Capitolo XX
Cáo Cāo organizza una battuta di caccia nel Xŭtiàn.
L'Imperatore affida a Dŏng Chéng una missione segreta
I. Come abbiamo detto nel capitolo precedente, Cáo Cāo alzò la spada per colpire Zhāng Liáo, ma venne trattenuto. Liú Bèi gli afferrò il braccio e Guān Yŭ si inginocchiò dinanzi a lui.
“Non sarebbe meglio risparmiare un uomo così leale e prenderlo al vostro servizio ?” gli domandò Liú Bèi.
“Conosco la lealtà di Zhāng Liáo” aggiunse Guān Yŭ “e sono pronto a garantire per lui con la mia stessa vita”.
Cāo gettò via la spada e sorrise: “ So anch’io che è un uomo coraggioso e leale. Stavo soltanto fingendo di volerlo uccidere.”, poi sciolse lui stesso i legami del prigioniero, gli fece portare un cambio d’abiti e lo invitò a sedersi accanto a lui.
II. Zhāng Liáo fu commosso da queste cortesie e giurò fedeltà a Cāo.
Cāo lo nominò generale della guardia imperiale e gli conferì il titolo di marchese di Guānnèi, poi lo inviò ad affrontare Zāng Bà, il quale, quando seppe che Lǚ Bù era morto e che Zhāng Liáo aveva cambiato campo, decise di arrendersi anche lui.
Zāng fu ricevuto benevolmente da Cāo e convinse ad arrendersi gli altri capi ribelli, vale a dire Sūn Guān, Wú Dūn e Yĭn Lǐ, con la sola eccezione di Chāng Xī, che non volle deporre le armi.
Tutti i capi ribelli che si arresero furono bene accolti. Zāng Bà fu nominato governatore di Lángyá. Sūn Guān e gli altri ricevettero anche loro degli incarichi e furono nominati prefetti in varie città marittime e interne della regione di Xúzhōu.
La famiglia di Lǚ Bù fu inviata alla capitale.
III. Dopo che si fu svolto un gran festino in onore dei soldati vittoriosi, fu tolto il campo e l’esercito si diresse verso Xúzhōu. Mentre le truppe attraversavano la città, la popolazione festante affollava le strade e bruciava incenso.
Gli abitanti di Xúzhōu chiesero che Liú Bèi riprendesse subito le funzioni di governatore della città (1), ma Cāo rispose loro: “Liú Bèi si è grandemente distinto nella campagna che è appena terminata. Aspettate che sia ricevuto in udienza dall’Imperatore e che riceva la sua ricompensa. Tornerà presto da voi”. La gente si inchinò e ringraziò.
Chē Zhòu, comandante della cavalleria e dei reparti di carri da guerra, fu provvisoriamente nominato governatore di Xúzhōu.
Dopo che l’esercito di Cāo fu ritornato a Xŭchāng, vennero concesse ricompense a coloro che avevano partecipato alla spedizione.
LIú Bèi fu trattenuto nella capitale e fu alloggiato in una casa vicina alla residenza del Primo Ministro.
IV. Il giorno seguente, si svolse un’udienza imperiale, nella quale Cāo lesse una relazione sui meriti militari di Liú Bèi, che fu presentato all’Imperatore.
Liú Bèi, vestito con gli abiti di cerimonia, si prosternò ai piedi della scalinata, ma l’Imperatore lo invitò a salire accanto al trono (2) e gli domandò chi fossero i suoi antenati.
“Il vostro servitore” rispose Liú Bèi “ è figlio di Liú Hóng e nipote di Liú Xióng, il quale discendeva dal principe Jìng di Zhōngshān (3), che era, a sua volta uno dei figli dell’Imperatore Xiàojĭng”.(4)
L’Imperatore si fece allora portare i registri genealogici e diede ordine di esaminarli, poi comandò ad un cortigiano di leggere ad alta voce quanto vi era scritto:
“L’Imperatore Xiàojĭng ebbe quattordici figli, il settimo dei quali fu Liú Shèng, principe Jìng di Zhōngshān. Shèng generò Liú Zhèn, marchese di Lúchéng. Zhèn generò Liú Áng, marchese di Pèi. Áng generò Liú Lù, marchese di Zhāng. Lù generò Liú Liàn, marchese di Yíshuĭ. Liàn generò Liú Yīng, marchese di Qīnyáng. Yīng generò Liú Jiàn, marchese di Ānguó. Jiàn generò Liú Āi, marchese di Guănglíng. Āi generò Liú Xiàn, marchese di Jiāoshuĭ. Xiàn generò Liú Shū,marchese di Zūyì. Shū generò Liú Yì, marchese di Qíyáng. Yì generò Liú Bì, marchese di Yuánzé. Bì generò Liú Dá, marchese di Yĭngchuān. Dá generò Liú Bùyí, marchese di Fēnglíng. Bùyí generò Liú Huì, marchese di Jìchuān. Huì generò Liú Xióng, governatore di Dōngjùn. Xióng generò Liú Hóng, che non ebbe né titoli né incarichi. Il figlio di Liú Hóng si chiama Liú Bèi”.
V. L’Imperatore comparò la genealogia di Liú Bèi con la propria e scoprì che Liú Bèi poteva essere considerato suo zio. (5) Se ne rallegrò grandemente e invitò Liú Bèi a seguirlo in un’altra sala per ricevere il saluto cerimoniale dovuto da un nipote allo zio. (6) Nel suo intimo, l’Imperatore era contento di aver trovato un parente così valoroso, che avrebbe potuto aiutarlo contro Cáo Cāo, il quale esercitava un potere assoluto, senza lasciargli alcuna possibilità di occuparsi delle questioni di governo. Attribuì quindi a Liú Bèi il grado di generale dell’ala destra e gli conferì il titolo di marchese di Yíchéng.
Dopo aver partecipato ad un banchetto offerto dall’Imperatore, il quale lo trattò con molta cortesia, Liú Bèi ringrazio per gli onori ricevuti e lasciò la Corte. Da quel momento, tutti cominciarono a chiamarlo “Liú, lo zio dell’Imperatore”.
VI. Quando Cáo Cāo ritornò alla sua residenza, Xún Yù e alcuni altri consiglieri andarono a trovarlo e gli dissero: “Non è un bene per voi, Eccellenza, che l’Imperatore abbia riconosciuto Liú Bèi come zio“.
“Non ha importanza che Liú Bèi venga considerato come lo zio dell’Imperatore. ”replicò Cāo” Dal momento che sono io a stilare i decreti imperiali, non oserà non obbedirmi. Inoltre lo farò rimanere qui nella capitale, con il pretesto che il sovrano vuole averlo vicino, ma in realtà per tenerlo sotto controllo. Perché dovrei averne paura?
Chi mi preoccupa, invece, è il Gran Maresciallo Yáng Biāo, che è un parente di Yuán Shù. Se si mettesse a intrigare con i due fratelli Yuán potrebbe arrecarmi un grave danno.”
Perciò Cāo incaricò in segreto un suo uomo di accusare falsamente Biāo di ordire complotti con Yuán Shù e lo fece arrestare. Avrebbe addirittura ordinato di ucciderlo, se avesse potuto farlo senza rischio.
