Capitolo 15
Tàishĭ Cí affronta in un accanito duello il Piccolo Conquistatore
Sūn Bófú dà battaglia a Yán, detto la “Tigre Bianca”.
I. Ritorniamo ora a parlare di Zhāng Fēi, che, sguainata la spada, voleva tagliarsi la gola.
Xuándé si precipitò innanzi per trattenerlo, gli strappò la spada e la gettò per terra dicendogli:”Ricordati questa massima degli antichi: ‘ I fratelli sono come le braccia e le gambe, le mogli sono come gli abiti. Se ti lacerano un vestito, puoi ancora rattopparlo, ma se ti tagliano un braccio od una gamba, non c’è più rimedio.. Noi tre , nel giardino dei peschi, abbiamo giurato di essere fratelli, non per vivere insieme, ma per morire tutti insieme. Dopo aver perso la città che avevo occupato e la famiglia, perché dovrei perdere per strada anche i miei fratelli?. Del resto, la città di Xúzhōu, in fondo, non mi apparteneva e, per quanto riguarda i miei cari, è vero che sono stati catturati, ma Lǚ Bù non gli farà certamente del male, senza contare che nulla ci impedisce di fare progetti per liberarli. Fratello mio, come puoi pensare di sacrificare la tua vita per l’errore di un momento?”.
Detto questo si mise a piangere, ed anche Guān e Zhāng furono colti dalla commozione.
II. Nel frattempo, Yuán Shù, avendo saputo che Lǚ Bù aveva occupato Xúzhōu, gli mandò subito un messaggero a promettergli cinquantamila moggi di cereali, cinquecento cavalli, diecimila once d’oro e d’argento e mille rotoli di seta multicolore, se avesse continuato ad attaccare Liú Bèi.
Lǚ Bù gradì questa promessa ed ordinò a Gāo Shùn di muoversi, alla testa di cinquantamila uomini, per prendere alle spalle Liú Bèi, il quale, però, venuto a conoscenza della manovra, approfittò del cattivo tempo per sganciarsi e, lasciata la contea di Xūyí, si ritirò in direzione est verso il distretto di Guănlíng. Così, quando le truppe di Gāo Shùn arrivarono sul posto, Xuándé se ne era già allontanato.
Gāo Shùn incontrò Jì Líng per chiedergli di versare a Lǚ Bù ciò che gli era stato promesso, Ma Jì Líng gli rispose “Il mio capo sta per arrivare all’accampamento. Deciderà lui sulla richiesta di Sua Eccellenza”. Gāo Shùn allora, dopo aver preso congedo da Jì Líng , ritornò con il suo esercito da Lǚ Bù al quale riferì le parole
di Jì Líng .
III. Mentre Lǚ Bù non sapeva che pensare , gli giunse improvvisamente da Yuán Shù una lettera del seguente tenore: “ Nonostante l’intervento di Gāo Shùn, non è stato possibile eliminare Liú Bèi. Infatti avete perso tempo prima di attaccarlo. Perciò non sono tenuto a pagarvi quanto vi avevo promesso”.
Lǚ Bù si infuriò, dichiarò che Yuán Shù aveva mancato alla propria parola e voleva marciare contro di lui, ma Chén Gōng lo sconsigliò dal far questo: “ Non ti conviene. Shù occupa Shòuchūn ed ha molti soldati ed abbondanti provviste. Non devi sottostimare il nemico. Sarebbe più saggio invitare Liú Bèi a ritornare al villaggio di Xiăopèi e convincerlo ad allearsi con te. Così un giorno potrai mandare lui per primo all’attacco contro Yuán Shù. Più tardi potrai attaccare Yuán Shào e potrai impadronirti facilmente di tutto l’impero.”
Lǚ Bù accettò il consiglio e diede ordine di spedire una lettera a Xuándé per convincerlo a fare ritorno.
IV. Passiamo ora a Xuándé, che aveva condotto le sue truppe verso oriente, per occupare Guănlíng e che, dopo essere stato attaccato da Yuán Shù, aveva perso più della metà dei soldati.
