La storia del governatore di Nánkē
Chúnyú Fén di Dōngpíng (1) era un cavaliere errante che agiva nelle regioni di Wú e di Chū (2). Amava molto il vino, ma l’ubriachezza lo incattiviva e gli faceva perdere il controllo di sé. Era assai ricco e aveva alle proprie dipendenze un certo numero di uomini d’arme. Era stato vicecomandante dell’armata del Huáinán (3), ma, una volta, ubriaco, si era reso colpevole di insubordinazione nei confronti del suo superiore ed era stato destituito e, da allora, s’era totalmente abbandonato al vizio del bere. Abitava dieci “lĭ” a est della marca di Guănglíng.(4) Dinanzi al lato meridionale della casa, sorgeva un grande e vecchio albero di sofora (5), dal tronco massiccio e dai rami assai folti, la cui chioma faceva ombra per un largo spazio (6) Nei giorni di festa Chúnyú e molti suoi valenti compagni si riunivano a bere sotto di esso.
Un giorno del nono mese del settimo anno dell’era Zhĕngyuán (7), Chúnyú, essendosi ubriacato, fu colto da un capogiro e i due amici che sedevano a bere con lui lo riportarono a casa, sorreggendolo per le ascelle, e lo fecero sdraiare sotto il portico della veranda orientale.(8) I due amici si concertarono e dissero: “Lasciamolo qui a smaltire la sbornia. Noi, intanto, daremo da mangiare ai cavalli e ci rinfrescheremo.(9) Aspetteremo un momento che si riprenda e poi ce ne andremo”.
Chúnyú si tolse il berretto e appoggiò la testa sul cuscino. La sua mente era confusa e intorpidita. Non avrebbe saputo dire se era cosciente o se stava sognando. Fu in quel momento che vide (10) entrare in casa due messaggeri, vestiti di porpora, i quali si prosternarono dinanzi a lui e gli dissero:”Il sovrano del Paese della Placida Sofora ha incaricato noi, suoi umili servi, di trasmettervi il suo invito”. Senza pensarci sopra, Chúnyú riassettò i propri abiti e seguì i due inviati sino alla porta di casa. Vide dinanzi alla soglia una carrozza laccata di nero (11), trainata da quattro stalloni e circondata da sette od otto attendenti. Salì sulla carrozza, che, attraversato il grande portone d’ingresso, si diresse verso una cavità nel tronco della vecchia sofora. Subito i messaggeri spronarono i loro cavalli e si lanciarono nella cavità. Chúnyú era molto sconcertato da ciò che vedeva, ma non osava fare domande.
Improvvisamente scorse paesaggi, climi, vegetazione, strade e persone che non conosceva. Prima di aver percorso dieci “lĭ”, giunsero ai sobborghi di una città cinta di mura merlate, dove la moltitudine di persone e di veicoli che affollavano le vie era tale che non si riusciva ad avanzare. Gli attendenti che accompagnavano Chúnyú si misero a gridare per fargli strada e i passanti si scansarono in fretta a destra e a manca. Giunsero poi ad un grande castello, la cui porta, dipinta di rosso vivo, era fiancheggiata da robuste torri, sulle quali stava scritto, a caratteri d’oro,: “Impero della Placida Sofora”. Le sentinelle di guardia alla porta si affrettarono ad inchinarsi, mentre un corriere a cavallo urlava:”Sua Maestà dà il benvenuto al suo futuro genero. (12) e ordina che sia subito alloggiato nel Palazzo Fiorito dell’Est.” Poi fece da guida e condusse il corteo al palazzo.
Apparve improvvisamente una porta spalancata. Chúnyú scese dalla carrozza ed entrò. Varcò soglie variopinte e vide nel cortile e nei giardini colonne scolpite, alberi fioriti, frutti rari, file di piante ; all’interno della casa, tavole e tappeti, tende, mense apparecchiate, mobili, e ne ebbe grande piacere. Sentì qualcuno annunciare ripetutamente: “Sta arrivando il Primo Segretario dell’Impero”.(13) Chúnyú scese le scale per andargli incontro. L’alto dignitario, che indossava abiti di porpora e teneva dinanzi al petto una tavoletta d’avorio (14), si fece avanti a passi rapidi. (15), moltiplicando i segni di ammirazione e di rispetto per l’illustre ospite, poi disse:”Il mio sovrano dà il benvenuto a Vostra Eccellenza. Ritenendo che il nostro paese, per quanto arretrato, non sia troppo lontano dalla civiltà (16), osa sperare di poter instaurare con voi un rapporto di parentela”.
“Io sono una persona di origine modesta” gli rispose Chúnyú” Come potrei avere l’audacia di aspirare a tanto?”.
L’alto dignitario invitò Chúnyú a seguirlo.
Fatti forse cento passi , varcarono una porta vermiglia (17), decorata di alabarde e di asce di guerra (18) e si fecero strada tra due file di centinaia di cortigiani e di ufficiali, che si inchinavano al loro passaggio. In mezzo a questa folla, Chúnyú riconobbe anche un suo vecchio compagno di bevute, Zhōu Bián, e se ne rallegrò, ma non osò fermarsi a parlargli. Il Primo Segretario lo condusse in un’ampia sala, strettamente sorvegliata, come se vi ci si trovasse un’altissima autorità.
Là vide un uomo d’aspetto imponente e severo, seduto su un trono, che indossava abiti di seta bianca e un copricapo a fiori di porpora. Chúnyú, tutto tremante (19), non osava alzare lo sguardo. Mentre gli assistenti dell’Imperatore ordinavano a Chúnyú di prosternarsi, il sovrano gli disse:”Mi è stata comunicata la decisione del vostro nobile padre (20), che non disdegna di legarsi al nostro piccolo paese. Egli ha dato il suo consenso al matrimonio della mia seconda figlia, Giada Profumata, con Vostra Eccellenza”. Chúnyú continuava a stare in ginocchio e non osava rispondere. Il sovrano proseguì:” Si accompagni subito il nostro invitato alla residenza degli ospiti e si proceda alla cerimonia”.
Non appena il sovrano ebbe dato queste disposizioni, il Primo Segretario riaccompagnò Chúnyú alla residenza degli ospiti. Chúnyú pensò con nostalgia a suo padre ,che aveva comandato le truppe di frontiera e di cui, dopo un combattimento con i barbari, non si erano più avute notizie. Non era chiaro se fosse stato ucciso o fatto prigioniero e nessuno sapeva se fosse vivo o morto. Suppose che il padre, catturato dai barbari del nord (21), si fosse unito a loro ed avesse buone relazioni con loro, cosa che avrebbe potuto spiegare ciò che stava succedendo. Si sentiva molto confuso e non ne capiva la ragione.
Giunta la sera, gli furono portati in dono agnelli, oche selvatiche, denaro e stoffe preziose. (22) Fu onorato con riti e cerimonie pompose. Fu intrattenuto da belle fanciulle con la musica di strumenti a corda e a fiato. Mangiò sontuosamente alla luce delle fiaccole e delle lanterne. Gli furono messi a disposizione per il suo uso personale una carrozza e un tiro di cavalli. Non ci fu nulla che non fosse squisito e perfetto.
Erano presenti numerose dame. Una di esse si chiamava la Dama di Huàyáng, una seconda la Dama di Qīngxī, una terza la Splendida Signora, una quarta la Bella Signora, tutte persone di grande distinzione. (23)
C’erano migliaia di donne (24), che indossavano diademi ornati di piume verdi e azzurre, stole ricamate d’oro, giade di vari colori e filigrane dorate. Era uno spettacolo che abbacinava gli occhi. Le fanciulle si aggiravano per le sale, accompagnate da un’allegra musica, si avvicinavano a Chúnyú e facevano a gara nello scherzare con lui. (25) Il loro aspetto e le loro maniere erano straordinariamente seducenti, le loro osservazioni acute ed espresse con eleganza. Chúnyú non sapeva come rispondere.
Una donna gli disse: “Una volta, il giorno della festa della Pulizia Primaverile (26), mi recai con la signora Língzhī (27) in visita al Tempio buddhista della Saggezza (28) e, nel Cortile degli Indiani (29), vidi Shì Yán (30) eseguire le danze dei Bramini. (31) Ero seduta con parecchie altre donne su un banco di pietra sotto la finestra settentrionale del tempio. A quell’epoca, voi eravata giovane. Smontaste da cavallo e veniste a vedere lo spettacolo. Eravate solo e cercavate di rendervi interessante ai nostri occhi, importunandoci con chiacchiere e scherzi. Io e mia sorella Qióng Yīng annodammo un fazzoletto di color cremisi e lo appendemmo a un ramo di bambù. Non ve ne ricordate proprio? Un’altra volta, mi trovavo al Tempio della Pietà Filiale, dove avevo accompagnato la dama Shànzhéng ad ascoltare la lettura del “Sutra di Guānyīn” (32) fatta dal monaco Qìxuán (33). Anche voi eravate fra gli ascoltatori e ci chiedeste di mostrarvi i nostri spilloni da capelli per poterli osservare. Sospiraste d’ammirazione due o tre volte e rimaneste a lungo senza parole. Poi, rivolgendovi a me e alle altre donne, diceste: “Voi e i vostri gioielli non siete cose di questo mondo”. Volevate sapere della mia famiglia, domandavate del mio villaggio, ma io non vi rispondevo. Vi dichiaravate innamorato, mi guardavate con gli occhi lucidi, insistevate. Come è possibile che non ve ne ricordiate?”.
