DIMMI, TI PREGO
Wén Yīduō 闻一多 , nato nel 1899, fu uno dei primi a scrivere poesie nella lingua del popolo ed a gettare un ponte fra la tradizione e la modernità. Uomo di molteplici interessi, fu letterato e pittore. Nominato professore all’università, quando nel 1937 dovette fuggire di fronte all’invasione giapponese, preferì compiere a piedi con i suoi studenti il lungo percorso di circa 1600 chilometri da Wŭhàn 武 汉 a Kūnmíng 昆 明 , nelle regioni occidentali della Cina. Questa “lunga marcia”, durata circa due mesi, gli permise di raccogliere, durante il cammino, i canti popolari delle zone attraversate e di comporre così una raccolta di estremo interesse etnologico e culturale. L’impegno politico lo portò, dopo il 1945, a contrastare il governo del Guómíndăng 国 民 党 ,al quale sembra doversi far risalire la responsabilità del suo assassinio, avvenuto il 15 luglio 1946.
Nella poesia che segue, intitolata “Qídăo” 祈 祷 , Wén Yīduō esprime un sentimento che doveva essere comune agli intellettuali del periodo che fece seguito alla rivoluzione del 1912, i quali, pur rendendosi conto dello stato di terribile decadenza in cui era caduto il paese, non potevano dimenticare la sua plurimillenaria civiltà.
“Parlami della grandezza di questo popolo” comincia il poeta e ne riassume, in una rapida carrellata,la ricca storia , le antiche tradizioni artistiche e culturali, la grandiosità dell’ambiente naturale che lo circonda. Subito, però, si premura di aggiungere “parlamene piano piano, senza gridare”, ben cosciente del fatto che proprio l’esaltazione nazionalistica, l’idea preconcetta ed ingiustificata della superiorità della Cina rispetto a tutto il resto del mondo, avevano impedito al paese di accettare quelle riforme che sole avrebbero potuto metterlo al passo con il progresso.
Il termine “qídăo” vale “preghiera”, non tanto in senso religioso, quanto piuttosto nel significato di “invito”. Il poeta invita infatti un ipotetico interlocutore a ricordargli, senza fanatismo e senza retorica, tutto ciò che ha fatto grande la Cina. Ho perciò preferito usare come titolo della versione italiana una traduzione delle parole iniziali del primo verso :“qĭng gàosù” (请 告 诉 “Dimmi, ti prego”).
Dimmi, ti prego...
Spiegami , per favore, chi sono i Cinesi.
Mostrami come si conserva la memoria.
Parlami della grandezza di questa gente.
Parlamene piano piano, senza gridare.
Spiegami, per favore, chi sono i Cinesi,
in quali petti battono i cuori di Yáo e di Shùn, (1)(2)
in chi scorre il sangue di Jīng Kē e di Niè Zhèng, (3)(4)
chi sono gli eredi di Shénnóng e di Huángdì. (5)(6)
Dimmi in che strano modo nacque la saggezza,
che fu dono di un cavallo emerso dal fiume. (7)
Raccontami come la variopinta fenice
ci abbia trasmesso il ritmo di questo canto. (8)
E chi mi parlerà del silenzio di Gobi (9)
e dell’imponenza delle Cinque Montagne? (10)
Raccontami con quale infinita pazienza
crescono le stalattiti del monte Tàishān.
Dimmi come il Grande Fiume ed il Fiume Giallo (11)(12)
continuano sempre a scorrere serenamente.
Spiegami ancora con quali pure lacrime
Kŏng, il maestro, pianse la morte dell’unicorno. (13)
Quale buffone riuscirà mai a descrivermi
l'arguzia di Zhuāngzĭ, Chúnyú Kūn, Dōngfāng Shuò? (14)(15)(16)
Spiegami, per favore, chi sono i Cinesi,
Mostrami come si conserva la memoria.
Parlami della grandezza di questa gente.
Parlamene piano piano, senza gridare.
NOTE
(1) Yáo堯 , il quarto dei leggendari Cinque Imperatori (五 帝 “wŭdì”), avrebbe regnato dal 2358 a.C. al 2255 a.C.
