Capitolo VI
1. Il Maestro dichiarò: “ Yōng avrebbe le qualità per governare ”. (1)
2. A Zhòng Gōng, che gli domandava che cosa pensasse di Zĭ Sāng Bó Zĭ, il Maestro rispose: “ Potrebbe andar bene. Non è troppo esigente.”
Zhòng Gōng puntualizzò: “ Ciò può valere per uno che sia rigoroso con sé stesso e non troppo esigente con gli altri. Ma se uno è accomodante con sé stesso e corrivo con gli altri, non vi pare che la condiscendenza sia davvero eccessiva ? ”
“ Le tue osservazioni sono giuste, Yōng ” riconobbe il Maestro. (2)
3. Al duca Āi, che gli domandava quale dei suoi discepoli fosse il più diligente nello studio, il Maestro rispose:
“ Il migliore dei mei allievi era Yán Huí. Non si adirava mai con nessuno. Non ripeteva mai lo stesso errore. Purtroppo, il destino non gli ha concesso di vivere a lungo. Da quando è morto, non ho ancora incontrato nessuno che amasse lo studio come lo amava lui.”
4. Quando Zĭ Huā fu inviato in missione nel Regno di Qí, Răn Zĭ propose di concedere un sussidio di sostentamento a sua madre. Confucio suggerì un importo sufficiente per comprare circa 10 chili di cereali, poi visto che Răn Zĭ insisteva, gli disse: “ Accordale una somma corrispondente al prezzo di 25 chili di miglio ” (3). Răn Zĭ le fece versare un importo equivalente al prezzo di mercato di 600 chili di cereali. Il Maestro lo rimproverò: “ Zĭ Huā si è recato a Qí viaggiando su una carrozza trainata da cavalli ben pasciuti, vestito con grande eleganza ed avvolto in una pelliccia per proteggersi dal freddo. A me hanno insegnato che i galantuomini soccorrono i poveri, ma non finanziano i lussi dei ricchi ”. (4)
5. Yuán Sī (5), nominato governatore di una città, dichiarò che intendeva rinunciare al cospicuo stipendio.(6) Il Maestro lo dissuase: “ Utilizzalo piuttosto per soccorrere i bisognosi nel territorio che tu amministri. " (7)
6. Parlando di Zhòng Gŏng, il Maestro si domandò: “ Se un vitello nato da un animale da lavoro è fulvo ed ha le corna regolari, perché gli spiriti dei monti e dei fiumi dovrebbero rifiutarlo, anche se noi noi non lo riteniamo
adatto al sacrificio? ”. (8)
7. Il Maestro ricordò: “ Huí era capace di non allontarsi per tre mesi dalla pratica della virtù, mentre gli altri ci provano per un giorno o per un mese e poi lasciano perdere ”.
8. A Jì Kāng Zĭ (9) che gli domandava se Zhòng Yóu, Cì e Qiú (10) potessero essere dei buoni funzionari, il Maestro rispose:” Yóu è risoluto, Cì è intelligente e Qiú è capace. Perché non potrebbero essere tutti dei buoni
funzionari ? ”.
9. Il capo della famiglia Jì propose a Mĭn Zĭ Qiān la carica di governatore della città di Bì. Qiān fece rispondere che declinava cortesemente l’offerta ed aggiunse: “ Se dovessero insistere, non mi resterebbe che attraversare il fiume Wèn ”. (11)
10. Dopo aver reso visita a Bó Niú, che era malato, ed avergli stretto la mano attraverso la finestra, il Maestro sospirò: “ Morirà. Ahimè, che triste destino ! Come può un tal uomo essere colpito da una simile malattia ? Come è possibile ? " (12)
11. “ Che persona ammirevole era Huí.”osservò il Maestro “ Una scodella di riso, una ciotola d’acqua, un tugurio in una miserabile viuzza. Nessun altro avrebbe sopportato tanta miseria. Lui non cambiava mai d’umore. Era sempre
allegro. Che persona ammirevole ! ”.
12. Răn Qiú disse al Maestro: “ La vostra dottrina mi attrae, ma non ho la forza di seguirla ”. “ Coloro cui mancano le forze” gli rispose il Maestro” crollano a metà del cammino. Tu invece abbandoni già prima di metterti in
marcia ”.