Proprio mentre ritornava indietro, incontrò il messaggero di Lǚ Bù , che gli mostrò la lettera di cui s’è già detto.
Xuándé ne fu estremamente felice.
Guān e Zhāng osservarono: “Lǚ Bù è una persona sulla quale non si può far conto. Non possiamo fidarcene.”, ma Xuándé non condivideva la loro opinione: “ Si sta dimostrando cortese nei miei riguardi. Perché dovrei dubitare di lui?”. Nel frattempo arrivarono a Xúzhōu. Bù temeva di non essere riuscito a convincere Xuándé ed
allora diede subito ordine di rimandargli le mogli ed i figli. La signora Gān e la signora Mĭ rividero così Xuándé e gli raccontarono che Lǚ Bù aveva comandato ai suoi soldati di vigilare su di esse e sui loro figli ed aveva vietato a chiunque di penetrare nei loro appartamenti. Inoltre aveva permesso alle concubine di andare a fare acquisti, perché non mancassero di nulla. Xuándé disse a Guān e Zhāng: “Io sapevo che Lǚ Bù non avrebbe certamente fatto del male alla mia famiglia.” ed entrò nella città che Lǚ Bù gli proponeva . Zhāng Fēi odiava Lǚ Bù e non voleva seguire Liú Bèi a Xiăopèi, perciò, dopo aver dato il benvenuto alle due cognate, lasciò la città.
V. Xuándé si recò in visita da Lǚ Bù per esprimergli la propria riconoscenza. Lǚ Bù gli disse: “ Io non avevo intenzione di occupare la città, ma son dovuto intervenire per difenderla, perché tuo fratello minore Zhāng Fēi, che avrebbe dovuto amministrarla, si ubriacava e cominciava a far uccidere la gente, ed io ho avuto paura che succedesse una catastrofe”. “È da tempo che volevo cedertela, fratello” gli rispose Xuándé. Lǚ Bù allora finse di voler restituire la città a Xuándé, ma quest’ultimo rifiutò con decisione e tornò ad acquartierarsi nel villaggio di Xiăopèi, anche se Guān e Zhāng, nel loro intimo, continuavano ad essere inquieti. Xuándé disse loro: “ Mi sono piegato perché so quale è attualmente il rapporto di forze, in attesa che vengano tempi migliori. Non si può sfidare il destino”. Lǚ Bù gli fece inviare grano, riso e seta. Liú Bèi si ricongiunse poi alle sue due mogli ed ai figli, e di questo non occorre più dire altro.
VI. Veniamo ora a parlare di Yuán Shù che offrì un grande banchetto ai suoi ufficiali nella città di Shòuchūn.
In quell’occasione gli riferirono che Sūn Cè aveva attaccato il governatore di Lújāng, Lù Kāng, lo aveva sconfitto ed era ritornato a casa. Shù convocò allora Cè, che venne a rendergli omaggio. Dopo che si furono salutati, Shù ordinò ai suoi domestici di preparare un banchetto. Sūn Cè , dopo i funerali del padre, si era ritirato nello Jiāngnán, dove si era circondato di uomini di talento. In seguito, quando Táo Qiāng e lo zio materno di Cè , Wú Jĭng, governatore di Dānjiáng, lottavano tra di loro, Cè aveva trasferito la madre ed il suo seguito a Qū’ē, e si era posto lui stesso al servizio di Yuán Shù. Shù lo apprezzava molto e ripeteva spesso: “Se avessi un figlio come Sūn Cè , non avrei paura della morte”. Perciò aveva deciso di nominarlo generale e di affidargli delle truppe per attaccare Jīngxiàn, dove aveva vinto il gran tutore Zŭ Láng. Shù aveva visto che Cè era coraggioso e perciò gli aveva ordinato di attaccare Lù Kāng. Ora aveva di nuovo vinto ed era ritornato a casa.
