Capitolo IX
1.Raramente il Maestro parlava del guadagno, del destino e della virtù. (1)
2. Sentendo un uomo del villaggio di Dáxiàng (2) esclamare: “Che grand’uomo il maestro Kŏng! Ha studiato tanto e non ha compiuto nulla di notevole.”, Confucio domandò ai suoi discepoli: “Che cosa dovrei fare? Diventare un cocchiere provetto od un campione di tiro con l’arco? Mi piacerebbe imparare a guidare le carrozze.” (3)
3.Il Maestro osservò: “L’antico rito prescriveva che nelle cerimonie si indossasse un berretto di canapa. Oggi, si indossa un berretto di seta greggia.
È più economico e perciò io mi adeguo all’uso corrente.
Secondo l’antico rito, ci si inchinava ai piedi della scalinata di un tempio o di un palazzo. Oggi, ci si inchina dopo essere giunti in cima alla scalinata.
Qui, si tratta solo di arroganza e perciò io continuo ad inchinarmi ai piedi della scalinata, sebbene ciò non sia conforme all’uso corrente.”
4. Il Maestro rifuggiva da quattro cose: dai pregiudizi, dalle affermazioni categoriche, dall’ostinazione e dall’egoismo.
5. Trovandosi in pericolo nel villaggio di Kuāng, il Maestro dichiarò: “ Morto il re Wén, la cultura non si è forse rifugiata in me? Se il Cielo intende distruggerla, i posteri non potranno averne alcun beneficio. Ma, se il Cielo non intende distruggerla, che cosa dovrei temere dalla gente di Kuāng?”. (4)
6. Un alto funzionario domandò a Zĭ Góng: “ Un vero saggio, come è il Maestro, sa compiere così svariate attività manuali?”.
Zĭ Góng gli rispose: “ Il Cielo è stato generoso con lui, avviandolo sulla via della saggezza ed accordandogli, in più, questa
versatilità.”
Confucio, che aveva ascoltato la conversazione, intervenne: “Vostra Eccellenza, mi conosce veramente? Da giovane, ero povero e, per questo, ho dovuto imparare diversi mestieri. Un gentiluomo sa fare tante cose? No, di certo.” (5)
7. Lào (6) ricordava che il Maestro diceva di aver imparato molti mestieri perché non aveva alcuna funzione pubblica da
esercitare. (7)
8. “Sono un saggio?” si domandò il Maestro “ Certamente, no. Quando una persona qualunque mi interroga, io non ho alcuna risposta pronta da fornirle. Però, affronto il problema da un lato, e poi da un altro, finché trovo una soluzione”. (8)
9. Il Maestro sospirò: “La fenice non si mostra! (9) Dal fiume non emergono mappe! (10) Per me è finita !”
10. Quando il maestro vedeva una persona in lutto, un uomo in abito da cerimonia o un cieco, anche se erano più giovani di lui, si alzava sempre, in segno di rispetto, o, se stava camminando,accelerava il passo. (11)
11. Yán Yuán sospirò e disse:”Quando levo lo sguardo verso di essa, diventa più alta. Cerco di penetrarla e mi sembra più dura. Me la vedo davanti ed improvvisamente me la ritrovo dietro. (12)
Per fortuna il Maestro mi è sempre accanto. Mi stimola con la cultura, mi disciplina con i riti.
Non potrei abbandonare lo studio neppure se lo volessi, ma, quando ho già esaurito tutte le mie capacità, mi trovo ancora di fronte ad un ostacolo che non riesco a superare, nonostante tutto il mio zelo.
12. Quando il Maestro cadde gravemente malato, Zĭ Lù convinse i discepoli ad assisterlo e servirlo in casa.
Un giorno che stava un po’ meglio, il Maestro lo rimproverò: “Yóu, è da tempo che mi stai ingannando. Chi dovrei prendere in giro fingendo di avere dei domestici che non ho? Credi forse che il Cielo si lasci menare per il naso? Non sarebbe, anche, più bello che io morissi tra le braccia dei miei discepoli piuttosto che tra le braccia dei miei domestici? Pur se non avrò un gran
funerale, non morirò di certo solo ed abbandonato”. (13)
13. Zī Góng domandò al Maestro: “ Se possedessi un bel gioiello, dovrei chiuderlo in cassaforte o farei meglio a venderlo per un buon prezzo?”.