Il “libro dei Documenti” (書 經 “shūjīng”) racconta che, preoccupato di assicurare al suo popolo il migliore governo possibile, mise da parte l’inetto figlio Dānzhū丹 朱 e scelse invece come successore Shùn 舜 , che aveva dimostrato di possedere tutte le doti necessarie per essere un ottimo sovrano.
Gli Annali di Bambù (竹 書 記 年 “zhúshū jìnián”) forniscono, al contrario, una versione molto meno idealizzata degli avvenimenti: Shùn, ribellatosi all’autorità del sovrano, si sarebbe proclamato egli stesso imperatore dopo aver imprigionato Yáo e mandato in esilio Dānzhū.
(2) Shùn 舜 , il quinto dei Cinque Imperatori, avrebbe regnato dal 2255 a.C. al 2205 a.C.
Secondo la leggenda era di origine estremamente modesta. Quando l’imperatore Yáo sentì il bisogno di scegliersi un successore, Shùn gli fu raccomandato perché era noto come un modello di pietà filiale. Yáo lo mise alla prova durante un periodo di tre anni, al termine dei quali, convinto delle sue eccezionali doti morali ed intellettuali, gli cedette il trono.
Intorno al 1930, lo storico Gù Jiégāng 顾 颉 刚 , capofila di una scuola di pensiero che metteva in dubbio le antiche tradizioni, sostenne che i racconti più dettagliati sui periodi più remoti della storia cinese sono in genere anche quelli d’origine più recente. Così, le versioni particolareggiate della leggenda di Yáo e di Shùn sarebbero elaborazioni del 3° secolo a.C. intese a dipingere la società cinese come ispirata, fin dai suoi primordi, al rispetto delle virtù confuciane, mentre racconti elementari e rozzi, come quelli degli Annali di Bambù, risulterebbero più vicini alla realtà di un’epoca caratterizzata da lotte violente per il predominio tra le diverse tribù che abitavano nella valle del fiume Hàn, culla della civiltà cinese.
(3) Le notizie che ci sono giunte su Jīng Kē 荊 軻 derivano principalmente dal capitolo 86 delle“Memorie Storiche”( 史 記 “shĭjì” ) di Sīmă Qiān 司 馬 遷 (145 a.C.-86 a.C.) dedicato ai “cìkè” 刺 客 , vale a dire agli “attentatori”. Volendo usare la terminologia attuale, i “cìkè” si potrebbero definire, secondo i punti di vista, “killers” o “commandos”. La temerarietà delle loro imprese, spesso dirette contro veri e propri tiranni, li rendeva famosi presso la gente comune che li celebrava come eroi e giustizieri.
Nel 227 a.C. Jīng Kē ricevette dal principe ereditario di Yàn 燕 國 l’incarico di liquidare Zhèng 政 , re di Qín 秦 國 , il quale stava sottomettendo l’uno dopo l’altro tutti i regni rivali. L’attentato, sebbene ordito con estrema cura ed eseguito con grande sangue freddo, fallì e Jīng Kē fu ucciso.
Accingendosi a guadare il fiume Yì 易 水 , che costituiva il confine tra i regni di Yàn e di Qín, Jīng Kē aveva improvvisato alcuni versi, poi divenuti celebri:
“Sotto il gelido vento, nell’acqua ghiacciata,
l’eroe attraversa il fiume, senza ritorno”.
(4) Niè Zhèng 聶 政 pugnalò, nel 397 a.C.,il primo ministro del regno di Hán 韓 國 , Xá Lèi 俠 累, detto anche Hán Kuĭ 韓 傀 . Circondato dai soldati, sapendo di non poter sfuggire alla cattura, si suicidò, dopo essersi sfigurato il volto con la spada, affinché nessuno lo identificasse e le autorità non potessero vendicarsi su sua sorella, l’unico altro membro della famiglia ancora in vita. Ma la sorella si presentò essa stessa a riconoscere il cadavere, dichiarando di non poter tollerare che un uomo così coraggioso fosse morto senza che fossero celebrate le sue imprese, e si uccise accanto al corpo del fratello. Col tempo il fatto assunse caratteri leggendari e se ne diffuse una versione secondo la quale Niè Zhèng avrebbe addirittura ucciso il duca Liè di Hán 韓 烈 候 , che regnò dal 400 a.C. al 387 a.C.