Chúnyú le rispose: “Conservo tutto ciò in fondo al cuore. Non me ne dimenticherò mai”.(34)
Le dame dissero:”Non ci saremmo mai aspettate di diventare, oggi, vostre parenti”.
Si fecero avanti tre uomini d’aspetto imponente, che portavano il berretto e la fascia dei funzionari. Prostratisi dinanzi a Chúnyú, gli dissero: “Ci è stato ordinato di porci al servizio del genero dell’Imperatore”. Uno dei tre era un vecchio amico di Chúnyú, che gli domandò: “Non sei per caso Tiàn Zĭhuà di Píngyì?” (35). “Sono proprio io” rispose l’uomo. Chúnyú gli si avvicinò e gli prese le mani tra le sue. I due parlarono a lungo del passato. “Come sei finito qui?” chiese Chúnyú. “Me ne andavo in giro senza meta” gli rispose Zĭhuà “ quando le mie capacità furono riconosciute da Sua Eccellenza il Marchese Duán di Wŭchéng, che ricopre la carica di Primo Segretario dell’Impero. Ecco perché mi sono installato qui.” Chúnyú gli domandò ancora: “Lo sapevi che anche Zhōu Bián è qui?”.Zĭhuà gli rispose: “Zhōu è diventato una persona importante. Svolge le funzioni di comandante della polizia (36) e gode di grande autorità e di notevole prosperità. Molte volte ho beneficiato del suo aiuto e della sua protezione”.
Parlarono e scherzarono con grande piacere.
Ad un tratto un araldo annunciò: “Il genero dell’Imperatore è autorizzato a fare il suo ingresso ufficiale”. I tre attendenti presero una spada, una cintura e un abito sfarzoso e abbigliarono Chúnyú per la cerimonia. Zĭhuà osservò: “Non avrei mai creduto che avrei preso parte a un rito così solenne. Non dimenticarmi!”(37)
Assistevano al matrimonio decine di fanciulle di celestiale bellezza. Si udiva una musica straordinaria, limpida e melodiosa, ma un po’ malinconica, diversa da quella che si suole ascoltare nel mondo degli uomini.
Parecchie decine di tedofori aprivano il corteo. La strada era fiancheggiata, per la lunghezza di alcuni “lĭ”, da file ininterrotte di striscioni ornati di ricami d’oro e di piume di martin pescatore.Oggetti di giada di diversi colori e di squisita fattura erano esposti ai due lati del percorso. Chúnyú sedeva rigido nella sua carrozza, confuso e frastornato, e si sentiva davvero a disagio, mentre Tiàn Zĭhuà cercava di sciogliere la tensione parlando e scherzando senza posa.
Le dame con cui aveva conversato salirono ciascuna su una carrozza ornata di ali di fenice e lo accompagnarono laddove stava andando. Arrivarono alla porta di un edificio chiamato “Il Palazzo delle Cerimonie”.(38) Le gentildonne si affollarono ai lati della porta, lasciarono che Chúnyú scendesse dalla carrozza e lo accolsero con profondi e ripetuti inchini (39) proprio come si usa nel mondo degli uomini.(40)
Una volta rimossi i paraventi, fu tolto il velo alla sposa (41) e Chúnyú vide la fanciulla che chiamavano “La Principessa del Ramo d’Oro”. (42) Era una ragazza che poteva avere quattordici o quindici anni , di una bellezza celestiale. Fu celebrata la cerimonia nuziale. Il loro amore cresceva di giorno in giorno, così come di giorno in giorno cresceva la sua autorità. La carrozza su cui si muoveva, gli abiti che indossava quando stava in casa, quando usciva, quando accompagnava ospiti di riguardo, cedevano in splendore soltanto dinanzi a quelli dell'imperatore.
Il sovrano ordinò a Chúnyú e agli altri ufficiali di preparare la scorta per una grande battuta di caccia che si sarebbe svolta sulle montagne del Língguī.(43). Alte montagne , pittoresche colline, lunghi fiumi, ampi stagni; dense foreste, folti alberi, uccelli e selvaggina, tutto in grande profusione e abbondanza. I cacciatori fecero un grande bottino e ritornarono solo a notte inoltrata.
Una volta Chúnyú chiese udienza al sovrano e gli disse: “Il giorno del mio matrimonio, Vostra Maestà mi informò che aveva ricevuto comunicazioni da mio padre. Mio padre, che era al comando delle truppe di frontiera, condusse in battaglia i suoi soldati, ma fu sconfitto e finì in mezzo ai barbari. Da diciassette o diciotto anni non mi sono più giunte sue lettere.Se Vostra Maestà sa dove si trova mio padre, La prego di dirmelo affinché io possa andare a salutarlo e a rendergli omaggio”.
L’imperatore gli rispose bruscamente:” Il mio consuocero ha il compito di difendere le frontiere settentrionali, da dove continua a inviare i suoi rapporti. Vi basterà spedirgli una lettera per informarlo di come state. Non c’è alcun bisogno che vi rechiate lassù”.
Allora Chúnyú ordinò alla moglie di preparare dei doni e di spedirli a suo padre.Trascorsa qualche notte (44), ricevette una risposta. Lesse con attenzione la lettera e constatò che il suo contenuto corrispondeva pienamente a quello che era sempre stato il modo di esprimersi di suo padre. Emozioni e nostalgia, istruzioni e ammonimenti, sentimenti e affetti vi erano manifestati in modo velato (45), come suo padre aveva sempre fatto. Il padre gli chiedeva anche notizie della famiglia e del villaggio. Inoltre gli scriveva che la strada per andarlo a trovare era lunga e difficile , battuta dal vento e ostacolata dalla nebbia (46). Le parole della lettera erano tristi e amare, il tono era malinconico e angosciato. Per dissuadere Chúnyú dal rendergli visita, il padre scriveva: “ Io e te ci ritroveremo nell’anno Díngchŏu”.(47) Tenendo la lettera con entrambe le mani (48) Chúnyú sospirava e singhiozzava, travolto dall’emozione.
Un giorno la moglie gli domandò: “Perché non hai mai pensato alla possibilità di assumere un incarico di governo?”.
“ Perché sono di carattere indisciplinato e perché mi manca l’esperienza” le rispose Chúnyú.
“Provaci” gli disse la moglie “ e avrai tutto il mio appoggio”.
In seguito a questa conversazione, la moglie di Chúnyú andò a parlare con suo padre, l’imperatore.
Qualche tempo dopo l’imperatore mandò a chiamare Chúnyú e gli disse: “ La marca meridionale del nostro impero si trova in una situazione di disordine dopo che il suo governatore è stato destituito.Se voi foste disponibile, sarei lieto di far ricorso alle vostre capacità. Se accettate, potete partire immediatamente con mia figlia.”
Chúnyú accettò rispettosamente la proposta e ricevette le relative istruzioni.
L’imperatore diede allora ordine ai suoi assistenti di preparare i bagagli del nuovo governatore. Oro e giada, sete e broccati, bauli pieni d’oggetti e cofanetti di bellezza, domestici e dame di compagnia, carrozze e cavalli, tutto fu messo a disposizione senza risparmio per il viaggio della principessa.
Da giovane, Chúnyú Fén era stato un cavaliere errante e non aveva mai osato coltivare ambizioni così elevate, perciò ,quando fu nominato governatore, ne provò grandissima gioia. Di conseguenza presentò all’Imperatore il seguente memorandum:
“Il vostro servitore discende da una famiglia di militari e non possiede le competenze e le conoscenze necessarie per svolgere le funzioni che gli sono state affidate. È stato nominato senza meriti ad un alto incarico e non sarà certamente utile alle istituzioni. Teme di essere come uno che viaggia in carrozza con un sacco sulle spalle (49) o come uno che sta seduto accanto al pentolone della zuppa e lo rovescia. (50) Il vostro servitore sta ora cercando in lungo e in largo persone sagge e capaci che lo assistano nelle materie di cui non ha esperienza. L’attuale capo della polizia, Zhōu Biàn di Yĭngchuān, che è un uomo leale, intelligente e onesto, rispettoso delle leggi e difficile da abbindolare, gli sarebbe di valido aiuto. Tián Zĭhuà di Píngyì non è ancora funzionario, ma è un uomo onesto e riflessivo, sveglio e di spirito aperto, e conosce a fondo le nozioni essenziali della politica. Il vostro servitore, che è amico di questi due uomini da molti anni e ne conosce bene le qualità, sa che potrà contare su di loro per le incombenze di governo e vi prega perciò di nominare Zhōu Biàn ispettore della marca di Nánkē e Tián Zĭhuà controllore delle finanze della marca di Nánkē. Ciò gli permetterà di svolgere correttamente le proprie funzioni e di impratichirsi delle regole dell’amministrazione.”
L’Imperatore accondiscese alla richiesta e provvide alle nomine di Zhōu e di Tián perché i due potessero accompagnare Fén a Nánkē.
La sera, l’Imperatore e la sua consorte organizzarono un banchetto d’addio. Rivolgendosi a Chúnyú Fén, l’Imperatore gli disse: “Nankē è una marca molto importante del nostro impero, fertile e fittamente popolata. Solo con una politica saggia ed accorta sarà possibile governarla. Per farlo tu disporrai dell’assistenza di Zhōu e di Tiān. Mi attendo da te il massimo impegno, nel posto che ti è stato affidato, per venire pienamente incontro alle aspettative del paese”. L’Imperatrice, da parte sua, fece le proprie raccomandazioni alla principessa: “ Chúnyú è duro di carattere, propenso ad ubriacarsi e, per di più, ha ancora l’irruenza dei giovani. Una buona moglie deve saper essere dolce e obbediente. Se tu lo servirai bene e con rispetto, anch’io potrò stare tranquilla. Sebbene Nánkē non sia poi così lontana di qui, non potremo più vederci ogni giorno. Oggi dobbiamo dirci addio, come potrei trattenere le lacrime?”.
