Yù Délíng 裕 德 齡 (1885-1944), figlia del diplomatico cinese Yù Gēng 裕庚 e della cittadina americana, di madre cinese, Louisa Pierson, crebbe in un ambiente cosmopolita.
Il padre, ambasciatore a Tokyo dal 1895 al 1899, fu successivamente inviato a Parigi, dove rimase sino alla fine del 1902 e dove la figlia studiò danza con la famosa ballerina Isadora Duncan.
Rientrata in patria, con la famiglia, agli inizi del 1903, Délíng , che si fece in seguito chiamare Dér Líng, secondo la pronuncia pechinese, fu , dai primi mesi del 1903 fino al mese di marzo 1905, dama di compagnia dell’Imperatrice Madre, la famosa e famigerata Cíxī Tàihòu 慈禧太后.
Nel 1907, sposò il cittadino americano Thaddeus C. White e si trasferì negli Stati Uniti.
Nel 1911, con il nome di Princess Der Ling, pubblicò, in lingua inglese, un libro di memorie intitolato “Two years in the Forbidden City”, preziosa testimonianza diretta di come si viveva alla corte imperiale cinese nel primo decennio del XX° secolo.*
Morì in seguito ad un incidente stradale a Berkeley in California.
Il primo capitolo del libro di Der Ling, del quale riporto qui di seguito la traduzione, descrive il rientro in Cina dell’autrice e la sua successiva convocazione alla corte imperiale.
*Le memorie di Der Ling furono pubblicate in inglese. La traduzione che segue, effettuata a partire da una versione cinese trovata su Internet, potrebbe quindi non corrispondere in tutti i dettagli al testo originale inglese.
Ritorno in patria
Mio padre era stato per quattro anni ambasciatore a Parigi. Ritornando in patria alla scadenza del suo mandato, arrivò a Shànghăi il 2 gennaio 1903 con un seguito di 55 persone tra membri della famiglia, funzionari dell’ambasciata e domestici. Quando la nave attraccò al molo, si scatenò un improvviso acquazzone che rese difficile per molti di noi scendere a terra. Inoltre, si dovevano scaricare ordinatamente diverse tonnellate di bagaglio. Sulla base della nostra passata esperienza, sapevamo che, in mezzo a tutta quella gente, l’unica persona di cui ci si potesse fidare era mia madre. Perciò, fu lei a doversi occupare di tutte le incombenze. Mia madre, infatti, è una donna capace, che sa rimanere calma e tranquilla anche in mezzo al peggior trambusto e sistemare tutto anche nelle situazioni più caotiche.
Dopo che la nostra nave si fu ancorata sulle rive del Huángpŭ, all’interno della concessione francese (1), il governatore di Shànghăi (2) e tutte le autorità vennero ad accoglierci in veste ufficiale. Il governatore di Shànghăi disse a mio padre che aveva fatto preparare degli alloggi per noi presso il Tempio dell’Imperatrice Celeste (3), ma mio padre, ringraziatolo cortesemente, lo informò che, durante il nostro scalo a Hong Kong, aveva già telegrafato all’Hotel Mitchell (4) per riservare alcune stanze, in modo che fossero disponibili al momento del nostro arrivo. Questo perché mio padre, quando era stato inviato come ambasciatore in Giappone nel 1895, era già stato ospitato nel Tempio dell’Imperatrice Celeste e, conoscendo in quale stato si trovavano quegli alloggi, non voleva ripetere l’esperienza. Il Tempio dell’Imperatrice Celeste era stato una volta uno splendido edificio, ma, poiché per lunghi anni nessuno s’era mai curato della sua manutenzione, si era grandemente degradato.
Secondo le usanze cinesi, quando un alto dignitario passa per una città, le autorità locali si premurano di fornirgli vitto ed alloggio conformemente al suo rango. Gli alti funzionari ritengono che questa cortesia sia un privilegio a cui hanno diritto e spesso la accettano. Mio padre, invece, pur ringraziando educatamente, declinava sempre l’offerta.
Alla fine, arrivammo sani e salvi all’Hotel Mitchell, dove mio padre trovò due telegrammi inviatigli da Pechino, che lo sollecitavano a recarsi subito nella capitale. Tuttavia, il canale navigabile che partiva da Tiānjīn era ancora ghiacciato e non era materialmente possibile passare per Qínhuángdăo (5), perché a quell’epoca mio padre non era in buone condizioni di salute e aveva costantemente bisogno di assistenza medica.
Mio padre rispose quindi per telegramma che, non appena il Canale del Nord si fosse liberato dal ghiaccio, si sarebbe precipitato a Tiānjīn col primo vapore disponibile.
