CINQUE MEDITAZIONI SU TRACCE DELL’ANTICHITÀ
TERZO POEMA (1)
詠 懷 古 跡 五 首 之 YǑNG HUÁI GǓ JÌ WǓ SHǑU SĀN
Montagne su montagne, burroni
e burroni, per arrivare a Jīngmén,(2)
là dove tuttora esiste il villaggio (3)
che vide nascere e crescere Míngfēi.(4)
Sola lasciò le terrazze purpuree (5)
per dirigersi verso il deserto del Nord (6)
Sola riposa nel verde tumulo (7)
nella gialla oscurità della sera.(8)
Dipingerla equivarrebbe a cogliere
il volto dell’aria di primavera.(9)
Tintinnano di nuovo le sue giade;
lo spirito vaga sotto la luna. (10)
Son già mill’anni che il liuto di Zhāojūn(11)
fa risonare barbare melodie,.(12)
ma non ci son dubbi sul suo rimpianto:(13)
i suoi canti parlano della Cina.(14)
群 山 萬 壑 赴 荊 門 qún shān wàn hè fù jīng mén
生 長 明 妃 尚 有 村 shēng zhăng míng fēi shàng yŏu cūn
一 去 紫 臺 連 朔 漠 yī qù zĭ tái lián shuò mò
獨 留 青 塚 向 黃 昏 dú liú qīng zhŏng xiàng huáng hūn
畫 圖 省 識 春 風 面 huà tú xĭng zhì chūn fēng miàn
環 佩 空 歸 月 下 魂 huán pèi kōng guì yuè xià hún
千 載 琵 琶 作 胡 語 qiān zăi pí pá zuò hú yŭ
分 明 怨 恨 曲 中 侖 fēn míng yuàn hèn qŭ zhōng lùn
NOTE
1) Nella presente poesia, il ricordo è sollecitato da una visita al villaggio natale di Míngfēi 明 妃 , una famosa bellezza dell’epoca dei Hàn 漢 朝 , protagonista di una malinconica vicenda cantata da numerosi poeti, fra cui Dù Fŭ e Lĭ Bái.
2) La città di Jīngmén 荊 門 era così chiamata perché era considerata “la porta del regno di Chŭ” 楚 國 , che anticamente recava la denominazione “Jīng” 荊 o “Jīngchŭ” 荊 楚 .
3) Il villaggio dove nacque la famosa concubina Míngfēi, considerata una delle quattro grandi bellezze della Cina, si chiamava Băopíng 寶 坪 nella contea di Zĭgūi 秭 歸 (oggi. Zhāojūn 昭 君 nella contea di Xīngshān 兴 山, Húbĕi 湖 北).
4) Míngfēi (“La concubina splendente”) è il nome con cui è conosciuta Wáng Zhāojūn 王 昭 君 , che entrò nell’harem imperiale all’epoca dell’imperatore Yuán dei Hàn 漢 元 帝 (48-33 a. C.). A causa del gran numero di concubine alloggiate nel palazzo, l’imperatore non si recava personalmente a cercare quella con cui avrebbe trascorso la notte, ma la sceglieva sulla base dei ritratti ( l’equivalente delle moderne fotografie ) dipinti dal pittore di corte Máo Yánshŏu 毛 延 壽. Le concubine avevano perciò l’abitudine di dare generose mance al pittore affinché le dipingesse ancor più belle di quello che erano. Wáng Zhāojūn , forse perché convinta della propria bellezza, o forse perché povera ( è questa la versione di Lĭ Bái), non offrì mance al pittore, il quale ne fece un ritratto molto mediocre. L’Imperatore, visto il ritratto e ritenendo che la concubina fosse più brutta delle altre, non sentì mai il desiderio di convocarla. In quel periodo il re degli Xiōng Nú ( 匈 奴 “Unni” ) Hūhánxié 呼 韓 邪 stava negoziando con l’Imperatore ed aveva chiesto, per accettare di concludere un trattato di non aggressione, di “ricevere in moglie una gran dama della Corte imperiale”. L’Imperatore acconsentì di malavoglia a questa richiesta di un “matrimonio diplomatico” e diede ordine al sovrintendente dell’harem di inviargli, dopo averla acconciata ed ingioiellata come una vera principessa, quella che riteneva fosse la meno graziosa delle concubine. Quando Wáng Zhāojūn apparve nella Sala del Trono, dove l’attendevano l’Imperatore ed il re degli Unni, tutti furono sbalorditi dalla sua bellezza e l’Imperatore si chiese con dispetto come avesse potuto prodursi un tale malinteso, ma ormai era troppo tardi per rimediare. Wáng Zhāojūn, che da allora fu chiamata Míngfēi (“La concubina splendente”), dovette partire, con il suo nuovo marito, per le steppe della Mongolia e l’Imperatore si consolò facendo tagliare la testa al pittore che gli aveva nascosto l’esistenza di una tale bellezza.