VII. Si trovava in quel momento a Xŭdū il governatore del Bĕihăi Kŏng Ròng, il quale, rivolgendosi a Cāo, così gli disse: “ Il duca Yáng appartiene ad una famiglia che si è illustrata al servizio dell’Impero da almeno quattro generazioni. Non è possibile che abbia complottato con Yuán Shù.”
“L’Imperatore non la pensa in questo modo” gli rispose Cāo.
“Se il giovane re Chéng avesse condannato a morte il duca di Shào” ribattè Ròng” si sarebbe forse potuto credere che il duca di Zhòu non c’entrasse per niente?”.(7)
Cāo dovette perciò rinunciare ai proprî piani, ma spogliò Yáng Biāo dei suoi incarichi e lo obbligò a ritirarsi in provincia nei possedimenti di famiglia.
Il consigliere aulico Zhào Yán, indignato per questo abuso, presentò all’Imperatore un memoriale in cui accusava Cāo di aver arbitrariamente fatto arrestare un ministro senza richiedere un decreto imperiale.
Cāo, irritatissimo, lo fece uccidere. Con questa mossa terrorizzò tutti i cortigiani e li ridusse al silenzio.
Chéng Yù consigliò allora a Cāo di consolidare la propria posizione rompendo gli indugi.
“Eccellenza!” gli disse” Il vostro prestigio cresce di giorno in giorno. Perché non approfittate di questo momento favorevole per prendere ufficialmente il potere?” (8)
“I sostenitori della dinastia regnante sono ancora molto numerosi” gli rispose Cāo” Devo agire con prudenza. Organizzerò una battuta di caccia nella riserva imperiale per capire quale sia la miglior linea d’azione”. (9)
VIII. Furono dunque scelti eccellenti cavalli, falchi ben addestrati ed ottimi cani da caccia. Tutti si rifornirono di archi e frecce. Numerosi contingenti di soldati furono raggruppati alle porte della città.
Quando Cāo si presentò all’Imperatore per proporgli la battuta di caccia, quest’ultimo obiettò: ”Temo che una battuta di caccia non sia un’iniziativa opportuna in questo momento”.
“Gli antichi sovrani” gli rispose Cāo “organizzavano ogni anno quattro battute di caccia, una per stagione. Quella che si svolgeva in primavera era chiamata “sōu”, quella estiva “miáo”, quella autunnale “xiăn” e quella invernale “shòu”. (10) Effettuavano queste battute per mostrare al popolo la forza e l’efficienza delle loro truppe. Proprio ora che tutto l’Impero è sconvolto dal disordine, sarebbe opportuno organizzare una grande battuta di caccia per mostrare la potenza del nostro esercito.” (11)
L’Imperatore non osò contraddirlo. Salì subito a cavallo senza ulteriori obiezioni, si armò di uno splendido arco intarsiato e di frecce dalla punta dorata e, seguito dalla sua carrozza, uscì dalla città.
Liú Bèi e i suoi due amici fraterni, forniti anche loro d’ arco e frecce, ma rivestiti di una maglia di ferro occultata sotto gli abiti e con le armi in mano, lo scortarono fuori della capitale alla testa di alcune decine di cavalieri.
Cāo montava uno stallone grigio chiamato “Lampo Volante” ed aveva condotto con sé centomila uomini. (12)
La battuta di caccia si svolse nella pianura che circondava la capitale.
Le truppe stabilirono un cordone di sicurezza intorno al terreno di caccia, che aveva una circonferenza di più di cento chilometri.
Cāo e l’Imperatore cavalcano fianco a fianco, staccati ora l’uno ora l’altro di non più di un’incollatura. Coloro che li seguivano da vicino erano tutti ufficiali fedeli a Cāo. La massa dei cortigiani e dei militari si teneva a debita distanza. Chi avrebbe mai osato farsi avanti ed avvicinarsi?
IX. Quello stesso giorno, l’Imperatore, mentre cavalcava sul terreno di caccia, scorse, fermo al margine del sentiero, Liú Bèi che lo stava rispettosamente salutando.
“Mi piacerebbe vedere mio zio mostrare le sue doti di cacciatore!” esclamò l’Imperatore.
LIú Bèi obbedì e montò subito a cavallo.
Ad un tratto una lepre si mise a correre in mezzo all’erba. Liú Bèi scoccò una freccia e la colpì in pieno. L’Imperatore lodò la sua abilità.
Più tardi, mentre i cacciatori stavano cavalcando lungo un pendio, un grosso cervo balzò fuori dai cespugli.
L’Imperatore gli tirò tre frecce senza riuscire a colpirlo.
Allora, volgendosi a Cāo, gli disse: “Provate voi a tirare!”.
“Prestatemi il vostro arco e le vostre frecce.” gli rispose Cāo, poi tese lo splendido arco intarsiato e scoccò una freccia dorata, colpendo in pieno l’animale, che cadde fra l’erba.
I cortigiani sopraggiunti, vedendo la freccia dalla punta dorata, pensarono che quel bel colpo fosse stato messo a segno dall’Imperatore e corsero entusiasti verso di lui urlando : ”Lunga vita all’Imperatore”, ma Cáo Cāo diede di sprone al proprio cavallo e si piazzò davanti all’Imperatore, per ricevere lui le congratulazioni.
Tutti i cortigiani impallidirono.
X. Guān Yŭ, che stava alle spalle di Liú Bèi, fu colto da una gran rabbia. Drizzò fieramente le folte sopracciglia, spalancò gli occhi iniettati di rosso come quelli di una fenice, sguainò la spada e spronò il cavallo per gettarsi su Cáo Cāo, ma Liú Bèi se ne accorse e lo trattenne con un frettoloso cenno della mano, guardandolo fisso in volto, cosicché Guān Yŭ si fermò e rimase immobile.
In seguito Liú Bèi, inchinandosi a Cāo, si congratulò con lui: “Un tiro straordinario, Eccellenza! Veramente una cosa rara!”.
“L’Imperatore è stato molto fortunato” gli rispose Cāo con un sorriso, poi, voltato il cavallo verso l’Imperatore si felicitò con lui, ma non gli restituì l’arco intarsiato, che si mise invece a tracolla. (13)
XI. La battuta di caccia si concluse con un banchetto tenuto nella pianura intorno alla capitale, dopodiché tutti ritornarono a Xŭdū a riposarsi.
Gūan Yŭ , ancora furioso per la sfrontatezza di Cāo nei confronti del sovrano, domandò allora a Liú Bèi: “Fratello mio, se io avessi ucciso quel farabutto, come ero intenzionato a fare, avrei liberato il mondo di un gran mascalzone. Perché me lo hai impedito?”.
“Quando bastoni un topaccio, devi fare attenzione agli schizzi di fango.” gli rispose Liú Bèi” Cáo Cāo stava proprio accanto all’Imperatore ed era circondato da persone a lui fedeli. Se tu, nel tuo accesso di furore, non avessi badato bene a ciò che facevi ed avessi mancato il colpo, magari ferendo per sbaglio l’Imperatore, di quale orrendo misfatto ci saremmo resi responsabili.”
“Se non ci sbarazziamo adesso di questo brigante, in futuro sarà ancor peggio” insistette Gūan Yŭ.
“Per il momento dobbiamo essere prudenti. Sono cose di cui non si può parlare alla leggera” concluse Liú Bèi.
