Capitolo 4
L’imperatore è deposto ed il principe di Chénliú sale al trono.
Si forma un complotto contro Dŏng il furfante e Mèngdé gli offre un prezioso pugnale
I. Dŏng Zhuó voleva uccidere Yuán Shào, ma Lĭ Rú lo trattenne suggerendogli che la questione poteva essere risolta senza spargimento di sangue.
Yuán Shào, sempre con la spada in pugno, salutò i ministri ed i funzionari ed uscì dal palazzo, dopo aver appeso alla Porta Orientale una tavoletta di bambù in cui annunciava la propria intenzione di rifugiarsi a Jìzhōu.
Zhuó si rivolse allora al gran cancelliere Yuán Wĕi. “Vostro nipote” gli disse “ s’è comportato molto male, ma, per rispetto verso di voi, lo perdonerò. Qual è la vostra opinione sulll’opportunità di deporre l’imperatore?”.
Yuán Wĕi gli rispose: “Gran Comandante, se è questo che intendete fare, fatelo”.
Zhuó precisò: “Chiunque oserà opporsi alle mie iniziative sarà processato ai sensi della legge marziale”.
Tutti i ministri furono paralizzati dalla paura e promisero, ad una sola voce: “Eseguiremo i vostri ordini”.
Terminato il banchetto, Dŏng chiese al suo aiutante di campo, Zhōu Bì, ed al capitano Wŭ Qióng: “Che cosa mi consigliate di fare con Yuán Shào ?”
Zhōu Bì osservò: “Yuán Shào se n’è andato in preda all’ira. Ponendo una taglia su di lui, lo trasformeremmo a colpo sicuro in un ribelle. Inoltre, la famiglia Yuán è una famiglia che si occupa di politica da quattro generazioni e che dispone di un’ampia rete di conoscenze tra i letterati ed i funzionari in tutto l’impero.
Se Yuán Shào si rivolgesse a costoro per raccogliere sostenitori non stenterebbe a mettere insieme un valido esercito ed in questo caso lo Shāndōng sfuggirebbe al vostro controllo. Invece, perdonandolo o facendone addirittura il governatore di un distretto, voi farete in modo che sia felice di essere ritornato nelle vostre grazie e sarete sicuro che non vi darà nessuna noia”.
Wŭ Qióng aggiunse: “ Yuán Shào è un intrigante, ma non è particolarmente perspicace. A mio giudizio, non è pericoloso. Affidandogli l’amministrazione di un distretto, faremmo contento anche il popolo”.
II. Dŏng seguì il loro consiglio e, quello stesso giorno, fece notificare a Shào la sua nomina a governatore di Bóhăi.
Il primo giorno del settimo mese lunare, l’imperatore fu invitato a presenziare ad una grande riunione delle autorità civili e militari nella Sala della Virtù Splendente.
Zhuó sguainò la spada e dichiarò: “L’imperatore è debole ed inetto e non è qualificato a governare il Paese. Ho
con me un proclama che intendo far leggere dinanzi a voi.”. Ciò detto, ordinò a Lĭ Rú di leggere il proclama, che era del seguente tenore:
III. “Il defunto imperatore Líng degli Hàn è mancato troppo presto ai suoi sudditi.
L’imperatore è un modello per il popolo, che deve poter contare su di lui. Purtroppo, l’attuale imperatore non ha ricevuto in dono dalla natura un carattere che lo porti ad occuparsi seriamente degli affari di Stato e non sa tenere un atteggiamento dignitoso, che susciti rispetto. La sua mancanza di dignità è palese ed è una vergogna per chi deve rivestire una così alta carica. L’imperatrice madre non l’ha educato come una madre attenta avrebbe dovuto fare e l’inadeguatezza dell’imperatore si riflette negativamente sull’amministrazione dello Stato, che è caduta nel disordine. La morte improvvisa della madre del defunto imperatore, che risiedeva nel palazzo di Yŏnglè, ha suscitato dicerie e sospetti nella popolazione. Non è evidente che sono stati trascurati i princípi della vita sociale.e che sono state violate le leggi umane e divine?
Il principe di Chénliú, invece, non solo è saggio e virtuoso, ma ha anche un aspetto nobile e regale e rispetta con cura le norme dell’etichetta. Ha mostrato dolore e tristezza durante il periodo di lutto per il defunto imperatore e non si è mai espresso in modo indecoroso. Gode di stima e di considerazione in tutto l’impero. È dunque degno di succedere al defunto imperatore e di assicurare al Paese un lungo periodo di buon governo.