5)“Zi tái” ( 紫 臺 “le terrazze purpuree” ) è una metafora del palazzo imperiale. Come in Europa, anche in Cina, il prezioso color porpora era simbolo di autorità e di potere.
Il “paese di porpora 紫 國 “ era inoltre un modo di dire usato per indicare un paese dove tutto era ricco e splendido, l’equivalente del nostro “paese delle meraviglie”, “paese incantato”.
6) L’espressione “shuò mò” 朔 漠 ” indica le steppe settentrionali abitate dai barbari.
Nel linguaggio corrente 朔 è il primo giorno del mese lunare.In astronomia 朔 designa ( probabilmente con riferimento alla posizione della luna nel primo giorno del mese) il settentrione.
7) Míngfēi non poté mai ritornare in Cina, ma trascorse tutta la sua vita tra gli Unni e quando morì fu sepolta ai margini della steppa. Presso la città di Hohhot, nella Mongolia Interna,viene ancora mostrata quella che la tradizione indica come la sua tomba. Secondo la leggenda il tumulo di Míngfēi sarebbe sempre stato verdeggiante, in contrasto con l’aridità ed i colori spenti della vicina steppa.
8) “Huáng hūn” 黃 昏 = “la gialla sera”. Anche gli aggettivi che indicano i colori mostrano l’enormità del contrasto. Il colore della Cina e della Corte imperiale è il rosso porpora, simbolo di gioia e di vita; il colore del deserto è il giallo, che, nella tradizione cinese, è , tra l’altro, associato all’idea della morte. La “terra gialla” 黄 土( in cinese “huáng tŭ”, in giapponese “kōdo”) è espressione equivalente a 黄 泉 (“huán quán”), le “Sorgenti Gialle”, che si usa per designare il “mondo sotterraneo”, il “regno dei morti”.
9) In questo delicatissimo verso il poeta sembrerebbe quasi scusare il pittore di corte che non fu capace di cogliere la squisita bellezza di Míngfēi. Gli elementi che compongono questa bellezza sono così puri ed eterei che nemmeno il migliore dei pittori riuscirebbe a riprodurli sulla tela. “Chi potrebbe” si domanda il poeta” dipingere quell’insieme di emozioni e di sensazioni provocate dal soffio della brezza primaverile?”. “Forse” si potrebbe rispondere” qualcosa del genere è stato tentato dal Botticelli nel suo sublime quadro intitolato ‘La Primavera’”.
10) Il poeta evoca la presenza di Míngfēi, che ha sempre desiderato poter tornare in Cina. Anche se è morta da quasi un millennio, sembra di vederla vagare al chiaro di luna nel paese natio, di sentir tintinnare i suoi ornamenti di giada.L’espressione “huán pèi” 環 珮 indica specificamente i “cerchietti” di giada che le donne erano solite cucire alla cintura come ornamenti.
11) La leggenda narra che Míngfēi avrebbe portato con sé nel deserto il suo liuto, sul quale avrebbe suonato canzoni di nostalgia per il suo paese. Ancora oggi il repertorio delle canzoni popolari contiene pezzi come “Zhāojūn varca la frontiera” ( 昭 君 出 塞 “Zhāojūn chŭ sāi” ) o “Il canto della frontiera ” ( 塞 上 曲 “sāi shàng qŭ” ) che esprimono la tristezza ed il dolore della fanciulla costretta a sposare un barbaro.