XII. Nel frattempo, l’Imperatore Xiàn era ritornato al suo palazzo e , con le lacrime agli occhi, aveva raccontato l’accaduto a sua moglie, l’Imperatrice Fú:
“Da quando sono asceso al trono, non ho avuto accanto a me che ministri intriganti e sleali: dapprima ho dovuto sopportare le macchinazioni di Dŏng Zhuò, in seguito affrontare i disordini provocati da Jué e da Sì. Tu ed io abbiamo dovuto subire avversità che gli altri non hanno mai provato. Più tardi, quando è arrivato Cáo Cāo, abbiamo creduto di trovare in lui un ministro devoto alla nazione e alla dinastia. (14) Invece, ha avocato a sé tutti i poteri dello Stato e ne abusa per il suo vantaggio personale. Ogni volta che lo vedo, mi prende lo sconforto. (15) In questi giorni, durante la battuta di caccia, ha avuto la sfrontatezza di farsi acclamare al mio posto, in spregio dell’etichetta. Presto o tardi ordirà certamente un complotto contro di me. Ahimè, moglie mia, noi due non sappiamo che fine faremo!”
“Come è possibile che fra tanti cortigiani che mangiano il pane dei Hàn non se ne trovi uno capace di venirci in aiuto quando il paese è in difficoltà?” esclamò l’Imperatrice Fú.
XIII. L’Imperatrice aveva appena finite di pronunciare queste parole quando entrò nella stanza un uomo che disse: “ Le Loro Maestà non hanno ragione di preoccuparsi. Troverò io una persona capace di salvare lo Stato.”
L’Imperatore lo guardò in viso: era Fú Wán, il padre dell’Imperatrice.
“Vi hanno raccontato, Signor Suocero, le prepotenze di quel brigante di Cáo Cāo?”gli domandò l’Imperatore, asciugandosi le lacrime.
“Intendete riferirvi all’episodio del cervo durante la battuta di caccia?” gli rispose il suocero” Chi non ne è al corrente? Purtroppo, la Corte è piena di parenti di Cāo, o di suoi partigiani. Se non ci fossero i membri della famiglia imperiale, non si troverebbe nessuno così leale da opporsi a quel farabutto. Io, personalmente, non dispongo di alcuna autorità e mi sarebbe difficile occuparmi di queste faccende, ma non potremmo affidarci a vostro suocero, il generale Dŏng Chéng (16), che comanda la cavalleria?”
“So bene che mio suocero Dŏng Chéng si è spesso occupato di complessi affari di Stato.” dichiarò l’Imperatore” Potremmo convocarlo qui per discutere con lui questi problemi della massima importanza”.
“I vostri assistenti” obiettò Wán sono tutti fedeli a Cāo. Se i nostri piani segreti dovessero essere scoperti, sarebbe un disastro”.
“Che cosa possiamo fare?” domandò l’Imperatore.
“M’è venuta un’idea.” gli rispose Wán “ Vostra Maestà potrebbe inviare in dono a Dŏng Chéng un abito da cerimonia ed una cintura di giada. Nell’imbottitura della cintura di giada si potrebbe nascondere un editto segreto che lo autorizzi a compiere certi atti. Quando tornerà a casa sua e leggerà l’editto, potrà cominciare subito ad elaborare dei piani. Neppure il diavolo potrebbe scoprire qualcosa”.
XIV. Dopo che l’imperatore ebbe approvato l’idea, Fú Wán prese congedo e si allontanò.
Allora l’Imperatore si morse profondamente la punta di un dito e con il sangue che ne sgorgava scrisse di propria mano un editto, che diede in segreto all’Imperatrice Fú, ordinandole di cucirlo all’interno della fodera di broccato vermiglio che rivestiva una cintura di giada. Fatto ciò, indossò una toga di broccato, si avvolse la cintura intorno alla vita e comandò ad uno dei suoi assistenti di convocare Dŏng Chéng.
Quando Chéng si presentò, l’Imperatore, esauriti i convenevoli, gli disse: ”Ieri sera, l’imperatrice ed io, parlando dei brutti giorni da noi trascorsi sulle rive del fiume Bà (17), ci siamo ricordati dei grandi servizi che voi ci rendeste in quel periodo ed abbiamo deciso di chiamarvi per mostrarvi la nostra riconoscenza”.
Chéng si inchinò e ringraziò.
In seguito l’Imperatore, uscendo dalla Sala delle Udienze, condusse Chéng al Tempio degli Antenati e di lì salì al Padiglione degli Eroi, dove bruciò incenso e compì le abituali cerimonie. Dopo di ciò, mostrò a Chéng i ritratti dei grandi personaggi della famiglia imperiale, tra cui spiccava quello del Grande Antenato. (18)
“Donde veniva il nostro Grande Antenato e come diede inizio alle sue gloriose imprese?” domandò l’Imperatore.
“Vostra Maestà sta scherzando.” rispose Chéng, piuttosto sorpreso “ Chi non conosce le imprese del Grande Antenato? Egli cominciò la carriera come funzionario di basso rango a Sìtíng, poi, sguainata la sua lunga spada, uccise il serpente. Più tardi marciò in tutto il paese. Gli bastarono tre anni per rovesciare la dinastia Qín, cinque per debellare Chŭ. Conquistò così l’Impero e fondò una dinastia che durerà diecimila anni.”
XV. “ Come erano eroici gli antenati! Come sono deboli i loro discendenti! Che tristezza!” mormorò l’Imperatore, poi, indicando due altri ritratti che stavano a destra e a sinistra del primo, continuò: “Non sono questi i ritratti di Zhāngliáng, marchese di Liú, e di Xiāo Hé, marchese di Cuó?”
“Certamente.” gli rispose Chéng” Questi due uomini furono validissimi collaboratori del Grande Antenato”.
L’Imperatore si guardò intorno e vide che i suoi assistenti non erano nelle immediate vicinanze.
Allora, bisbigliò a Dŏng Chéng: “Dovete aiutarmi, come costoro aiutarono il Grande Antenato”.
“Io sono un uomo che non ha mai fatto niente di importante.” si schermì Chéng “Come potrei paragonarmi a costoro?”.
“Penso sempre alla coraggiosa azione con cui mi salvaste a Cháng’Ān, la capitale occidentale. Di sicuro, non lo dimenticherò mai e non sarò mai in grado di ricompensarvi come dovrei.” gli rispose l’Imperatore, poi, indicando la toga e la cintura che indossava, aggiunse: ”Prendete questa toga e questa cintura. Sarà come se foste sempre accanto al vostro sovrano”.
Dŏng Chéng si inchinò riconoscente, mentre l’Imperatore si toglieva la toga e la cintura e gliele porgeva, mormorando: “Esaminatele con cura quando sarete tornato a casa ed aiutatemi a realizzare i miei piani!”
XVI. Chéng capì. Indossò la toga e si strinse alla vita la cintura, poi salutò l’Imperatore e lasciò il padiglione.
Qualcuno era subito corso a riferire a Cáo Cāo che l’Imperatore aveva parlato con Chéng nel Padiglione degli Eroi.
Cāo si recò subito al Palazzo Imperiale e, arrivato alla porta d’ingresso, si vide venire incontro Chéng, che stava uscendo. I due si trovarono faccia a faccia. Chéng si fece da parte e si inchinò di fronte a Cāo.
