Zhāng Àilíng
L’addio del re egemone (1) alla sua concubina (2).
Si sentiva, nella notte, il sibilo del vento e, in cima alla tenda, lo stendardo del comandante supremo sbatteva rumorosamente, agitato da forti raffiche. (3)
All’interno della tenda era accesa una candela rossa, il cui sego colava giù goccia a goccia, raccogliendosi nel piattello cesellato dell’alto candelabro di bronzo.
Dalla fiamma verdastra si levavano, ogni poco, fini volute di fumo, di un bianco lattiginoso, che spargevano un odore nauseante e toglievano il respiro.
Xiàng Yŭ, il famoso comandante dell’armata ribelle del Jiāngdōng (4) era là, imponente, accosciato su una pelle di tigre che serviva da tappeto, leggermente chino in avanti, il gomito sinistro appoggiato al ginocchio.
Teneva, nella mano sinistra, una tavoletta di legno laccato, ricoperta da una striscia di seta grezza sulla quale si udiva frusciare il pennello.
Il viso era largo e grossolano, la pelle un po’ scura, la mascella quadrata e volitiva.
Le labbra sottili ed arroganti, contratte con forza, disegnavano agli angoli della bocca minuscole fossette e due profonde rughe di stanchezza gli solcavano le guance scendendo fino al mento.
Sebbene i suoi occhi neri fossero velati da un’ombra di tristezza, quando sollevava il volto, balenava nelle sue pupille scurissime il riflesso di un’innocenza infantile.
“Un quintale di riso. (5) Otto sacchi di granoturco. Dieci sacchi di altri cereali. Yú Jī !”.
Voltò la testa verso la concubina Yú che, ritta presso l’entrata del padiglione, stava tranquillamente strofinando via delle macchie di sangue dalla lama di una spada e la fiamma violenta che ardeva nei suoi occhi si rispecchiò nel viso della donna ancora nascosto nella penombra della tenda.
“Sì...Ci restano provviste per altri due giorni. I nostri soldati del Jiāngdōng sono davvero dei ragazzi in gamba. Anche se in questo burrone desolato di Gāixià (6) non si trova niente da mangiare riescono a catturare dei passerotti, persino a tirar fuori dei vermi dalla terra. Vediamo un po’ ...da Gāixià a Wèizhōu quasi una giornata di cammino...da Wèizhōu a Yĭngchéng ...se riusciremo a procurarci dei cavalli freschi...ce la faremo in un giorno e mezzo...dunque due giorni e mezzo...fra tre giorni, Yú Jī, avremo rotto l’accerchiamento”. (7)
”Certo. Certo.” gli rispose Yú Jī disperdendo il fumo della candela con un leggero movimento del suo ventaglio rotondo. “O gran re, noi abbiamo mille uomini e loro ne hanno centomila...”.
”Boh...si dice che siano centomila, ma oggi ne abbiamo ammazzati proprio tanti ed io scommetterei che non ne sono rimasti più di settantacinquemila” osservò Xiàng Yŭ stiracchiandosi “ Il corpo a corpo di oggi, sia come sia, ha raffreddato i loro ardori combattivi. Secondo me lasceranno passare un paio di giorni prima di tentare un altro attacco. A proposito, ti sei ricordata di trasmettere ai sergenti l’ordine di preparare tondelli e pietre da lanciare sul nemico?”(8).
“Voi siete stanco, o mio re” disse Yú Jī “Per prima cosa riposatevi un istante. Tutto ciò che avete comandato è già stato eseguito”(9).
Portate a termine le sue solite incombenze serali e dopo aver atteso che Xiàng Yŭ si fosse addormentato, Yú si gettò un mantello sulle spalle, prese un candeliere e, proteggendo col dorso d’una mano la fiamma della candela, uscì silenziosamente dalla tenda.
La notte era assolutamente tranquilla. Attraverso sottili banchi di nebbia, si potevano scorgere, disseminate dappertutto lungo il pendio, piccole tende di un color bianco sporco, dalle cui aperture filtravano sprazzi di luce. Veniva in mente una di quelle notti d’estate nelle quali sbocciano, in ogni angolo, i fiori dei glicini selvatici con i loro petali bianchi ed i loro pistilli vermigli. S’udivano , in lontananza, portati dal vento, i lamentosi nitriti dei cavalli e i ripetuti richiami delle sentinelle che giravano intorno al campo con il loro passo cadenzato.
