Il fascino sinistro della “katana”, la celebre sciabola giapponese, ha ispirato per secoli i poeti cinesi , sconcertati dall’ambivalenza di un oggetto che appariva spesso come un capolavoro d’arte e d’eleganza, pur restando un gelido ed inesorabile strumento di morte.
Il primo a trattare questo tema, sotto la dinastia Sòng 宋 朝 , fu Oū Yángxū (歐 陽 修), con la sua “Canzone della sciabola giapponese (日 本 刀 歌). Gli fecero seguito numerosi altri poeti, fra cui Liáng Pèilán (粱 佩 蘭) e Qiú Bĭngtái ( 仇 炳 台), attivi all’epoca della dinastia Qīng 清 朝.
Liáng Pèilán (粱佩蘭) (1632 d.C. - 1708 d.C.), poeta e calligrafo, originario di Canton (廣 州 Guăngzhōu), mostra anche lui nella sua “Canzone della sciabola giapponese” ( 日 本 刀 歌 ), di non saper sfuggire, inizialmente, all’ammirazione per questa splendida arma. Il pensiero del terrore che essa suscita lo porta però a più profonde considerazioni: anche questa sciabola, come tutte le armi, è emblema della violenza, rappresenta il ricorso alla forza per ottenere il dominio sulla società. Il suo simbolismo è perciò in assoluto contrasto con le idee di confronto razionale e di sviluppo pacifico che sono alla base della civiltà cinese, come il poeta implicitamente ricorda citando un passo di Lăo Zĭ (老 子). Non ci possono di conseguenza essere dubbi sulla posizione da prendere. “I tesori della Cina non stanno nelle sciabole”conclude Liáng Pèilán con una chiara ed inequivocabile scelta di valori.
LA SCIABOLA GIAPPONESE
日本刀歌 Rì Bĕn Dāo Gē
Hanno messo sul mercato una sciabola,
preziosa, che misura ben cinque piedi. (1)
Il mercante me ne racconta la storia. (2)
Un demonio di pelo rosso la portò,(3)
dopo aver attraversato il grande mare.
È un regalo ch’ebbe dal re del Giappone. (4)
Tre dì d’anticamera gli fece fare,
poi, inchinatosi dinanzi alla sciabola,
con solennità gliel’offerse in dono.
Ha forma di drago, ha soffio di tigre
ed il suo possesso genera arroganza.
Ogni volta che la estrai dal fodero
sembrano brillare le stelle del cielo.
La Perla del Serpente Giallo ne orna l’elsa. (5)
Gioielli mai visti nell’impugnatura.
Il suo bagliore illumina le tenebre.
Il sangue l’impregna di rosso broccato.
Muta riflesso col variare del tempo.
Lampeggiando nel cuore della tempesta,
manda dal muro cupi brontolii.
Racconta la leggenda che il re la forgiò
nel giorno in cui il fuoco vinse il metallo (6)
Spiriti, orchi e folletti si nascosero,(7)
gemettero gli scheletri come uomini.
Le teste volarono a terra leggere
come se fossero dei fogli di carta.
Le onde che infuriavano tumultuose
furon domate dal suo lucido raggio. (8)
La sciabola era la forza del sovrano,
arma formidabile per combattere.
Non appena la toccava con un dito,
faceva tremare un intero regno.
Pelo Rosso ha ricevuto la sciabola
e, traversando il mare come un tormento, (9)
con la sua grande nave è giunto nel Guăngzhōu. (10)
L’offre in vendita, ma nessuno la vuole.
Invano ne pretende mille monete.
Ascoltando tale racconto sospiro:
Che fare di questo strumento nefasto? (11)
Sono ben altri i tesori della Cina. (12)
Vi prego: Rendetegli quella sciabola!
NOTE
1) Il “chĭ” (尺) era un’unità di misura che corrispondeva, sotto la dinastia Qīnq, a 33,52 centimetri. Una sciabola di cinque “chĭ” era dunque lunga quasi un metro e settanta centimetri.
2) Risulta chiaramente dalla poesia il sistema di commercio internazionale praticato in Cina sotto la dinastia Qīng. Come si vede, il poeta non parla direttamente col “demonio di pelo rosso”, ma col mercante cinese al quale costui ha affidato il compito di vendere la sciabola. A partire dalla metà del 17° secolo, i mercanti occidentali furono infatti autorizzati a vendere i loro prodotti soltanto a Canton (廣 州 ) ed unicamente per il tramite dei “hángshāng” (行 商) , mercanti affiliati a determinate corporazioni commerciali dette “gōng háng”(“imprese pubbliche”, 公 行) o “yáng háng” (“imprese d’oltremare”, 洋 行), i quali garantivano la regolarità delle operazioni ed il pagamento dei dazi alle autorità locali. Il termine “gōng háng” fu abitualmente reso nei documenti europei come “cohong” e si parlò dunque di “sistema delle cohong”.
3) Il termine “hóng máo”( 紅 毛) (capelli rossi”) era ed è ancora usato dai Cinesi per indicare gli Europei o gli Occidentali in genere. Esso si applicava in particolare agli Inglesi ed agli Olandesi, che avevano di solito barbe e capigliature fulve. Nel caso specifico, esso si riferisce manifestamente ad un mercante olandese, giacché la poesia precisa che si tratta di una persona che viene dal Giappone e noi sappiamo che, durante il periodo del “bakufu”幕 府, cioè del governo dello “shōgun” 将 軍, che durò dal 1610 al 1867, l’esclusiva del commercio con questo paese fu riservata agli Olandesi.