(5) Shén Nóng 神 農 (“Il divino agricoltore”), il terzo dei sovrani leggendari conosciuti come i Tre Augusti (三 皇 “sānhuáng”), sarebbe vissuto tra il 3000 ed il 2700 a.C. Il suo mito è evidentemente collegato alla scoperta delle tecniche agricole ed alla prima sedentarizzazione dei cacciatori nomadi. Sarebbe stato capo di una tribù la cui successiva unione con la tribù di Huáng Dì 皇 帝 diede origine al popolo Hàn 漢 .
(6) Huáng Dì 皇 帝 (“L’Imperatore Giallo), il primo dei “Cinque Imperatori”, avrebbe regnato dal 2697 a.C. al 2597 a.C. Quand’era capo della tribù Yŏuxióng 有 熊 , il cui animale totemico era l’orso, avrebbe vinto Yán Dì 炎 帝 , l’Imperatore di Fiamma, capo della tribù Shénnóng 神 農, nella battaglia di Bănquán 阪 泉 , costringendolo a sottomettersi. La successiva unione delle due tribù avrebbe dato origine agli Huáxià 華 夏 , progenitori degli Hàn, che ancora oggi si dichiarano “figli di Yán e di Huáng”.
(7) Le prime riflessioni filosofiche sulla natura del mondo sarebbero state ispirate a Fúxī 伏 羲 , il più antico dei Tre Augusti, che regnò secondo la tradizione negli anni 2952 a.C.-2836 a.C., da un disegno naturale osservato sul dorso di un animale emerso dal Fiume Giallo. Alcune fonti affermano che si trattava di un drago (龍 “lóng”), altre di un cavallo (馬 “mă”). Si può anche congetturare che la leggenda si riferisse ad un “lóngmă” (龍 馬 “cavallo drago”), denominazione che indicava i cavalli dell’Asia Centrale famosi per eleganza e velocità. Dal disegno, che fu chiamato “hétú” 河 圖 (“il disegno del fiume”) Fúxī trasse gli otto trigrammi (八 卦 “bāguà”) con i quali compose il suo famoso “schema del cielo anteriore” (先 天 八 卦 “xiāntān bāguà”) che compendia, secondo i Cinesi, le leggi regolatrici dell’universo.
(8) Si riteneva che i Cinesi avessero creato la scala musicale pentatonica ascoltando il canto della fenice (鳳 凰 “fèng huáng”) che avrebbe contenuto le cinque note di tale scala.
(9) Il deserto di Gobi copre un’area di 1.295.000 km2, parte nelle regioni settentrionali della Cina, parte in Mongolia. È, per estensione, il quinto del mondo.
(10) Le Cinque Montagne (五 嶽 “Wŭyuè”) sono le montagne sacre del Taoismo. Quattro di esse corrispondono ai diversi punti cardinali: Tàishān 泰 山 (est), Huáshān 華 山 (ovest), 衡山 Héngshan (sud), 恒 山 Héngshan (nord), mentre la quinta, il Sōngshān 嵩山, rappresenta il centro. Secondo la mitologia sarebbero nate dalla testa e dalle membra di Pángŭ 盤 古, il primo essere viviente. Sono da tempo immemorabile oggetto di venerazione e meta di pellegrinaggi.
(11) Il “Grande Fiume” (大 江 “dà Jiāng”) è una delle espressioni utilizzate per indicare lo Yangzĭjiāng 揚 子 江 , il più lungo fiume della Cina (6.300 km).Nelle regioni da esso attraversate fiorirono gli imperi dei Qín, degli Hàn, dei Jìn e dei Táng.
(12) Il Fiume Giallo (黃 河 “huáng hé”) è lungo 5.464 km. Il suo bacino è considerato la culla della civiltà cinese, anche se recenti scoperte archeologiche sembrano aver provato l’esistenza di centri di sviluppo di pari antichità in altre aree geografiche, ad es. nel Sìchuān 四 川 .