Yú Jī si strinse addosso il mantello, mentre con la larga manica dell’abito proteggeva la fiammella della candela perché un soffio di vento non la spegnesse. Nell’oscurità lampeggiavano, di tanto in tanto, le lunghe lance delle guardie. Il sentore dello sterco di cavallo aleggiava nell’aria pura della notte mescolandosi all’odore del sangue e al profumo del fieno.
La donna si fermò dinanzi a una tenda e tese l’orecchio per ascoltare i suoni che provenivano dal suo interno. Due soldati si stavano giocando ai dadi la razione di viveri del giorno seguente, un veterano russava e, mormorando nel sonno, ricordava che profumo delizioso aveva il riso del suo villaggio.
Yú Jī si allontanò senza far rumore.
Si fermò di nuovo dinanzi alla palizzata che proteggeva l'accampamento dalla parte che fronteggiava il nemico. Al di là della palizzata il terreno era sconvolto. Tutto il pendio appariva cosparso di ceppi d'albero, disseminato di grossi tronchi, di sacchi di sabbia, di pietroni, di blocchi d'argilla.(10) Le sentinelle, armate di lance con lama a serpentina, camminavano avanti e indietro, lentamente, alla luce di lanterne appese a spuntoni del parapetto sfondato, che oscillavano, mosse dal vento, tra i varchi della palizzata, diffondendo nello spazio di cielo sovrastante un tenue chiarore rossastro. Spense, per precauzione, la candela e, appoggiate le mani sulla ringhiera, guardò verso il fondovalle, dove era tutto un continuo accendersi e scintillare di puntini luminosi che facevano pensare ad uno sciame di lucciole nascosto tra l’erba in una notte d’estate. Era l’accampamento del re di Hàn e dei suoi centomila nobili guerrieri (11) accorsi da ogni angolo del paese a schiere dense come i nuvoloni che portano l’uragano.(12)
Yú Jī rimase paralizzata da quella vista e cominciò a riflettere. Il vento gelido le sferzava il viso e faceva tremare i nastri che ornavano le spalline del suo abito.
Fu colta da un’improvvisa sensazione di freddo e da un’impressione di vuoto, come le accadeva ogni volta che si allontanava da Xiàng Yŭ. Se lui era l’astro solare, ardente ed abbagliante, da cui si sprigionava la fiamma di una travolgente ambizione, lei era l’astro lunare, che ne rifletteva, passivamente, lo splendore e la forza. (13) Lo seguiva come un’ombra nelle nere notti di tempesta, nell’orrore disumano dei campi di battaglia, affamata, stanca, in un vagabondaggio senza fine.
Quando il comandante dell’esercito ribelle, in sella al suo celebre stallone pezzato, si lanciava come un uragano in un galoppo sfrenato, gli ottomila ragazzi del Jiāngdōng potevano vedere Yú Jī tenergli dietro, pallida in volto, ma sorridente, stringendo convulsamente le redini del proprio cavallo, mentre il suo mantello di broccato di un tenue color porpora fluttuava al vento. Erano ormai più di dieci anni che ella aveva fatto proprie le aspirazioni del suo uomo, gioito dei suoi successi come se fossero i propri successi, sofferto le sue pene come se fossero le proprie pene. Tuttavia, ogni volta che approfittava di un suo momento di sonno, per prendere in mano una candela e vagare, da sola, nell’accampamento, cominciava a riflettere e sentiva che quegli istanti appartenevano soltanto a lei. Si domandava allora quale potesse mai essere lo scopo della propria esistenza in questo mondo.
Lui! Lui viveva per realizzare le proprie ambizioni. Lui sapeva come usare la spada e la lancia per afferrare, con l’aiuto dei suoi ragazzi del Jiāngdōng, la corona imperiale. Ma lei? Lei non era che l’eco sommessa di un eroe dalla voce potente, un’eco il cui sussurro andava pian piano attenuandosi, fino a quando si sarebbe spento del tutto. Semmai l’eroe riuscisse a portare a termine la propria impresa... Lontano, lontano, ai piedi della montagna, dov’era accampato l’esercito di Hàn, una sentinella suonava lentamente il corno. Il suono prolungato e lamentoso, monotono e pesante (14), eppure pieno della tristezza del campo di battaglia, fluttuava nella quieta serenità della notte. Nel cielo le stelle a poco a poco svanivano. Sentì che una calda lacrima le cadeva sul dorso della mano.