Considerato quanto sopra, si procede quindi alla deposizione dell’attuale imperatore, cui sarà assegnato il titolo di principe di Hóngnóng; si revocano i poteri di controllo sul governo che erano stati attribuiti all’imperatrice madre; si invita il principe di Chénliú ad ascendere al trono imperiale, nella certezza che, se accetterà, egli si conformerà alla volontà del Cielo ed ai voti del popolo e conforterà le aspettative dei cittadini”.
IV. Quando Lĭ Rú ebbe finito di leggere il proclama, Dŏng ordinò ai suoi aiutanti di far scendere l’imperatore dal trono. Essi gli tolsero il sigillo ufficiale, che era legato al collo con una cordicella di seta, lo fecero inginocchiare con la faccia rivolta verso il Nord (1) e lo costrinsero a rinunciare alla dignità imperiale ed a dichiararsi pronto ad obbedire agli ordini che gli fossero impartiti. Ordinarono inoltre all’imperatrice madre di deporre gli abiti imperiali e di attendere ulteriori istruzioni in merito alla propria sorte.
L’imperatore e l’imperatrice madre piangevano e non ci fu nessūno tra i ministri e gli alti funzionari che non si sentisse un groppo in gola.
Un ministro, che si trovava ai piedi del trono, fu travolto dall’indignazione e si mise ad urlare: “Dōng Zhuó, infame traditore, come osi compiere un atto che si oppone alla volontà del Cielo?. Io testimonierò contro di te con il mio sangue”.
Detto questo, prese in mano la sua tavoletta d’avorio e la scagliò contro Dŏng Zhuó che, infuriato, ordinò ai soldati di arrestarlo immediatamente, di trascinarlo fuori e di tagliargli la testa.
Si trattava del segretario di Stato Dīng Guăn.
Guăn continuò ad imprecare contro Dŏng Zhuó senza interruzione e non cambiò atteggiamento sino alla fine.
Un poema composto più tardi in suo onore recita:
V. “Dŏng, il traditore, cospirò in segreto per deporre il sovrano.
. Il tempio ancestrale della casa degli Hàn e l’altare imperiale
caddero entrambi in piena decadenza e in totale rovina.
Fra tutti i ministri ed i funzionari della Corte, senza eccezioni,
soltanto il dignitario Dīng mostrò di essere un vero uomo”.
VI. Zhuó invitò poi il principe di Chénliú ad ascendere al trono.
Quando tutti i ministri ed i dignitari si furono prostrati dinanzi al nuovo imperatore, Zhuó ordinò di condurre l’imperatrice madre Hé, il principe di Hóngnóng e la dama Táng, sua consorte, al palazzo di Yŏng’ān, dove avrebbero dovuto, da allora in poi, vivere esiliati dal mondo. Le porte di questo palazzo sarebbero state sorvegliate e nessun ministro o funzionario avrebbe potuto rendere visita al deposto imperatore senza specifica autorizzazione. Lo sfortunato giovane aveva regnato solo dal quinto mese lunare al nono mese lunare di quell’anno.
L’imperatore scelto da Zhuó fu il principe di Chénliú, che aveva per nome di cortesia Bóhé. Egli era
il secondo figlio dell’imperatore Líng ed è attualmente conosciuto sotto il nome di imperatore Xián. A quell’epoca aveva nove anni. Il periodo che cominciò con la sua ascesa la trono fu chiamato “Chūpíng” (“Inizio della Pace”).
VII. Dŏng Zhuó assunse il titolo di Cancelliere di Stato, superiore a tutti i titoli in precedenza esistenti. Assisteva alle udienze imperiali senza farsi annunciare, si presentava all’imperatore senza essere invitato, entrava nella sala delle udienze con la spada al fianco e senza togliersi le scarpe, con un’arroganza che non s’era mai vista prima.
Lĭ Rú gli consigliò di nominare ad un posto importante una personalità conosciuta, in modo da dare un contentino all’opinione pubblica e gli raccomandò Cài Yōng, uomo di riconosciuto talento. Zhuó ne decise la nomina ad un posto di rilievo, ma Yōng non voleva accettare. Zhuó si infuriò e gli fece sapere che, se non avesse accettato la nomina, tutta la sua famiglia sarebbe perita con lui. Yōng, terrorizzato, non potè far altro che obbedire ed accettare l’incarico. Zhuó lo accolse con grande soddisfazione, gli rese più volte visita nel corso di un mese e ne fece il proprio apprezzato segretario, trattandolo con simpatia e gentilezza.