(13) Il “qílín ”麒 麟 ( nome spesso tradotto con il termine “unicorno”) è una creatura mitologica che, come la Chimera degli antichi Greci, riunisce in sé le particolarità di numerosi animali. La sua raffigurazione varia secondo i diversi periodi storici. Sotto la dinastia Qīng 清 朝 , per esempio, il “qílín” era rappresentato con testa di drago, corna di cervo, scaglie di pesce sul corpo, zoccoli di bue e coda di leone. Di carattere pacifico, si nutriva solo d’erba e stava attento a non fare del male ad alcun altro essere vivente. Per questa ragione si mostrava, secondo la leggenda, soltanto nei paesi governati da un re buono e giusto. La sua comparsa era spesso legata alla nascita o alla morte di un saggio.
È stato tramandato che un unicorno sarebbe apparso alla madre di Confucio, durante la sua gravidanza, tenendo in bocca una tavoletta di giada in cui era predetto il glorioso destino del nascituro.
L’unicorno riapparve, una seconda volta, poco prima della morte di Confucio.
Gli “Annali di Lŭ” (春 秋 “Chūnqiū”), attribuiti tradizionalmente allo stesso Confucio, terminano con la seguente annotazione, relativa all’anno 481 a.C.: “Il quattordicesimo anno di regno del sovrano di Lŭ, in primavera, nelle regioni occidentali, i cacciatori uccisero un unicorno (麟 “lín”).
In epoca successiva si credette che queste fossero le ultime parole scritte dal grande filosofo, il quale morì poco tempo dopo ( nel 479 a.C.), e che dovessero quindi avere un profondo significato.
Nel “Gōngyáng Zhuàn” 公 羊 傳 , il commento al “Chūnqiū” scritto da Gōngyáng Gāo 公 羊 高 , si legge che Confucio, quando seppe dell’uccisione dell’unicorno, si rattristò “perché l’unicorno è l’animale della bontà”, poi “sollevò le maniche del suo abito per coprirsi il volto e pianse “.
Il “Kŏng Cóngzĭ” 孔 叢 子 , antologia di dialoghi filosofici che sarebbe stata compilata nel 3° secolo a.C. da Kŏng Fù 孔 鮒, un discendente di Confucio, ci fornisce anche una spiegazione della tristezza del Maestro. Questi avrebbe infatti dichiarato, in quell’occasione: “Io sono per gli uomini ciò che l’unicorno è per le bestie. L’unicorno è apparso ed è morto. Il mio percorso è giunto al suo termine”.
L’unicorno, conosciuto per la sua mitezza e per il rispetto che ha verso gli altri, diventa la personificazione del saggio che vive praticando la bontà e la giustizia. Confucio si identifica quindi simbolicamente con l’unicorno e vede nella morte di quest’ultimo un presagio della propria fine.
(14) Zhuāng Zhōu 莊 周 , meglio conosciuto come Zhuāng Zĭ 莊 子 (369 a.C.-286 a.C.) fu un filosofo che si potrebbe definire scettico in quanto si soffermò particolarmente sulla relatività di qualsiasi giudizio umano.
Famosa è, al riguardo, la storia del suo sogno:
“Una notte Zhuāng Zhōu sognò di essere un’allegra farfalla, che svolazzava di qua e di là, senza sapere che era Zhuāng Zhōu. Svegliatosi di botto, si ritrovò ad essere Zhuāng Zhōu. Ma gli rimase il dubbio se era Zhuāng Zhōu che aveva sognato di essere una farfalla o la farfalla che aveva sognato di essere Zhuāng Zhōu. Le due condizioni sono comunque distinte. Il passaggio dall’una all’altra è chiamato ‘trasformazione delle cose’” ( Zhuāng Zĭ 莊 子, Capitolo Secondo, intitolato “Appianamento delle differenze” --“齊 物 論 “qí wù lùn”--, par.14).