Ah, se lui avesse vinto...lei, che cosa c’avrebbe guadagnato? Sarebbe diventata “Consorte Imperiale” (15) e sarebbe stata condannata alla prigione a vita. Avrebbe rivestito abiti sfarzosi ed avrebbe passato tutti i suoi giorni confinata nelle stanze oscure e tristi di un lussuoso palazzo. Si sarebbe affacciata alle finestre per contemplare, fuori, il chiaro di luna, per aspirare,dall’esterno, il profumo dei fiori, per sfuggire alla solitudine che l’avrebbe circondata, dentro. Sarebbe invecchiata e lui si sarebbe stancato di lei. Innumerevoli altre donne avrebbero attraversato come meteore l’universo che una volta era appartenuto a lui e a lei soli, allontanandola da quell’astro splendente che l’aveva irradiata di luce per più di un decennio. Non avrebbe più riflesso quello splendore che illuminava il suo corpo, sarebbe diventata come la luna calante la cui luce va scemando (16), scura, triste, malinconica, folle di dolore. E, alla fine di questa esistenza, tutta sacrificata a lui, le avrebbero conferito il titolo postumo di “Virtuosissima Consorte Imperiale di Primo Rango” o di “Degnissima Consorte Imperiale di Primo Rango”, l’avrebbero avvolta in uno splendido lenzuolo funebre, l’avrebbero deposta in un doppio sarcofago di legno profumato e avrebbero sepolto con lei tre o quattro schiavi per farle compagnia nell’aldilà. Ecco quale sarebbe stato l’apogeo della sua vita.
Queste riflessioni la irritavano e la spaventavano.
“No! No! Stasera mi sono abbandonata troppo ai miei pensieri. Devo controllarmi, devo subito smetterla con queste fantasie morbose.”
Abbassò la testa e strinse i pugni, facendo penetrare profondamente le unghie nella carne. Il suo visino dal mento appuntito, livido e quasi tremante, sembrava una foglia d’albicocco agitata dal vento.
“Devo rientrare. Quando sarò di nuovo accanto a lui, a vegliarlo nel suo sonno profondo, non mi verranno più queste allucinazioni”.
Si chinò a raccogliere il candeliere e chiamò la sentinella più vicina perché venisse a riaccenderle la candela con la fiamma della sua lanterna. Ma, proprio mentre si apprestava a ritornare sui suoi passi, dopo aver riaggiustato il mantello e la pellegrina, si fermò di botto.
Dall’accampamento fortificato del nemico, ai piedi della montagna, saliva quietamente, tranquilla e serena, una melodia cantata senza impegno, come una distrazione priva di importanza. La distanza era grande, molto grande, e le parole non si sentivano chiaramente, ma poiché il vento soffiava verso l’alto, verso la montagna, si poteva distintamente percepire che si trattava di un canto popolare assai diffuso nella regione di Chŭ: “La Canzone di Luófū” (17)
All’inizio era una sola voce a cantare, isolata, un po’ tremolante, ma, forse perché la luna risvegliava a poco a poco nei soldati la nostalgia del paese natale (18), altre voci vi si aggiunsero in coro da tutti gli angoli dell’accampamento. Terminato il canto giunse l’eco attenuata di uno scoppio di risa, poi fu subito intonata un’altra canzone:”Pianto sulla Grande Muraglia”.(19)
Yú Jī era rimasta inebetita, invasa innanzitutto da una certa preoccupazione.
“Cantano spesso queste canzoni?” chiese alla sentinella che era venuta ad accenderle la candela.
“Sì” le rispose , con un leggero sorriso, il vecchio soldato, strizzando l’occhio alla luce della sua lanterna “Chi avrebbe mai detto che questa gente del Nord fosse capace di cantare così bene?”.
Yú Jī non disse nulla, ma la mano che reggeva il candeliere fu scossa da un tremito. Un improvviso colpo di vento spense la candela e la lanterna. Nell’oscurità, le nere pupille della fanciulla, che guardava fisso dinanzi a sé, mandavano un lieve bagliore, come gli occhi dei gatti. (20)
Yú Jī si rese conto che quei canti la spaventavano. Non appena la sentinella le ebbe di nuovo riacceso la candela, ritornò di corsa alla tenda su cui sventolava la bandiera del comandante supremo.