“Da dove venite?” gli domandò Cāo.
“Sua Maestà mi ha convocato a palazzo” gli rispose Chéng” e mi ha fatto dono di questa toga di broccato e di questa cintura di giada”.
“Perché?” chiese Cāo.
“Perché non ha dimenticato ciò che un tempo io feci per lui a Cháng’ Ān” gli rispose Chéng.
“Mostratemi la cintura!” gli disse Cāo.
Chéng, il quale sapeva che negli abiti doveva essere nascosto un documento secreto e temeva che Cāo lo scoprisse, esitò a porgergli la cintura, ma Cāo chiamò le sue guardie e gliela fece strappare di forza, poi la esaminò con grande attenzione.
“È davvero una splendida cintura.” disse alla fine “Ora, toglietevi la toga e mostratemela!”.
XVII. Chéng temette il peggio, ma non osò disobbedire. Si tolse la toga e la porse a Cāo, che, sollevatala con le due mani, la ispezionò accuratamente guardandola controluce.
Terminato l’esame, Cāo indossò la toga, si avvolse la cintura intorno alla vita e, girandosi verso i suoi attendenti, domandò loro: “Mi sta bene?”.
Quelli risposero che gli andava benissimo.
Allora, rivolgendosi a Chéng, Cāo gli domandò: “Sareste disposto a regalarmi questo abito e questa cintura?”.
“Non oserei mai regalare ad un altro un dono del mio sovrano.” gli rispose Chéng” “Permettete che vi offra un altro abito.”
“Non ci sarà qualche complotto legato a questa cintura e a questa toga?” disse Cāo.
“Come potrei mai osare?” gli rispose Chéng, tremante “Se Vostra Eccellenza tiene veramente a questa toga e a questa cintura, le prenda, sono sue.”
“Pensate davvero che io potrei portarvi via un dono dell’Imperatore?” L’ho detto per scherzo.” lo interruppe Cāo, restituendogli toga e cintura.
XVIII. Chéng salutò Cāo e tornò a casa. Giunta la notte, solo nella sua biblioteca, rivoltò la toga e ne esaminò ogni cucitura con grande attenzione senza trovare nulla.
“L’Imperatore mi ha regalato questa toga e questa cintura e mi ha detto di esaminarle con attenzione” si mise a riflettere “ Ciò significa che deve esserci nascosto un messaggio, ma io non riesco a trovarne traccia. Come sarà mai?”
Prese di nuovo in mano la cintura di giada e la guardò con cura. Era un lavoro squisito. Sui tasselli di giada bianca erano rappresentati piccoli draghi fra intrecci di fiori. La fodera era di seta purpurea. Tutto era cucito alla perfezione, e non c’era alcun dettaglio che potesse destare il minimo sospetto.
Chéng era perplesso.
Depose la cintura sulla scrivania e, di tanto in tanto, la riprendeva in mano per guardarla ancora.
Trascorse così molto tempo e Chéng era ormai stanco.
Si piegò sulla scrivania, appoggiando la testa sulle braccia, e stava già per addormentarsi quando una candela si rovesciò e cadde sulla cintura, bruciando un pezzettino di fodera.
Chéng spense subito la candela, ma nella fodera s’era già formato un piccolo buco. Attraverso il minuscolo foro si intravedeva della carta bianca su cui apparivano macchie di sangue.
Strappò in fretta la fodera e tirò fuori il decreto che l’Imperatore aveva scritto con il proprio sangue.
Il decreto era del seguente tenore:
”Ci hanno insegnato che la prima e la più grande delle relazioni umane è quella che si forma tra genitori e figli. Importantissima è anche quella che si forma tra gli anziani ed i giovani e di gran peso è quella che nasce tra i sovrani e i loro ministri. In questi ultimi tempi, quel mascalzone di Cāo ha abusato del proprio potere togliendo ogni autorità al Sovrano. Con l’aiuto dei suoi partigiani e delle truppe che gli sono fedeli sta scalzando le fondamenta della dinastia. È lui ora che conferisce riconoscimenti ed infligge punizioni, ignorando il Sovrano. Noi ci preoccupiamo costantemente di tale situazione per timore che l’Impero non cada in rovina. Voi siete un alto funzionario dello Stato e nostro parente stretto. Pensate alle difficoltà che dovette superare nelle sue imprese il Grande Antenato e raccogliete intorno a voi tutti coloro che sono ancora mossi da nobili sentimenti di lealtà e di giustizia per distruggere la banda dei traditori e ristabilire l’ordine nel paese. Procurerete così una gran gioia agli spiriti dei nostri antenati. Questo decreto, scritto col nostro sangue, vi è affidato, Nobile Signore, con la certezza che porrete ogni cura nell’eseguire la nostra volontà.
Dato nel terzo mese di primavera del quarto anno dell’era Jiàn’ān. "(19)
XIX. Quando ebbe letto tutto, Dŏng Chéng si mise a piangere e, coricatosi, non riuscì a dormire per tutta la notte. All’alba, ritornò nella biblioteca e rilesse il decreto una seconda e una terza volta, senza che gli venisse in mente alcun piano. Depose il decreto sulla scrivania e cominciò a pensare che cosa avrebbe potuto fare per togliere di mezzo Cāo. Mentre continuava a riflettere senza giungere ad alcuna conclusione, la stanchezza lo vinse e, appoggiatosi alla scrivania, si addormentò.
In quel momento, venne a rendergli visita il sottosegretario di Stato Wáng Zĭfú. Poiché i due erano in rapporti di grande intimità, i domestici lo fecero entrare e Wáng si diresse verso la biblioteca. Trovò Chéng addormentato e vide che, di sotto la manica, sporgeva un foglio di carta bianca sul quale si intravedeva il carattere 朕. (20)
Curioso di sapere che cosa fosse, tirò fuori il foglio, lo lesse e lo nascose nella manica del suo abito, poi svegliò Chéng: “ Stai bene, amico? Perché dormi a quest’ora del giorno?.
XX. Ridestandosi di colpo, Chéng s’accorse che il decreto era sparito. Tanto fu il suo terrore che si mise a tremare convulsamente e quasi svenne.
“Così tu vuoi eliminare Sua Eccellenza Cáo” disse Zĭfú ”Sarà mio dovere informarlo”.
“Se farai ciò, fratello ”esclamò Chéng piangendo” sarà la fine della dinastia Hàn”.
“Stavo scherzando.” gli rispose Zĭfú “La mia famiglia ha servito fedelmente la dinastia per generazioni. Sono forse un traditore? Ti aiuterò con tutte le mie forze, fratello, a togliere di mezzo i nemici dello Stato.”
“È un gran bene per lo Stato che tu la pensi in questo modo, fratello” osservò Chéng.
“Dovremmo riunirci in segreto, tutti quanti la pensiamo così (21)” propose Zĭfú” ed elaborare un piano da presentare all’Imperatore”.
Chéng fu molto contento della proposta di Zĭfú e , preso il foglio su cui era scritto il decreto, ci appose in calce per primo il proprio nome.
Zĭfú firmò anche lui, poi aggiunse: “Il generale Wú Zīlán è un mio caro amico. Potremmo chiedergli di unirsi a noi.”