Lasciammo Shànghăi il 22 febbraio ed arrivammo a Tiānjīn il 26.
Come d’uso, anche qui le autorità locali erano venute ad accoglierci.
V’è in Cina un cerimoniale del tutto particolare che ogni alto funzionario deve assolutamente rispettare allorché ritorna da una missione all’estero; vale a dire che, quando la sua nave si avvicina alla costa cinese, egli deve scendere a terra e compiere un rito detto “Invocazione della Santa Pace” (6). È un rito molto solenne, che non può essere celebrato dalle autorità locali. Proprio in quel momento si trovava per caso a Tiānjīn il governatore generale del Zhílì (7) Yuán Shìkăi (8), il quale inviò un suo delegato da mio padre per invitarlo a preparare la cerimonia, che egli stesso era disposto a presiedere.
Mio padre e Yuán Shìkăi si presentarono indossando i loro abiti più sontuosi : la toga dei funzionari d’alto rango (9), la collana di perle (10), la piuma di pavone (11), il bottone di corallo in cima al cappello. (12) e si diressero, immediatamente, verso il Palazzo della Longevità (13), un tempio che era stato costruito appositamente perché vi si svolgesse questo tipo di cerimonie. Un gruppo di funzionari di rango meno elevato li stava già aspettando. In questo tempio, o forse sul retro del tempio (14), si trova al centro un tavolo lungo e stretto su cui sono deposte tavolette recanti i nomi e i titoli dell’Imperatrice Madre e dell’Imperatore sormontati dalla scritta “ Evviva! Lunga vita! Infiniti anni di vita!". (15) Yuán Shìkăi e i funzionari presenti entrarono per primi. Yuán Shikăi si piazzò a sinistra del tavolo, mentre gli altri formarono due file ai lati del l’ingresso. Un attimo dopo, entrò mio padre, che si inginocchiò dinanzi al centro del tavolo esclamando: “Oh, invoco la santa pace”. Dopo aver pronunciato queste parole, mio padre si rialzò e domandò se potesse aspettarsi salute, calma e tranquillità, al che Yuán Shìkăi rispose: “Tutti gli auspici sono ottimi”.(16) Così ebbe termine la cerimonia.
Dopo tre giorni di sosta a Tiānjīn partimmo il 29 febbraio per Pechino dove arrivammo in giornata.
Le condizioni di salute di mio padre erano nel frattempo peggiorate cosicché egli fu autorizzato dall’Imperatrice Madre a chiedere quattro mesi di congedo per malattia in modo da potersi curare seriamente per un certo tempo.
Prima di essere inviato in missione a Parigi, mio padre s’era fatto costruire una residenza molto bella, che tuttavia era stata data alle fiamme durante la Rivolta dei Boxer dell’anno 1900 (17). In totale, avevamo subito un danno di più di 100.000 tael (18). Fummo perciò costretti a prendere in affitto, temporaneamente, una casa tradizionale cinese. (19)
La casa in cui avevamo abitato prima di partire per Parigi non era completamente nuova. Era stata la residenza di un duca (20), che l’aveva a sua volta comprata da qualcun’altro, ma, dopo essere stata ingegnosamente ridisegnata e ridecorata, quella vecchia dimora si era trasformata in una bella villa di stile occidentale. Il cosiddetto “stile occidentale” si limitava tuttavia all’apparenza esterna della casa. La struttura delle stanze, dei corridoi, dei cortili interni, la forma delle porte e delle finestre e tutto il resto avevano infatti conservato un carattere schiettamente cinese. La nostra villa, come altre abitazioni dello stesso tipo a Pechino, appariva armoniosa e gradevole. Fu un vero peccato che , nel momento stesso in cui venivano completati i lavori di ristrutturazione, noi fossimo costretti a partire per Parigi, cosicché potemmo abitare soltanto quattro giorni in quella casa che con tanto dispendio di tempo, di energia, di denaro e con tanto sforzo di progettazione avevamo trasformato in una così tranquilla ed elegante dimora. Questo è un rimpianto che ci accompagnerà per sempre.
Nessuno sa dire esattamente quanti disagi un alto funzionario dell’amministrazione cinese debba sopportare, ma quello che ho descritto è solo uno dei tanti. (21)
Ho già detto che tutte le dimore signorili di Pechino sono eleganti e molto spaziose e la nostra, come è ovvio, non faceva eccezione. Era formata da un insieme di sedici padiglioni, per un totale di centosettantacinque stanze, tutti allineati intorno ad un cortile circolare che terminava in una piazzetta quadrata. Tutti i padiglioni erano uniti fra di loro da corridoi, cosicché era possibile girare in lungo e in largo per l’intera casa senza mai mettere il piede fuori dalla porta principale.