Chúnyú Fén e la moglie salutarono l’Imperatore e l’Imperatrice, salirono sulla loro carrozza e, accompagnati dalla loro scorta, si diressero verso il sud parlando e ridendo allegramente per tutta la durata del viaggio.
Dopo alcuni giorni giunsero a Nánkē, dove dignitari e funzionari, monaci buddhisti e religiosi taoisti, notabili e letterati, bande e fanfare, reparti militari montati sui loro carri da guerra, soldati e popolo si fecero incontro in massa alla carrozza infiorata del governatore per dargli il benvenuto. (51) La folla festante accorreva da ogni parte, al suono delle campanelle e dei tamburi, assiepandosi ai lati della strada, tra ovazioni ed applausi, per un tratto di oltre dieci “lĭ”.
Scorsero le mura della città, i barbacani, le torri di guardia, le splendide terrazze. Varcando la porta principale della città, videro che vi era appeso un enorme cartello sul quale era scritto a grandi caratteri: “Marchesato di Nánkē”.
La carrozza penetrò in un vasto cortile sul quale si affacciavano finestre e balconi di color vermiglio, tra due file di guardie d’onore. Era un palazzo situato in una zona tranquilla e lontana da ogni trambusto che era destinato ad essere la residenza del governatore.
Dopo essersi installato, Fén rivide le usanze e le pratiche locali, prese misure di carattere sanitario e adottò provvedimenti volti a migliorare le condizioni di vita della popolazione. (52) Affidò l’amministrazione del territorio a Zhōu e Tián, che la rimisero in perfetto ordine. Nel ventennio in cui governò Nankē, moralità e cultura si diffusero. Il popolo cantava le sue lodi. Lapidi e tavolette votive gli furono dedicate in riconoscimento dei suoi meriti ed altari furono eretti in suo onore.
Il sovrano lo stimava grandemente. Gli concesse una città in feudo (53), gli conferì titoli e cariche, lo nominò consigliere supremo di corte (54). Zhŏu e Tián si fecero entrambi una reputazione in politica e furono promossi ad alte cariche.
Fén ebbe cinque figli ,che fecero carriera nell’amministrazione statale,e due figlie, che sposarono principi del sangue. La sua fama e il suo splendore non erano eguagliati da alcuno dei suoi contemporanei.
Vi fu però un anno in cui un paese chiamato il “Regno del Ramo di Sandalo” lanciò un attacco contro la marca di Nánkē. Il sovrano ordinò a Fén di mettere in allarme i suoi generali e di addestrare le truppe per affrontare il nemico. Fén propose che Zhōu Biàn fosse posto a capo di un esercito di trentamila uomini con istruzioni di chiudersi nella fortezza della Torre di Giada e di bloccare gli invasori alla frontiera, ma Biàn, che era d’animo audace ed impetuoso, si fece sconsideratamente incontro ai barbari e subì una rovinosa sconfitta. Dopo essersi sottratto a stento alla cattura gettando le armi e fuggendo da solo a cavallo, col favore della notte riuscì a riparare nella fortezza. I vincitori si impadronirono anche delle salmerie, degli equipaggiamenti e delle armature abbandonate dai soldati in fuga e ritornarono al loro paese. Per queste ragioni Fén fece arrestare Biàn e chiese di essere punito anche lui, ma il sovrano li perdonò entrambi. Tuttavia, nel giro di un mese, Zhōu Biàn morì per l’infezione di una ferita che aveva riportato alla schiena.
La principessa, moglie di Fén, si ammalò e, in una decina di giorni, morì anche lei. Fén chiese di essere esonerato dall’ incarico di governatore per riportare la salma alla capitale e compiervi le cerimonie funebri. (55) Il sovrano accolse la sua richiesta e nominò il Ministro dell’Agricoltura (56) Tián Zĭhuà governatore di Nánkē.
Prostrato da un’afflizione senza limiti, Fén si mise in cammino accompagnando la bara della moglie. Sul percorso del corteo folle di uomini e di donne piangenti vennero loro incontro. Funzionari e popolo offrivano sacrifici di cibo e di vino sugli altari eretti lungo la via. Innumerevoli persone bloccavano la strada e cercavano di afferrare le stanghe del carro funebre per avere l’onore di tirarlo. Era quasi impossibile andare avanti.
Quando il corteo raggiunse la capitale, l’imperatore e la sua consorte, vestiti a lutto, attendevano piangenti, alla periferia della città, l’arrivo della bara. Essi conferirono alla figlia defunta il titolo postumo di “Principessa Obbediente”. (57) Nuove cerimonie erano state organizzate: una guardia d’onore accompagnava il corteo, uno sfarzoso baldacchino copriva la bara, una banda militare suonava la marcia funebre. La principessa fu sepolta dieci “lĭ” ad est della capitale su un’altura chiamata “La Collina del Drago Attorcigliato”.
Quello stesso mese il figlio del defunto censore capo (58) Zhōu Biàn, Zhōu Róngxìn, riportò anche lui il corpo del padre nella capitale.
Sebbene Chúnyù Fén fosse rimasto a lungo lontano per governare una regione di frontiera, aveva conservato molte relazioni a corte. Quasi tutte le famiglie nobili e i clan dell’aristocrazia erano in buoni rapporti con lui. Da quando aveva lasciato la carica di governatore di Nankē ed era rientrato nella capitale, era sempre in giro per la città, accompagnato da amici e clienti, cosicché il suo prestigio cresceva ogni giorno di più.
Il sovrano cominciò a sospettare di lui e a temerlo.
In quel periodo qualcuno presentò all’imperatore un memoriale che conteneva il seguente vaticinio:
“Appaiono segnali misteriosi che preannunciano disgrazie. Grandi timori si diffondono nel regno. La capitale sarà trasferita altrove e il tempio ancestrale cadrà in rovina. Nasceranno contese tra le famiglie e il disordine si spargerà all’interno del paese”. (59)
Quando gli accennarono al lussuoso tenore di vita di Fén ed alla possibilità che tentasse di usurpare il trono, il sovrano lo fece sorvegliare dalle sue guardie e lo pose agli arresti domiciliari, riducendolo al rango di privato cittadino.
Fén, ricordandosi dei molti anni in cui aveva svolto con competenza le funzioni di governatore, ne fu depresso e rattristato e protestò contro queste misure.
Il sovrano gli rispose: “ Siamo stati uniti da vincoli di parentela per più di vent’anni, ma, disgraziatamente, mia figlia è morta e quei legami si sono sciolti. Purtroppo, non ha potuto vivere con te sino alla vecchiaia. È stato un grande dolore, ma io avrò cura di allevare i nipoti che tua moglie mi ha dato”. Poi, aggiunse: “Sei rimasto a lungo lontano da casa tua. Non faresti bene a ritornare per un po’ al tuo paese d’origine?. Va’ a trovare i tuoi parenti, informati di come stanno i membri della tua famiglia! Non ne hai nostalgia? Fra tre anni ti manderò di nuovo a chiamare”.
Fén ribatté:” Il mio paese è questo. Perché mai dovrei andarmene via?”.
Allora, il sovrano scoppiò a ridere e gli disse: “ Tu, in realtà, sei un uomo. Il tuo paese non è questo”. (60)
All’improvviso, Fén si sentì frastornato e insonnolito e, per qualche istante, la vista gli si fece confusa, poi ebbe l’impressione di ritornare al passato e, con gli occhi pieni di lacrime, chiese il permesso di rientrare nel proprio paese.
Il sovrano fece cenno ai cortigiani perché scortassero Fén fuori dal palazzo.
Fén si inchinò ripetutamente e prese congedo. Vide che lo seguivano di nuovo i due messaggeri vestiti di porpora che un tempo gli avevano recato l’invito dell’Imperatore. Oltrepassata la grande porta del palazzo, scorse una carrozza in assai cattivo stato, accanto alla quale non c’era l’ombra di cortigiani né di attendenti né di accompagnatori né di palafrenieri e fu grandemente sorpreso e rattristato da quella vista.
Fén salì sulla carrozza e, percorse alcune miglia, uscì fuori dalle mura della capitale. Gli parve allora di ritrovarsi sulla stessa strada che aveva seguito, anni prima, venendo dall’est, di rivedere le stesse montagne, gli stessi fiumi, le stesse fonti, gli stessi campi che aveva visto a quel tempo, ma i due messaggeri che lo accompagnavano avevano stavolta un’aria assai incurante, cosa che lo lasciò molto avvilito.
Rivolgendosi ai due, Fén domandò: “Quando arriveremo a Guănglíng?”, ma quelli continuarono a canticchiare come se nulla fosse e solo dopo un certo tempo si degnarono di rispondergli: “Siamo quasi arrivati”.
Ad un tratto sbucarono fuori da una grotta e Fén si ritrovò sulla via principale del villaggio natio, che non era per nulla cambiato dal lontano giorno in cui egli era partito. Intimamente commosso, non si accorse neppure che stava piangendo.
I due messaggeri lo aiutarono a scendere dalla carrozza, ad entrare in casa e a salire le scale.
Vide allora il proprio corpo che giaceva addormentato sulla veranda orientale della casa.
Fén ne fu così stupito, che rimase come paralizzato.