Tenendo alto il candeliere, si fermò dinanzi alla branda su cui riposava Xiàng Yŭ. Questi era immerso in un sonno profondo. Leggermente rannicchiato, una mano nascosta sotto il cuscino, teneva ben stretta in pugno una sottile lama damaschinata. Era una di quelle persone che rimangono sempre giovani. Anche se, tra i capelli che gli ricadevano in disordine sul volto , si notava già qualche filo grigio e se il riflesso della lama lasciava scorgere, sulla fronte aggrottata, il solco di alcune piccole rughe, il suo viso conservava nel sonno l’innocenza e l’ostinazione della faccia di un bambino, la stessa ostinazione che appariva nelle folte sopracciglia leggermente corrugate e nella linea del naso, mentre le labbra altezzose, un po’ pendenti verso il basso, gli davano l’aspetto di un uomo nato per comandare.
Yú Jī rimase a guardarlo. No...no..., non poteva svegliarlo per informarlo di tutta questa miseria. Almeno, in questo momento, lui era felice. Sognava senza dubbio l’arrivo dei rinforzi. Forse si vedeva addirittura già intento a far strage delle truppe di Liú Bāng che, intrappolate da una manovra a tenaglia, fuggivano disordinatamente in tutte le direzioni. Forse si vedeva già di nuovo guidare l’avanzata dei suoi soldati. Forse sognava di entrare trionfalmente a Xiányáng (21) cavalcando il suo stallone pezzato, in testa alla sfilata delle schiere vittoriose. Quanto sarebbe stato crudele fargli capire che era inutile attendere i rinforzi.
Grosse gocce di sudore cominciarono a imperlare il viso di Yú Jī. La fanciulla levò la testa e gettò un’occhiata allo spadone appeso sopra il letto. E se...se il suo respiro si fosse improvvisamente fermato proprio mentre era immerso nei suoi splendidi sogni di gloria,... se, per esempio, quella preziosa spada, cadendo giù dall’alto della tenda gli fosse penetrata nel petto trafiggendolo... Ebbe orrore del suo stesso pensiero. Il sudore le colava giù a rivoli dalla bella fronte pallida. La luce della candela rossa s’era ridotta ad una piccola fiamma delle dimensioni di una fava. Xiàng Yŭ si rigirò nel letto.
“O mio re, o mio re” lo chiamò e sentì come era roca la voce che le usciva di bocca.
Xiàng Yŭ si rizzò di scatto, sguainando immediatamente il suo pugnale. “Che cosa succede, Yú Jī? Ci stanno attaccando?”.
“No. No. Ma forse è qualcosa che fa ancor più paura. Ascoltate, mio signore!.”
Si accostarono all’ingresso della tenda. Si sentiva di nuovo la “Canzone di Luófū”, ma i soldati che ne stavano cantando in coro le ultime strofe erano ora ben più numerosi; la melodia, semplice e malinconica, saliva lenta e armoniosa da tutto l’accampamento ai piedi della montagna.
“Sono i nostri soldati prigionieri che cantano la nostalgia del loro paese?” domandò Xiàng Yŭ dopo un lungo momento di silenzio.
“Il canto viene da tutte le parti, o mio re”.
“Ah...come possono esserci così...così tanti uomini di Chŭ nell’accampamento del re di Hàn?”.
Seguì un pesante silenzio, rotto soltanto da qualche lontano nitrito.
“Vuol dire...vuol dire che Liú Bāng è già riuscito a sottomettere Chŭ?”.
Yú Jī ebbe una stretta al cuore. Quando vide che le sue labbra volitive perdevano colore e che il suo sguardo si faceva vitreo, l’aspetto di quei due occhi sbarrati la scosse talmente che non potè trattenersi dal sollevare un braccio e dal cercare di nasconderli con l’ampia manica del proprio abito. Sentì le sue ciglia battere rapidamente contro il palmo della propria mano e si accorse che lacrime ghiacciate le colavano giù lungo il braccio sino alla piega del gomito. Per la prima volta si rese conto che l' eroico capo ribelle era anche capace di piangere.
“Che tristezza...che tristezza” mormorò con un filo di voce, socchiudendo appena le labbra esangui.
Xiàng Yŭ scostò bruscamente la mano della fanciulla e rientrò nella tenda, a passi pesanti, barcollando.