“Io lo venderei.” gli rispose Confucio “Lo venderei di certo. Ma aspetterei un’offerta conveniente.”(14)
14. Il Maestro voleva andare ad abitare tra i barbari orientali. (15)
“Come vi può venire in mente un’idea simile?”si scandalizzò qualcuno “Sono dei selvaggi!”.
“Resterebbero tali anche se un gentiluomo si stabilisse in mezzo a loro?” domandò il Maestro. (16)
15. Il Maestro osservò: “Da quando ho lasciato Wèi ed ho fatto ritorno a Lŭ, la musica viene di nuovo eseguita correttamente, le Odi e gli Inni agli Antenati hanno ritrovato tutti il posto che era loro dovuto." (17)
16) Il Maestro disse: “Nella vita pubblica servire le autorità, in privato rispettare i genitori ed i fratelli maggiori, osservare scrupolosamente le prescrizioni del lutto, evitare di ubriacarsi. Come riesco a fare tutto questo?". (18)
17. Trovandosi sulla riva di un fiume, il Maestro osservò: “Tutto scorre via così, giorno e notte, senza mai fermarsi”. (19)
18. Il Maestro sospirò: “Non ho ancora trovato nessuno che ami il bene con lo stesso slancio con cui ama il bello”. (20)
19. Il Maestro disse: “Facciamo un esempio. Se, mentre sto elevando un tumulo, mi fermo prima di aver portato l’ultimo canestro di terra, non ho terminato il mio compito. Se, mentre sto livellando un terreno, verso ancora un canestro di terra, vuol dire che vado avanti, che progredisco nel mio lavoro." (21)
20. Il Maestro ricordò: “ Mi ascoltava sempre con la massima attenzione. Ecco come era Huí”.
21. Parlando di Yán Yuán il Maestro disse: “ Lo vedevo progredire costantemente senza mai fermarsi. Quanto mi manca!”
22. Il Maestro osservò: “ Ci sono boccioli che non fioriscono e fiori che non danno frutti. Non è forse vero?”. (22)
23. Il Maestro ammonì: “ State attenti ai giovani: potrebbero raggiungervi. Non preoccupatevi dei quarantenni e dei cinquantenni che non hanno ancora fatto parlare di sé: non sono più un pericolo”.
24. Il Maestro osservò: “ Chi respinge mai i buoni precetti? L’importante, però, è metterli in pratica. Chi non è d’accordo con i buoni consigli? L’importante, però, è trarne le conseguenze. Che me ne faccio di qualcuno che riconosce il valore dei buoni precetti senza correggersi ed approva i buoni consigli senza ricavarne motivo di riflessione?”
25. Il Maestro esortò: “ Siate anzitutto leali e sinceri. Non coltivate cattive amicizie. Se avete dei difetti, non esitate a correggerli”.
26. Il Maestro constatò: “ Si può privare un esercito del suo comandante, ma non si può togliere neppure ad un uomo qualunque il suo libero arbitrio”.
27. Il Maestro dichiarò: “Vestito di una misera tunica di canapa sta accanto ad uomini che indossano pellicce di volpe e di martora e non ne è intimidito. Ecco come è fatto Yŏu. ‘Non è invidioso, non è avido. Come potrebbe non essere un’ottima persona?”. (23)
Inorgoglito, Zĭ Lù si mise a recitare in continuazione quei versi.
“Non basta questo per essere un uomo virtuoso” lo frenò il Maestro. (24)
28. Il Maestro disse: “È solo quando arriva l’inverno che ci accorgiamo come i pini ed i cipressi siano gli ultimi a raggrinzirsi”.(25)
29. Il Maestro disse: “ Chi è saggio non ha esitazioni. Chi è virtuoso non ha preoccupazioni. Chi è coraggioso non ha timori.”.