Qualcuno si domanderà forse a che cosa ci servissero tante stanze, ma basta immaginare quanti assistenti, domestici, stallieri e portantini (21) vivessero in quella casa, oltre ai membri della famiglia, per rendersi conto che riuscivamo ad occupare abbastanza facilmente gran parte di quei locali.
La casa era circondata da un giardino alla cinese con laghetti nei quali nuotavano i pesci rossi e sbocciavano i fiori di loto, attraversati da ponticelli e bordati di salici piangenti. Su entrambi i lati dei sentierini che fiancheggiavano quei laghetti si vedevano aiuole nelle quali erano arrangiati con gusto fiori di ogni tipo. Fu proprio nel giugno del 1899, quando noi partimmo per Parigi, che il giardino raggiunse il suo massimo splendore. Non c’era nessuno di coloro che lo visitavano che non lo ammirasse.
Quando tornammo a Pechino, la nostra casa non c’era più e non sapevamo dove alloggiare. Da Tiānjīn mio padre telegrafò ad un paio di amici e li pregò di cercargli una casa.
Non senza qualche difficoltà, trovammo infine una sistemazione. In realtà, era una dimora di una certa fama. In quella casa, infatti, Lĭ Hóngzhāng (23) aveva firmato il Trattato di Xīnchŏu (24) con le Grandi Potenze ed in quella casa era morto pochi mesi più tardi. Dopo la morte di Lĭ Hóngzhāng la casa era rimasta vuota e nessuno osava abitarci perché i Cinesi, gente molto superstiziosa, credevano che fosse frequentata dagli spiriti e che chiunque fosse andato a viverci sarebbe stato colpito dalla malasorte. Ricordo anche che, quando noi stavamo per trasferirci in quella casa, non pochi cari amici tentarono di dissuadercene.
In breve tempo facemmo il trasloco e ci sistemammo comodamente, senza che ci accadesse la minima disgrazia. Tuttavia, se tengo presente che la nostra casa era appena andata distrutta, devo ammettere che i timori dei nostri amici sembravano avere qualche giustificazione. Non saremmo mai riusciti a farci risarcire il danno che avevamo subito a causa della distruzione della nostra casa, perché mio padre era un importante funzionario del governo e ricopriva un incarico ufficiale, cosicché una richiesta di indennizzo per la perdita di una sua proprietà privata sarebbe stata ritenuta altamente disdicevole. (25)
Il 1° marzo 1903 vennero a farci visita il principe Qìng (26) e suo figlio (27), i quali ci informarono che l’Imperatrice Madre desiderava incontrare immediatamente mia madre, mia sorella e me e ci domandarono se saremmo state in grado di presentarci al Palazzo d’Estate sulla Collina della Longevità (28) all’alba del giorno seguente, prima delle 6 del mattino. Mia madre fece presente al principe Qìng che noi, in Europa, avevamo sempre indossato abiti occidentali e che non avremmo fatto in tempo a procurarci gli abiti manciù che avremmo naturalmente dovuto indossare per essere ricevute dall’Imperatrice Madre. Il principe Qìng rispose che la cosa non aveva importanza, poiché anch’essi s’erano già resi conto del problema e lo avevano sottoposto alla stessa Imperatrice Madre, la quale s’era detta felicissima che noi indossassimo vestiti occidentali perché desiderava molto vedere quali fogge d’abito fossero in uso nei paesi stranieri.
Mia sorella ed io discutemmo a lungo la scelta dei vestiti. Mia sorella voleva che indossassimo una gonna di seta azzurra, perché quel tipo di colore le era sempre piaciuto moltissimo. Fin da piccole, infatti, nostra madre ci aveva sempre vestite entrambe allo stesso modo. Questa volta, però, io mi opposi dicendo che volevo indossare una gonna di color rosso perché ritenevo che fosse questo il colore preferito dall’Imperatrice Madre. Alla fine indossammo delle gonne rosse e ci mettemmo in testa dei cappelli di un rosso vivace ornati di eleganti piume. Per non stonare rispetto all’insieme, anche le calze e le scarpe erano rosse. Mia madre, invece, indossò una cappa di color acquamarina coi bordi di color lavanda e un gran cappello di seta nera ornato di piume bianche.