VII. Quanto al deposto imperatore, all’imperatrice madre Hé ed alla consorte Táng, essi vivevano ora reclusi nel palazzo di Yŏng’ān, dove abiti, cibi e bevande venivano loro forniti con sempre maggiore parsimonia.
Il giovane imperatore piangeva in continuazione.
Un giorno scorse accidentalmente una coppia di rondini volare nel cortile del palazzo e compose, su questo spunto, la seguente poesia:
VIII. “ Sfreccia tra l’erba verde,
mentre la nebbia si fa brina,
una coppia di rondini.
Il limpido azzurro del fiume Luò
è l’invidia di tutti coloro
che vivono tra le risaie.
Guardo lontano e scorgo,
tra le nuvole grigiastre,
quel che fu il mio palazzo.
A chi mi è rimasto fedele
come vorrei confidare
tutta la mia amarezza. “
IX. Dŏng Zhuó inviava spesso degli emissari a controllare la situazione. Costoro si procurarono senza indugio il testo della poesia e glielo consegnarono.
Dŏng Zhuó osservò: “Questa poesia dimostra che non si è rassegnato alla sua sorte. Ora, ho una ragione per farlo uccidere”.
Comandò quindi a Lĭ Rú di prendere con sé dieci soldati e di andare ad uccidere l’ex-imperatore.
L’imperatore si trovava al piano nobile del palazzo con l’imperatrice madre e la consorte e fu molto sorpreso allorché una dama di compagnia andò ad annunciargli l’arrivo di Lĭ Rú.
Quando Lĭ Rú gli offrì da bere, da una botticella che aveva portato con sè , del vino al quale era segretamente stato mescolato del veleno, l’imperatore gli domandò le ragioni del brindisi.
“La primavera rende tutti più gentili e più generosi” rispose Lĭ Rú “ ed è così che il Cancelliere di Stato Dŏng
Zhuó ha deciso di offrirvi questo vino pregiato per celebrare il vostro compleanno”.
L’imperatrice madre osservò: “Poiché è l’imperatore che festeggia il suo compleanno, tocca a voi fare il brindisi in suo onore”.
Lĭ Rú esclamò allora con rabbia: “Dunque, non volete proprio brindare!” e, dopo aver ordinato ai soldati che lo
accompagnavano di tirar fuori i pugnali e di brandirli dinanzi ai presenti, domandò all’imperatore:“Preferite brindare al compleanno od assaggiare questi?”.
La consorte Táng si gettò in ginocchio implorando: “ Berrò io il vino al posto dell’imperatore, ma risparmiate, vi supplico, la vita della madre e del figlio”.
Rú le gridò: “ Chi credi di essere per pensare che la tua morte valga quella del sovrano?”.
Prese in mano una coppa di vino e la porse all’imperatrice madre con queste parole: “Adesso bevi tu per
prima”.
L’imperatrice madre maledisse a gran voce Hé Jìn per non aver previsto che, facendo affluire dei banditi nella
capitale, avrebbe provocato una simile tragedia.
Rú sollecitò allora l’imperatore, che gli rispose: “Permettetemi almeno di dire addio all’imperatrice madre” e recitò, piangendo, questi versi:
X. “Cielo e terra non sono più gli stessi,
Sole e luna si sono capovolti.
L’imperatore è stato deposto
ed è stato cacciato in esilio.
Ora un ministro mi impone
di porre termine alla mia vita.
Non c’è più salvezza né scampo,
Sono vane tutte le mie lacrime.”
XI. Anche la consorte Táng compose alcuni versi del seguente tenore:
XII- “Sono sconvolti i cieli,
cade in rovina la terra.
Non mi è lecito, ahimè,
accompagnare il consorte.
Le vie della vita differiscono
dai sentieri della morte.
Ora dobbiamo separarci.
Fra un attimo rimarrò sola,
il cuore colmo di tristezza.”
XIII. Recitati questi versi, si abbracciarono e piansero insieme.
Lĭ Rú si mise ad imprecare: “Il Cancelliere di Stato attende con impazienza che io gli riferisca di aver
compiuto la mia missione e voi mi state facendo perdere tempo. Chi sperate che venga ancora a salvarvi?”.