“Tra tutti i dignitari della Corte” disse a sua volta Chéng ”ce ne sono soltanto due in cui ho piena fiducia : il colonnello Zhǒng Jí, che comanda i mercenari del Chángshuĭ (22), ed il consigliere aulico Wú Shuò. Possiamo senz’altro invitarli ad agire insieme a noi”.
XXI. Proprio mentre i due discutevano, un domestico venne ad annunciare la visita di Zhǒng Jí e di Wú Shuò.
“Che provvidenziale coincidenza!” esclamò Chéng e disse a Wáng Zĭfú di nascondersi dietro un paravento.
Chéng introdusse i due ospiti nella biblioteca, li invitò a sedersi e offrì loro del tè.
Esauriti i convenevoli, Jí cominciò a parlare dell’incidente avvenuto durante la battuto di caccia e domandò a Chéng se non ne fosse anche lui sdegnato.
“Certo che lo sono,” gli rispose Chéng “ma che cosa possiamo farci?”.
“Io sarei pronto ad uccidere quel brigante,”intervenne Shuò” ma dove posso trovare qualcuno disposto ad aiutarmi?”.
“Bisogna liberare la Patria dai suoi nemici senza aver paura della morte” osservò Jí.
A quel puntò sbucò fuori da dietro il paravento Wáng Zĭfú che rivolse loro queste parole:
“Voi due volete uccidere il Primo Ministro Cáo. Dovrò denunciarvi e Chéng, qui presente, confermerà la mia denuncia”.
“Un funzionario fedele non ha paura della morte.” replicò Jí in preda all’ira. “Se ci uccideranno, diventeremo martiri della causa della dinastia. È meglio che essere un delatore al servizio dei ribelli come sei tu”.
Chéng si mise a ridere: ” Volevamo soltanto mettervi alla prova. Wáng Zĭfú non stava parlando seriamente”.
Poi tirò fuori dalla manica del suo abito il decreto imperiale e lo mostrò ai due ospiti che lo lessero e si commossero.
Chéng li invitò ad apporre le loro firme sul documento.
“Aspettate ancora un momento! ”disse Zĭfú “Vado a chiamare Wú Zīlán”.
XXII. Zĭfú si allontanò e ritornò, non molto tempo dopo, in compagnia di Zĭlán, il quale firmò anche lui il documento, alla presenza di tutti gli altri, dopodiché Chéng invitò l’intero gruppo a bere un bicchiere nella sala posteriore della sua residenza.
D’improvviso fu annunciata la visita di Mă Téng, governatore di Xīliáng.
“Digli che sono indisposto e che non posso riceverlo” ordinò Chéng al portinaio.
Il portinaio riferì al visitatore, ma questi non la prese bene:” Ieri sera mi trovavo nei pressi della porta di Dōnghuá e l’ho visto da vicino mentre usciva ammantato in una toga stretta da una cintura di giada. Come può lasciarmi credere che è malato? Non sono venuto a trovarlo perché non sapevo che altro fare. Per quali ragioni non vuole vedermi?”.
Il portinaio ritornò da Chéng e gli riportò le parole del visitatore, soggiungendo che costui appariva molto irritato.
Chéng allora si alzò, si scusò con gli ospiti, dicendo loro che doveva lasciarli soli un istante, e si recò subito a ricevere il nuovo venuto.
Esauriti i convenevoli, quando i due si furono seduti, Mă Téng disse: “Esco proprio ora da un’udienza d’addio dell’Imperatore e sono venuto a salutarvi. Perché non volevate ricevermi?”.
“Sono stato colto da un improvviso malessere. Per questo non sono venuto ad accogliervi. Me ne rincresce molto.”
“Il vostro volto ha un bel colorito.” replicò Téng” Non avete affatto l’aspetto di un malato”.
XXIII. Chéng non rispose.
Il visitatore scosse le maniche (23) e si apprestò ad andarsene sospirando, mentre scendeva i gradini:” Fra tutti non ce n’è neppure uno che voglia salvare lo Stato”.
Nel sentire queste parole, Chéng lo trattenne e gli chiese: ”A chi vi riferite dicendo che non c`è neppure uno che voglia salvare lo Stato?”.
“Sono ancora sdegnato per l’incidente avvenuto durante la battura di caccia, ”gli rispose Téng “ma, se persino voi, parente stretto dell’Imperatore, continuate a perdere il vostro tempo bevendo e divertendovi, anziché preoccuparvi di affrontare i ribelli, come si potrà trovare un uomo disposto a salvare la dinastia dal disastro?”.
Poiché non era sicuro della sincerità di queste parole, Chéng esclamò, fingendosi sorpreso :”Il Primo Ministro Cáo è un dignitario di altissimo rango e gode della fiducia della Corte. Che cosa vi spinge a parlare così?”.
“Dunque, per voi quel brigante di Cáo è un uomo dabbene” replicò Téng con rabbia.
“Parlate a bassa voce, per favore!” lo interruppe Chéng “Potrebbero sentirci”.
“Chi è troppo attaccato alla vita e teme la morte non è il tipo di persona con cui si possa discutere di grandi imprese” ribattè Téng e, detto ciò, fece di nuovo per andarsene.
A questo punto, tuttavia, Chéng si era ormai convinto della sua lealtà e perciò gli disse: “Non siate più irritato. Voglio mostrarvi qualcosa”. Lo invitò a seguirlo nel suo studio e gli mostrò il decreto imperiale.
XXIV.. Quando Téng lesse il decreto, gli si rizzarono i capelli in testa. Digrignò i denti e si morse le labbra finché tutta la bocca fu piena di sangue. Alla fine disse: “Sappiate che, nel momento in cui agirete, metterò a vostra disposizione tutte le truppe di stanza a Xīliáng”.
Chéng lo presentò agli altri cospiratori e lo invitò a firmare anche lui.
Per rendere più solenne il suo impegno Téng libò dopo essersi cosparso il volto di sangue (24) e giurò: “Giuro insieme a voi di morire piuttosto che tradire”, poi, indicando i cinque uomini seduti accanto a lui disse: “Dobbiamo essere almeno dieci per portare a compimento la nostra impresa”.
“Non è facile trovare persone leali” obiettò Chéng” e se, per caso, si capitasse su un traditore, tutto il nostro piano andrebbe in fumo”.
Téng lo pregò allora di lasciargli consultare l’annuario degli alti funzionari.(25)
Cominciò a leggerlo e, quando arrivò al cognome Liú, battè le mani, esclamando: “Ecco una persona con cui possiamo entrare in contatto”.
“Chi è?” domandarono tutti ad una voce.
Con calma e lentezza Mă Téng disse di chi si trattava.
In sintesi, è così che Chéng, il suocero dell’Imperatore, venne a conoscenza del decreto.
Vedremo in seguito un discendente della famiglia imperiale correre ancora una volta in soccorso della dinastia Hàn.
Se volete sapere che cosa disse Mă Téng, leggete il prossimo capitolo!
NOTE
1) Gli abitanti di Xúzhōu stimavano molto Liú Bèi, che aveva dimostrato saggezza ed equilibrio quand’era stato in precedenza governatore della città.
