuire quando si può parlare e quando è meglio tacere, saper ascoltare le istruzioni e saper accettare i rimproveri. Quando il capo fa una sfuriata, che si abbia colpa o no, occorre lasciare che mostri la sua autorità e sfoghi il suo malumore e guardarsi bene dal reagire. Se uno non riesce a mantenere la calma e dà segni di irritazione o si mostra scosso e imbronciato, il capo se ne ricorderà. È per questo che i funzionari tendono più a rinchiudersi in sé stessi che a manifestare la propria personalità… Non è un atteggiamento che venga spontaneo alla natura umana, ma Hè Dàotái era flessibile e vi si adattava facilmente. La gente diceva che in lui questa capacità di sopportazione era innata, che sembrava predestinato a diventare il parafulmine delle ire del capo, il capro espiatorio ideale (2), perché era di carattere così chiuso e introverso.
Dopo esser corso dietro al capo tutto il giorno, Hè Dàotái si dedicava agli uccellini.
Anche aver cura degli uccellini è una faticaccia. Non crediate che basti tenerli in gabbia, dargli un po’ di riso e due vermiciattoli da mangiare, versargli un goccio d’acqua nello scodellino, e che sia finita lì. Un uccellino si comporta come si comportano gli uccellini. Strizza gli occhi e si becca le piume quando sbatte le ali. Un uccellino ha il carattere degli uccellini. Se si copre la sua gabbia con un panno, non canta né zufola e non si muove più, come se fosse morto.
La gente diceva che la grande passione nella vita di Hè Dàotái erano gli uccelli. Sapeva davvero tutto sugli uccelli, di qualunque specie fossero. Quando le sue mani grassocce accarezzavano un uccellino, il piumaggio diventava chiaro e lucente, il pennuto si risvegliava e si ringalluzziva, e i suoi gorgheggi potevano competere con quelli degli uccelli canterini che trillavano nei giardini della casa da tè di Tiānfú.(3)
Una volta, il giorno di Capodanno, il signor Lín, che lavorava alle dogane, ritornando dal suo paese d’origine, Chángzhōu nel Jiāngsū, dove era andato a trascorrere le feste, gli regalò uno storno. (4) Questo storno aveva petto grande, zampette robuste, artigli duri, corpo di color nero e becco giallo; quando strillava, lo si poteva sentire chiaramente dalla strada.
Hè Dàotái se ne rallegrò nel suo intimo e andava dicendo: “Il canto del gallo non è così potente come la voce di questo storno”.
Il signor Lín gli disse sorridendo: “Gli ornitologi sostengono che questa specie di uccello è persino in grado di parlare. Tuttavia, non impara facilmente a pronunciare bene qualche frase. Qualunque cosa uno faccia per insegnargli delle parole, molte volte, anche se le ha imparate, non ti dà la soddisfazione di mostrartelo. Ma se voi ve ne occuperete con cura, otterrete certamente dei risultati”.
Hè Dàotái gli rispose, sorridendo anche lui: “Vi assicuro che fra tre mesi saprà canticchiare la canzone ‘Allegro’”. (5)
Tuttavia, lo storno sembrava un cavallo selvatico, tanto era difficile da ammaestrare. Hè Dàotái fece del suo meglio, ma quello non voleva assolutamente imparare. ”Stupido uccello !” lo rimproverò un giorno Dàotái e, dal dì seguente, prese a chiamarlo costantemente: “Stupido uccello!”.
Una volta gli disse di star zitto, ma quello continuò tranquillamente a strillare e le sue strida si sentivano così chiaramente tanto nel cortile anteriore quanto nel cortile posteriore che il povero Dàotái non potè fare la sua siesta pomeridiana. Fu allora costretto a coprire bene la gabbia con un panno, ma passò molto tempo prima che quello smettesse di strillare.