A questo punto, i due messaggeri urlarono ripetutamente il suo nome e fu in quel momento che Chúnyú Fén...si risvegliò e si guardò intorno.
Un gruppetto di giovani domestici stava spazzando il giardino; i suoi due amici si lavavano i piedi seduti su una panca; il sole al tramonto non si era ancora nascosto dietro il muro occidentale della casa e la brocca piena di vino era ancora posata sul davanzale della finestra dal lato orientale.
Era passato pochissimo tempo, mentre nel sogno gli era parso che fosse trascorsa un’intera vita.
Pensandoci, gli venne da sospirare. Poi, chiamò i due amici e raccontò loro ciò che gli era capitato.
Pieni di stupore, gli amici lo seguirono fuori di casa per cercare la cavità nascosta sotto il tronco della sofora.
Fén indicò un foro e disse: “ Nel mio sogno è proprio di qui che sono entrato nei luoghi di cui vi ho raccontato”.
Gli amici opinarono che la sofora fosse stregata dalle volpi o da uno spirito degli alberi (61).
Fu ordinato ai servi di prendere le asce e di tagliare i fitti virgulti che circondavano la base dell’albero.
Sgomberato il terreno, apparve chiaramente un grande buco che si apriva proprio accanto alle radici della pianta.
Questo buco si prolungava per una decina di piedi fino ad un’ampia cavità, ben illuminata, di dimensioni tali che avrebbe potuto contenere un giaciglio. Sopra le radici c’erano cumuli di terra disposti in modo da ricordare la forma di una città, con mura, torri e palazzi, dove si nascondevano e si affollavano schiere di formiche. In mezzo a tutto ciò c’era una piccola terrazza di color vermiglio, sulla quale si trovavano due enormi formiche che avevano le ali bianche, la testa rossa e un corpo lungo circa nove centimetri. Intorno ad esse stavano alcune dozzine di formiche più grosse del normale, che le assistevano, mentre le altre formiche non osavano avvicinarsi. Le due formicone erano i sovrani dell’Impero della Placida Sofora e l’ampia cavità che abbiamo descritto ne era la capitale.
C’era poi una cavità più piccola, situata allo sbocco di un cunicolo che si diramava dalla cavità più ampia e procedeva diritto per circa quaranta piedi in direzione sud. Il centro di questa cavità era circondato da mura in terra battuta e c’era pure un piccolo palazzo. Anche qui vi era una colonia di formiche. Si trattava precisamente di Nánkē, la marca meridionale di cui Fén era stato governatore.
Una ventina di piedi più ad ovest si trovava un’altra cavità, vasta e desolata, in cui il suolo appariva solcato da profonde crepe di strano aspetto. Al centro giaceva la spoglia di una tartaruga grossa come un mestolo per la minestra. Acqua piovana e fango avevano sommerso il terreno. Tutt’intorno crescevano folti ciuffi d’erba che davano vita ad una vegetazione lussureggiante, la quale nascondeva ormai il guscio della testuggine. Fén riconobbe il paesaggio del Línguī, la “Montagna dello Spirito Tartaruga”, dove una volta era andato a caccia.
Infine, più di dieci piedi ad est, si scorgeva una vecchia radice contorta la cui forma richiamava l’aspetto di un drago o di un serpente attorcigliato. Fra le spire di questa radice s’alzava un monticello di terra alto più di trenta centimetri che ricordava il tumulo nel quale Fén aveva sepolto la moglie sulla “Collina del Drago Attorcigliato”.
Ripensando al passato, Fén emise un profondo sospiro. Esaminò con attenzione le tracce rimaste e tutto corrispondeva a ciò che aveva visto in sogno. Non volle che i suoi amici distruggessero il formicaio, ma lo fece subito ricoprire di terra come prima.
Quella sera scoppiò un violento temporale. Il mattino seguente, Fén diede un’occhiata al formicaio e constatò che le formiche erano sparite. Nessuno sapeva dove fossero andate. Nel sogno era stato vaticinato che il paese avrebbe subito gravi calamità, che la capitale sarebbe stata abbandonata. Tutto ciò non era forse il compimento della profezia?
Più tardi Fén si ricordò della lotta contro il Regno del Ramo di Sandalo e chiese di nuovo ai suoi amici di accompagnarlo fuori alla ricerca di un albero di sandalo. A cinquecento metri di distanza dalla casa, trovarono un vecchio ruscello prosciugato in riva al quale sorgeva un imponente albero di sandalo, così fittamente avvolto da glicini e da altre piante rampicanti che la luce del sole non giungeva al suo tronco. Ai piedi della pianta si scorgeva un piccolo buco nel terreno, da cui uscivano lunghe file di formiche, mentre altre vi entravano. Questo non poteva essere che Il Regno del Ramo di Sandalo!
Ahimè! La faccenda delle formiche non appariva strana ed inspiegabile? Non erano sparite le montagne? Non erano scomparsi gli alberi? Non erano cambiati i grandi personaggi?
Ripresosi dall’ubriacatura, Fén si ricordò che da una decina di giorni non aveva più notizie dei suoi fedeli amici Zhōu Biàn e Tián Zĭhuá, che vivevano nella contea di Liúhè. Preoccupato, inviò subito un domestico ad informarsi della loro salute. Venne così a sapere che Zhōu era stato colto da un improvviso malanno ed era morto e che Tián Zĭhuá giaceva a letto, anche lui gravemente ammalato.
Fén fu molto colpito dal fatto che la storia di Nánkē si fosse rivelata un semplice sogno e si rese conto di quanto fosse mutevole il mondo degli uomini. Da allora in poi si dedicò con tutto se stesso alla pratica del Taoismo (62), dimenticando il vino e le donne.
Tre anni più tardi, nell’anno del “bue di fuoco”, Fén morì in casa propria, all’età di quarantasette anni, esattamente come gli era stato predetto.
Nell’autunno del diciottesimo anno dell’era Zhĕngyuán (63), durante l’ottavo mese, io, Lĭ Gōngzuŏ, viaggiando per via fluviale da Wú a Luòyáng , ormeggiai una volta il mio battello sulla riva del fiume Huái (64) ed ebbi la ventura di incontrare personalmente il signor Chúnyú Fén (65), nonché di visitare i luoghi dove si erano svolti gli avvenimenti che ho narrato. Ne parlammo insieme più volte e, poiché si trattava di testimonianze autentiche, le raccolsi e le misi in ordine per comporre questa storia. Sebbene sia una vicenda di spiriti e di fenomeni strani, che non ha nulla a che fare con ciò di cui si occupano i classici, spero che serva di monito a coloro che desiderano a tutti i costi fare carriera, mostrando ai giovani ambiziosi come il caso abbia operato nella storia del governatore di Nánkē ed incitandoli a non comportarsi con arroganza quale che sia la fama o la potenza che possano aver raggiunto in questo mondo.
Lĭ Zhàozàn, che è stato ufficiale dell’esercito (66) nella regione di Huáizhōu (67) ha composto al riguardo il seguente distico:
“Eccelsa fama, redditi, rango, potere di cambiare i governi.
Il saggio non vede in tutto questo che un brulichio di formiche”.
NOTE
1) Dōngpíng 東 平 è una contea della prefettura di Tái’ān 泰 安 nello Shāndōng 山 東 . Nel 39 d.C. fu data in feudo al principe Liú Cāng 劉 蒼 , che ottenne in seguito il titolo onorifico di re di Dōngpíng.
2) Un vezzo particolarmente diffuso tra i poeti e gli scrittori dell’epoca Táng era quello di designare città e regioni con i nomi che esse avevano al tempo degli Stati Combattenti 戰 國 (“zhànguó”) o della dinastia Hàn 漢 朝
Il termine 吳(“Wú “) indica quindi le regioni anticamente soggette al regno di Wú, che durò dall’11° secolo a.C. al 473 a.C. e che aveva il suo centro nel Jiāngsū 江 蘇 , mentre il termine 楚 (“Chŭ”) indica le regioni anticamente soggette al regno di Chŭ, che durò dal 1030 a.C. al 223 a.C. e che aveva il suo centro nelle province del Húbĕi 湖 北 e del Húnán 湖 南 .
3) Il Huáinándáo 淮 南 道 era, ai tempi dei Táng,un circuito il cui centro corrispondeva all’attuale Yángzhōu 揚 州 , delimitato ad est dal mare, ad ovest dal fiume Hàn 漢 ,a nord dal fiume Huái 淮 e a sud dallo Yángzĭjiāng 揚 子 江.
4) Il termine 郡 “jùn” indica una circoscrizione amministrativa dell’antica Cina le cui origini appaiono simili a quelle della “marca di frontiera” del nostro medioevo. Quando, durante il Periodo degli Stati Combattenti 戰 國 時 代 , cominciarono a formarsi regni di grandi dimensioni, le regioni di frontiera, più esposte alle incursioni dei nemici, furono infeudate a comandanti militari posti alla testa di truppe numerose e bene addestrate. Queste regioni furono chiamate “jùn”, termine che gli Inglesi traducono con “commandery”. Sotto la dinastia Táng 唐 朝 le antiche “jùn” furono trasformate in prefetture e vennero chiamate 州 “zhōu” (termine che indicava le prefetture di minore importanza), mentre alle prefetture che avevano come capoluoghi grandi città venne riservato il termine 府 “fŭ”. All’epoca in cui scriveva Lĭ Gōngzuŏ la parola “jùn” non era dunque più d’uso corrente, come molti altri termini utilizzati dallo scrittore in questo racconto.