2) Nella sala delle udienze l’Imperatore sedeva su un ripiano sopraelevato a cui si accedeva salendo una scalinata detta 丹墀 (“dān chí”), cioè “la scala rossa”, perché i suoi gradini erano colorati di rosso.
3) Liú Shèng 刘胜, figlio dell’Imperatore Jĭng, era conosciuto come il principe Jìng di Zhōngshān 中山靖王, dal nome del feudo di cui era stato investito nel 154 a.C. Morì nel 113 a.C.
4) Liú Qĭ 劉啟, conosciuto con il nome postumo di Xiàojĭng Huángdì 孝景皇帝 , vale a dire “l’imperatore filiale e ammirevole”, regnò dal 157 a.C. al 141 a.C.
5) Il termine “zio” va qui inteso nel senso che, confrontando le due genealogie, Liú Bèi risultava appartenere ad una generazione precedente a quella dell’Imperatore, come succede tra zio e nipote. È ovvio che i due, il cui antenato comune era vissuto più di tre secoli prima, erano parenti molto alla lontana.
6) Trattandosi di una manifestazione di rispetto di natura familiare, non era probabilmente considerato opportuno che l’Imperatore la compisse nell’ambito di un’udienza ufficiale.
7) Il duca di Zhōu 周公, fratello del re Wŭ di Zhōu 周武王, governò l’Impero dal 1042 a.C.al 1035 a.C. come reggente per il nipote Chéng 周武王, ancora minorenne. Shì, duca di Shào, 召公奭, fu un altro dei reggenti. L’allusione al controllo esercitato da Cāo sul giovane Imperatore Xiàn 漢獻帝 è evidente.
8) Il termine 王霸 (“wáng bà”), letteralmente “dominatore dei sovrani”), sembra corrispondere a 霸 王(“bà wáng”), cioè “sovrano egemone”, termine con cui si designava nel Periodo degli Stati Combattenti ( 戰國時代 “zhànguó shídài”), il sovrano dello Stato che riusciva a conquistare il predominio sugli altri Stati. È evidente che, usando questo termine, il consigliere invitava Cáo Cāo, che già esercitava di fatto il potere imperiale, a deporre il sovrano e a dichiararsi egli stesso Imperatore.
9) L’ambiente informale di una battuta di caccia avrebbe permesso a Cáo Cāo di incontrare liberamente i notabili dell’Impero senza destare sospetti e di sondare il loro atteggiamento nei confronti delle sue ambizioni.
10) Ogni caccia aveva un nome tradizionale. Il termine蒐 (“sōu”) usato per la battuta primaverile aveva anche il significato di “passare in rivista le truppe”.
11) Le battute di caccia, che si svolgevano in ampie zone steppose o boscose, servivano, tra l’altro, a controllare l’efficienza delle truppe, in particolare della cavalleria, ed erano un po’ l’equivalente delle grandi manovre degli eserciti moderni.
12) Come s`è già detto, per Cāo la battuta di caccia non rappresentava un evento venatorio, ma una dimostrazione di forza politica e militare.
13) Cáo Cāo sa bene fin dove può arrivare, almeno per il momento Può far capire a tutti che è stato lui ad uccidere il cervo, ma non può accettare pubblicamente delle congratulazioni per un animale ucciso con una freccia imperiale, che soltanto l’Imperatore potrebbe usare.
14) Il termine 社稷(“shèjì) designa letteralmente “le divinità della terra e del raccolto”, metaforicamente “la nazione”, ”il paese”. L’espressione 社稷之臣(“shèjì zhī chén”) indica dunque un ministro attento al bene della nazione.
15) L’espressione cinese è 背若芒刺 (“bèi ruò máng cì”), letteralmente “mi sento come se avessi una spina nella schiena”.
16) Non c’è da stupirsi del fatto che l’Imperatore Xiàn avesse parecchi suoceri, visto che gli antichi Cinesi praticavano la poligamia. Fú Wán 伏完 era il padre dell’imperatrice Fú Shòu 伏壽, Dŏng Chéng 董承 era il padre della concubina Dŏng.
17) L’Imperatore intende qui riferirsi al suo soggiorno forzato a Cháng’Ān 長安 dove scorre il fiume Bà 霸河. Nel 190 d.C., Dŏng Zhuō, per sfuggire all’attacco dei capi militari ribelli, aveva abbandonato la capitale Luòyáng 洛陽 ed aveva costretto l’Imperatore a seguirlo a Cháng’Ān.
18) Liú Bāng 劉邦 , fondatore della dinastia Hàn, il quale regnò dal 202 a.C. al 195 a.C.
19) L’era Jiàn’ān 建安, ovverossia l”’era del ristabilimento della pace”, ebbe inizio nel 196 d.C. Il decreto di cui si parla qui fu dunque emanato nella primavera del 199 d.C.
20) Il carattere 朕 (“zhèn”) corrispondeva, nell’uso cinese, al plurale di maestà ed era riservato all’Imperatore fin dai tempi della dinastia Qín 秦朝.
La presenza di questo carattere dimostrava senza alcun dubbio possibile che lo scritto in cui esso figurava proveniva dall’Imperatore.
21) Il termine 三族 (“sānzú”), letteralmente “tre generazioni”, va inteso nel senso di “tutti gli uomini di una famiglia” e qui, in un’accezione più lata, come “tutti coloro che sono rimasti fedeli all’Imperatore”.
22) Wŭdì, l’Imperatore Guerriero dei Hàn, 漢武帝 (141 a.C.-87 a.C.) aveva inserito nella Guardia Imperiale alcuni reparti formati da mercenari reclutati tra i barbari che abitavano la regione del Chángshuĭ 長水.
23) L’espressione idiomatica 拂袖 (“fú xiù”), vale a dire “scuotere le maniche”, era usata per indicare dispiacere o rabbia.
24) Si usava talvolta, per rendere più solenne un giuramento, cospargersi il volto di sangue ( 歃血”shàxuè”). Tale usanza era però praticata soprattutto dai guerrieri barbari, in particolare dagli Unni (匈 奴 “xiōngnú”), i quali solevano farsi dei tagli in faccia e lasciar scorrere il sangue per mostrare che erano fedeli ai loro capi e pronti a versare il proprio sangue per difenderli. Essa è menzionata da Dŭ Fù 杜 甫 nella poesia intitolata “Il Principe Sventurato”( 哀 王 孫 "aī wáng sūn").
25) Il testo cinese reca l’espressione idiomatica 鴛行鷺序 (“yuān xíng lù xù ”), che significa letteralmente “le anatre mandarine vanno, gli aironi seguono nell’ordine”. Si tratta di una metafora volta ad indicare i vari gradi e ranghi dei funzionari di Corte. Il “registro delle anatre e degli aironi” (鴛行鷺序簿 “yuān xíng lù xù bù”) è dunque un modo più poetico di menzionare quello che noi oggi chiameremmo prosaicamente l’”organigramma della pubblica amministrazione”.