Sul far della sera, la moglie di Dàotái, temendo che l’uccello finisse per soffocare, disse alla serva di togliere il panno. Appena riapparso alla vista, l’uccello domandò inaspettatamente alla moglie di Dàotái: “Madama ha i nervi?”(6). La donna ne fu sorpresa. Ripensandoci bene, non era ciò che il marito le aveva detto qualche giorno prima? Nessuno vi aveva fatto caso, ma l’uccello aveva imparato la frase.
La donna rise a lungo, con divertimento, e, quando il marito ritornò a casa gli riferì l’episodio. Prima che Dàotái gli dicesse di ripetere la frase, l’uccello, di sua iniziativa, domandò una seconda volta: ”Madama ha i nervi?”.
Dàotái osservò divertito: “Questo coso riesce persino ad imitare il tono della mia voce”.
“Non avrei mai creduto che questo brutto arnese fosse così intelligente” gli fece eco la moglie.
Da quel momento Dàotái si prese particolarmente cura dello storno, che, dopo parecchio tempo, imparò a pronunciare qualche frase come “buongiorno, signore”, “ si sieda, prego”, “ arrivederci”, anche se era lontano dal parlare speditamente. Ripeteva però la domanda “Hai i nervi?” che il marito rivolgeva abitualmente alla moglie, facendo ridere a crepapelle gli ospiti, che si divertivano un mondo ad ascoltarlo.
Una volta, il prefetto (7) osservò: “Questo mi fa capire che siete una persona intelligente, signor Hè”.
Hè Dàotái, fu molto orgoglioso dell’uccello, e, più ancora, di sé stesso, ma per il momento tenne per sé l’elogio.
Il nove settembre si faceva festa nel Padiglione dell’Imperatore di Giada su una collina ad est della città e la gente di Tiānjīn accorreva a frotte, in una scampagnata che era tradizionalmente conosciuta come “La Salita del Doppio Nove”.(8) Il tempo era fresco, e salendo ci si sentiva allegri e e senza pensieri.
Quel giorno, anche il governatore del Zhílì Yù Lù (9) si recò al padiglione dell'Imperatore di Giada. Era veramente di buon umore e, seguendo i gradini ripidi e stretti, salì in un fiato al Padiglione del Puro Vuoto (10). I funzionari civili e gli ufficiali che lo accompagnavano, correvano avanti e indietro, per prevenire qualunque suo desiderio. Fra di loro c’era naturalmente Hè Dàotái, che si affannava nel mostrare al governatore le barche a vela nell'estuario di Sānchà (11) e cercava ad ogni momento di raccontargli qualcosa di interessante per attirare la sua attenzione. Sulla via del ritorno, Hè Dàotái disse che la sua casa non era lontana e che sperava che il signor governatore gli facesse l’onore di fermarsi un attimo da lui. Il governatore, di solito, declinava gli inviti, ma quel giorno si sentiva così allegro e ben disposto che accettò volentieri. La portantina di Hè Dàotái apriva la strada al palanchino del governatore, e il resto degli ufficiali e dei funzionari lo seguiva , come una schiera di Immortali sui loro cocchi trainati da draghi e da tigri (12).
La gabbia dello storno di Dàotái era appesa davanti alla finestra della sala di ricevimento.
Non appena Yù Lù varcò la soglia della stanza, lo storno strillò: "Buongiorno, Signore". Il saluto arrivò forte e chiaro all'orecchio di Yù Lù, che esclamò compiaciuto: "Questo uccello è più sveglio di un essere umano".
“Non lo ha detto espressamente per voi, Eccellenza” si sentì in dovere di precisare Hè Dàotái “È un uccello che si rifiuta di dire ciò che uno cerca costantemente di insegnargli”.