Il termine “guĭ ”(鬼) (“fantasma”, “spettro”) fu applicato agli Occidentali fin dal 1600 a causa del loro colorito chiaro che ricordava ai Cinesi il pallore cadaverico. Nelle regioni del sud della Cina si usò abitualmente l’espressione dialettale cantonese “gwăi lŏu”(鬼 老) ( che in mandarino suonerebbe “guĭ lăo”), mentre nelle regioni del Nord prevalse il termine “(xī) yáng guĭzĭ” (西 洋 鬼 子)(“fantasma dell’oceano (occidentale)”. Queste espressioni assunsero presto un senso dispregiativo, giacché in Cina tutti gli stranieri erano tradizionalmente ritenuti barbari.
4) La storia dell’incontro col “re del Giappone” è una fandonia, in quanto è quasi certamente da escludere che un mercante occidentale potesse ottenere udienza dal “tennō”天 皇, dallo “shōgun” 将 軍 o anche solo da un “daimyō”大 名. È infatti storicamente accertato che i mercanti olandesi, gli unici che potevano commerciare con il Giappone,non erano autorizzati ad uscire dall’isoletta di Dejima 出 島, nella baia di Nagasaki 長 崎, sulla quale avevano costruito i loro magazzini. Tuttavia, poiché in Cina mancava qualsiasi informazione sul Giappone, anche invenzioni di questo tipo potevano essere credute.
5) “La perla del serpente giallo”(“huáng shé zhī zhū”, 黃 蛇 之 珠),potrebbe essere quella concrezione che si forma nel cappuccio del cobra e che assume talvolta la forma di una perla. Essa è conosciuta in India con il nome di “nagamani” (“la perla del cobra”) e sarebbe fonte di fortuna, ricchezza e potenza per il suo possessore.
(6) Nel forgiare una spada, il fabbro fonde il metallo mediante il fuoco, attività che corrisponde ad un tipico momento di passaggio nell’antica teoria delle Cinque Fasi (“wŭ xíng” 五 行) e precisamente al momento in cui il fuoco (“huŏ” 火 ) prevale sul metallo (“jīn” 金). Sullo sfondo di questa teoria, poteva essere considerato di buon augurio che la spada fosse forgiata in un giorno emblematico di tale passaggio, ad esempio nel giorno della congiunzione astrale del pianeta Marte (simbolo del fuoco) con il pianeta Venere (simbolo del metallo”).
(7) L’espressione “chī mèi wăng liăng”(魑 魅 魍 魉) raggruppa insieme tutti gli spiriti maligni della mitologia cinese. I “chī”( 魑 ) ed i “mèi”( 魅 ) menzionati nei Shĭ Jì 史 記 di Sīmă Qiān 司 馬 遷 erano spiriti delle montagne e dei boschi Avevano una testa umana su corpi rispettivamente di tigre e di cinghiale. I “wăng”(魍) ed i “liăng”(魎) erano invece spiriti dei torrenti, degli alberi e delle rocce. Erano bipedi, con testa di bambino o di animale, occhi rossi, orecchie lunghe, corpo peloso. Si nutrivano di cadaveri, dei quali divoravano il fegato. Secondo le credenze popolari erano spiriti di morti che non avevano raggiunto la pace ( o il nirvana, per i buddisti) e che erano condannati ad errare sulla terra spaventando gli esseri viventi.
(8) È facile trovare in questo verso il significato allegorico. I flutti in tempesta sono le ribellioni ed i disordini che vengono sedati dal bagliore della spada, cioè dalla forza militare.
(9) Il termine “chóu”(愁) può essere tradotto con “ansia”, “preoccupazione”, “tormento”. Si potrebbe collegare al mercante ed esprimerebbe allora l’idea dell’agitazione degli Occidentali, il cui attivismo, nervoso e frenetico, irritava i compassati Cinesi. Potrebbe però anche suggerire la preoccupazione di chi si vede coinvolto, senza sentirne il bisogno, in questa attività sfrenata. In entrambi i casi, è evidente che esso è usato per esprimere un giudizio negativo.
(10) Il Guăngzhōu (廣 州) era la sola regione accessibile ai mercanti occidentali.
(11) Troviamo qui una chiara allusione al Dào Dé Jīng (道 得 經), il cui capitolo 31 comincia così:
“Le armi, per quanto belle, sono strumento di disgrazia, odiose, occorre dirlo, a tutti gli uomini. Perciò chi segue la Via non ama le armi”
e prosegue, tra l’altro, con queste parole:
“Le armi affilate sono strumento di disgrazia. Il saggio non le usa se non spinto dalla necessità. Il saggio apprezza la pace e la tranquillità e non ambisce ad imporsi con la forza delle armi. Una tale ambizione significherebbe compiacersi di versare il sangue e chi ama versare il sangue non può essere un uomo di Stato”.
(12) Letteralmente “zhōng guó zhī băo bú zài dāo” (中 國 之 寶 不 在 刀, “ i tesori della Cina non stanno nelle sciabole”). Questa dichiarazione corrisponde ad una riaffermazione dei valori tradizionali cinesi, che avevano sempre visto i meriti civili prevalere sui meriti militari.