Con un’altra storiella Zhuāng Zhōu si domanda se gli uomini abbiano ragione di temere la morte:
“La signora Lì 麗 姬 pianse molto quando fu catturata dalle truppe del re di Jìn 晉 國 . Ma quando il re di Jìn la portò nel suo palazzo, la sposò e le offrì una vita lussuosa, si pentì di aver pianto. Come faccio a sapere se i defunti non trovino ora ridicolo l’amore per la vita che provavano un tempo? Come faccio a sapere se noi vivi, che abbiamo paura della morte, non siamo come persone che si sono smarrite nell’infanzia e che non hanno ancora ritrovato la loro casa?”.(Zhuāng Zĭ, Capitolo Secondo, par.12).
Una terza storiella relativizza il concetto di bellezza:
“Gli uomini ritengono affascinanti la signora Máo 毛 嬙 e la signora Lì 麗 姬 , ma se le vedesse un pesce si nasconderebbe in fondo al fiume, se le vedesse un uccellino volerebbe via in fretta, se le vedesse un cervo fuggirebbe a gambe levate. Qual è l’idea di bellezza che deve valere come modello: quella degli uomini, quella dei pesci, quella degli uccelli o quella dei cervi?”. (Zhuāng Zĭ, Capitolo Secondo, par.11).
(15) Chúnyú Kūn 淳 於 髡 , vissuto nella seconda metà del IV° secolo a.C., è menzionato nel capitolo 126 delle “Memorie storiche” di Sīmă Qiān 司 馬 遷 , dedicato ai personaggi che si sono distinti per la loro vivacità di spirito e per la loro arguzia (滑 稽“huájī”).
Di lui è riportato un curioso dibattito con Mencio, nel quale Chúnyú Kūn sembra svolgere il ruolo dell’avvocato del diavolo.
“Se agli uomini è vietato di toccare le donne in pubblico” chiede Chúnyú Kūn a Mencio” come farà un uomo a salvare una donna che sta per annegare?”.
“Il divieto di cui parli è la regola generale” risponde Mencio “Nel caso specifico si applicherà una deroga giustificata dall’obbligo di soccorrere chi è in pericolo”.
“Ma se è lo Stato che è in pericolo, come farò ad aiutare materialmente tutti i cittadini?” domanda Chúnyú Kūn.
“Le due situazioni non sono comparabili” risponde in sostanza Mencio “ Se è in pericolo una singola persona è possibile aiutarla materialmente; se sono in pericolo tutti i cittadini si dovrà cercare di aiutarli facendo ciò che è possibile per salvare lo Stato”.
Chúnyú Kūn fu ministro del giovane re Wēi di Qí 齊 威 王, che perdeva il suo tempo in feste e divertimenti. Un giorno si presentò al re e gli disse: “ Vorrei raccontarvi un fatto curioso. C’è un corvo che ha fatto il nido qui nel palazzo già da tre anni, eppure non l’ho ancora sentito gracchiare”. “Non ha ancora gracchiato, ma lo farà”, rispose il re, che aveva capito l’allusione, e da allora in poi si dedicò seriamente agli affari di Stato.
Una volta il re domandò a Chúnyú Kūn quanto vino si dovesse bere per ubriacarsi. Chúnyú Kūn rispose: “Ci si può ubriacare bevendone due bicchieri e ci si può ubriacare bevendone venti bicchieri”, poi gli spiegò che il livello consentito d’ubriachezza dipende dalle circostanze e che il saggio deve considerarsi ubriaco già quando prova una leggera ebrezza, visto che l’ubriachezza portata oltre i limiti di ciò che è ragionevole produce effetti disastrosi.
Di fronte al rischio di un’invasione da parte del re di Chŭ 楚 國 , il re di Qí 齊 國 decise di inviare Chúnyú Kūn a chiedere l’aiuto del re di Zhào 趙 國 , al quale intendeva promettere, come ricompensa del suo intervento, doni di valore relativamente modesto. Chúnyú Kūn si mise a ridere: “Mi è venuto in mente un contadino che, per salvare il proprio raccolto dalla tempesta, ha offerto agli dei una manciata di paglia ”. Il re di Qí capì ed offrì al re di Zhào una ricompensa adeguata all’importanza dell’aiuto richiesto.