13. Il Maestro disse a Zĭ Xià: “ Non accontentarti d’essere un piccolo letterato. Cerca di essere un uomo di valore.” (13)
14. Quando Zĭ Yóu era governatore di Wūchéng, il Maestro gli domandò che gente avesse trovato in quella città.
“ C`è un certo Tán Tái Miè Míng ” gli rispose Zĭ Yóu “ che non prende mai vie traverse e che non è mai venuto a
trovarmi se non per ragioni d’ufficio ”. (14)
15. Il Maestro raccontò: “Mèng Zhī Făn non è un fanfarone. Quando l’esercito di Lŭ fu messo in rotta, egli ne coprì coraggiosamente la precipitosa fuga, ma, una volta giunto alle porte della città, frustò il cavallo dicendo ad alta voce: “ Non sarei rimasto indietro se questo ronzino avesse avuto voglia di correre ”. (15)
16. “ Per cavarsela bene nel mondo di oggi ” sospirò il Maestro” occorre avere la parlantina di Tuó e la bellezza di Sòng Cháo.” (16)
17. Il Maestro si lamentò : “ Chi può uscire di casa senza passare dalla porta ? Perché non c’è nessuno che passi dalla Via ? ”.
18.Il Maestro osservò: “ Quando la natura prevale sullo studio abbiamo l’ignorante. Quando lo studio prevale sulla natura abbiano il pedante. Quando natura e studio sono armoniosamente fusi in una stessa persona abbiamo il
gentiluomo ”.
19. “L’uomo vive per la giustizia.” affermò il Maestro “ Chi offende la giustizia, non meriterebbe neppure di vivere.” (17)
20.” Chi la conosce non è come chi le vuol bene” disse il Maestro” e chi le vuol bene non è come chi trova in lei la propria gioia ”. (18)
21. Il Maestro disse: “Occorre riservare gli insegnamenti elevati ai migliori allievi. I mediocri non sono in grado di intenderli ”.
22. A Fán Chí(19), che gli domandava che cosa fosse la saggezza, il Maestro rispose: “ Saggezza è trattare la gente con giustizia ed onorare gli spiriti tenendosene a rispettosa distanza.” (20)
Pregato di definire la virtù, spiegò:” Virtù è affrontare i problemi senza essere motivati dall’idea del profitto.” (21)
22. Il Maestro disse: “ Il saggio ama l’acqua, il virtuoso ama la montagna. Il saggio è attivo, il virtuoso è quieto. Il saggio è felice, il virtuoso è longevo.” (22)
23. Il Maestro osservò: “ Ancora un passo e Qí affiancherebbe Lŭ. Ancora un passo e Lŭ raggiungerebbe la Via”. (23)
24. “Un calice che non è più un calice, lo si può ancora chiamare calice? ”si domandava il Maestro “ Lo si può ancora chiamare così ? ”. (24)
25. “ Se dicessero ad un galantuomo che la virtù è nascosta in fondo ad un pozzo, si getterebbe nel pozzo per raggiungerla ? ” domandò Zăi Wŏ.
“ Quando mai ? ” gli rispose il Maestro” Il saggio potrà avvicinarsi al pozzo, ma non vi si butterà a capofitto. Potrà essere ingannato, ma non sarà in alcun caso così stupido.” (25)
26. Il Maestro osservò: “ Un gentiluomo, mosso da un grande amore per lo studio ed attento a rispettare le regole del buon comportamento, è certo in grado di non deviare dalla retta via. Non è vero ? ”. (26)
27. Zĭ Lŭ rimproverò al Maestro di aver reso visita a Nán Zĭ. Confucio gli rispose invocando la divinità: “ Se ho agito in modo indegno, che il Cielo mi maledica ! ”. (27)
28. “ La migliore virtù è quella che sta nel mezzo ” osservò il Maestro “ Pochi riescono a praticarla a lungo ”. (28)
29. “ Che cosa pensereste di un uomo molto generoso con il popolo e capace di aiutare un’enorme quantità di gente? Si potrebbe dire di lui che è un uomo virtuoso? ” domandò Zĭ Gòng.