Yú Jī lo seguì e lo vide sedersi sul letto, piegato in avanti, la testa fra le mani. La fiamma della candela era ormai ridotta al lumicino. Le prime luci dell’alba cominciavano a penetrare all’interno della tenda.
“Portami un po’di vino” le disse lui, alzando gli occhi.
Quando lei ritornò tenendo in mano la coppa piena d’un liquido che mandava riflessi di colore ambrato, le sorrise, le mani posate sulle ginocchia.
“Per noi è finita, Yú Jī. Era già da un po’ di tempo che mi stavo chiedendo perché dal Jiāngdōng non ci arrivasse più nessun rifornimento, ma è inutile rimuginare su ciò che è accaduto. Ci resta una sola cosa da fare: tentare una sortita! Guarda come siamo ridotti. Il destino non ci lascia scampo quasi fossimo selvaggina messa alle strette. Ma noi non saremo le prede, noi saremo i cacciatori. Domani...ah, no, oggi...oggi andremo a caccia per l’ultima volta. Ci lanceremo all’assalto e ci apriremo un cammino di sangue calpestando gli elmi dei soldati nemici. Puh, questo Liú Bāng crede davvero di avermi già chiuso in gabbia? Per una volta ancora, almeno per una volta, sarò io che andrò gioiosamente a caccia, e chi dice che non sia io a piantargli una freccia nel cuore allo stesso modo in cui sono solito trafiggere un prezioso zibellino? Yú Jī, indossa la tua cotta di maglia persiana (22) e seguimi fino all’ultimo istante. Moriremo in sella, tutti e due.”
“Cercate di capirmi, o mio sovrano” gli rispose Yú, a testa china, accarezzando con le dita le frange del pugnale che Xiàng Yŭ aveva dimenticato sul bordo del cuscino” Questa sarà la vostra ultima battaglia. Io voglio che voi possiate dare piena prova del vostro valore, che nulla vi trattenga dall’abbandonarvi con tutto il cuore alla gioia del massacro. Non posso cavalcare dietro di voi. Temo di distrarvi. Ho paura che vi preoccupiate di me, che tentiate di proteggermi. I soldati vi schernirebbero se si accorgessero che avete perso il vostro ardore combattivo a causa di una donna”.
“Ah,sì! Allora resta pure indietro. Lascia che i soldati di Hàn ti prendano e ti offrano a Liú Bāng come preda di guerra”. (23)
Yú Jī sorrise. Con gesto fulmineo, estrasse il pugnale dal fodero e, d’un solo colpo, se lo piantò profondamente nel petto.
Xiàng Yŭ si precipitò avanti per sostenerla, afferrandola alla vita. La mano della fanciulla teneva ancora ben stretta l’elsa del pugnale, incrostata d’oro. Chinandosi su di lei (24), Xiàng Yŭ notò che ella lo fissava con i suoi grandi occhi chiari, che le lacrime facevano brillare come una fiamma. Yú Jī spalancò gli occhi, poi li richiuse, come se non potesse sopportare la luce violenta del sole. Xiàng Yŭ accostò l’orecchio alle sue labbra tremanti e la udì mormorare una frase di cui non comprese il senso: “ Sono abbastanza contenta di finire così”.
Quando il corpo si fu raffreddato, Xiàng Yŭ tirò fuori il pugnale dal petto della fanciulla ed asciugò sulla sua tunica le gocce di sangue che ne macchiavano la lama. Poi, serrando i denti, emise con voce rauca un suono simile al grugnito di un cinghiale selvatico ed urlò: “ Comandanti, fiato alle trombe! Fate sellare i cavalli! Si va all’attacco!”.
NOTE
1) “Re Egemone delle Regioni Occidentali di Chŭ” (西 楚 霸 王 “xīchŭ bàwáng”) è il titolo che si attribuì il generale Xiàng Yŭ 项 羽 quando , nel 206 a.C., dopo aver rovesciato la dinastia Qín秦 朝 ed aver elevato al trono imperiale, con il nome di “imperatore Yì di Chŭ”(楚 义 帝 “chŭ yì dì”) , il re Huái II° di Chŭ 楚 怀 王 (“chŭ huái wáng”), al quale non riconobbe tuttavia alcun potere effettivo, divise l’impero in diciotto regni, governati da suoi vassalli.