5) Il termine 槐 (“huái”) designa la sofora del Giappone (“stypnolobium japonicum”) albero della famiglia delle Fabacee, che può raggiungere 10-15 metri di altezza. La sofora è molto utilizzata come pianta ornamentale per il pregevole fogliame e per la bellezza della fioritura.
6) Il testo cinese reca il termine 畝 (“mŭ”) che designa un’antica misura corrispondente a 1800 m2.
7) L’era Zhĕngyuán 貞元 va dal 785 d.C. all’805 d.C. Il settimo anno dell’era Zhĕngyuán corrisponde dunque al 791 d.C.
8) Nella casa tradizionale cinese la porta d’ingresso era situata a sud e il corpo principale dell’abitazione a nord. Sui lati sorgevano edifici meno importanti che erano collegati al corpo principale mediante verande.
9) Il testo cinese dice 濯 足 ”zhuó zú”, vale a dire “ci laveremo i piedi”. Forse i due amici intendono rinfrescarsi un po’ prima di tornar a casa. Si può anche pensare che un pediluvio fosse utile per attenuare la sbornia.
10) L’autore trascura deliberatamente di precisare se ci troviamo di fronte ad un sogno o ad un’esperienza reale. Soltanto alla fine del racconto sarà evidente che si è trattato di un semplice sogno.
11) Il termine 青 (“qīng”) può indicare in cinese una gamma relativamente ampia di sfumature di colori scuri che va dal verde intenso al nero passando per il blu. Mentre nella lingua moderna esso indica più frequentemente il verde, nella lingua classica era usato prevalentemente con riferimento al blu o al nero.
Secondo il cerimoniale in vigore alla corte dei Táng, una carrozza laccata di nero spettava al principe ereditario.
12) Il termine 駙 馬 (“fùmă”), letteralmente “cavallo di rinforzo”, indicava il genero dell’imperatore. Se la metafora può apparire curiosa, il significato è chiaro: il sovrano aveva interesse a maritare le proprie figlie con uomini forti e risoluti, capaci di aiutarlo efficacemente nel suo difficile compito di governo.
13) Letteralmente “il Primo Ministro del Lato Destro” (右 相 “ yòu xiāng”). Sotto la dinastia Táng, il “Primo Ministro del Lato Destro” era il capo del Zhōngshū Shĕng 中 書 省 ,talvolta chiamato anche Nèishì Shĕng 內 侍 省 ,che costituiva l’ufficio legislativo e il segretariato centrale del governo.Era classificato al terzo grado della scala gerarchica.
Il “Primo Ministro del Lato Sinistro” (左 相 “zuŏ xiāng”) era invece il capo del Ménxià Shĕng 門 下 省 , l’ufficio della cancelleria, che valutava ed eventualmente rivedeva i provvedimenti adottati dal Zhōngshū Shĕng. Era classificato al secondo grado della scala gerarchica.
14) Una tavoletta d’avorio (象簡“xiàngjiān), lunga circa 80 centimetri e larga 8 , era attribuita come simbolo di rango ai più alti funzionari che la portavano dinanzi a sé, tenendola con le due mani, quando erano ricevuti in udienza dall’imperatore o da un membro della casa imperiale. L’usanza risale almeno ai tempi di Confucio, il quale menziona, nei suoi Dialoghi. (cap.X,par.5) ,la tavoletta di giada che i dignitari di Corte ricevevano come simbolo delle loro funzioni.Essi la portavano con sé nelle cerimonie ufficiali e nelle missioni all’estero, dove questa tavoletta corrispondeva ,per così dire, alle “lettere patenti” di cui sono muniti oggi gli ambasciatori.
15) La precisazione potrebbe apparire insignificante, ma non lo è affatto. Se leggiamo i “Dialoghi di Confucio” notiamo che il “passo rapido” era una caratteristica del comportamento tenuto dal Maestro in talune occasioni ufficiali. (“Quando il sovrano lo incaricava di ricevere un visitatore, atteggiava il volto a gravità e accelerava il passo...Nel presentare gli ospiti al principe si faceva avanti con passo rapido, le braccia un po’allargate come le ali degli uccelli” ( cap.x,par.3). Si può dunque pensare che l’accelerazione del passo quando ci si avvicinava al sovrano o si riceveva un ospite illustre simboleggiasse la sollecitudine di mettersi a sua disposizione.
16) Si nota in questa frase il tipico senso di superiorità dei Cinesi nei confronti degli altri popoli, da essi considerati tanto più barbari e primitivi quanto più erano lontani dall’Impero di Mezzo e quindi meno esposti alla sua influenza civilizzatrice. Questo atteggiamento perdurava immutato ancora alla fine del XVIII° secolo quando l’imperatore Qiánlóng 乾 隆 帝 non esitava a scrivere al re d’inghilterra Giorgio III°:
”Noi, Imperatore per la grazia del Cielo, ordiniamo al Re d’Inghilterra di prendere nota della nostra volontà.
Pur vivendo in un paese remoto, tu aspiri, o Re, alla civiltà. Ci hai dunque mandato un tuo messaggero che, prostratosi nove volte dinanzi a noi, ci ha presentato le felicitazioni per l’anniversario della nostra ascesa al trono e ci ha offerto prodotti della tua terra.
Egli ha così reso testimonianza della tua lealtà nei nostri confronti
Abbiamo letto il tuo messaggio, i cui termini palesano il tuo zelo e mettono in luce la tua umiltà e la tua sincera obbedienza nei nostri riguardi...”.
17) Nell’antica Cina soltanto le case dei nobili e dei ricchi avevano le porte laccate di rosso. Qui si tratta evidentemente delle porte del palazzo imperiale.
18) L’ascia di guerra (斧 鉞 “fŭyuè”)” era uno dei dodici simboli dell’autorità imperiale e rappresentava il potere di punire.
19) È frequente, negli antichi scrittori, la menzione del senso di angoscia che coglieva chi doveva presentarsi dinanzi all’Imperatore.Lo spettacolo di sfarzo e di potenza che veniva messa in scena alla corte imperiale mirava del resto espressamente a suscitare nei sudditi stupefazione e timore allo scopo di renderli più docili e sottomessi. Non per nulla, i decreti imperiali si chiudevano con la famosa formula “tremate e obbedite”. Significato analogo ha l’espressione 戦 戦 兢 兢 (“sensenkyoukyou”), vale a dire “tremare d’ansia e di paura”, con cui i Giapponesi definivano i sentimenti che i sudditi dovevano provare in presenza dell’Imperatore (cfr.Nihongi 日本紀,”Cronache del Giappone”, cap.xxx,par.11).Questa espressione ha ispirato alla scrittrice belga Amélie Nothomb il titolo di un suo romanzo semiautobiografico “Stupeur et Tremblements”, ambientato in Giappone.
20) Il termine 賢 尊 (“xián zūn”), letteralmente “il degno e onorato (signore)”, era una delle espressioni di riguardo con cui nell’antica Cina una persona si riferiva al padre del proprio interlocutore.
21) Ho tradotto con Barbari del Nord il termine 北 番 (“bĕifān”). Il carattere 番 (“fān”), che vale “stranieri” si ritrova ad esempio in 吐 蕃 (“tŭfān”), il termine con cui sono designati i Tibetani.
22) Alcuni dei doni nuziali hanno valore simbolico. Gli agnelli, per la loro mansuetudine, ricordano la virtù dell’umanità (仁 “rén”). Le oche selvatiche e le anatre mandarine, uccelli monogami, siboleggiano la fedeltà coniugale.
23) I nomi delle dame sono stati interpretati in vario modo dai commentatori.
Secondo alcuni, essi indicherebbero le diverse classi in cui è divisa la società delle formiche, visto che alla fine del racconto il protagonista risulta aver visitato, in sogno, un formicaio nascosto tra le radici della sofora.
Secondo altri, si riferirebbero a diverse divinità. La Dama di Huàyáng (華 楊 “ huàyáng gù”) sarebbe la Dea del Pendio Meridionale del Monte Huà (華 楊 山 仙 故 “huàyángshān xiāngù”), che era un celebre luogo di culto taoista. La Dama di Qīnxī (青 溪 故 “qīnxī gù”) sarebbe la Dea del Ruscello Verde (青 溪 神 女 “qīngxī shénnǚ”).
24) La descrizione corrisponde a quella della corte imperiale sotto la dinastia Táng. Come risulta dalle testimonianze dell’epoca migliaia di donne erano al servizio dell’Imperatore e delle sue consorti. Nella poesia di Dù Fŭ intitolata “Canto composto guardando un’allieva della prima ballerina Gōngsūn eseguire la Danza della Spada”, leggiamo: “Ottomila donne abitavano il palazzo del defunto imperatore”. Nella “Canzone dell’Eterno Rimpianto” di Bái Jūyì troviamo: ”Tremila bellissime fanciulle affollavano il gineceo imperiale,ma una sola di esse monopolizzava l'amore che spettava a tutte.”
25) È molto ben descritta l’atmosfera di una festa in cui le ragazze cercano di attirare l’attenzione con sorrisi, battute e moine.
26) Il Giorno della Purificazione Primaverile (上 巳日 “shàngsìrì”) era una delle principali feste dell’epoca Táng. La gente faceva scampagnate e si bagnava nei laghi e nei torrenti per detergere il corpo dalla sporcizia accumulata nei mesi invernali. Era una delle rare occasioni in cui uomini e donne potevano ritrovarsi insieme.
27) Il termine 靈 芝 (“língzhī”) indica il Ganoderma lucidum, un fungo saprofita di consistenza legnosa che cresce abitualmente sui ceppi di quercia e di castagno. Alcuni hanno voluto vederci una velata allusione ai formicai che si trovano anch’essi spesso sui ceppi degli alberi caduti o abbattuti.