L’imperatrice madre lo maledisse ad alta voce: “Quel criminale di Dŏng sta costringendo a morire una madre e suo figlio. Il Cielo non lo perdonerà. E tu, che ti rendi complice dei suoi delitti, sei come lui. Finirai anche tu di
mala morte con tutta la tua famiglia”.
A quel punto, Rú perse il lume degli occhi. Afferrò con entrambe le mani l’imperatrice madre e la scaraventò con violenza giù per le scale. Poi ordinò ai soldati di impiccare la consorte Táng e di far ingurgitare a forza all’imperatore il vino avvelenato. In seguitò fece rapporto a Dōng Zhuó. Quest’ultimo ordinò di seppellire i cadaveri fuori della città. Poi prese l’abitudine di recarsi ogni sera al palazzo imperiale e di divertirsi con le
dame di compagnia, passando la notte nel letto dell’imperatore.
Una volta, condusse le sue truppe fuori della capitale, nel distretto di Yángchéng. Proprio il secondo mese lunare, gli abitanti del villaggio celebravano la festa del dio della terra ed uomini e donne si erano riuniti in gran numero. Zhuó diede ordine ai soldati di circondarli e di uccidere tutti gli uomini. La soldatesca portò via le donne, saccheggiò le case e si impadronì del denaro che trovò. Più di mille teste furono appese alle sponde dei carri. Poi formarono un lungo corteo e ritornarono alla capitale raccontando che avevano riportato una grande vittoria sui ribelli. Bruciarono le teste sotto le mura. Quanto alle donne ed al bottino, furono divisi fra tutti i soldati.
XIV.Il capitano dei cavalleggeri Wŭ Fú, il cui nome di cortesia era Déyú, vide le crudeltà di Dŏng Zhuó e ne fu profondamente turbato.Indossò una cotta di maglia sotto l’abito da cerimonia e nascose tra le pieghe dell’abito un pugnale, nell’attesa del momento propizio per uccidere Zhuó.
Un giorno, mentre Zhuó si stava recando dall’imperatore, Fú gli si fece incontro amichevolmente di fronte ad uno dei padiglioni del palazzo, poi, d’improvviso, tirò fuori il pugnale e tentò di colpirlo. Zhuó era un uomo robusto e, per evitare i colpi, afferrò con entrambe le mani il polso dell’avversario. Un attimo dopo, sopraggiunse Lǚ Bù , che immobilizzò l’attentatore.
“Chi ti ha mandato ad uccidermi?” gli domandò Zhuó.
Fú lo squadrò con uno sguardo furioso e rispose ad alta voce: “Tu non sei il mio signore ed io non sono il tuo vassallo. Perché non dovrei poterti attaccare?. I tuoi crimini gridano vendetta dinanzi al Cielo. Chiunque vorrebbe ucciderti, se ne avesse la possibilità. Vorrei vederti legato a due carri tirati da cavalli lanciati al galoppo e squartato. Tutto l’impero ne sarebbe contento”.
Zhuó ordinò che fosse portato via, messo a morte e squartato.
Finché non fu ucciso, Fú continuò a lanciare accuse a Dōng Zhuó.
I posteri lo lodarono con i seguenti versi.
XV. “Negli ultimi anni della dinastia Hàn
i funzionari leali parlavano di Wū Fú
e ne lodavano l’eccezionale coraggio
che non aveva pari in questo mondo.
Ancor oggi è famoso colui che cercò
di annientare i nemici del sovrano.
Attraverso i secoli è giusto continuare
a definirlo come un uomo di carattere”.
XVI. Da quel momento, Dŏng Zhuó non andò più in giro senza essere accompagnato da una scorta armata.
In quel periodo Yuán Shào si trovava a Bóhăi. Quando venne a sapere che Dŏng Zhuó abusava del proprio potere, inviò a Wáng Yún un messaggero, latore di una lettera segreta, il cui contenuto era pressappoco del seguente tenore:
XVII. “Quel farabutto di Dŏng Zhuó ha ingannato il Cielo deponendo l’imperatore, anche se nessuno osa parlarne. Eppure, voi tollerate la sua arroganza e fate finta di non essere a conoscenza dei suoi abusi. Come
potete , così facendo, servire l’impero e ritenervi un funzionario leale? Io ho deciso di reclutare e di addestrare truppe, perché ho intenzione di ripulire il palazzo imperiale, ma non voglio essere precipitoso. Se pensate di muovervi anche voi, cogliete l’occasione per unirvi al mio piano. Se avete un compito da affidarmi, sono ai vostri ordini.”