“ Perché lo chiami solo virtuoso? “ ribatté il Maestro “ Sarebbe un santo. Persino Yáo e Shùn ebbero difficoltà a farlo. (29) L’uomo virtuoso desidera che anche gli altri abbiano ciò che ha avuto lui e giungano dove è giunto lui.
Il cercare di avvicinarsi a questo modello è il metodo per perseguire la virtù ”.( 29)
NOTE
1) I testo cinese esprime l’idea di governare con l’espressione 南 面 (“nán miàn”) che significa “volgere la faccia verso il meridione”. Infatti, secondo un’antichissima tradizione, il trono di un sovrano era rivolto verso il sud,
perché egli, nell’esercizio del suo potere, potesse guardare il sole, simbolo del principio attivo 陽 yáng.
2) L’idea che viene qui espressa è che solo l’uomo virtuoso può essere comprensivo con gli altri. Nell’uomo non virtuoso la condiscendenza nei confronti degli altri può infatti essere motivata unicamente dall’intenzione di farsi perdonare i propri difetti sorvolando sui difetti altrui. Ciò vale in particolare per gli uomini politici, a cui fa pensare, nel dialogo, l’uso del termine 民 “mín”, cioè “popolo”. Il governante integro, se è generoso con il popolo, lo fa
per bontà d’animo; il governante corrotto, se viene incontro ai desideri della gente, lo fa per blandire il popolo ed evitare che esso cominci a riflettere sui vizi di chi lo dirige.
Per quanto concerne Zĭ Sāng Bō Zĭ 子 桑 伯 子 , il commentatore Zhū Xī 朱 熹 riferisce che, stando a quanto riportava la tradizione, Confucio ne avrebbe disapprovato l’abitudine di girare per casa senza tunica e senza berretto, comportamento contrastante con il decoro che dovrebbe sempre distinguere gli uomini dagli animali.
3) Le antiche unità di misura menzionate nel dialogo sono: il “fŭ “釜, lo “yŭ” 庾 ed il “bĭng”秉 .
Risulta dal commento di Zhū Xī 朱 熹 che 1 “fŭ “釜 corrispondeva a 64 “shēng” 升 , 1“yŭ” 庾 a 160 “shēng” ed 1“bĭng” 秉 ad 800 “shēng”.
Lo “shēng” , unità di base nel sistema di misura del volume dei liquidi e dei cereali, corrispondeva, nel periodo in cui visse Confucio, a circa 200 millilitri. Tale volume di cereali equivale ad un peso di circa 150 grammi.
Di conseguenza, Confucio propone, la prima volta, un sussidio pari al valore di mercato di 9,6 kg di cereali ( 1 “fŭ “釜) e la seconda volta un sussidio pari al valore di mercato di 24 kg di cereali (1“yŭ” 庾), mentre Răn Zĭ concede un sussidio pari al valore di mercato di 600 kg. di cereali (1“bĭng”秉).
È evidente che Confucio non ritiene che la domanda di sussidio sia obiettivamente giustificata.
4) Zĭ Huā 子 華 non ha esitato a spendere grosse somme per procurarsi i costosi “status symbols” (carrozza,
cavalli, abiti eleganti, pellicce) che devono testimoniare il suo successo, eppure non si vergogna di chiedere un sussidio in favore della madre, al cui decoroso mantenimento avrebbe potuto tranquillamente dedicare una parte del suo stipendio. Il suo collega ed amico Răn Zĭ 冉 子 gli fa ottenere un sostanzioso contributo a carico delle casse statali. Il povero Confucio se ne scandalizza. Se rivivesse oggi, potrebbe constatare che, nel mondo, duemila e cinquecento anni dopo, non è cambiato assolutamente nulla.
5) Yuán Xiàn 原 憲 , detto Zĭ Sī 子 思 , era uno dei discepoli di Confucio.
6) L’ammontare dello stipendio è indicato in 九 百 (“jiŭ băi”) cioè 900, senza ulteriore specificazione. Poiché
l’unità di misura usata per il calcolo degli stipendi era il “dàn “石 , pari a circa 50 chili di cereali, uno stipendio di 900 “dàn“石, equivaleva al prezzo di mercato di 45 tonnellate di cereali.