I contrasti con Liú Bāng, re di Hàn (汉 王 刘 邦) , condussero tuttavia ben presto ad una guerra, nella quale Xiàng Yŭ fu sconfitto e si diede la morte. (202 a.C.)
2) La concubina Yú 虞 姬 ,conosciuta anche come “La BellaYú” (虞 美 人 ”yú mĕirén”), è Yú Miàoyì 虞 妙 弋 , sorella del generale Yú Zĭqĭ 虞 子 期 . Seguì Xiàng Yŭ in tutte le sue imprese. Quando Xiàng Yŭ fu circondato a Gāixià 该 下 dalle truppe di Liú Bāng, la concubina Yú rifiutò di abbandonarlo e si uccise.
3) Si coglie qui un’allusione all’aria “Un grande vento agita lo stendardo del comandante”( 大风吹倒帅字旗 ”dà fēng chuīdăo shuàizi qí”), tratta dall’opera intitolata “Mù Guìyīng prende il comando”( 穆桂英挂帅 “mù guìyīng guà shuài”) , che appartiene al repertorio operistico tradizionale del Hénan, conosciuto con il nome di 豫 剧 “yùjù”.
4) Il termine “l’armata ribelle del Jiāndōng” (江 东 叛 军 “jiāngdōng pànjūn”) si riferisce agli ottomila uomini originari del Jiāngdōng ( regione situata a sud-est del Fiume Azzurro) che costituirono il nucleo originario dell’esercito di Xiàng Yŭ.
5) Il testo cinese reca il termine 石 ("dán"). Il “dàn” 石 è un’unità di peso che equivale attualmente a 100 kg. Il suo valore ha tuttavia oscillato secondo le epoche storiche. È probabile che all’epoca di Xiàng Yŭ fosse un po’ inferiore al valore attuale.
6) Gāixià 垓 下 è un villaggio che oggi fa parte del comune di Sùzhōu 宿 州 , distretto di Língbì 灵 壁 , regione dell’Ānhuī 安 徽 , presso il quale nel 202 a.C le truppe di.Liú Bāng riuscirono ad accerchiare l’esercito di Xiàng Yŭ.
7) Xiàng Yŭ riuscì effettivamente a rompere l’accherchiamento e a fuggire da Gāixià con qualche centinaio di cavalieri, ma fu subito inseguito e, quando fu raggiunto sulle rive del fiume Wū 烏 江 , preferì uccidersi piuttosto che cadere vivo nelle mani dei suoi nemici.
8) Gāixià sorgeva sui pendii scoscesi di un lungo canyon nel quale Xiàng Yŭ si era imprudentemente avventurato per liberare la sua amata concubina Yú che era stata fatta prigioniera dalle truppe di Liú Bāng. Le forze di Xiàng Yŭ si erano trincerate in una posizione elevata ed il lancio di pietre e di tondelli di legno doveva servire ad ostacolare attacchi provenienti dal basso della vallata.
9) Nel testo cinese troviamo, con valore di pronome di seconda persona, l’espressione 照 您 (“zhào nín”) che potrebbe essere tradotta con “Vostro Splendore”.
10) Gli alberi dei boschi circostanti erano stati abbattuti sia per ottenere il legname con cui erigere la palizzata sia per creare tutt'intorno una zona scoperta che impedisse al nemico di avvicinarsi di nascosto all'accampamento. Pietre, tronchi, sacchi di sabbia, mattoni ed altri oggetti potevano essere stati disseminati lungo il pendio per rallentare ed ostacolare gli attacchi oppure essere stati gettati dall'alto della palizzata sulle truppe nemiche che salivano dal fondovalle.
11) Il testo cinese reca il termine 诸 侯 (“zhūhóu”) usato per indicare i vassalli, cioè i dignitari ai quali il sovrano aveva assegnato un feudo in ricompensa dei loro servigi.
12) L’autrice riporta qui il detto popolare 云 屯 雨 集 (“yúntún yŭjí”) che significa “(denso come) cumuli di nuvole e pioggia battente”.