XVII. Ricevuto questo messaggio, Wáng Yún riflettè a lungo, ma non gli veniva in mente alcun piano.
Un giorno Wáng Yún si accorse che tutti i ministri e funzionari più importanti erano presenti al palazzo imperiale. Allora disse loro: “ Oggi è il mio compleanno. Mi permetto di invitarvi tutti a casa mia questa sera per un piccolo rinfresco”.
Risposero tutti: “Verremo di sicuro a festeggiare il vostro compleanno”.
Quella sera, Wáng Yún fece preparare un ricevimento nel salone della sua residenza e tutti i più alti dignitari andarono a fargli visita.
Dopo alcuni brindisi, il padrone di casa si coprì improvvisamente il volto con le mani e cominciò a singhiozzare.
Gli ospiti ne furono costernati e gli domandarono: “Eccellenza, che cosa vi rattrista tanto , proprio il giorno del vostro compleanno?”.
“In realtà, oggi non è il mio compleanno.” rispose Yún “ Ho trovato questa scusa per potervi invitare tutti a
casa mia e parlare con voi senza destare i sospetti di Dōng Zhuó. Dŏng Zhuó ha tradito l’imperatore ed ha abusato dei propri poteri. Il Paese è sull’orlo dell’abisso Quando penso al modo in cui l’imperatore Gāo annientò i Qín, conquistò Chū e si impadronì di tutto l’impero, mi domando come sia possibile che la sua
opera, perdurata fino ad oggi, possa essere spazzata via dalla mano di Dōng Zhuó. È questo che mi fa piangere.”
XIX. Tutti i ministri e gli alti dignitari cominciarono anche loro a piangere.
Una sola persona, fra quelli che erano lì seduti, battè le mani e si mise a sghignazzare: “Quant’è bello vedere tutti i ministri e gli alti funzionari piangere da mattino a sera e dalla sera al mattino, come se i loro pianti servissero a far fuori Dōng Zhuó!”.
Yún guardò per capire di chi si trattasse e,visto che era il capitano della cavalleria corazzata Cáo Cāo ,lo
rimproverò: “Anche i vostri antenati hanno mangiato il pane degli Hàn ed oggi voi, invece di pensare a servire il Paese, vi mettete a sghignazzare”.
Cāo lo corresse:” Non sto ridendo delle disgrazie del Paese. Sto ridendo del fatto che nessuno di voi ha la minima idea di come si possa eliminare Dōng Zhuó. Io non sono un uomo di particolari capacità, eppure sono pronto a tagliare la testa di Dŏng Zhuó e ad appenderla alle porte della capitale per ridar pace all’impero”.
Yún si alzò in piedi e chiese: “ Che cosa avete in mente, Mèngdé?”.
Cāo rispose: “ Mi sono posto recentemente al servizio di Dōng Zhuó, proprio per poter avere maggiori possibilità di colpirlo. Ora, Zhuó mi dà fiducia, ed è questa la ragione per cui talvolta posso avvicinarmi a lui. So che siete in possesso di un prezioso pugnale chiamato “Settestelle”. Se me lo prestate, entrerò in casa
di Dŏng Zhuó e lo ucciderò. Anche se dovessi morire a causa di ciò, non lo rimpiangerei”.
Yún osservò: “Se questa è davvero la vostra intenzione, il Paese è fortunato”.
Riempì personalmente di vino una coppa e la offrì a Cāo, che lasciò cadere a terra qualche goccia della bevanda, impegnandosi solennemente a compiere ciò che aveva promesso.
Poi Yún andò a prendere il pugnale e glielò consegnò.
Cāo lo nascose fra le pieghe dell’abito e finì di bere il suo vino. In seguito si alzò, salutò tutti e se ne andò.
Gli altri ospiti si trattennero ancora per qualche tempo, poi anch’essi presero congedo.
XX. Il giorno seguente, Cáo Cāo , con il pugnale alla cintura, si recò alla residenza del Cancelliere e chiese di
vederlo.
Gli assistenti gli risposero: “È in camera sua”.
Cāo si presentò.
Dŏng Zhuó era seduto sul letto e Lǚ Bù vigilava al suo fianco.
Dŏng Zhuó gli domandò: “Mèngdé, perché sei in ritardo” e Cāo gli rispose “ Sono in ritardo perché il mio cavallo zoppica”.