7) Yuán Sī vorrebbe rinunciare allo stipendio per dimostrare che egli persegue unicamente l’interesse pubblico e non il proprio tornaconto. Confucio gli propone una soluzione migliore: devolvere lo stipendio in iniziative di
soccorso ai poveri ed in attività che siano utili alla collettività.
8) Per i sacrifici si usavano soltanto animali perfetti, vale a dire vitelli con il pelo di un solo colore e con le corna regolari. I rigoristi spingevano lo scrupolo fino a ritenere che si potessero sacrificare solo animali perfetti nati da animali perfetti. Sarebbe quindi stato illecito offrire in sacrificio un vitello che, per quanto perfetto, fosse nato da un animale imperfetto 犁 牛 “lí niú”.( Il termine 犁 牛 ,“lí niú”,”animale da lavoro”, si riferisce al fatto che venivano normalmente destinati al lavoro dei campi gli animali che, per le loro imperfezioni, non avrebbero mai potuto
essere prescelti come vittime di un sacrificio.) Confucio si domanda, ironicamente, se le divinità cui viene offerto il sacrificio si preoccupino di questa pedanteria? Il commentatore Zhū Xī 朱 熹 ci spiega che il dialogo ha un significato allegorico ed è in realtà diretto contro i pregiudizi. A coloro che criticavano Zhòng Gōng, facendo
valere che suo padre aveva avuto dei difetti, Confucio, avrebbe fatto notare, in questo modo, che la rettitudine di Zhòng Gōng non poteva in alcun modo essere contestata facendo leva sulle colpe di suo padre.
9) Jì Kāng Zī 季 康 子fu primo ministro del ducato di Lŭ 魯 國 sotto il regno del duca Āi.
10) Si tratta dei discepoli Zĭ Lù 子 路 , Zĭ Gōng 子 貢 e Yán Wú Yáo 顏 無 繇, detto Yán Lù 顏 路.
11) Il discepolo Mĭn Sŭn 閔 損, detto Zĭ Qiān 子 騫 ,era noto per la sua dirittura morale. Se avesse accettato l’offerta di governare Bì 鼻 , una delle città di cui la famiglia Jìsūn 季 孫 si era arbitrariamente impossessata sottraendole al controllo del duca di Lŭ, si sarebbe mostrato sleale nei confronti del suo legittimo sovrano. La potenza dei Jìsūn era però tale che, se avessero insistito, un netto rifiuto sarebbe stato pericoloso e l’unica via d’uscita sarebbe stata abbandonare il paese (attraversare il fiume Wèn 汶 che segnava il confine tra il ducato di Lŭ 魯 國 ed il regno di Qí 齊 國 ).
12) Răn Gēng 冉 耕, detto Bó Niú 伯 牛, nativo di Lù, era uno dei discepoli preferiti di Confucio. Questo passo può essere interpretato come una manifestazione dell’affetto di Confucio per i suoi discepoli o come un’esortazione a visitare gli ammalati. Nel commento di Zhū Xī 朱 熹 si trova una spiegazione piuttosto complicata volta a provare l’umiltà del Maestro. Secondo questa spiegazione, i malati venivano messi a giacere presso una finestra del lato nord della casa, ma, se un principe veniva a visitarli, il loro letto erano spostato accanto ad una finestra del lato sud, perché il sovrano potesse trovarsi nella posizione d’onore, con lo sguardo rivolto verso il sud. I parenti di Bó Niú, avvertiti della visita di Confucio e desiderosi di rendergli omaggio, avrebbero spostato il malato nel lato sud della casa, ma il Maestro, umilmente, non avrebbe voluto entrare in casa ed avrebbe salutato Bó Niú attraverso la finestra, quindi con il viso rivolto a nord.