Poiché vivevamo nel centro della città, che distava dalla Collina della Longevità circa diciotto chilometri (29), la sola cosa che si poteva fare era viaggiare in portantina. Così, per giungere alla Collina della Longevità entro le 6 del mattino, dovemmo uscire di casa alle 3. Non eravamo mai state al Palazzo Imperiale prima d’allora, perciò l’invito trasmessoci dal principe Qìng ci eccitava molto. Controllavamo, ad ogni istante, se i vestiti ci stavano bene e ci chiedevamo, ad ogni momento, se saremmo giunte puntuali al Palazzo.
Per tutta la mia vita avevo sempre sognato lo splendore e la solennità della corte imperiale e desiderato con ardore di poter visitare il Palazzo e vedere come era in realtà, ma, sfortunatamente, non ne avevo mai avuto la possibilità, perché ero quasi sempre vissuta all’estero. Un’altra delle ragioni per cui non avevamo mai potuto visitare il Palazzo era che, quando eravamo nate, mio padre non aveva fatto iscrivere i nostri nomi nei registri della popolazione manciù (30), cosicché fu solo al nostro ritorno da Parigi che l’Imperatrice Madre venne a sapere che mio padre aveva due figlie. Più tardi, mio padre mi confidò che non ci aveva fatte iscrivere nei registri per tenere l’Imperatrice Madre all’oscuro della nostra esistenza e permetterci così di ricevere tutta la nostra educazione all’estero. Secondo le consuetudini in vigore per i Manciù, infatti, le figlie dei funzionari di palazzo, al compimento dei quattordici anni d’età, sono chiamate a servire a corte e possono anche essere prescelte come concubine imperiali : è in questo modo che la nostra Imperatrice Madre fu scelta, a suo tempo, dall’Imperatore Xiánfēng. (31) I nostri genitori, che avevano per noi altre aspirazioni, non desideravano che noi fossimo scelte come concubine imperiali. (32)
Uscimmo di casa alle tre del mattino, ancora nel pieno della notte, e salimmo sulle nostre portantine. Per poter compiere un percorso così lungo, occorreva cambiare i portatori a metà strada. Avevamo perciò comandato, per ciascuna portantina, due squadre di quattro uomini, in totale ventiquattro uomini, più un uomo di riserva ed un altro che fungeva da apristrada. C’erano poi ancora tre cavalieri di scorta, uno per portantina, e dietro ad ogni portantina cavalcavano due assistenti. Dietro le portantine venivano tre grandi carrette, che trasportavano gli uomini del secondo turno e che avrebbero caricato gli uomini del primo turno al momento del cambio affinché potessero riposarsi. Costituivamo quindi un convoglio di quarantacinque persone, nove cavalli e tre carrette. (33)
Era notte fonda e tutto era immerso nel sonno. Non si udiva alcun rumore tranne le urla dei portatori che si avvertivano l’un l’altro di fare attenzione alle pietre e alle buche sulla strada e lo scalpitio degli zoccoli. A coloro che non hanno mai viaggiato in portantina posso garantire che è un’esperienza molto scomoda perché uno deve stare seduto tutto impettito e senza fare il minimo movimento, altrimenti la portantina rischia di rovesciarsi.
Il viaggio mi parve veramente lungo e, quando arrivammo al Palazzo, mi sentivo molto stanca.
NOTE
1) La concessione francese di Shànghăi era una zona della città che fu sotto amministrazione francese dal 1849 al 1946 in seguito al Trattato di Huángpŭ (黃 埔 條 約 “huángpŭ tiáoyuē”) del 1844, con il quale il Celeste Impero accordava alla Francia gli stessi privilegi concessi al Regno Unito dal Trattato di Nanchino del 1842, che aveva posto fine alla Prima Guerra dell’Oppio.
2) L’espressione “Shànghăi dào” 上 海 道 indica qui il governatore di Shànghài. Il termine “dào” 道 era infatti usato nel tardo periodo imperiale per indicare una circoscrizione amministrativa e l’autorità ad essa preposta.
3) Māzŭ 媽 祖, detta anche l’Imperatrice Celeste 天 后 , è una divinità marina, protettrice dei naviganti e dei pescatori. Storicamente il suo culto può essere ricondotto alla figura di una famosa maga del Fújiàn 福 建 Lín Mòniáng 林 默 娘 , vissuta tra il 960 d.C. e il 987 d.C., che fu in seguito divinizzata. Il suo tempio, chiamato il Palazzo dell’Imperatrice Celeste (天 后 宮 “tiānhòugōng”) fu costruito nel 1326 e venne restaurato numerose volte nel corso dei secoli.
4) L’Hotel Mitchell aperto dal francese Michelle nel 1880 al n.72 della via Mengdouban, nel cuore della concessione francese, era moderno e confortevole.