Zhuó si rivolse allora a Lǚ Bù : “ Abbiamo degli ottimi cavalli appena arrivati da Xīliáng. Fèngxiāng, va a prenderne uno per Mèngdé”.
Bù obbedì ed uscì.
Cāo pensò: “Ecco il momento opportuno per ammazzare questo furfante” e voleva tirar fuori il pugnale e colpire, ma esitava perché Dŏng Zhuó era un uomo robusto e così perse tempo prezioso.
Dŏng Zhuó, che era corpulento e di alta statura, non riusciva a rimanere seduto a lungo, così si sdraiò di nuovo, con la faccia volta verso il muro.
“Adesso o mai più” pensò Cāo ed estrasse rapidamente il pugnale.
Proprio mentre si accingeva a colpire, Dŏng Zhuó levò inaspettatamente lo sguardo verso lo specchio appeso alla parete e vi vide riflesso Cáo Cāo con un pugnale in mano.
Si voltò rapidamente e gli chiese preoccupato: “Mèngdé, che cosa stai facendo?”.
XXI. Esattamente in quel momento, si sentì Lǚ Bù arrivare con il cavallo dinanzi alla stanza.
Cāo prese paura e, con il pugnale in mano, si inchinò profondamente dicendo: “Ho qui un pugnale molto pregiato che intendevo offrire a Vostra Eccellenza”.
Zhuó prese il pugnale e lo esaminò. Era lungo un po’più di venti centimetri e la sua impugnatura era ornata con sette tipi di pietre preziose. Era molto affilato ed era veramente un oggetto di grande pregio.
Dopo averlo ammirato, Zhuó lo porse a Lǚ Bù , che lo prese in consegna.
Cāo sciolse dalla cintura la guaina e la diede a Lǚ Bù.
Poi, Zhuó condusse Cāo fuori dalla stanza e gli mostrò il cavallo.
Cāo lo ringraziò e disse: “Vorrei provare a montarlo”.
Zhuó fece portare sella e briglie.
Cāo montò il cavallo e lo fece uscire dal cortile della residenza, poi lo fece galoppare verso sud-est,
sferzandolo con il suo frustino.
Nel frattempo, Bù aveva osservato: “Ho la sensazione che Cáo Cāo stesse per pugnalarvi. Il mio arrivo deve averlo sconcertato e, non sapendo più cosa fare, ha cercato di cavarsela fingendo di offrirvi il pugnale”.
“È ciò che sospetto anch’io” gli rispose Zhuó.
XXII. Proprio mentre stavano parlando arrivò Lĭ Rú e Zhuó gli raccontò ciò che era accaduto.
Rú disse: “Cāo non tiene moglie e figli nella capitale, ma ci vive da solo. Convocatelo qui. Se si presenta senza
esitare, avrete la prova che la sua intenzione era veramente quella di regalare il pugnale. Se trova scuse per non presentarsi, avrete la prova che voleva assassinarvi ed allora potremo arrestarlo ed interrogarlo”.
Zhuó fu d’accordo ed inviò quattro guardie a convocare Cāo.
Quando ritornarono, dopo parecchio tempo, le guardie riferirono quanto segue: “ Cāo non è ritornato a casa sua. Ha galoppato a spron battuto ed è uscito dalla città attraverso la porta orientale. Alle sentinelle, che gli chiedevano perché doveva uscire dalla città, ha risposto: ‘Missione urgente per ordine del Cancelliere’ ed è cavalcato via.”
Rú osservò: “ La fuga di Cāo dimostra che aveva cattive intenzioni. È evidente che voleva uccidervi”.
Zhuó concluse, amareggiato: “ Io gli avevo assegnato funzioni importanti e lui voleva ancora assassinarmi”.
Rú riflettè: “Non può essersi lanciato in un tentativo del genere senza avere dei complici. Se riusciamo a prenderlo, potremo sapere chi sono”.
Zhuó fece affiggere in tutte le province dell’impero manifesti che riportavano le caratteristiche fisiche di Cáo Cāo e che offrivano per la sua cattura un premio di diecimila monete d’oro e la concessione di un titolo nobiliare dotato di una rendita pari all’ammontare delle imposte pagate da diecimila focolari. Chiunque l’avesse ospitato sarebbe stato considerato suo complice.
XXIII. Nel frattempo Cáo Cāo , uscito dalla capitale, stava galoppando a spron battuto verso il distretto di
Qiáo.