30. Il Maestro osservò: “ Ci sono alcuni che possono accompagnarci negli studi, ma non nella ricerca della Via. Con altri è possibile cercare la Via, ma non raggiungerla insieme. Con altri ancora si può raggiungere la Via, ma non condividerla pienamente.” (26)
31. “Quando i fiori di ciliegio tremolano, come potrei non pensare a te, che stai così lontano?”.
“Se le volesse davvero bene, non penserebbe alla distanza che li separa” osservò il Maestro. (27)
NOTE
1) È comprensibile che il profitto materiale non rientrasse tra gli argomenti preferiti del saggio. Più difficile risulta invece capire perché Confucio non amasse dilungarsi su temi nettamente più filosofici quali il destino e la virtù. Zhū Xī suggerisce alcune ipotesi ( non ne parlava perché erano questioni troppo elevate, estremamente ampie od eccessivamente complesse)
da cui si può inferire che l’esame di problemi teorici o metafisici mal si adattava all’impostazione concreta e realistica dell’insegnamento del Maestro.
Alcuni sospettano tuttavia qualche lacuna nella massima, che leggono in maniera diversa: “Il Maestro parlava raramente di profitto. I suoi temi erano il destino e la virtù”.
2) Dáxiàngdàng 達 巷 當 corrisponde all’attuale Jiùguāncūn 旧 关 村 nella regione di Yănzhōu 兖 州.
3) L’osservazione dell’abitante di Dáxiàng ci appare comunque negativa, anche se non la si interpreta come una considerazione malevola. “In sostanza” dice costui” Confucio sarà pure un grand’uomo, ma che cosa ha fatto di
importante e di concreto?”
Il Maestro non è per nulla turbato dall’insinuazione e risponde con ironia, domandandosi se, per meritare la fama conseguita, debba diventare un guidatore provetto od un atleta capace di prestazioni eccezionali.
Si può ritrovare, in questo dialogo, l’antichissima “querelle” tra l’attività speculativa e l’azione concreta, tra gli umanisti ed i tecnici, che ciascuno può risolvere come meglio crede. La posizione di Confucio non lascia in ogni caso adito a dubbi.
4) Il commento di Zhū Xī ci spiega che la popolazione di Kuāng 匡, villaggio del Regno di Zhèng 鄭 國 situato in una zona che fa attualmente parte della città di Chángyuán 長 垣 nel Hénán 河 南 , aveva subito gravi torti ad opera di Yáng Hŭ 陽 虎 , un feudatario del Ducato di Lŭ.魯 國 che aveva saccheggiato il suo territorio. Nel 492 a.C. Confucio, che stava attraversando il villaggio con i suoi discepoli diretto alla capitale Zhèng 鄭 (oggi Xīnzhèng 新 鄭 ), fu scambiato per costui e, circondato dalla folla inferocita, passò un brutto momento, prima che l’equivoco fosse chiarito. Questo passo dei Dialoghi ci mostra la serenità olimpica con cui il Maestro affrontò una situazione di grande pericolo.
5) Questo dialogo può essere inteso in diversi modi.
Tenuto conto della qualità dei personaggi e delle loro battute, io propendo per l’ interpretazione che segue:
La domanda posta dall’alto funzionario è ambigua. Basta che le sue parole siano pronunciate con una piccola intonazione di stupore e di incredulità ( che ho rappresentato nella mia traduzione con il punto interrogativo ) per trasformarle in un giudizio negativo. Nella mente di un intellettuale di professione, come erano a quel tempo tutti i funzionari, il solo fatto di saper svolgere un’attività manuale è un elemento sufficiente a squalificare una persona, facendola ricadere nelle disprezzate categorie degli artigiani o dei contadini.
Zĭ Góng si rende conto dell’insidia celata nella domanda e cerca di neutralizzarla come può. L’abilità manuale di Confucio è un dono del Cielo, che si aggiunge alle sue doti intellettuali e non le sminuisce in alcun modo.