Quando fu servito il tè, lo storno improvvisamente si mise a gridare: "Ecco il tè Míngqiàn.”(13)
ll governatore Yù rimase sbalordito e girò la testa verso lo storno nella gabbia dicendogli: "Ti sbagli, amico. Questa non è più la stagione del tè Míngqiàn." Poi si mise a scherzare e a ridere. Le risate riempirono la stanza. Tutti si divertivano ad ascoltare le baggianate dello storno.
Daòtái si scusò : "Vostra Eccellenza ha ragione. In realtà, non è questo ciò che gli ho insegnato. Di tanto in tanto dice delle cose che non so dove possa aver sentito”.
Il prefetto osservò in tono leggero: "Non è che quest’uccello parli a vanvera. Ripete ciò che sente tutti i giorni. Presumibilmente, il signor Hè beve sempre del buon tè e lo storno ricorda i nomi di tutte le qualità di tè”.
Yù Lù si mise a ridere e disse: "Se c'è del buon tè in casa, per favore, fatelo gustare anche al signor Yù Lù."(14)
Tutti risero di nuovo. Ma non appena lo storno udì la parola "Yù Lù", improvvisamente sbatté le ali e le penne nere gli si rizzarono su tutto il corpo. Era veramente irritato e gridò forte : "Yù Lù, quel bastardo!”.
I presenti rimasero impietriti. In effetti, tutti avevano sentito questa frase e, in mezzo allo sbigottimento generale, lo storno disse di nuovo: "Yù Lù, quel bastardo!" Le parole risuonarono chiare ed inequivocabili. Yù Lù strinse i pugni di scatto, gettando a terra tutte le ciotole di tè che stavano sul tavolo, e si mise ad urlare rabbiosamente: " Quale insolenza!"
Hè Daòtái si prostrò a terra in preda alla disperazione. La sua voce era ridotta a un balbettio che non si riusciva neppure a sentire: "Questo non è ciò che gli ho insegnato ..." Le parole non gli uscivano più di bocca, non capiva più niente. Gli venne solo in mente che le parole dello storno erano esattamente le invettive che lui aveva spesso rivolto a Yù Lù quando tornava a casa dall’ufficio frustrato ed amareggiato. Come aveva fatto l’uccello a ricordarsele? Il destino aveva deciso la sua perdita. Si sentiva tutto gelato e intorpidito.
Quando ritornò in sé, Yù Lù e gli altri funzionari erano già andati via. Giaceva da solo sul pavimento della sala. Saltò sù di scatto e si precipitò verso lo storno gridando: "Mi hai rovinato, ma io ti tiro il collo. Sei un uccello morto!"
Afferrò la gabbia con entrambe le mani, tirandola a sé con tanta violenza che la porticina si aprì e l'uccello sgusciò via prima di potere essere acchiappato. Volò fuori dalla finestra e si fermò su un albero che sorgeva dinanzi alla casa. Però aveva imparato ciò che gli aveva appena urlato Dàotái : “Sei un uccello morto!”
Daòtái ordinò ai domestici di colpirlo con le pertiche, di tirargli dei mattoni, di arrampicarsi sull'albero per catturarlo, ma lo storno continuò per un po' a saltellare su e giù per i rami dell’albero strillando: "Uccello morto! Uccello morto! Uccello morto!", poi, ad un tratto, sparì.
Da allora, a Hè Dàotái è stato affibbiato il nomignolo di “Uccello Morto” e, quando viene menzionato questo nomignolo, non manca mai chi racconta la storia che avete appena sentito.
NOTE
1) Secondo la leggenda, l’Imperatore di Giada organizzò una corsa tra gli animali per assegnare loro i diversi posti nello zodiaco. Mentre tutti gli altri animali si davano da fare per vincere la gara, il maiale se la prese comoda, si fermò tranquillamente a mangiare, fece la siesta e, naturalmente, arrivò ultimo. Viene quindi paragonato al maiale chi non faccia mostra di alcuna determinazione e forza di carattere che possa distinguerlo dalla massa.