Mentre attraversava la contea di Zhōngmù, i soldati di guardia ad un posto di blocco lo fermarono come individuo sospetto e lo portarono dal governatore.
Cāo dichiarò: “Sono un mercante. Il mio nome è Huángfŭ”, ma il governatore lo scrutò con attenzione e, dopo aver borbottato un po’ tra sé e sé, gli disse: “Mi ricordo di avervi visto quando venni a Luòyáng a cercare di
ottenere una nomina nell’amministrazione. Allora vi chiamavano Cáo Cāo . Perché cercate di nascondere la vostra identità?”. Poi, rivoltosi alle guardie, ordinò: “Portatelo in cella. Domani lo consegneremo alle autorità della capitale ed intascheremo la taglia”.
I soldati del posto di blocco se ne andarono, dopo aver ricevuto razioni speciali di cibo e di vino.
XXIV. Verso mezzanotte, il governatore ordinò ai suoi aiutanti di far uscire discretamente il prigioniero dalla sua cella e di condurlo nel cortile posteriore della residenza per l’interrogatorio.
Il governatore domandò a Cāo: “Ho sentito dire che il Cancelliere non vi trattava affatto male. Perché vi
siete messo nei guai?”.
“Come potrebbe un fringuello capire le ambizioni di un cigno?” gli rispose Cāo “ Voi mi avete catturato. Consegnatemi alle autorità ed intascate la taglia. Non c’è bisogno di fare tante domande.”
Il governatore ordinò ai suoi uomini di ritirarsi, poi disse a Cāo: “ Non dovete stimarmi così poco. Non sono un ottuso burocrate. Semplicemente, non ho ancora trovato nessuno che meriti di essere servito con devozione”.
Cāo gli rispose: “ I miei antenati sono stati al servizio degli Hàn per generazioni. Se non mi preoccupassi anch’io per il bene del Paese, in che cosa mi distinguerei da un animale? Mi sono rassegnato a servire Zhuó solo per trovare il miglior modo di colpirlo e di liberare il mondo dalla sua presenza. Il Cielo ha voluto che non ci riuscissi.”
Il governatore gli domandò: “Mèngdé, passando di qui, dove intendevate andare?”.
“Stavo ritornando nella mia regione d’origine” gli rispose Cāo “ Progettavo di diffondere un falso editto imperiale che invitasse i governatori ed i nobili di tutto l’impero a reclutare truppe per opporsi a Dōng Zhuó”.
XXV. Nel sentire queste parole, il governatore sciolse personalmente le corde che tenevano avvinto Cāo,
lo fece sedere e si inchinò più volte dinanzi a lui, dicendo: “Voi siete veramente un sincero servitore del Paese”.
Cáo Cāo si inchinò a sua volta e domandò al governatore come si chiamasse.
Questi rispose: “Mi chiamo Chén Gōng. Il mio nome di cortesia è Gōngtái. Mia madre e la mia famiglia vivono nel distretto di Dōng. La vostra fedeltà nei confronti del Paese mi ha commosso. Abbandonerò il mio
incarico e verrò via con voi.”
Cāo fu felice di questa decisione.
Quella stessa notte, Chén Gōng, dopo aver preso con sé un po’ di danaro per il viaggio, portò a Cāo degli abiti nuovi perché potesse cambiarsi. Prese con sé anche due spade, una per ciascuno. Montarono a cavallo e si diressero verso il villaggio natale di Cāo.
XXVI. Dopo aver cavalcato tre giorni, giunsero nei dintorni di Chénggāo mentre si stava facendo sera. Indicando col frustino una zona coperta da fitti boschi, Cāo disse a Gōng: “Là vive, con la sua famiglia, un uomo che si chiama Lǚ Bóshē, il quale è un amico intimo di mio padre. Andiamo a chiedergli notizie dei miei
ed a vedere se può ospitarci per la notte”.
“Molto bene” rispose Gōng.
I due galopparono fino di fronte alla facciata della casa, poi smontarono da cavallo ed entrarono a salutare
Bóshē.
Questi disse a Cāo: “Il governo ha messo una taglia su di te e ti stanno cercando dappertutto. Tuo padre è già fuggito a Chénliú. Come sei riuscito ad arrivare fin qui?”.
Cāo gli raccontò tutta la storia ed aggiunse: “Se non fosse per il governatore Chén, sarei già stato fatto a pezzi”.