28) Il Tempio della Saggezza (禪 智 寺 “chánzhìsì”) era un famoso tempio di Yángzhōu 揚 州 appartenente alla setta del Buddhismo Chán 禪 .
29) Il termine 天 竺 ( ”tiānzhú”), letteralmente “Bambù del Cielo”, era l’antico nome dato all’India dai Buddhisti cinesi. Esso compare per la prima volta nel “Libro dei Hàn Posteriori” ( 後 漢 書 “hòu hànshū”).
30) Il carattere 石 (“shí”), che accompagna il nome Yán 延 , sembra riferirsi a un danzatore originario della Sogdiana, regione dell’Asia Centrale che corrisponde all’odierno Uzbekistan e che era allora conosciuta come Shíguó 石 國 . Va ricordato che la musica e le danze indiane giunsero in Cina seguendo lo stesso cammino dei missionari buddhisti, cioè attraverso la Via della Seta.
31) Il termine 婆 羅 門 (“póluómén”), translitterazione del sanscrito “brahmin” (ब्राह्मण), indicava in origine i religiosi indiani che andarono in Cina a predicare la dottrina buddhista. Successivamente assunse valore di aggettivo per indicare tutto ciò che proveniva dall’India.
32) Il “Sutra di Guānyīn”(觀 音 經 “guānyīn jīng”) è il nome con cui è comunemente conosciuto in Cina il venticinquesimo capitolo del Saddharmapuṇḍarīkasūtra, il Sutra del Loto della Legge Meravigliosa (in cinese: 妙 法 連 華 經 “miào fă lián huá jīng”). Questo capitolo, intitolato “La Porta Universale di Guānshìyīn” (觀 世 音 普 門 品 (“guānshìyīn pŭmén pĭn”), cominciò a circolare come testo indipendente poco tempo dopo la traduzione del Sutra del Loto ad opera di Kumārajīva ed ebbe subito larga diffusione.
33) Il monaco Qìxuán 栔 玄 teneva “conferenze popolari” (俗 講 “sújiăng”) che mescolavano la lettura di testi buddhisti con racconti di storie e aneddoti edificanti ed erano molto amate dal pubblico femminile, forse perché fornivano alle donne una delle rare occasioni che avevano per uscire di casa. Qìxuán è menzionato anche in una poesia di Lú Lún 盧 綸 (739 d.C.-799 d.C.).
34) La frase di Chúnyú è una citazione del Libro delle Odi (詩 經 “shījīng”), Odi Minori (小 雅 “ xiăo yā”), n.228, “I Gelsi della Palude“ (隰 桑 ”xí sāng”), ultimo verso:” Lo conservo nel profondo del cuore. Quando mai potrei dimenticarlo? (中 心 藏 之 何 日 忘 之 ”zhōng xīn cáng zhī, hé rì wàng zhī”).
35) Pīngyí 平 易 era il capoluogo della prefettura di Tóng 同 , circa sessanta miglia a nord-est di Cháng’Ān 長 安 .
36) Il termine (司 隸 “sīlì”) indicava una funzione che i dizionari inglesi traducono con “metropolitan commander” e che io ho inteso come “comandante della polizia della capitale”.
37) Zĭhuà teme che il successo e la gloria facciano dimenticare a Chúnyú i suoi vecchi compagni e lo prega di restar fedele alla loro amicizia.
38) Ho tradotto l’espressione 修 儀 宮 (“xiūyí gōng”) con “Palazzo delle Cerimonie”, perché questo mi sembra essere il senso della pomposa denominazione (letteralmente: “Palazzo della Rettificazione delle Cerimonie” o “Palazzo dove le cerimonie sono correttamente eseguite”).
39) La frase sembra riferirsi al complicato cerimoniale della corte imperiale cinese che prevedeva un triplice omaggio composto ogni volta da un inchino, una genuflessione e una prostrazione.
40) L’autore alimenta deliberatamente il dubbio sulla natura degli avvenimenti. Un momento prima, ha detto che si sente una musica diversa da quella che si ascolta “nel mondo degli uomini”. Ora invece precisa che il cerimoniale è identico a quello del “mondo degli uomini”.
41) Secondo alcuni commentatori, il termine 扇 (“shàn”) indicherebbe il ventaglio con cui la sposa si copre il volto prima di mostrarsi allo sposo nel corso della cerimonia nuziale.Per altri indicherebbe invece un copricapo con velo che la sposa indossa perché il suo volto non sia visto da nessuno prima della cerimonia nuziale.
42) Il titolo richiama quello che veniva spesso usato per i discendenti delle famiglie reali: “Foglia di Giada sul Ramo d’Oro” ( 金 枝 玉 葉 “jīnzhī yúyè”).
43) Le grandi battute di caccia avevano spesso natura di esercizi militari volti a saggiare , in particolare, le qualità della cavalleria. Un’interpretazione di questo genere sembra qui favorita dalla menzione del “Monte dello Spirito Tartaruga” ( 靈 龜 “língguīshān”). Era chiamata “Spirito Tartaruga” la tartaruga che aveva raggiunto i diecimila anni d’età. La tartaruga era legata alla figura del dio della guerra Xuánwŭ 玄 武 , il Guerriero Misterioso, che è abitualmente raffigurato seduto in trono con il piede destro poggiato su un serpente e con la gamba sinistra allungata su una tartaruga. Questa iconografia si rifà ad un mito ripreso nel famoso romanzo “Viaggio in Occidente” (西 遊 記 “xī yóu jì”) in cui si racconta che il mitico re Xuánwŭ aveva ai suoi ordini due generali: il generale Tartaruga e il generale Serpente (龜 蛇 二 將 ”guī shé èr jiàng”).
44) Normalmente si dovrebbe dire “trascorso qualche giorno”. Alcuni commentatori vedono in questa espressione un indizio del fatto che la storia si svolge in una realtà “agli antipodi”. In effetti, nel mondo sotterraneo del formicaio, che, come vedremo, alla fine, il protagonista ha umanizzato nel suo sogno, appare logico che l’unità di misura del tempo sia la notte.
45) Il termine 委 曲(“wĕiqū”) che significa in “modo indiretto”, in “modo sinuoso”, “tortuosamente” ci induce a pensare che il padre non voglia lasciar capire chiaramente al figlio dove si trovi. Vedremo, alla fine del racconto, le ragioni di questo comportamento.
46) La menzione di “una via lunga e difficile, battuta dal vento e ostacolata dalla nebbia” rafforza la convinzione che il padre non desideri che il figlio vada a trovarlo là dove egli si trova.
47) L’anno del “bue di fuoco” (丁丑 “dīngchŏu”) è, nel calendario cinese, il quattordicesimo anno del ciclo sessagesimale. Nel caso specifico corrisponde al 797 d.C.
48) Il verbo 捧 (“pĕng”) significa “tenere con entrambe le mani”. Tenere un oggetto con entrambe le mani è segno di rispetto per l’oggetto stesso e per la persona che ce l’ha dato o alla quale lo dobbiamo consegnare. Ancor oggi, per esempio, un dono deve essere offerto presentandolo con entrambe le mani.
49) Si tratta di un richiamo al “Libro dei Mutamenti” (易 經 “yì jīng”), nel quale si legge, con riferimento all’esagramma n.40 解 (“jiĕ”): “Se uno porta un peso sulla schiena e viaggia in carrozza attirerà i briganti”. Il Xìcízhuàn ( 繫 辭 傳 “Commento sulle relazioni tra gli esagrammi” ) spiega in questo modo il significato dell’espressione:” Portare carichi sulla schiena è il lavoro dei poveracci, viaggiare in carrozza è il privilegio dei nobili. Se un poveraccio viaggia in carrozza, i banditi penseranno che sia facile derubarlo. Così, se il sovrano è incurante e i suoi funzionari sono incompetenti, il nemico penserà che sia facile attaccare lo Stato”.
50) Abbiamo qui un’altra menzione del “Libro dei Mutamenti”. Nel commento intitolato Xiàngzhuàn 象 傳 si legge la seguente spiegazione dell’esagramma n.50 (鼎 “dīng” ), nel caso in cui il “dĭng”, cioè il “pentolone”, abbia una gamba spezzata: “Il pentolone si rovescia e la zuppa del sovrano è sprecata.Come si può dare fiducia alla persona di cui si tratta?”. Non si può accordare fiducia a un cuoco che non conosce il suo mestiere e che rovescia la zuppa. Allo stesso modo, come si possono affidare incarichi importanti a persone incompetenti senza provocare gravi danni allo Stato?”.
51) Rappresentanti di tutte le categorie sociali corrono a rendere omaggio al nuovo governatore. I termini 和 尚 (“héshàng”) e 道 士 (“dàoshì”) indicano rispettivamente il clero buddhista e quello taoista. Il termine 父 老 (“fùlào”) designa gli anziani, cioè i vecchi capifamiglia che, nell’antica Cina, godevano di un notevole prestigio. Con 士 紳 (“shìshēn”) si intende la nobiltà terriera, i cui membri, grazie alle ricchezze familiari, potevano compiere buoni studi e accedere alle cariche dello Stato; il termine è perciò spesso usato anche nel senso di “classe dei letterati”. Bande e fanfare (樂 隊 “yuèduì”) potevano essere sia civili sia militari. L’espressione 管 車 的 差 役 (“guănchē de chāyì”) sembra indicare reparti militari scelti che servivano sui carri da guerra. Il termine 武卫(“wŭwèi”) indica soldati o agenti di polizia. L’ultimo termine dell’elenco 人员 (“rényuán”), letteralmente “membro della gente”, sembra riferirsi , potremmo dire per esclusione, al popolo in generale.