(16) Dōngfāng Shuò 東 方 朔, vissuto all’epoca dell’imperatore Wŭ Dì degli Hàn 漢 武 帝 (145 a.C.-86 a.C.), è, in un certo senso, l’equivalente cinese del nostro Bertoldo. È anche lui ricordato da Sīmă Qiān come uomo di spirito (滑 稽 “huájī”)..
Giovane letterato in cerca del primo impiego, invia alla corte imperiale uno strabiliante curriculum vitae e viene assunto come funzionario, ma, contrariamente alle sue aspettative, lo stipendio iniziale è piuttosto basso. Dōngfāng Shuò chiede allora udienza all’imperatore. “Maestà” gli dice” I vostri stallieri, che provengono da una tribù di nanerottoli e sono alti meno di un metro, ricevono ogni giorno per vivere una pentola di riso ed una moneta da un soldo. Io, che sono alto quasi il doppio e che sono dunque costretto a mangiare doppia quantità di cibo, sono pagato come loro. Se non volete vedermi morire di fame, vi conviene aumentarmi lo stipendio”. Wŭ Dì, divertito, gli concede l’aumento richiesto.
Un giorno, Wŭ Dì e Dōngfāng Shuò passeggiano nei giardini del palazzo. “Come si chiama questa pianta?” chiede l’imperatore, indicando un alberello appena piantato. “L’albero della bontà” risponde Dōngfāng Shuò. Qualche anno dopo, Wŭ Dì e Dōngfāng Shuò si ritrovano dinanzi allo stesso albero che, nel frattempo, è molto cresciuto. “Come si chiama questo albero?” domanda Wŭ Dì. “L’albero dalla cima più alta” risponde Dōngfāng Shuò. “Mi stai prendendo in giro?” obietta l’imperatore, un po’seccato “Mi ricordo benissimo che una volta avevi menzionato un altro nome”. “Maestà” ribatte Dōngfāng Shuò senza scomporsi “Quelli che noi chiamiamo “bambini”, quando crescono sono chiamati “adulti”. I “puledri” diventano “stalloni”, i “pulcini” diventano “polli”. Perché soltanto gli alberi dovrebbero essere chiamati sempre nello stesso modo?”.
Un famoso saggio aveva regalato a Wŭ Dì una bottiglietta di “elisir dell’immortalità”. Dōngfāng Shuò gli sottrae la bottiglietta e beve l’elisir. L’imperatore, furioso, minaccia di condannarlo a morte. Dōngfāng Shuò, imperturbabile, gli risponde: “Maestà, se l’elisir è efficace, io sono ormai divenuto immortale e le vostre minacce sono vane. Se l’elisir non serve a niente, ditemi, per favore, che torto vi ho fatto”.
Era d’uso, al ritorno dalla caccia, che l’imperatore distribuisse ai cortigiani la carne della selvaggina abbattuta. Un giorno, prima che l’imperatore abbia ordinato la distribuzione, Dōngfāng Shuò si avvicina al mucchio di carne preparata dai cucinieri, ne taglia un pezzo con un coltello e se lo porta a casa. L’imperatore gli chiede conto del suo comportamento. “Maestà” gli risponde Dōngfāng Shuò “Prendendo la carne prima ancora che voi aveste dato ordine di distribuirla, ho dimostrato di essere coraggioso. Accontentandomi di un solo pezzo, ho dimostrato di non essere avido. Portandolo a casa mia, dove abitano ancora mio padre e mia madre, ho dimostrato di voler provvedere al sostentamento dei miei genitori e di essere quindi un figlio devoto. Perciò, non solo non dovrei essere punito, ma addirittura dovrei essere premiato per tutte queste virtù”.
Pur vivendo tra i cortigiani Dōngfāng Shuò si considerava uno spirito libero e, a chi gli domandava perché non si fosse ritirato in solitudine, rispondeva: “ C’è chi sceglie di fare l’eremita sulle montagne. Io invece ho scelto di fare l’eremita nel palazzo imperiale”.