2) Ho reso con “parafulmine” e “capro espiatorio” i termini cinesi 撒气篓子 (”sāqì lǒuzi”) e 顺毛驴 (“ shùn máolǘ”), che significano, rispettivamente, “cesto in cui si scarica il malumore” e “docile asinello”.
3) l termine 旦 (“dàn”) indica i ruoli femminili dell’opera tradizionale cinese e, quindi, le cantanti che interpretano tali ruoli. L’espressione 毛旦(“mào dàn”), letteralmente “cantante piumato”, istituisce evidentemente un paragone tra le cantanti dell’opera e gli uccelli canterini dei giardini di Tiānfú.
4) Il 八哥 (“bāgē”), nome scientifico: “Acridotheres cristatellus", è un uccello della famiglia degli Storni (“Sturnidae”), originario della Cina Meridionale e dell’Indocina. I Portoghesi, che lo introdussero a suo tempo in Europa, lo chiamano “mainà-da-crista”, a causa della piccola cresta che gli orna il capo. Possiede una larga gamma di suoni e di gorgheggi e sono riportati casi in cui avrebbe imitato la voce umana.
5) Il 快板书 (“kuàibǎn shū”), espressione che si può tradurre con “rime allegre al ritmo delle nacchere di bambù”, è una forma tradizionale di musica rimata e ritmata paragonabile al “rap”.
6) Il termine 痱子 (“fèizi”) significa letteralmente “eruzione cutanea”, “irritazione della pelle”. Ne ho dato tuttavia una interpretazione metaforica (“sei irritata?”, ”hai i nervi?”) che mi sembra adattarsi meglio allo spirito del racconto.
7) Il fatto che Hè Dàotái avesse tra i suoi ospiti il prefetto della città ci mostra che, pur essendo una persona priva di particolari qualità, era comunque un funzionario di un certo rango.
8) La Festa del Doppio Nove (重阳节 ” chóngyáng jié”) è una grande festa tradizionale che risale all’epoca dei Hàn Orientali 東漢朝. Si celebra il nono giorno del nono mese lunare, che è considerato un giorno potenzialmente pericoloso a causa dell’ accumulo di energia ( 阳 “yáng”) contenuta nel numero nove. Per proteggersi dal pericolo è d’uso salire su una collina, bere liquore di crisantemo e portare un rametto di corniolo (山茱萸 “shān zhūyú”).
9) Yù Lù 裕祿 (1844-1900) fu governatore del Zhìlì 直隸 dal 28 settembre 1898 al 27 giugno 1900. Possiamo così datare esattamente l’episodio qui raccontato, che si svolge il nono giorno del nono mese lunare del 1899. Il Zhìlì 直隸 era una regione della Cina Settentrionale amministrata direttamente dal governo imperiale. Comprendeva le attuali provincie del Hénán 河南, del Hébĕi 河北 e dello Shāndōng 山东, nonché le città di Pechino e di Tiānjīn.
10) L’espressione 清虚 (“qīngxū”), che si può tradurre come “purezza e vuoto” o come “puro vuoto”, indica lo stato di totale distacco dalle cose del mondo e di assoluta serenità che, secondo la dottrina taoista, permette a chi lo ha raggiunto di “riflettersi nell’universo”.
11) L’estuario di Sānchà (三岔河口 “sānchà hèkŏu”) dinanzi a Tiānjīn è la foce del fiume Hăihè 海河.
12) Ho interpretato in questo modo la frase cinese 骑龙驾虎一般去了(” qí lóng jià hǔ yībān qùle”), letteralmente “venivano in gruppo cavalcando draghi e guidando tigri”. Mi sembra che l’immagine corrisponda bene al carattere ironico del racconto.