52) Ho reso con un linguaggio più burocratico, ciò che l’autore descrive con uno stile assai diretto: “Sceso dalla carrozza , Fén esaminò i costumi, curò le malattie e alleviò la miseria”.
53) Il termine cinese è 食 邑(“shíyì”), letteralmente “ città per il nutrimento”, giacché i redditi dei beni dati in feudo dovevano garantire all’interessato un tenore di vita adeguato al suo rango.
54) Il termine cinese è 臺輔 ("táifŭ"), letteralmente "tutore della terrazza". Per "terrazza" si intende in questo caso il palazzo imperiale.
55) Il periodo di lutto per la morte dei genitori fissato dalle norme confuciane era di tre anni. Numerosi sono gli esempi di funzionari che lasciarono temporaneamente il servizio per tale motivo. Per il decesso della consorte le regole erano probabilmente meno rigide, ma, trattandosi di una principessa, era certamente previsto un adeguato periodo di lutto.
56) Tián Zĭhuà è stato prima menzionato come controllore delle finanze. Si deve tuttavia osservare che i due titoli non sono in contraddizione tra di loro. Ai tempi della dinastia Hàn, per esempio,l’amministrazione delle finanze era affidata ai cosiddetti “funzionari della terra" (地官 “dìguān”) che erano il “ministro delle masse”(司徒 “sītú) e il “ministro dell’agricoltura” (司 農 “sīnóng”).
57) I titoli postumi tendevano spesso a riassumere le caratteristiche salienti di un personaggio. Nel caso specifico il titolo 順儀 公 王 (“shùnyí gōngwáng”), vale a dire “principessa che si è conformata ai riti”, intende mettere in risalto la riservatezza e l’obbedienza che la defunta ha sempre mostrato nell’ambito della sua vita familiare.
58) Il titolo 大司憲 (“dà sīxiàn”) fu attribuito nel 662 d.C. , sotto la dinastia Táng, al censore capo, cioè al funzionario che sovrintendeva al personale dell’amministrazione pubblica e ne controllava il comportamento.
59) La frase 事 在 蕭 牆 (“shì zài xiāo qiáng”), letteralmente “ fatti all’interno del muro di schermo”, è un’espressione proverbiale usata per indicare disordini intestini e guerre civili. Il “muro di schermo” (蕭牆 “xiāo qiáng”) è un elemento tipico della casa cinese tradizionale. Si tratta di una parete eretta di fronte alla porta d’entrata o, all’interno del cortile, immediatamente dietro la porta d’entrata, con il duplice scopo di proteggere la dimora dagli spiriti e di sottrarre alla curiosità dei passanti ciò che avviene dentro la casa.
60) Troviamo qui un’allusione abbastanza chiara al fatto che le avventure vissute da Fén sono soltanto un ‘illusione. Il testo cinese dice infatti 卿 本人間( qīng bĕn rén jiàn), vale a dire “La tua origine è tra gli uomini”.
61) Lo “spirito volpe” (狐狸精 “hŭlí jīng”) è una figura della mitologia cinese che trova corrispondenza in figure analoghe del folklore giapponese ( 狐 “ kitsune”) e coreano (구미호 “kumiho”).
Si crede che abbia poteri magici e che possa assumere forma umana, presentandosi in genere sotto l’aspetto di una fanciulla giovane e bella.
Può essere, secondo i casi, di natura buona oppure malvagia.
Il termine 木 媚 (“mù mèi”), scritto anche 木 魅, designa invece gli "spiriti degli alberi", che spesso facevano del male agli uomini. Essi erano associati, nei testi più antichi, agli "spiriti dei monti" (山精 “shān jīng").
62) Il termine “dàomén” ( 道門), letteralmente “la porta della Via”, è usato nel Dào Dé Jīng (道 德 經 ) per indicare la dottrina taoista.
63) Il diciottesimo anno dell’era Zhĕngyuán (貞元) corrisponde all’802 d.C.
64 ) Ho tradotto il termine Huáipŭ 淮 浦 con “riva del fiume Huái”. Era chiamato Huáipŭ il punto in cui il Dà Yùnhé 大 運 河,il gran canale a nord del Fiume Azzurro, raggiungeva il fiume Huái.
65) Si nota una certa incongruenza fra le diverse date indicate nella storia del governatore di Nánkē da Lĭ Gōngzuŏ, il quale, probabilmente, non ha prestato molta attenzione ai dettagli cronologici. Ci viene infatti raccontato che il sogno di Chúnyú Fén avviene nel settimo anno dell’era Zhĕngyuán, cioè nel 791 d.C. Al protagonista viene predetto che morirà tre anni dopo, nell’anno del “bue di fuoco” (丁丑 “dīngchŏu"), ma il terzo anno successivo al 791 d.C. è il 794 d.C, mentre, se si calcolano gli anni sulla base del tradizionale ciclo sessagesimale, l’anno del “bue di fuoco” corrisponde al 797 d.C. Inoltre, l’autore afferma di aver incontrato Chúnyú Fén durante il diciottesimo anno dell’era Zhéngyuán, cioè nell’802 d.C. Il protagonista del racconto sarebbe dunque stato ancora vivo ben undici anni dopo il famoso sogno.