《三国演义》第二十回 曹阿瞒许田打围 董国舅内阁受诏
话说曹操举剑欲杀张辽,玄德攀住臂膊,云长跪于面前。玄德曰,“此等赤心之人,正 当留用。”云长曰:“关某素知文远忠义之士,愿以性命保之。”操掷剑笑曰:“我亦知文 远忠义,故戏之耳。”乃亲释其缚,解衣衣之,延之上坐,辽感其意,遂降。操拜辽为中郎 将,赐爵关内侯,使招安臧霸。霸闻吕布已死,张辽已降,遂亦引本部军投降。操厚赏之。 臧霸又招安孙观、吴敦、尹礼来降;独昌豨未肯归顺。操封臧霸为琅琊相。孙观等亦各加 官,令守青、徐沿海地面。将吕布妻女载回许都。大犒三军,拔寨班师。路过徐州,百姓焚 香遮道,请留刘使君为牧。操曰:“刘使君功大,且待面君封爵,回来未迟。”百姓叩谢。 操唤车骑将军车胄权领徐州。操军回许昌,封赏出征人员,留玄德在相府左近宅院歇定。 次日,献帝设朝,操表奏玄德军功,引玄德见帝。玄德具朝服拜于丹墀。帝宣上殿,问 曰:“卿祖何人?”玄德奏曰:“臣乃中山靖王之后,孝景皇帝阁下玄孙,刘雄之孙,刘弘 之子也。”帝教取宗族世谱检看,令宗正卿宣读曰:“孝景皇帝生十四子。第七子乃中山靖 王刘胜。胜生陆城亭侯刘贞。贞生沛侯刘昂。昂生漳侯刘禄。禄生沂水侯刘恋。恋生钦阳侯 刘英。英生安国侯刘建。建生广陵侯刘哀。哀生胶水侯刘宪。宪生祖邑侯刘舒。舒生祁阳侯 刘谊。谊生原泽侯刘必。必生颍川侯刘达。达生丰灵侯刘不疑。不疑生济川侯刘惠。惠生东 郡范令刘雄。雄生刘弘。弘不仕。刘备乃刘弘之子也。”帝排世谱,则玄德乃帝之叔也。帝 大喜,请入偏殿叙叔侄之礼。帝暗思:“曹操弄权,国事都不由朕主,今得此英雄之叔,朕 有助矣!”遂拜玄德为左将军、宜城亭侯。设宴款待毕,玄德谢恩出朝。自此人皆称为刘皇 叔。 曹操回府,荀彧等一班谋士入见曰:“天子认刘备为叔,恐无益于明公。”操曰:“彼 既认为皇叔,吾以天子之诏令之,彼愈不敢不服矣。况吾留彼在许都,名虽近君,实在吾掌 握之内,吾何惧哉?吾所虑者,太尉杨彪系袁术亲戚,倘与二袁为内应,为害不浅。当即除 之。”乃密使人诬告彪交通袁术,遂收彪下狱,命满宠按治之。时北海太守孔融在许都,因 谏操曰:“杨公四世清德,岂可因袁氏而罪之乎?”操曰:“此朝廷意也。”融曰:“使成 王杀召公,周公可得言不知耶?”操不得已,乃免彪官,放归田里。议郎赵彦愤操专横,上 疏劾操不奉帝旨、擅收大臣之罪。操大怒,即收赵彦杀之。于是百官无不悚惧。谋士程昱说 操曰:“今明公威名日盛,何不乘此时行王霸之事?”操曰:“朝廷股肱尚多,未可轻动。 吾当请天子田猎,以观动静。”于是拣选良马、名鹰、俊犬、弓矢俱备,先聚兵城外,操入 请天子田猎。帝曰:“田猎恐非正道。”操曰:“古之帝王,春搜夏苗,秋狝冬狩:四时出 郊,以示武于天下。今四海扰攘之时,正当借田猎以讲武。”帝不敢不从,随即上逍遥马, 带宝雕弓、金鈚箭,排銮驾出城。玄德与关、张各弯弓插箭,内穿掩心甲,手持兵器,引数 十骑随驾出许昌。曹操骑爪黄飞电马,引十万之众,与天子猎于许田。军士排开围场,周广 二百余里。操与天子并马而行,只争一马头。背后都是操之心腹将校。文武百官,远远侍 从,谁敢近前。当日献帝驰马到许田,刘玄德起居道傍。帝曰:“朕今欲看皇叔射猎。”玄 德领命上马,忽草中赶起一兔。玄德射之,一箭正中那兔。帝喝采。转过土坡,忽见荆棘中 赶出一只大鹿。帝连射三箭不中,顾谓操曰:“卿射之。”操就讨天子宝雕弓、金鈚箭,扣 满一射,正中鹿背,倒于草中。群臣将校,见了金鈚箭,只道天子射中,都踊跃向帝呼“万 岁”。曹操纵马直出,遮于天子之前以迎受之。众皆失色。玄德背后云长大怒,剔起卧蚕 眉,睁开丹凤眼,提刀拍马便出,要斩曹操。玄德见了,慌忙摇手送目。关公见兄如此,便 不敢动。玄德欠身向操称贺曰:“丞相神射,世所罕及!”操笑曰:“此天子洪福耳。”乃 回马向天子称贺,竟不献还宝雕弓,就自悬带。围场已罢,宴于许田。宴毕,驾回许都。众 人各自归歇。云长问玄德曰:“操贼欺君罔上,我欲杀之,为国除害,兄何止我?”玄德 曰:“投鼠忌器。操与帝相离只一马头,其心腹之人,周回拥侍;吾弟若逞一时之怒,轻有 举动,倘事不成,有伤天子,罪反坐我等矣。”云长曰:“今日不杀此贼,后必为祸。”玄 德曰:“且宜秘之,不可轻言。”却说献帝回宫,泣谓伏皇后曰:“朕自即位以来,奸雄并 起:先受董卓之殃,后遭傕、汜之乱。常人未受之苦,吾与汝当之。后得曹操,以为社稷之 臣;不意专国弄权,擅作威福。朕每见之,背若芒刺。今日在围场上,身迎呼贺,无礼已 极!早晚必有异谋,吾夫妇不知死所也!”伏皇后曰:“满朝公卿,俱食汉禄,竟无一人能 救国难乎?”言未毕,忽一人自外而入曰:“帝,后休忧。吾举一人,可除国害。”帝视 之,乃伏皇后之父伏完也。帝掩泪问曰:“皇丈亦知操贼之专横乎?”宪曰:“许田射鹿之 事,谁不见之?但满朝之中,非操宗族,则其门下。若非国戚,谁肯尽忠讨贼?老臣无权, 难行此事。车骑将军国舅董承可托也。”帝曰:“董国舅多赴国难,朕躬素知;可宜入内, 共议大事。”宪曰:“陛下左右皆操贼心腹,倘事泄,为祸不深。”帝曰:“然则奈何?” 完曰:“臣有一计:陛下可制衣一领,取玉带一条,密赐董承;却于带衬内缝一密诏以赐 之,令到家见诏,可以昼夜画策,神鬼不觉矣。”帝然之,伏完辞出。 帝乃自作一密诏,咬破指尖,以血写之,暗令伏皇后缝于玉带紫锦衬内,却自穿锦袍, 自系此带,令内史宣董承入。承见帝礼毕,帝曰:“朕夜来与后说霸河之苦,念国舅大功, 故特宣入慰劳。”承顿首谢。帝引承出殿,到太庙,转上功臣阁内。帝焚香礼毕,引承观画 像。中间画汉高祖容像。