Bóshē si inchinò di fronte a Chén Gōng, dicendogli: “Grazie per aver salvato dallo sterminio la famiglia Cáo. Per questa notte, potrete dormire nella mia povera dimora.”
Detto questo, si alzò per rientrare in casa. Ne uscì di nuovo, poco dopo, e disse a Chén Gōng: “A casa non ho nemmeno un goccio di buon vino. Vado un momento al villaggio, qui ad ovest, a comprarne una caraffa, per farvi onore”. Montò rapidamente sul suo asinello e si allontanò.
XXVII. Cāo e Gōng erano seduti da un momento, quando udirono improvvisamente provenire da dietro
la casa il rumore di coltelli che venivano affilati.
Cāo osservò: “Lǚ Bóshē non è un mio parente stretto e la sua partenza mi lascia perplesso. Dovremmo ascoltare attentamente che cosa stanno dicendo”.
I due sgusciarono di nascosto verso il retro della casa, dove sentirono delle voci che dicevano:” Allora d’accordo, prima lo leghiamo e poi lo ammazziamo?”
Cāo mormorò: “ Ah, dunque è così! Se non colpiamo per primi, ci faranno certamente fuori”.
Cāo e Gōng sguainarono le spade e si lanciarono all’interno della casa uccidendo tutti coloro che incontrarono, senza distinguere tra maschi e femmine. In tutto, contarono otto morti, ma quando penetrarono nella cucina vi trovarono un porcellino che era stato appeso per i piedi in attesa di essere sgozzato.
Gōng constatò: “ Mèngdè, abbiamo tratto delle conclusioni affrettate ed abbiamo ucciso degli innocenti”.
Corsero fuori dalla fattoria, montarono a cavallo e fuggirono via.
XXVIII. Avevano forse percorso un chilometro, quando si videro venire incontro Lǚ Bóshē, che aveva appeso al pomo della sella del suo asino due caraffe di vino e che portava in mano frutta e verdura.
Egli domandò loro: “Caro nipote e voi, nobile governatore, perché ve ne state andando via?”.
Cāo gli rispose: “Un ricercato non può rimanere a lungo da nessuna parte”.
Bóshē replicò: “Ho già dato istruzioni ai miei familiari di ammazzare un porcellino per voi. Che male c’è a passare una notte in casa mia? Per favore, girate i cavalli e tornate indietro.”
XXIX. Cāo non gli diede retta, frustò il cavallo e passò oltre. Ma, fatti pochi passi, estrasse di colpo la spada e tornò indietro urlando a Bóshē: “Chi è la persona che sta venendo qui?”.
Quando Bóshē si voltò dall’altra parte per guardare, Cāo levò la spada e calò sopra di lui un gran fendente, facendolo cadere morto dall’asinello.
Gōng ne fu sconvolto. “Prima s’è trattato di un malinteso” fece a Cāo “Ma questo....”
Cāo non si scompose: “ Se Bóshē fosse arrivato a casa ed avesse visto tutti quei morti, non sarebbe di certo
rimasto senza far nulla. Ma, se avesse radunato gente e si fosse lanciato al nostro inseguimento, noi ci saremmo trovati nei guai”.
Gōng obiettò :” Questo è un omicidio premeditato. È un atto criminale ”.
“È sempre meglio far del male agli altri che soffrire il male noi stessi” gli rispose tranquillamente Cāo.
Gōng rimase senza parole.
XXX. Quella sera, dopo aver cavalcato ancora per alcuni chilometri, bussarono alla porta di una locanda, dove si fermarono a trascorrere la notte.
Dopo che ebbero dato la biada ai cavalli, Cāo andò a dormire per primo.
Gōng nel frattempo pensava: “Ho creduto a torto che Cáo Cāo fosse un galantuomo ed ho lasciato il mio posto per seguirlo. Solo ora mi accorgo che è un malvagio. Se rimango con lui, finirà di certo male” e voleva tirar fuori la spada ed andare ad ucciderlo.
Si potrebbe proprio dire: È pieno d' odio per il furfante. Ha scoperto che Cāo e Dŏng sono fatti della stessa pasta.”
Alla fine, come si salvò Cáo Cāo ? Continuate a leggere e lo saprete.
NOTE
(1) L'imperatore non si inginocchia mai di fronte a nessuno e siede sul trono col viso rivolto verso il sud. Costringendolo a compiere atti incompatibili con la sua dignità, si dimostra a tutta la Corte che ha perso
il suo rango e che è ormai un suddito come gli altri.
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