A questo punto interviene, con sincerità e franchezza, lo stesso Confucio, svolgendo in sostanza il seguente discorso:”È vero che i gentiluomini non devono imparare un mestiere perché appartengono ad una classe sociale privilegiata e possono dedicarsi allo studio senza preoccupazioni economiche. Io, invece, pur essendo di famiglia nobile, sono cresciuto in condizioni di povertà e sono stato costretto , per sopravvivere, a svolgere lavori manuali. Non rinnego questa esperienza e non me ne vergogno. Ritengo comunque che lo svolgimento di attività manuali non abbia nulla a che fare con le doti
intellettuali di una persona e sono convinto che non pregiudichi in alcun modo le mie capacità di studio e di riflessione”.
6) Qín Zhāng 琴 張 o Láo 牢 , detto Zĭ Kāi 子 開 , è ricordato fra i discepoli di Confucio.
7) Confucio cominciò ad insegnare all’età di ventidue anni. Prima, le disagiate condizioni economiche lo obbligarono ad esercitare diversi mestieri . Come ricorda Mencio 孟 子 (5 b,5 4): “Lavorando da magazziniere imparò a fare i conti. Svolgendo le mansioni di pastore e di mandriano, imparò ad allevare il bestiame”.
8) Queste considerazioni di Confucio ricordano molto da vicino il metodo “maieutico” di Socrate. Anche quest’ultimo, infatti, dichiara di “non sapere” ed invece di fornire risposte “ex cathedra “ impegna il suo interlocutore, che è spesso una persona qualunque ( 鄙 “bĭ“, cioè un sempliciotto”, un “anonimo”, come dice Confucio), in una serie di riflessioni e di constatazioni che lo portano, a poco a poco, senza nemmeno rendersene conto, a “partorire” egli stesso la conclusione ricercata.
9) Confucio deplora, in questo passo dei Dialoghi, la scarsa ricettività dei suoi compatrioti nei confronti del suo
insegnamento.
L’apparizione della fenice 鳳 (“fèng”) era, secondo la tradizione, presagio di grandi avvenimenti. Una fenice fu regalata al mitico imperatore Shùn, il cui regno era ricordato, ai tempi di Confucio, come un periodo aureo della storia cinese.
Un’altra fu sentita cantare sul monte Qí 岐 山 quando regnava il grande re Wŭ di Zhōu.
10) Le prime riflessioni filosofiche sulla natura del mondo sarebbero state ispirate a Fúxī 伏 羲 , il più antico dei Tre Augusti 三 皇 (Sān Huáng”) , che regnò secondo la tradizione negli anni 2952 a.C.-2836 a.C., da un disegno naturale osservato sul dorso di un animale emerso dal Fiume Giallo. Alcune fonti affermano che si trattava di un drago ( 龍 “lóng”), altre di un cavallo ( 馬 “mă”). Si può anche congetturare che la leggenda si riferisse ad un “lóngmă” 龍 馬 (“cavallo drago”), denominazione che indicava i cavalli dell’Asia Centrale famosi per eleganza e velocità. Dal disegno, che fu chiamato “hétú” 河 圖 (“il disegno del fiume”), Fúxī trasse gli otto trigrammi (八 卦 “bāguà”) con i quali compose il suo famoso “schema del cielo anteriore” ( 先 天 八 卦 “xiāntiān bāguà” ) che compendia, secondo i Cinesi, le leggi regolatrici dell’universo.
Il cavallo-drago emerso dal fiume con un disegno sul dorso fu quindi, anch’esso, presagio di grandiosi avvenimenti.
11) L’accelerazione del passo va intesa come un gesto un gesto di deferenza. Mi sembra di aver letto ( ma non riesco a ritrovare l’eventuale fonte ) che essa simboleggiava, in presenza del sovrano, di principi o di alte autorità, la disponibilità ad accorrere prontamente al loro servizio od in loro aiuto. Confucio estende questo gesto di cortesia, indipendentemente dal rango e dallo status sociale, a tutte le persone che meritano rispetto perché colpite dal destino o perché impegnate nello svolgimento di cerimonie civili o religiose.