5) Da Tiānjīn 天 津 a Pechino c’era un canale navigabile, che però non era utilizzabile a causa del ghiaccio durante il periodo invernale. Tra Qínhuángdăo 秦 皇 島 , più a nord, e Pechino era stata costruita una linea ferroviaria, ma il viaggio era evidentemente più lungo e gravoso.
6) Il nome del rito, per quanto suoni un po’ buffo in italiano, esprime bene le aspirazioni di chi lo celebra: poter finalmente godere un periodo di riposo, di quiete e di serenità.
7) Il Zhílì 直 隶 立 era una provincia della Cina Settentrionale. Costituita nel XIV° secolo d.C., sotto la dinastia Míng 明 朝 , fu sciolta nel 1928.
8) Yuán Shìkăi 袁 世 凯 (1859-1916), generale e uomo politico, svolse un ruolo di grande importanza durante gli ultimi anni della dinastia Qīng 清 朝 . Dopo la caduta della monarchia, fu proclamato presidente provvisorio della Repubblica Cinese. Tentò, alla fine del 1915, di restaurare l’Impero, creando una propria dinastia, ma non ebbe successo e morì pochi mesi dopo.
9) Il termine 官 袍( “guān páo”) indica la “toga dei funzionari”, cioè l’abito lungo fino ai piedi indossato dai dignitari della dinastia Qín.
10) Il termine 朝 珠(“cháo zhū”) indica la collana di 108 perline separate da quattro grani più grandi, che era indossata dagli alti dignitari ( dal 5° rango in su) sull’abito da cerimonia. Colore e qualità delle perline variavano secondo il rango, che andava in ordine ascendente dal nono al primo rango. La tradizione vuole che tale collana si ispirasse ad un rosario buddhista (“mālā”) regalato al primo imperatore manchù Sùnzhì 順 治 ( 1644-1661) dal Dalai Lama.
11) L’Imperatore era solito concedere ai funzionari più meritevoli il privilegio di portare sul cappello una piuma di pavone (孔 雀 毛 “kŏngquè máo”) che poteva contenere da uno a tre “occhi”.
12) I dignitari portavano in cima al cappello un bottone la cui forma e il cui colore dipendevano dal loro rango .Il “bottone di corallo” (珊 瑚 顶“shānhú dĭng”) era indossato dai dignitari di secondo rango.
13) I Palazzi della Longevità (万 寿 宫“wànshóugōng”), presenti in numerose città cinesi, erano principalmente legati all’attività delle corporazioni professionali, ma erano usati anche per convegni e cerimonie di vario genere.
14) L’incertezza a proposito di taluni dettagli deriva probabilmente dal fatto che l’autrice descrive una cerimonia alla quale non ha assistito personalmente.
15) “Diecimila anni (di vita)” (萬 歲“wànsuí), da cui deriva il giapponese “banzai”, era il grido augurale con cui si acclamava l’Imperatore. “Diecimila volte diecimila anni” (萬萬歲“wànwànsuí”) era l’espressione di un entusiasmo senza limiti.
16) La cerimonia qui descritta risaliva ad epoche molto antiche ed il suo significato non doveva più essere molto chiaro a chi la praticava nei primi anni del XX° secolo. Essa naque forse dall’uso degli ambasciatori che rientravano da una missione all’estero di incontrare, non appena sbarcati, un rappresentante del governo per assicurarsi che il loro ritorno alla capitale fosse esente da rischi. Occorre infatti ricordare che, in tempi più lontani, poteva succedere che gli ambasciatori pagassero con la vita l’insuccesso della loro missione.
17) L’ espressione 義 和 團 運 動 (“yìhétuán yùndòng”), letteralmente ”movimento delle milizie unite per la giustizia e l’armonia,” designa la ribellione antistraniera, anticolonialista e anticristiana che divampò in Cina tra il 1899 e il 1901. Gli aderenti a questo movimento erano anche conosciuti come 義 和 拳 (“yìhéquán”), vale a dire i “pugni della giustizia e dell’armonia”, che gli Inglesi tradussero con il termine “Boxers”, perché molti di essi appartenevano a società segrete che praticavano le arti marziali.
18) Il tael (兩 “liăng”) equivaleva a circa 37 grammi d’argento. Centomila tael corrispondevano quindi al valore di 3,7 tonnellate d’argento.
19) È probabile che le classi agiate di quell’epoca cominciassero a farsi costruire case dotate di tutte le moderne comodità occidentali. Rimasta senza dimora, la famiglia dell’autrice deve ripiegare sull’affitto di una casa tradizionale.