66) Il termine 參 軍 ( cānjūn”) significava originariamente “arruolarsi nell’esercito”. Da questo significato iniziale si è passati a quello di “militare” e, più tardi, a quello di “ufficiale”. In taluni periodi, esso designava anche uno specifico grado militare.
67) Huázhōu 华 州 corrisponde all’antica contea di Huá 華 縣 nello Shănxī 陕 西. Il poeta Dù Fŭ 杜 甫 vi fu trasferito per punizione nell’estate del 758 d.C.
南 柯太 史 傳
東平淳于棼,吳楚遊俠之士,嗜酒使氣,不守細行,累巨產,養豪客。曾以武藝補淮南軍裨將,因使酒忤帥,斥逐落魄,縱誕飲酒為事。家住廣陵郡東十里,所居宅南有大古槐一株,枝幹修密,清陰數畝,淳於生日與群豪大飲其下。
唐貞元七年九月,因沈醉致疾,時二友人於坐,扶生歸家,臥於堂東廡之下。二友謂生曰:「子其寢矣,余將秣馬濯足,俟子小愈而去。」生解巾就枕,昏然忽忽,彷彿若夢。見二紫衣使者,跪拜生曰:「槐安國王遣小臣致命奉邀。」生不覺下榻整衣,隨二使至門。見青油小車,駕以四牡,左右從者七八,扶生上車,出大戶,指古槐穴而去,使者即驅入穴中。生意頗甚異之,不敢致問。
忽見山川風候,草木道路,與人世甚殊。前行數十里,有郛郭城堞,車輿人物,不絕於路。生左右傳車者傳呼甚嚴,行者亦爭辟於左右。又入大城,朱門重樓,樓上有金書,題曰「大槐安國」。執門者趨拜奔走,旋有一騎傳呼曰:「王以駙馬遠降,令且息東華館。」因前導而去。
俄見一門洞開,生降車而入。彩檻雕楹,華木珍果,列植於庭下;几案茵褥,簾幃肴膳,陳設於庭上。生心甚自悅。復有呼曰:「右相且至。」生降階祗奉。有一人紫衣象簡前趨,賓主之儀敬盡焉。右相曰:「寡君不以弊國遠僻,奉迎君子,托以姻親。」生曰:「某以賤劣之軀,豈敢是望。」右相因請生同詣其所。
行可百步,入朱門,矛戟斧鉞,布列左右,軍吏數百,辟易道側。生有平生酒徒周弁者,亦趨其中,生私心悅之,不敢前問。右相引生升廣殿,御衛嚴肅,若至尊之所。見一人長大端嚴,居正位,衣素練服,簪朱華冠。生戰栗,不敢仰視。左右侍者令生拜,王曰:「前奉賢尊命,不棄小國,許令次女瑤芳奉事君子。」生但俯伏而已,不敢致詞。王曰:「且就賓宇,續造儀式。」有旨,右相亦與生偕還館舍。生思念之,意以為父在邊將,因沒虜中,不知存亡。將謂父北蕃交通,而致茲事,心甚迷惑,不知其由。
是夕,羔雁幣帛,威容儀度,妓樂絲竹,肴膳燈燭,車騎禮物之用,無不咸備。有群女,或稱華陽姑,或稱青溪姑,或稱上仙子,或稱下仙子,若是者數輩,皆侍從數千,冠翠鳳冠,衣金霞帔,采碧金鈿,目不可視。遨遊戲樂,往來其門,爭以淳于郎為戲弄。風態妖麗,言詞巧艷,生莫能對。復有一女謂生曰:「昨上巳日,吾從靈芝夫人過禪智寺,於天竹院觀右延舞《婆羅門》,吾與諸女坐北牖石榻上。時君少年,亦解騎來看,君獨強來親洽,言調笑謔。吾與瓊英妹結絳巾,掛於竹枝上,君獨不憶念之乎?又七月十六日,吾於孝感寺侍上真子,聽契玄法師講《觀音經》。吾於講下捨金鳳釵兩支,上真子捨水犀合子一枚,時君亦講筵中,於師處請釵合視之,賞歎再三,嗟異良久。顧余輩曰:『人之與物,皆非世間所有。』或問吾民,或訪吾里,吾亦不答。情意戀戀,矚盼不舍,君豈不思念之乎?」生曰:「中心藏之,何日忘之。」群女曰:「不意今日與君為眷屬。」
復有三人,冠帶甚偉,前拜生曰:「奉命為駙馬相者。」中一人,與生且故,生指曰:「子非馮翊田子華乎?」田曰:「然。」生前,執手敘舊久之。生謂曰:「子何以居此?」子華曰:「吾放遊,獲受知於右相武成侯段公,因以棲托。」生復問曰:「周弁在此,知之乎?」子華曰:「周生貴人也,職為司隸,權勢甚盛,吾數蒙庇護。」言笑甚歡。俄傳聲曰:「駙馬可進矣。」三子取劍佩冕服更衣之。子華曰:「不意今日獲睹盛禮,無以相忘也。」
有仙姬數十,奏諸異樂,婉轉清亮,曲調淒悲,非人間之所聞聽。有執燭引導者亦數十,左右見金翠步障,彩碧玲瓏,不斷數里。生端坐車中,心意恍惚,甚不自安,田子華數言笑以解之。向者群女姑娣,各乘鳳翼輦,亦往來其間。
至一門,號修儀宮,群仙姑姊,亦紛然在側。令生降車輦拜,揖讓升降,一如人間。撤障去扇,見一女子,云號金枝公主,年可十四五,儼若神仙。交歡之禮,頗亦明顯。生自爾情義日洽,榮曜日盛,出入車服,遊宴賓御,次於王者。
王命生與群僚備武衛,大獵於國西靈龜山。山阜峻秀,川澤廣遠,林樹豐茂,飛禽走獸,無不蓄之。師徒大獲,竟夕而還。
生因他日啟王曰:「臣頃結好之日,大王云奉臣父之命。臣父頃佐邊將,用兵失利,陷沒胡中,爾來絕書信十七八歲矣。王既知所在,臣請一往拜覲。」王遽謂曰:「親家翁職守北土,信問不絕,卿但具書狀知聞,未用便去。」遂命妻致饋賀之禮,一以遣之。數夕還答,生驗書本意,皆父平生之跡,書中憶念教誨,情意委屈,皆如昔年。復問生親戚存亡,閭里興廢。復言路道乖遠,風煙阻絕,詞意悲苦,言語哀傷,又不令生來覲。云歲在丁丑,當與女相見。生捧書悲咽,情不自堪。
他日,妻謂生曰:「子豈不思為政乎?」生曰:「我放蕩,不習政事。」妻曰:「卿但為之,余當奉贊。」妻遂白於王。累日,謂生曰:「吾南柯政事不理,太守黜廢,欲藉卿才,可曲屈之,便與小女同行。」生敦受教命。王遂敕有司備太守行李,因出金玉錦繡,箱奩僕妾車馬列於廣衢,以餞公主之行。生少遊俠,曾不敢有望,至是甚悅。因上表曰:「臣將門餘子,素無藝術。猥當大任,必敗朝章。自悲負乘,坐致覆癐。今欲廣求賢哲,以贊不逮。伏見司隸穎川周弁忠亮剛直,守法不回,有毗佐之器。處士馮翊田子華清慎通變,達政化之源。二人與臣有十年之舊,備知才用,可托政事。周請署南柯司憲,田請署司農,庶使臣政績有聞,憲章不紊也。」王並依表以遣之。
其夕,王與夫人餞於國南。王謂生曰:「南柯國之大郡,土地豐壤,人物豪盛,非惠政不能以治之,況有周田二贊,卿其勉之,以副國念。」夫人戒公主曰:「淳于郎性剛好酒,加之少年,為婦之道,貴乎柔順,爾善事之,吾無憂矣。南柯雖封境不遙,晨昏有間,今日暌別,寧不沾巾。」生與妻拜首南去,登車擁騎,言笑甚歡,累夕達郡。
郡有官吏僧道耆老音樂車輿武衛鑾鈴,爭來迎奉,人物闐咽,鐘鼓喧嘩,不絕十數里。見雉堞臺觀,佳氣鬱鬱。入大城門,門亦有大榜,題以金字,曰「南柯郡城」,是朱軒棨戶,森然深邃。生下車,省風俗,療病苦,政事委以周田,郡中大理。自守郡二十載,風化廣被,百姓歌謠,建功德碑,立生祠宇。王甚重之,賜食邑,錫爵位,居臺輔。周田皆以政治著聞,遞遷大位。生有五男二女,男以門蔭授官,女亦娉於王族,榮耀顯赫,一時之盛,代莫比之。
是歲,有檀蘿國者,來伐是郡。王命生練將訓師以征之,乃表周弁將兵三萬,以拒賊之眾於瑤臺城。弁剛勇輕進,師徒敗績,弁單騎裸身潛遁,夜歸城,賊亦收輜重鎧甲而還。生因囚弁以請罪,王並捨之。是月,司憲周弁疽發背卒。生妻公主遘疾,旬日又薨。
生因請罷郡,護喪赴國,王許之,便以司農田子華行南柯太守事。生哀慟發引,威儀在途,男女叫號,人吏奠饌,攀轅遮道者,不可勝數,遂達於國。王與夫人素衣哭於郊,候靈輿之至。謚公主曰順儀公主,備儀仗羽葆鼓吹,葬於國東十里盤龍岡。是月,故司憲子榮信亦護喪赴國。
生久鎮外藩,結好中國,貴門豪族,靡不是洽。自罷郡還國,出入無恒,交遊賓從,威福日盛,王意疑憚之。時有國人上表云:「玄象謫見,國有大恐,都邑遷徙,宗廟崩壞。釁起他族,事在蕭牆。」時議以生侈僭之應也,遂奪生侍衛,禁生遊從,處之私第。生自恃守郡多年,曾無敗政,流言怨悖,鬱鬱不樂。王亦知之,因命生曰:「姻親二十餘年,不幸小女夭枉,不得與君子偕老,良用痛傷。夫人因留孫自鞠育之。」又謂生曰:「卿離家多時,可暫歸本里,一見親族,諸孫留此,無以為念。後三年,當令迎生。」生曰:「此乃家矣,何更歸焉?」王笑曰:「卿本人間,家非在此。」生忽若惛睡,瞢然久之,方乃發悟前事,遂流涕請還。王顧左右以送生,生再拜而去。
復見前二紫衣使者從焉,至大戶外,見所乘車甚劣,左右親使御僕,遂無一人,心甚歎異。生上車行可數里,復出大城,宛是昔年東來之途,山川源野,依然如舊。所送二使者,甚無威勢,生逾怏怏。生問使者曰:「廣陵郡何時可到?」二使謳歌自若。久之乃答曰:「少頃即至。」俄出一穴,見本里閭巷,不改往日。潸然自悲,不覺流涕。
二使者引生下車,入其門,升自階,己身臥於堂東廡之下。生甚驚畏,不敢前近。二使因大呼生之姓名數聲,生遂發寤如初,見家之僮僕,擁篲於庭,二客濯足於榻,斜日未隱於西垣,餘樽尚湛於東牖。夢中倏忽,若度一世矣,生感念嗟歎,遂呼二客而語之,驚駭,因與生出外,尋槐下穴。生指曰:「此即夢中所驚入處。」二客將謂狐狸木媚之所為祟,遂命僕夫荷斤斧,斷擁腫,折查蘗,尋穴究源。
旁可袤丈,有大穴,根洞然明朗,可容一榻,上有積土壤,以為城郭臺殿之狀,有蟻數斛,隱聚其中。中有小臺,其色若丹,二大蟻處之,素翼朱首,長可三寸,左右大蟻數十輔之,諸蟻不敢近,此其王矣,即槐安國都也。又窮一穴,直上南枝可四丈,宛轉方中,亦有土城小樓,群蟻亦處其中,即生所領南柯郡也。又一穴,西去二丈,磅礡空朽,嵌窞異狀,中有一腐龜殼,大如斗,積雨浸潤,小草叢生,繁茂翳薈,掩映振殼,即生所獵靈龜山也。又窮一穴,東去丈餘,古根盤屈,若龍虺之狀,中有小土壤,高尺餘,即生所葬妻盤龍岡之墓也。追想前事,感歎於懷,披閱窮跡,皆符所夢。不欲二客壞之,遽令掩塞如舊。
是夕,風雨暴發。旦視其穴,遂失群蟻,莫知所去。故先言國有大恐,都邑遷徙,此其驗矣。復念檀蘿征伐之事,又請二客訪跡於外。宅東一里,有古涸澗,側有大檀樹一株,藤蘿擁織,上不見日,旁有小穴,亦有群蟻隱聚其間,檀蘿之國,豈非此耶!嗟乎!蟻之靈異,猶不可窮,況山藏木伏之大者所變化乎?
時生酒徒周弁、田子華,並居六合縣,不與生過從旬日矣,生遽遣家僮疾往候之。周生暴疾已逝,田子華亦寢疾於床。生感南柯之浮虛,悟人世之倏忽,遂棲心道門,絕棄酒色。後三年,歲在丁丑,亦終於家,時年四十七,將符宿契之限矣。
公佐貞元十八年秋八月,自吳之洛,暫泊淮浦,偶覿淳于生棼,詢訪遺跡。翻復再三,事皆摭實,輒編錄成傳,以資好事。雖稽神語怪,事涉非經,而竊位著生,冀將為戒。後之君子,幸以南柯為偶然,無以名位驕於天壤間云。
前華州參軍李肇贊曰:「貴極祿位,權傾國都。達人視此,蟻聚何殊。」
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