13) Il termine 儒 “rú” ha assunto con il tempo il significato di “letterato che si ispira ai valori confuciani” ed è divenuto in un certo senso sinonimo del termine 君 子 “jūnzĭ” che, per Confucio, indica il “gentiluomo”, il “galantuomo”, lo “studioso”, il “saggio”. Al tempo del Maestro, tuttavia, tale termine aveva semplicemente il senso di “persona colta” e si capisce quindi la contrapposizione espressa nel dialogo tra 小 人 儒 “xiăo rén rú”,
cioè l’uomo dappoco, anche se provvisto di qualche studio, e 君 子 儒 “jūnzĭ rú”, cioè l’uomo virtuoso,nel
quale il sapere non è inteso al perseguimento dell’interesse individuale o, nel migliore dei casi, fine a sé stesso, bensì contribuisce alla formazione di una personalità completa ed armoniosa. Etimologicamente, il termine 儒 “rú” si compone del termine 人 “rén”, che significa “uomo”, e del termine 需 “xū” che, nei tempi più antichi, indicava, pittograficamente, “ un uomo sotto la pioggia” e richiamava quindi l’idea degli sciamani che invocavano la pioggia. All’origine i 儒 “rú” erano simili ai 巫 “wū”, gli stregoni che eseguivano magie per il bene dei singoli o delle comunità. Progressivamente essi divennero specialisti dei riti e dell’etichetta e quindi depositari del sapere tradizionale. Appare quindi del tutto naturale che il termine 儒 “rú” passasse in seguito a significare “persona
colta”,“letterato”.
14) Yán Yăn 言 偃 detto Zĭ Yóu 子 游 di Wú 吳 era uno dei discepoli di Confucio. Dalla sua risposta traspare
l’ammirazione per un funzionario che non cercava in alcun modo di profittare dei rapporti con il suo superiore per trarne vantaggi personali.
15) Mèng Zhī Făn 孟 之 反﹐ ministro del duca di Lŭ 魯 國 , si comportò valorosamente quando, nel 485 a.C. , le truppe del regno di Qí 齊 國 invasero il ducato di Lŭ e ne sconfissero l’esercito nei pressi della sua capitale.
16) Tuó 跎, noto per la sua parlantina, si guadagnò con l’adulazione il favore di Líng, duca di Wèi 衛 靈 公 (534 a.C-493 a.C.). Zĭ Cháo子 朝 , figlio del principe di Sòng 宋 , uomo di eccezionale bellezza, godette di grande notorietà, ma condusse vita dissoluta, caratterizzata, tra l’altro, da un rapporto incestuoso con la sorella Nánzĭ 南 子, moglie del duca Líng. Confucio deplora che, nella società del suo tempo, il successo dipenda più dalle chiacchiere e dalle apparenze che dalle qualità delle persone.
17) L’espressione che figura nell’originale è 菵 之 生 也 幸 而 免 ( wăng zhī shēng yĕ xìng ér miăn) cioè “chi viola la giustizia e continua a vivere, è fortunato a cavarsela così”.
18) Si può pensare che la metafora si riferisca qui alla Via (o alla Verità, o alla Virtù). Quando si comincia a conoscerla e a praticarla essa lascia ancora relativamente freddi, ma, più la si conosce, più si comincia
a volerle bene, e più le si vuole bene, più si comincia a sentirsene felici e pieni di gioia.
19. Fán Xū 樊 須 ,detto Zĭ Chí 子 遲, è ricordato come uno dei discepoli di Confucio.
20. Il commento di Zhū Xī 朱 熹 interpreta la frase nel senso che il vero rispetto per le divinità e gli spiriti consiste nel non assillarli con continue richieste di protezione e di aiuto. Si potrebbe però vedere nell’affermazione di Confucio qualcosa di analogo al concetto di “reverentia” degli antichi Romani, una sorta di sacro timore di fronte a forze che superano la comprensione umana.
21. Confucio sembra qui fornire una definizione “a contrario” della virtù, spiegandoci non già ciò che è, bensi ciò che non è. La virtù non è “interesse”: ne esula quindi qualsiasi comportamento motivato dall’egoismo,
dall’avidità, dall’ambizione ed, in generale, da considerazioni di carattere personale.