20) Quando gli Occidentali entrarono in contatto con il Celeste Impero, cercarono di stabilire una corrispondenza tra i titoli nobiliari cinesi e quelli europei. Il termine cinese 公爵(“gōngjué”) venne tradotto con “duca”.
21) È evidentemente una questione di punti di vista. La maggioranza dei Cinesi era probabilmente d’avviso che gli alti funzionari godessero invece di fin troppi privilegi.
22) Nei primi anni del XX° secolo gli alti dignitari cinesi si spostavano ancora a cavallo o in palanchino, per cui ogni famiglia di notabili disponeva di un gran numero di stallieri (馬 夫 “măfū”) e di portantini ( 轎 夫 “jiàofū”).
23) Lĭ Hóngzhāng 李鴻 章 (1823-1901), uomo politico, generale e diplomatico, si illustrò per le sue capacità militari durante la rivolta dei Tàipíng 太 平 e fu un convinto fautore della modernizzazione della Cina. Condusse i negoziati per un accordo con le Grandi Potenze (termine che designava a quell’epoca i più importanti Stati occidentali e il Giappone) dopo la rivolta dei Boxer.
24) Il Trattato di Xīnchŏu (辛丑条约 “xīnchǒu tiáoyuē”), noto in Occidente come il “Protocollo dei Boxer”, firmato il 7 settembre 1901, imponeva alla Cina condizioni durissime, che screditarono ulteriormente il governo manciù agli occhi della popolazione. In realtà, il Trattato di Xīnchŏu fu sottoscritto nella sede della legazione spagnola a Pechino, ma è possibile che i negoziati o parte di essi si siano svolti nella residenza di Lĭ Hóngzhāng.
25) È doveroso constatare, leggendo queste righe, che anche in Cina - come altrove- le regole di comportamento dei funzionari pubblici si ispiravano ai più elevati principî di probità, di decoro e di disinteresse personale.È lecito sospettare che anche in Cina -come altrove- tali nobilissimi principî fossero, spesso e volentieri, disattesi.
26) Yìkuāng 奕 劻 (1838-1917), discendente dell’Imperatore Qiánlóng 乾 隆 , aveva ottenuto nel 1894 il titolo di “principe del primo rango”( 亲王 “qīnwáng”) con il predicato di “principe Qìng” ( 慶 王 “qìngwáng). Fu, nel 1911, l’ultimo primo ministro del governo imperiale.
27) Zăizhèn 載振 (1876-1947), figlio di Yìkuāng, conosceva bene la famiglia di Yù Gēng, del quale era stato ospite l’anno precedente (1902) quando, dopo aver rappresentato la Cina alla cerimonia di incoronazione del re di Inghilterra Edoardo VII°, aveva visitato Parigi.
28) La Collina della Longevità (萬壽山“wànshóushān”), nei pressi di Pechino, è un’altura ai piedi della quale sorgeva il Palazzo d’Estate (頤和園 “yíhéyuán”), una delle residenze imperiali.
29) Il testo da cui ho tradotto usa il termine (英里“yīnglĭ”), letteralmente “un lĭ inglese”, cioè un miglio , ma la distanza che ne risulterebbe tra il centro di Pechino e il Palazzo d’Estate sarebbe di quasi sessanta chilometri. Il testo inglese riporta, più ragionevolmente, “thirty six chinese li”, che ci danno una distanza di una ventina di chilometri, percorribile in tre ore con una portantina.
30) Der Ling affermò sempre di appartenere per nascita alla nobiltà manciù e di aver ricevuto personalmente dall’Imperatrice Madre il titolo di “principessa”, che però non avrebbe avuto riconoscimento ufficiale al di fuori del Palazzo Imperiale per mancanza di ratifica da parte dell’Imperatore. Queste affermazioni sono però largamente contestate. Secondo parecchie fonti, il padre era di etnia hàn, cosa che spiegherebbe perché non avesse fatto iscrivere le figlie nei registri della popolazione manciù.
31) L’Imperatore Xiánfēng 咸 豐 regnò dal 1850 al 1861.
32) La spiegazione sarebbe plausibile se fosse provato che il padre di Der Ling era davvero un nobile manciù , perché in tal caso si potrebbe ritenere che, essendo di idee moderne ed evolute, volesse garantire alle figlie un’educazione occidentale che non avrebbero mai potuto ricevere se fossero state costrette a vivere in un ambiente tradizionale e retrivo come quello della corte imperiale ed una vita fisicamente e intellettualmente più stimolante di quella che conducevano le concubine imperiali all’interno della Città Proibita.