La “pípá” 琵 琶 o liuto cinese è uno strumento musicale a quattro corde e, anticamente, a quattro o cinque tasti ( oggi i tasti variano tra i 15 ed i 26) menzionato già all’epoca della dinastia Qín 秦 朝 . Si racconta infatti che i contadini impegnati nei lavori forzati per la costruzione della Grande Muraglia suonassero la “pípá” per esprimere la loro sofferenza. Questo strumento ha dato origine alla “biwa” giapponese e ad analoghi strumenti annamiti e coreani. All’epoca dei Táng la sua cassa armonica che aveva prima forma circolare assunse, per influenza dell’”oud” arabo e del “barbat” persiano ( derivato dal “ribat” arabo), che i Cinesi chiamarono “ hú pípá” ( 胡 琵 琶 “liuto barbaro” ), la forma allungata a pera che ha mantenuto sino ad oggi. L’influenza persiana portò anche a suonare in verticale e con le unghie delle dita lo strumento che in precedenza veniva suonato in posizione orizzontale e pizzicando le corde di seta con un plettro .
L’origine del nome “pípá” è onomatopeica e rende i tipi di suono che si ottengono con i due modi principali di suonare lo strumento: “pí” 琵 è il suono che si ottiene spingendo le dita della mano destra da destra a sinistra, mentre “pá” 琶 è il suono che si ottiene tirando il pollice da sinistra a destra.
I due ideogrammi di “pípá” 琵 琶 contengono il doppio segno di “giada” 玉玉 , che indica gli antichi strumenti a corda, e due segni con valore fonetico ( 比 “pí ”e 巴 “bā” ) per rendere rispettivamente i suoni “pí” e “pá”.
12) “Pípá zuò hú yŭ” 琵 琶 作 胡 語 : letteralmente “ il liuto parla la lingua dei barbari”. La frase può voler dire sia, in senso letterale, che Míngfēi dovette rassegnarsi a cantare nella lingua del popolo presso cui viveva, sia, in senso metaforico, che dovette imparare, al posto delle melodie cinesi, le più rozze melodie che piacevano ai barbari.
13) Le leggende dei popoli della steppa forniscono evidentemente un’altra versione della storia e narrano che Míngfēi visse felice e contenta con il suo nuovo marito. Presso la città di Hohhot, nella Mongolia Interna, che era a quell’epoca la capitale degli Xiōng Nú, esiste addirittura una statua, eretta in suo ricordo, che la rappresenta a cavallo a fianco del marito. Secondo i Cinesi, invece, Míngfēi non si sarebbe mai rassegnata a vivere nel deserto. Costretta , dopo la morte dell’anziano marito, a sposarne un figlio, secondo le usanze dei barbari, avrebbe chiesto all’imperatore Chéng 漢 成 帝 di farla ritornare in Cina, ma ne avrebbe ricevuto un rifiuto e, se si presta fede ad alcune fonti, si sarebbe suicidata per il dolore di non poter più tornare in patria. Dù Fŭ non ha dubbi sulla questione: “fēn míng yuàn hèn” 分 明 怨 恨 (“è chiaro che aveva nostalgia”) e ne fornisce anche la prova “qŭ zhōng lùn” 曲 中 侖 (“i suoi canti parlano della Cina”). È possibile che la bella suonasse melodie barbariche ed avesse imparato a cantare negli lingua degli Xíōng Nú, ma le sue canzoni avevano sempre un solo ed unico argomento: la Cina.
14)“Qŭ” 曲 è, a rigor di termini, la “melodia”, ma qui si può intendere in senso più lato come “canto”, “canzone”. Molte melodie e canzoni popolari trattano la nostalgia di Míngfēi, ed alcune di esse vennero dalla tradizione attribuite alla stessa Míngfēi. Basti ricordare qui “Il rimpianto di Zhāojūn” ( 昭 君 怨 “Zhāojūn yuàn” ) e “Nubi gialle d’autunno alla frontiera” ( 黃 雲 秋 塞 “huáng yún qiū sāi” ).