帝曰:“吾高祖皇帝起身何地?如何创业?”承大惊曰:“陛下戏 臣耳。圣祖之事,何为不知?高皇帝起自泗上亭长,提三尺剑,斩蛇起义,纵横四海,三载 亡秦,五年灭楚:遂有天下,立万世之基业。”帝曰:“祖宗如此英雄,子孙如此懦弱,岂 不可叹!”因指左右二辅之像曰:“此二人非留侯张良、酂侯萧何耶?”承曰:“然也。高 祖开基创业,实赖二人之力。”帝回顾左右较远,乃密谓承曰:“卿亦当如此二人立于朕 侧。”承曰:“臣无寸功,何以当此?”帝曰:“朕想卿西都救驾之功,未尝少忘,无可为 赐。”因指所着袍带曰:“卿当衣朕此袍,系朕此带,常如在朕左右也。”承顿首谢。帝解 袍带赐承,密语曰:“卿归可细观之,勿负朕意。”承会意,穿袍系带,辞帝下阁。 早有人报知曹操曰:“帝与董承登功臣阁说话。”操即入朝来看。董承出阁,才过宫 门,恰遇操来;急无躲避处,只得立于路侧施礼。操问曰:“国舅何来?”承曰:“适蒙天 子宣召,赐以锦袍玉带。”操问曰:“何故见赐?”承曰:“因念某旧日西都救驾之功,故 有此赐。”操曰:“解带我看。”承心知衣带中必有密诏,恐操看破,迟延不解。操叱左 右:“急解下来!”看了半晌,笑曰:“果然是条好玉带!再脱下锦袍来借看。”承心中畏 惧,不敢不从,遂脱袍献上。操亲自以手提起,对日影中细细详看。看毕,自己穿在身上, 系了玉带,回顾左右曰:“长短如何?”左右称美。操谓承曰:“国舅即以此袍带转赐与 吾,何如?”承告曰:“君恩所赐,不敢转赠;容某别制奉献。”操曰:“国舅受此衣带, 莫非其中有谋乎?”承惊曰:“某焉敢?丞相如要,便当留下。”操曰:“公受君赐,吾何 相夺?聊为戏耳。”遂脱袍带还承。 承辞操归家,至夜独坐书院中,将袍仔细反复看了,并无一物。承思曰:“天子赐我袍 带,命我细观,必非无意;今不见甚踪迹,何也?”随又取玉带检看,乃白玉玲珑,碾成小 龙穿花,背用紫锦为衬,缝缀端整,亦并无一物,承心疑,放于桌上,反复寻之。良久,倦 甚。正欲伏几而寝,忽然灯花落于带上,烧着背衬。承惊拭之,已烧破一处,微露素绢,隐 见血迹。急取刀拆开视之,乃天子手书血字密诏也。诏曰:“朕闻人伦之大,父子为先;尊 卑之殊,君臣为重。近日操贼弄权,欺压君父;结连党伍,败坏朝纲;敕赏封罚,不由朕 主。朕夙夜忧思,恐天下将危。卿乃国之大臣,朕之至戚,当念高帝创业之艰难,纠合忠义 两全之烈士,殄灭奸党,复安社稷,祖宗幸甚!破指洒血,书诏付卿,再四慎之,勿负朕 意!建安四年春三月诏。” 董承览毕,涕泪交流,一夜寝不能寐。晨起,复至书院中,将诏再三观看,无计可施。 乃放诏于几上,沈思灭操之计。忖量未定,隐几而卧。 忽侍郎王子服至。门吏知子服与董承交厚,不敢拦阻,竟入书院。见承伏几不醒,袖底 压着素绢,微露“朕”字。子服疑之,默取看毕,藏于袖中,呼承曰:“国舅好自在!亏你 如何睡得着!”承惊觉,不见诏书,魂不附体,手脚慌乱。子服曰:“汝欲杀曹公!吾当出 首。”承泣告曰:“若兄如此,汉室休矣!”子服曰:“吾戏耳。吾祖宗世食汉禄,岂无忠 心?愿助兄一臂之力,共诛国贼。”承曰:“兄有此心,国之大幸!”子服曰:“当于密室 同立义状,各舍三族,以报汉君。”承大喜,取白绢一幅,先书名画字。子服亦即书名画 字。书毕,子服曰:“将军吴子兰,与吾至厚,可与同谋。”承曰:“满朝大臣,惟有长水 校尉种辑、议郎吴硕是吾心腹,必能与我同事。”正商议间,家僮入报种辑、吴硕来探。承 曰:“此天助我也!”教子服暂避于屏后。承接二人入书院坐定,茶毕,辑曰:“许田射猎 之事,君亦怀恨乎?”承曰:“虽怀恨,无可奈何。”硕曰:“吾誓杀此贼,恨无助我者 耳!”辑曰:“为国除害,虽死无怨!”王子服从屏后出曰:“汝二人欲杀曹丞相!我当出 首,董国舅便是证见。”种辑怒曰:“忠臣不怕死!吾等死作汉鬼,强似你阿附国贼!”承 笑曰:“吾等正为此事,欲见二公。王侍郎之言乃戏耳。”便于袖中取出诏来与二人看。二 人读诏,挥泪不止。承遂请书名。子服曰:“二公在此少待,吾去请吴子兰来。”子服去不 多时,即同子兰至,与众相见,亦书名毕。承邀于后堂会饮。忽报西凉太守马腾相探。承 曰:“只推我病,不能接见。”门吏回报。腾大怒曰:“我夜来在东华门外,亲见他锦袍玉 带而出,何故推病耶!吾非无事而来,奈何拒我!”门吏入报,备言腾怒。承起曰:“诸公 少待,暂容承出。”随即出厅延接。礼毕坐定,腾曰:“腾入觐将还,故来相辞,何见拒 也?”承曰:“贱躯暴疾,有失迎候,罪甚!”腾曰:“面带春色,未见病容。”承无言可 答。腾拂袖便起,嗟叹下阶曰:“皆非救国之人也!”承感其言,挽留之,问曰:“公谓何 人非救国之人?”腾曰:“许田射猎之事,吾尚气满胸膛;公乃国之至戚,犹自殆于酒色, 而不思讨贼,安得为皇家救难扶灾之人乎!”承恐其诈,佯惊曰:“曹丞相乃国之大臣,朝 廷所倚赖,公何出此言?”腾大怒曰:“汝尚以曹贼为好人耶?”承曰:“耳目甚近,请公 低声。”腾曰:“贪生怕死之徒,不足以论大事!”说罢又欲起身。承知腾忠义,乃曰: “公且息怒。某请公看一物。”遂邀腾入书院,取诏示之。腾读毕,毛发倒竖,咬齿嚼唇, 满口流血,谓承曰:“公若有举动,吾即统西凉兵为外应。”承请腾与诸公相见,取出义 状,教腾书名。腾乃取酒歃血为盟曰:“吾等誓死不负所约!”指坐上五人言曰:“若得十 人,大事谐矣。”承曰:“忠义之士,不可多得。若所与非人,则反相害矣。”腾教取《鸳 行鹭序簿》来检看。检到刘氏宗族,乃拍手言曰:“何不共此人商议?”众皆问何人。马腾 不慌不忙,说出那人来。正是:本因国舅承明诏,又见宗潢佐汉朝。毕竟马腾之言如何,且 听下文分解。