22. Non c’è nessuna contrapposizione tra le qualità dell’uomo saggio e quelle dell’uomo virtuoso, vista l’impossibilità di immaginare un saggio che non sia del pari virtuoso e viceversa. Il giudizio dell’uomo saggio è come l’acqua: limpido, chiaro, libero da ogni pregiudizio. Il carattere dell’uomo virtuoso è saldo come una montagna. Il parallelismo sembra continuare nella seconda frase: il saggio è attivo, dinamico, perspicace, come l’acqua che penetra dappertutto; il virtuoso è sereno, tranquillo, indifferente alle passioni, come la montagna
che resta immobile anche dinanzi ai venti ed alle tempeste. Il saggio conosce profondamente le leggi della natura e della vita e vi si conforma. Come potrebbe non essere felice? Il virtuoso conduce un’esistenza equilibrata e lontana da ogni eccesso. Come potrebbe non vivere a lungo?
23. Come risulta anche da altri passi dei Dialoghi, Confucio ha- forse anche per ragioni di patriottismo-molta stima delle qualità morali dei propri concittadini. In questo brano egli dichiara che sono i più vicini alla comprensione ed alla pratica della Via.
24. L’oggetto qui menzionato è un 觚 “gū”, cioè un calice che veniva anticamente usato per le libagioni nel corso dei sacrifici. Nel relativo ideogramma si distinguono i caratteri 角 “jiăo” (“angolo”) e 瓜 “guā” (“zucca”), con riferimento al fatto che, storicamente, i primi bicchieri furono ricavati dalle zucche vuote. Si può dunque pensare che i “gū” fossero nei tempi più remoti calici di forma quadrata (“ad angoli”). Col passare del tempo non solo la forma si arrotondò, ma i calici, pur continuando ad essere chiamati “gū”, cominciarono ad essere utilizzati anche in occasioni diverse dalle cerimonie religiose. La rettitudine di Confucio lo porta ad esigere una rigorosa precisione di linguaggio. Lo sentiamo infatti dichiarare, in un altro dialogo, che uno Stato i cui governanti stravolgano il senso delle parole cadrà necessariamente nell’inefficienza e nel disordine. Identiche considerazioni valgono nel presente contesto: chiamare con lo stesso nome un oggetto sacro, strumento di solenni celebrazioni religiose, ed una coppa che può servire per ubriacarsi durante una serata di divertimenti implica l’incapacità di distinguere situazioni ben diverse tra di loro e quindi una profonda decadenza morale.
25. La virtù e la saggezza sono equilibrio, misura, discernimento. “Gettarsi nel pozzo” indica un comportamento da fanatico, un estremismo che il Maestro respinge con assoluta decisione. Il saggio potrà subire qualche volta le
tentazioni del massimalimo, ma riuscirà sempre a dominarle ed a seguire, al momento determinante, la condotta che gli detta la ragione.
26. L’uomo di valore trova ispirazione per il suo agire in due fonti che gli garantiscono di non poter sbagliare: lo studio 學 (xué”) ed il rispetto dei riti 禮 (“lĭ”). Per riti non si intendono ovviamente solo le cerimonie, ma l’insieme dei precetti di comportamento tramandati dalla tradizione.
27. Confucio mette qui in rilievo la discrepanza che può esistere tra il sentire personale e gli obblighi di chi svolge un incarico pubblico. In missione per conto del proprio sovrano nel ducato di Wèi 衛 國 , il Maestro non poteva rifiutare, per ragioni diplomatiche, di etichetta e di buona educazione, di presentarsi in udienza dinanzi a Nánzĭ 南 子 , moglie del duca Líng 衛 靈 公, sebbene si trattasse di una donna corrotta e che godeva di pessima fama.
28. Viene naturale pensare alla massima latina “in medio stat virtus”. Ma proprio perché la virtù è espressione di costante prudenza, equilibrio e misura, pochi sono coloro che riescono a praticarla a lungo.
29 Yáo 堯 e Shùn 舜 , mitici imperatori che avrebbero regnato, secondo la tradizione, dal 2356 a.C. al 2255 a. C. e, rispettivamente, dal 2255 a.C. al 2195 a.C., erano considerati il modello dei sovrani virtuosi.
30. L’uomo virtuoso non è invidioso, anzi si rallegra se anche gli altri ottengono una buona posizione (立 “lì”) ed hanno successo nella vita ( 達 “dá”). Questa affermazione presenta, come altre massime di Confucio, sorprendenti punti di contatto con l’insegnamento evangelico.