12) Yán Yuán si riferisce qui alla dottrina del Maestro, alla Via che questi insegna. Va notato che le parole del discepolo presentano una certa somiglianza con quelle che il Dào Dé Jīng usa per definire (o piuttosto per indicare l’impossibilità di definire) la Via predicata dal Taoismo.
13) Questo dialogo mette in evidenza la modestia e la semplicità di Confucio . Il Maestro si rende conto che i suoi discepoli non solo lo stanno assistendo e servendo come se fosse un principe od un alto dignitario, ma gli stanno anche preparando, in previsione della sua morte, solenni funerali. Egli fa loro capire che tutto ciò gli è indifferente: l’unica cosa cosa cui tiene
veramente è il loro affetto.
14) Zhū Xī attribuisce a questo dialogo un significato allegorico. Il gioiello è l’uomo di talento, che non deve svendere frettolosamente le proprie capacità, bensì saper aspettare che si presenti qualcuno capace di stimarlo per ciò che egli realmente vale.
15) Nei più antichi testi cinesi il termine 夷 (“yí” “barbari”) è uno dei termini generici usati per indicare, in contrapposizione al termine 華 “huá”, che designa l’etnia Hàn, tutte le diverse popolazioni che abitavano al di fuori della vallata del Fiume Giallo.
A poco a poco, i numerosi termini generici in uso per designare i “barbari”assunsero ciascuno un significato specifico come risulta, fra l’altro, da un passo del Lĭ Jì 禮 記 (“Il Libro dei Riti”): “其 在 東 夷 北 狄 西 戎 南 蠻 雖 大 伯 子 (“qí zài dōng yí bĕi dí sī
róng nán mán suī dà bó zĭ), la cui traduzione si legge come segue:”Presso gli Yí dell’Est, i Dí del Nord, i Róng dell’Ovest ed i Mán del Sud anche i capi più potenti portano titoli modesti (“conti”)”.
I barbari orientali vennero perciò chiamati 夷 “yí”, i barbari settentrionali 狄 “dí”, i barbari occidentali 戎 “róng” ed i barbari meridionali 蠻 “mán”.
Talvolta però, la distinzione non veniva rigorosamente rispettata. Ad es. alcune popolazioni barbare ai confini occidentali dell’Impero venivano indicate con il termine 昆 夷 “kūnyí”.
16.) L’interlocutore sprovveduto prende per buona la minaccia di Confucio di fuggire tra i barbari, se i suoi compatrioti continueranno a non dargli ascolto, e se ne scandalizza. Il Maestro ne approfitta per ribadire la propria fiducia nel potere civilizzatore della cultura.
17) Alcuni inni del Shī Jīng 詩 經 ( in particolare le Grandi Odi di Corte 大 雅 (“dà yă”) e gli Inni agli Antenati 松 (“sòng”)) avevano carattere ufficiale e venivano cantati soltanto nelle più solenni cerimonie civili e religiose alla presenza
dell’Imperatore e della sua famiglia.
I duchi di Lŭ avevano preso l’abitudine di far eseguire questi inni nel corso delle loro cerimonie, cosa che veniva
ammessa in quanto essi discendevano in linea diretta dal duca di Zhōu, fratello del re Wŭ di Zhōu, ed erano principi regnanti.
In seguito anche le “Tre Famiglie” ( 三 桓 “sān huán”) avevano cominciato a fare lo stesso, forse col pretesto che anch’esse discendevano dal duca di Zhōu, sebbene non ne avessero alcun diritto non trattandosi di famiglie regnanti.
Questo passaggio dei Dialoghi lascia pensare che, grazie alle continue rimostranze di Confucio, tale abuso fosse
infine stato eliminato.
18) Il commento di Zhū Xī secondo cui il Maestro, per modestia, affermerebbe qui di riuscire a rispettare
i doveri di un gentiluomo solo grazie al suo impegno ed alla sua perseveranza, mi induce ad interpretare le parole 何 有 於 我 哉 (“hé yŏu yú wŏ zāi”) non già come “Che problema possono mai essere per me?”, ma piuttosto come “Per me sono proprio un problema.”