33) Il conto sembra tornare se si includono nel totale i conducenti delle tre carrette e le tre viaggiatrici.
1、回国 我的父亲曾经在巴黎任中国驻法大使,四年的任期满了,他就带着家属、随员、仆人等共五十五人,在一九○三年一月二日到达上海。船刚靠岸的时候,忽然下起倾盆大雨来,这时候单是我们这许多人登岸已经是一件很困难的事情了,何况几吨的行李还得有人好好地照料。照过去的经验,我们知道这一大群人中除了我母亲外,没有一个人在旅途上是可以依靠的,于是一切照料的责任,就完全由我母亲一人来承担了。的确,我母亲是个能干的女子,她能在忙乱中镇静地、有条不紊地处置一切。
当我们的船到达法租界黄浦滩的时候,上海道和属员们都穿了公服来迎接我们。上海道对我父亲说,他已经预备好了,决定把天后宫作为我们居住休息的处所,但是我父亲婉言谢绝了,并且告诉他,在香港的时候我们已经打过电报给密采里饭店了,要他们留出几间房间,准备好一切等候我们到来。所以要这样,是因为在一八九五年我父亲出使日本的时候,曾经在天后宫住过,知道那里面的情形,因此他不愿再作第二次尝试。天后宫原是一个壮丽的地方,可是因为年久失修,便显得破落不堪了。照中国的规矩,当大官经过一个地方的时候,当地的官府就得为他预备好住所,并且供给一切食用品。在大官方面,他们认为这是理所当然的事,往往不加拒绝;但是我父亲却总婉言谢绝他们的好意。
最后,我们终于平安地到达了密采里饭店。在那里,我父亲看到两封从京里来的电报,是催他立刻进京的。但是到天津去的河还没有开冻,若由秦皇岛绕道而去,事实上不可能,因为那时候我父亲身体非常虚弱,几乎时时刻刻需要医生的照顾。于是他拍了一封回电,说等北河一开冻,立刻乘第一艘汽船赶到天津。
二月二十二日我们离开上海,二十六日到达天津。于是照例又有一班地方官员来招待我们。
在中国有一种很特别的礼节,是每一个高级官员从外国回来的时候所不能免的,那就是:当他的船刚靠中国海岸的时候,他就得上岸举行“请圣安”仪式。这是一个相当隆重的仪式,当地的地方官是没有资格来主持的。那时候直隶总督袁世凯恰巧在天津,他就派了一位差官来和我父亲接洽,说一切他已准备好了,请我父亲去请圣安。于是我父亲和袁世凯都穿了最庄严的礼服——官袍、朝珠、孔雀毛、珊瑚顶,立刻往万寿宫出发:万寿宫是专为这一种目的而建立的。一班职位较低的官员已在那里等候了。在这庙,或者说殿的后部,中央是一张狭长的桌子,放着太后、皇帝的牌位,上面写着“万岁万岁万万岁”。袁世凯和一行官员已先到了。袁世凯站在桌子左边,其余的官员分做两排站着。不一会儿,我父亲进来了,对着桌子的中央跪下,说道:
“啊哈,请圣安。”说完就起立问圣体安康否,袁世凯答道:“他们都很好。”于是仪式就算完毕了。在天津耽搁了三天,我们就在二十九日那天到了北京。这时候我父亲的病更加厉害了,于是他得到太后的允许,请了四个月假,准备好好调养一下。
在我们去巴黎之前,原已建好了一所优美的住宅,可是它在一九○○年义和团运动时被烧毁了,我们总计损失十多万两银子,所以现在我们只得租了一所中国式房子,暂时安顿下来。
我们原先那房子也并不是全新的,是买的某公爵的旧邸,但经过巧妙设计和修饰后,这一所旧宅就变成一所精美的西式房屋了。所谓“西式”,不过是说外观像西式罢了,至于房屋的结构、走廊、庭院、门窗等的式样,还是保留着浓厚的中国色彩。这宅子,就像在北京的其他宅子一样,有着一种潇洒的风格。可惜当一切都完工的时候,我们却要到巴黎去了。在这所费了不少时间、心血和金钱而改造成的幽美的宅子里,我们只住了四天,这对我们来说永远是一个遗憾。不过,做一个中国的大官,真不知有多少折磨要忍受呢,这不过是其中之一罢了。