13) Il tè “Míngqiàn” 明前茶, così chiamato perché le foglie con cui veniva preparato erano raccolte prima della Festa della Pura Luminosità (清明节”Qíngmíng jié”), che si svolgeva nei primi giorni di aprile, era un tè molto pregiato di cui si diceva che fosse “caro come l’oro”. Con la sua battuta, lo storno comincia a rovinare l’atmosfera cordiale della visita. La sua osservazione lascia infatti presumere, come qualcuno si affretta subito a rilevare, che in altre occasioni sia stato servito un tè più pregiato di quello che viene ora offerto al governatore.
14) Sebbene gli ospiti fingano ancora di scherzare, la situazione si sta deteriorando. Il prefetto fa osservare in tono leggero che in casa di Hè Dàotái si beve probabilmente un tè più pregiato di quello che ha appena offerto ed il governatore aggiunge, con apparente noncuranza, che, se è così, gradirebbe anche lui gustare questo tè.
死 鸟
天津卫的人好戏谑,故而人多有外号。有人的外号当面叫,有人的外号只能背后说,这要看外号是怎么来的。凡有外号,必有一个好笑的故事;但故事和故事不同,有的故事可以随便当笑话说,有的故事人却不能乱讲;比方贺道台这个各色的雅号——死鸟。
贺道台相貌普通,赛个猪崽。但真人不露相,能耐暗中藏。他的能耐有两样,一是伺候头儿,一是伺候鸟。
伺候上司的事是挺特别的一功。整天跟在上司的屁股后边,跟慢跟紧全都不成。跟得太慢,遇事上不去,叫上司着急;跟得太紧,弄不好一脚踩在上司的后脚跟上,反而惹恼了上司。而且光是赛条小狗那样跟在后边也不成。还得善于察言观色,摸透上司脾气,知道嘛时候该说嘛,嘛时候不该说嘛;挨训时俯首贴耳,挨骂时点头称是。上司骂人,不准是你的不是,有时不过是上司发发威和舒舒气罢了。你要是耐不住性子,皱眉撇嘴,露出烦恼,那就叫上司记住了。从此,官儿不是愈做愈大,而是愈做愈小———就这种不是人干的事,贺道台却得心应手,做得从容自然。人说,贺道台这些能耐都出自他的天性,说他天生是上司的撒气篓子,一条顺毛驴,三脚踹不出个屁来,对么?
说完他伺候头儿,再说他伺候鸟儿。
伺候鸟的事也是另外一功,别以为把鸟关在笼子里,放点米,给点虫,再加点水,就能又蹦又跳。一种鸟有一种鸟的习惯,差一点就闭眼戗毛,耷拉翅膀;一只鸟有一只鸟的性子,不依着它就不唱不叫,动也不动,活的赛死的差不多。人说贺道台上辈子准是鸟儿。他对鸟儿们的事全懂,无论嘛鸟,经他那双小胖手一摆弄,毛儿鲜亮,活蹦乱跳,嗓子个个赛得过在天福茶园里那个唱落子的一毛旦。
过年立夏转天,在常关做事的一位林先生,打江苏常州老家歇假回来,带给他一只八哥。这八哥个大肚圆,腿粗爪硬,通身乌黑,嘴儿金黄;叫起来,站在大街上也听得清清楚楚。贺道台心里欢喜说:“公鸡的嗓门也没它大。”
林先生笑道:“就是学人说话还差点。它总不好好学。怎么教也不会,可有时不留神的话,却给他学去了。不过,到您手里一调理,保准有出息。”
贺道台也笑了。说道:“过三个月,我叫它能说快板书。”
然而,这八哥好比烈马,一时极难驯服。贺道台用尽法子,它也学不会。贺道台骂它一句:“笨鸟。”第二天它却叫了一天“笨鸟”。叫它停嘴,它偏不停。前院后院都听得清清楚楚,午觉也没法儿睡。贺道台用罩子把笼子严严实实罩了多半天,它才不叫。到了傍晚,太太怕把它闷死,叫丫鬟把罩子摘去,它一露面,竟对太太说:“太太起痱子了吧?”把太太吓了一跳。再一想,这不是前几天老爷对她说的话吗,不留神竟给它学去了。逗得太太格格笑半天。待贺道台回来,对老爷说了。没等她去叫八哥再说一遍,八哥自己又说:“太太起痱子了吧!”