13) Troviamo qui espressa la contrapposizione, tipicamente cinese, di 陽 “yáng” e 陰 “yīn”, dell’elemento maschile e dell’elemento femminile. L’uomo è un personaggio solare, dominante, attivo, ambizioso. Tutti i sostantivi e gli aggettivi con cui è descritto contengono, nei loro caratteri, la chiave del fuoco o della luce (炽热 ”chìrè”= “ardente”, 烨烨 ”yèyè”=”brillante”, 火焰 ”huŏyàn”= “fiamma”, 太 陽 “tàiyáng”=“sole”). La donna è un personaggio lunare, un’ombra (影 子 “yĭngzi”) che vive nella nera notte (黑... 夜 ”hēi ...yè”) e riflette (反 射 “fănshè”) la luce altrui, un essere debole, remissivo, passivo. La protagonista della novella ha dolorosa coscienza di questa sua limitazione ma non è in grado di superarla, così come non fu capace di superarla, nella sua vita e nelle sue opere, la stessa Zhāng Àilíng 張 愛 玲.
14) L’aggettivo 笨拙 (“bénzhuó”) si può tradurre con “goffo”, ”maldestro”. Goffo e maldestro non è ovviamente il suono, ma il suonatore.
15) La condizione di concubina di Yú Jī non le avrebbe consentito di ambire al titolo di “imperatrice” (皇 后 “huáng hòu”), che sarebbe spettato soltanto alla moglie ufficiale di Xiàng Yŭ .Il massimo a cui avrebbe potuto aspirare sarebbe stato il ruolo di “consorte imperiale” accompagnato dal titolo di “nobile signora” (貴 人 “guìrén”). Nel periodo degli Hàn Orientali東 漢 (“dōng hàn”), che va dal 25 d.C. al 220 d.C., le “nobili signore” venivano, in ordine di rango, subito dopo l’”imperatrice” e prima delle “belle signore”(美 人 “mĕirén”), delle “dame di palazzo”(官 人 “guānrén”) e delle “dame di compagnia”(采 女 “căinǚ”).
16) Il termine明 月 (“míngyuè”) designa la luna piena. Dopo il plenilunio, l’astro notturno comincia a poco a poco a perdere luminosità finché il suo emisfero visibile dalla terra non risulta completamente in ombra. Il parallelo con la triste sorte della donna, trascurata e abbandonata dal suo uomo, è evidente.
17) “La Canzone di Luófū”( 羅 敷 姐 ”luófū jiĕ”) è un canto popolare la cui versione più antica è attestata ai tempi della dinastia Hàn 漢 朝. Non è chiaro se esso fosse effettivamenteun canto originario del regno di Chŭ, come si afferma in questa novella.
18) Nella tradizione letteraria cinese, la contemplazione della luna risveglia immancabilmente la nostalgia di chi si trova lontano da casa.
19)”Pianto sulla Grande Muraglia”(哭 长 城 ”kū chángchéng”) è il titolo di un altro antico canto popolare che narra la triste storia di Mèngjiāngnǚ 孟 姜 女 , il cui marito morì di fatica e di stenti durante la costruzione della Grande Muraglia. Neppure qui vi sono elementi decisivi per affermare che “Pianto sulla Grande Muraglia” fosse un canto del Regno di Chŭ. Forse l’autrice ha attribuito questi vecchi canti alla tradizione di Chŭ senza compiere particolari ricerche in merito alla loro origine.
20) L’immagine è assai suggestiva, anche se non appare molto verosimile.
21) Xiányáng 咸 陽, città dello Shănxī 陝 西 situata sul fiume Wèi 渭 河 , qualche chilometro ad ovest di Xī’ān 西 安 , fu la capitale dell’impero durante la dinastia Qín 秦 朝.
22) Il termine 波 斯 软 甲 (“bōsī ruănjiă”), vale a dire “armatura flessibile di Persia”, equivale a 锁 子 甲 (“suŏzĭjiă”), cioè “maglia di ferro”. La cotta di maglia era un’armatura del tipo detto “a veste”, formata da anelli di ferro. Il riferimento alla Persia può significare sia che tale tipo di armature era importato direttamente dalla Persia sia che si ispirava a modelli persiani.
(23) I caratteri dei personaggi sono delineati con profonda raffinatezza psicologica. Xiàng Yŭ, nel suo modo di pensare rozzo ed istintivo , interpreta come semplice paura di morire l’atteggiamento di Yú Jī, che è invece determinato, come abbiamo visto, da diverse e più elaborate riflessioni.
(24) Xiàng Yŭ era un uomo forte e robusto, certamente molto più alto di Yú Jī, che doveva essere una fanciulla di corporatura fragile e minuta.