我已说过,北京的住宅都有一种潇洒的风格,并且占地很大,我们从前那所宅子,当然也不能例外。它是一丛十六幢的平房,大小房间共有一百七十五间,都面向着庭院围成一个四方形,屋与屋之间都有走廊相通,使你能走遍整个住宅而不需跨出大门一步。你或许会奇怪,我们要那么多房子来有什么用处?试想除了我们一家人外,还有多少的随员、仆人、马夫和轿夫,所以这许多房间很容易就找着了他们的主顾。
宅子周围的花园是中国式的,那里有小小的池塘,养着金鱼,开着荷花,架着小桥,沿岸栽着高大的柳树。在那池塘边的小径两旁,各式的花卉灵巧地排列在花圃里。当我们离开那儿出发到巴黎去的时候,正是一八九九年的六月,整个花园变成了“花”的世界,看见的人,没有一个不赞叹的。
现在,北京没有我们自己的房子,我们也不知道住在什么地方才好,所以在天津的时候,我父亲就打电报给他的朋友,托他们找一所房子。经过了小小的困难后,我们总算有了安顿的场所——实话说来这还是一个极有名的所在,是李鸿章与列强签订《辛丑条约》的地方,也是李鸿章寿终的地方。李鸿章死后这房子就一直空着,没有人敢住,因为中国人是非常迷信的,他们相信这屋子里有鬼怪,谁住在这里谁就会遭遇到不幸。就是我们搬进去的时候,也有不少极好的朋友劝阻我们。但是不久我们就很舒服地安顿下来了,丝毫没有可怕的事情发生。不过从我们自己的宅子被毁这一点来看,我不得不承认他们的恐惧是有根据的。
宅子被毁所受的损失,我们是永远不能恢复了,因为我父亲是朝廷要员,以朝廷要员的地位而为自己的财产打算,似乎不是一件很光彩的事。
一九○三年三月一日,庆王和他儿子来看我们,并说太后立刻要见我母亲、妹妹和我,希望我们翌晨六时前到达万寿山。我母亲就告诉庆王我们在欧洲的时候一直穿西装的,现在要见太后当然应该穿满洲服装,可是我们没有适当的旗装。庆王连说没有关系,因为他们也想到这一点并已征求过太后的意思。太后倒是希望我们穿西装去,因为她很想借此知道些外国人的装束。为了选择服装,我们姊妹俩讨论了许多时候。我妹妹希望穿淡蓝色的绒袍,因为她向来最喜欢那种颜色,我们姊妹俩的服装,从小就由母亲选择一样的。可是这一次,我说我愿意穿一件红袍,因为我相信这种颜色是太后所喜欢的。最后,我们穿了红袍,戴了鲜艳的红帽,上面插着美丽的羽毛,同时为了使色泽调和,我们选择了红的鞋袜,我母亲穿的是海绿色的长袍,镶着淡紫的边儿,戴的黑绒大帽上插着雪白的长羽毛。
我们住在城的中心,离万寿山大约有三十六英里,唯一可代步的东西是轿子。所以,为了要在早晨六点钟之前到达万寿山,我们在三点钟的时候就出发了。在这以前,我们从没有进过宫,所以庆王带来的消息着实使我们激动;我们时时在留意着我们的装束是否好看,我们能否准时抵宫。在我一生中,几乎时时刻刻都梦想着宫廷里的华丽和庄严,渴望着能进去看看宫里到底是个什么样子,可惜一直没有机会,因为大部分的时间我是生活在国外的。另外一个原因使我们没有机会进宫是当我们姊妹俩出生以后,我父亲没有把我们的名字列入满洲籍儿童中,所以直到我们从巴黎回来,太后才知道我父亲已有了两个女儿。后来我父亲告诉我,他之所以不把我们的名字列入,就是希望太后不知道我们,而让我们在外面受充分的教育。而且照满洲规矩,官员的女儿到了十四岁就得进宫,还可能被选做宫妃——我们的太后当时就是这样被咸丰皇帝选中的。父母都对我们有更大的期望,不希望我们被选做宫妃。
就在那天早晨三点钟的时候,我们在漆黑的夜里,乘了轿子出发。走这样长的路程,须有两班轿夫更替。所以三乘轿子共有二十四个轿夫,另外,每一轿子前面还有一个领班轿夫;此外还有三个骑士分别保护三乘轿,每乘轿子的后面还跟着两个侍从。轿子后面跟着一辆大车,是预备给轿夫轮流休息用的。我们这一大队共有四十五人,九匹马,三辆车。黑夜笼罩着大地,万物都酣睡着,除了轿夫的喝道声和马蹄的声外,什么都听不到。对于一个没有坐过轿子的人,我可以告诉你,这是一件非常不舒服的事,因为你必须静静地坐得笔直,否则轿子就有翻倒的可能。这的确是一个长途旅行,当我们进宫的时候,我感到非常疲倦。