贺道台给逗得咧嘴直笑,还说:“这东西,连声音也学我。”
太太说:“没想到这坏东西竟这么聪明。”
自此,贺道台分外仔细照料它。日子一长,它倒是学会了几句什么“给大人请安”、“请您坐上座”、“您走好了”之类的话,只是不好好说。可是,它抽冷子蹦出几句老爷太太平时说的“起痱子”那类的话,反倒把客人逗得大笑,直笑得前仰后合。
知府大人说:“贺大人,从它身上就知道您有多聪明了。”
贺道台得意这鸟,更得意自己。这话就暂且按下不提。
九月初九那天,东城外的玉皇阁“攒九”,津门百姓照例都去登阁,俗称九九登高。此时,天高气爽,登高一望,心头舒畅,块垒皆无。这天直隶总督裕禄也来到了玉皇阁,兴致非常好,顺着那又窄又陡的楼梯,一口气直爬到顶上的清虚阁。随同来的文武官员全都跑前跑后,哄他高兴。贺道台自然也在其中。他指着三岔河口上的往来帆影,说些提兴致的话,直叫裕禄大人心头赛开了花。从阁上下来,贺道台便说,自己的家就在不远,希望大人赏脸,到他家去坐坐。裕大人平日决不肯屈尊到属下家中作客。但今日兴致高,竟答应了。贺道台的轿子便在前面开道,其余官员跟随左右,骑龙驾虎一般去了。
贺道台的八哥笼子就挂在客厅窗前,裕大人一进门,它就叫:“给大人请安。”声音嘹亮,一直送进裕禄的耳朵里。
裕大人愈发兴高采烈,说道:“这东西竟然比人还灵。”
贺道台应声便说:“还不是因为大人来了。平时怎么叫它说,它也不肯说。”
待端茶上来,八哥忽又叫道:“这茶是明前茶。”
裕大人一怔,扭头对那笼子里的八哥说:“这是你的错了。现在什么时候了,哪还有明前茶?”
上司打趣,下司拾笑。笑声贯满客厅,并一齐讪笑八哥是个傻瓜。
贺道台说:“大人真是一句切中了要害。其实这话并不是我教的,这东西总是时不时蹦出来一句,不知哪来的话。”
知府笑道:“还不是平日里说者无意,听者有心。想必贺大人总喝好茶,它把茶名全记住了!”
裕禄笑道:“有什么好茶,也请裕禄我尝尝。”
大家又笑起来。但八哥听到了“裕禄”两字,忽然翅膀一抖,跟着全身黑毛全日方起来,好赛发怒,声音又高又亮地叫道:“裕禄那王八蛋!”
满厅的人全怔往。其实这一句众人全听到了,就在惊呆的一刻,这八哥又说一遍:“裕禄那王八蛋!”说得又清楚又干脆。裕禄忽地手一甩,把桌上的茶碗全抽在地上,怒喝一声:“太放肆了!”
贺道台慌忙趴在地上,声音抖得快听不见:“这不是我教给它的———”话到这里,不觉卡住了。他想到,八哥的这句话,正是他每每在裕禄那里受了窝囊气后回来说的。怎么偏偏给它记住了?这不是要他的命吗?他浑身全是凉气。
等他明白过来,裕禄和众官员已经离去。只他一个人还趴在客厅地上,他突然跳起来,朝那八哥冲去,一边吼着:“你毁了我!我撕了你,你这死鸟!”
他两手抓着笼子一扯,用力太大,笼子扯散,鸟飞出来,一把没有抓住。这八哥穿窗飞出,落在树上。居然把贺道台刚刚说的这话学会了,朝他叫道:“死鸟!”