19) Questa osservazione ci ricorda il “πάντα ῥεῖ ” del filosofo greco Eraclito.
20) Nell’originale cinese il contrasto è tra 德 “dé” (“virtù”) e 色 “sè”(“bella apparenza”, “passione”, “amore per le
donne”).
Lo storico Sīmă Qiān 司 馬 遷 narra nel capitolo 47 dei suoi “Annali Storici” 史 記 , intitolato “Il Casato di Confucio”
孔 子 世 家, che Confucio avrebbe pronunciato questa frase per l’amarezza che provò quando il duca Líng di Wèi, del quale era ospite, accingendosi a fare una passeggiata in carrozza, volle con sé solo la moglie Nánzĭ, donna bellissima, seppur
corrotta, ed ordinò al Maestro di prendere posto su un altro veicolo, con gli eunuchi e gli uomini della scorta.
21) Le parole di Confucio sono una metafora dello studio: chi continua ad impegnarsi, sia pure poco per volta, progredisce costantemente; chi si ferma, perde anche ciò che ha già acquisito.
22) Un’altra metafora dello studio. Giovani brillanti e di belle speranze deludono le attese se non perseverano nell’impegno.
23) I versi qui citati appartengono ad una poesia del Shījīng 詩 經 intitolata “Il Fagiano” 雄 雉 “xióng zhì” ( “Canti degli Stati” 國 風 , “Canti di Bèi” 北 風, n.33), in cui una donna innamorata esalta le virtù dell’amato lontano.
24) Non essendo né invidioso né avido, Zĭ Lù dimostra di possedere due buone doti, ma, come si è già visto, l’uomo virtuoso è, per Confucio, qualcuno che dispone di una gamma ben più ampia di qualità.
25) È solo nei momenti difficili che è possibile distinguere gli uomini di valore dai mediocri.
Un pensiero analogo è sviluppato nel Dào Dé Jīng (Cap.XVIII):”...Quando i rapporti sociali sono stravolti, si distinguono gli uomini virtuosi. Quando lo Stato sprofonda nel disordine, comprendiamo chi sono i buoni ministri...”.
Il Legge ed altri traducono “ All’approssimarsi dell’inverno ci accorgiamo che i pini ed i cipressi sono gli ultimi a perdere le foglie”. È una traduzione suggestiva, che tuttavia non tiene conto del fatto che i pini ed i cipressi sono piante sempreverdi. Il testo cinese usa infatti, più correttamente, il termine 彫 “diào” che significa semplicemente “scavato” ”emaciato”, “raggrinzito”, ”deperito”,”secco”.
26) Coloro per cui lo studio è pura erudizione o semplice strumento di carriera possono essere compagni di scuola, ma non compagni di vita per chi, mediante lo studio, intende raggiungere la Via.
Altri, invece, ambiscono effettivamente a raggiungere la Virtù, ma non sono saldi nei loro propositi né perseveranti nel loro impegno. Costoro potranno percorrere insieme al saggio una parte del cammino, ma, prima o poi, si smarriranno lungo la strada.
Vi sono infine coloro che hanno dimostrato dirittura d’animo e forza di carattere, ma che non possiedono le qualità intellettuali e la sicurezza di giudizio che sono il presupposto della saggezza. Il saggio si accorgerà che costoro, pur avendo compiuto con lui tutto il cammino, non sono in grado di condividere appieno la sua visione del mondo.
27) Confucio ci offre qui una fine osservazione psicologica. Chi ama veramente non conosce né ammette ostacoli al proprio amore. Solo chi non è animato da un sentimento sincero si lascia dissuadere da vere o presunte difficoltà.
I versi citati in questo passo non fanno parte del Shījīng 詩 經 anche se in questo figura l’espressione “i fiori di
ciliegio”唐 棣 之 華 “táng dì zhī huā”, precisamente nella poesia intitolata “Quale splendore!” 何 彼 襛 矣 “hé bĭ nóng yĭ” (“Canti degli Stati” 國 風 “guó fēng”. “Canti di Shào e del Sud” 召 南 “shào nán”).
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