VII. Quel giorno, terminata la festa, mentre ritornava al suo accampamento, Sūn Cè si mise a riflettere con quanta alterigia Yuán Shù lo avesse trattato e si sentì depresso. Si mise allora a passeggiare al chiaro di luna sul piazzale dell’accampamento. “Che eroe è stato mio padre Sūn Jiān” pensava” ed io ora sono caduto così in basso” e non potè trattenersi dal singhiozzare e dal piangere amaramente. All’improvviso gli si accostò un uomo che, ridendo fragorosamente, gli domandò: “Bófú, che cosa sta succedendo? Io ho spesso servito il tuo nobile padre quando era vivo. Se hai dei problemi da risolvere, perché non ti rivolgi a me , invece di metterti a piangere?”. Sūn Cè lo squadrò. Era un uomo di Gūzhāng, nel distretto di Dānyáng. Si chiamava Zhū Zhì. Il suo nome di cortesia era Jūnlĭ. Era un vecchio collaboratore di Sūn Jiān. Sūn Cè smise di piangere e lo invitò a sedersi, dicendogli: “ Sto piangendo perché mi dispiace di non avere la forza di volontà di mio padre”. Zhì gli disse: “ Perché, col pretesto di voler soccorrere Wú Jĭng, non chiedi a Yuán Shù di affidarti delle truppe da condurre nel Jiāndōng. Questo sarà l’inizio di una grande impresa e poi, col passare del tempo, potrai cominciare a sottomettere la gente.”
VIII. Proprio mentre stavano parlando,apparve improvvisamente un altro uomo, che disse: “Signor Cè, so che cosa state meditando. Sono pronto a mettere a vostra disposizione cento uomini bene addestrati per aiutarvi.” Ce lo guardò con attenzione. Era un consigliere di Yuán Shù. Si chiamava Lǚ Fàn ed era originario di Xìyáng nel Rŭ’nán. Il suo nome di cortesia era Zĭhéng. Lo invitarono a sedersi con loro per continuare la conversazione. Lǚ Fàn osservò: “Purtroppo temo che Yuán Shù non sia disposto ad affidarvi le truppe di cui avete bisogno”.Sūn Cè rispose: “Io detengo il Gran Sigillo Imperiale, che mi è stato lasciato dal mio defunto padre. Potrei darlo a Yuán Shù in cambio dei soldati”. Lǚ Fàn disse: “Yuán Shù desidera da tempo ottenere il Gran Sigillo. Se voi glielo glielo offrite, sarà certo disposto ad affidarvi un corpo di truppe”.
IX. I tre uomini presero così una decisione.
Il giorno seguente, Sūn Cè chiese udienza a Yuán Shù,gli si prostrò dinanzi e gli disse piangendo: “ Non sono stato capace di vendicarmi dei nemici di mio padre ed ora il governatore di Yángzhōu, Liú Yáo, sta minacciando mio zio Wú Jĭng. La mia vecchia madre ed i miei familiari si trovano tutti a Qū’ē e rischiano di essere uccisi. Vorrei chiedervi di affidarmi qualche migliaio di soldati scelti perché io possa correre a salvare la mia famiglia navigando sul fiume. Per fornire a Vostra Eccellenza tutte le necessarie garanzie della mia buona fede, sono pronto a lasciarvi in pegno il Gran Sigillo Imperiale che ho ereditato da mio padre”.
Sentendo che Sūn Cè era in possesso del Gran Sigillo, Yuán Shù se lo fece dare e lo esaminò con attenzione, poi, tutto soddisfatto, gli disse: “ Non ti avevo chiesto questo sigillo, ma ora che me l’hai offerto, posso tenerlo in garanzia. Ti concedo tremila fanti e cinquecento cavalieri. Dopo aver sconfitto i nemici, torna subito qui. Considerato il tuo basso grado, è difficile ottenere per te un incarico elevato, ma io ti nominerò comandante dei carri da guerra con l’incarico di sterminare i banditi. Partirai non appena sarà possibile.”
X. Sūn Cè lo ringraziò, poi si mise alla testa delle sue truppe insieme con Zhū Zhi, Lǚ Fàn, i generali Chéng Pŭ,
Huáng Gài, Hán Dāng ed altri, dopo aver scelto un giorno propizio per mettersi in marcia.
A Lìyáng incontrò un distaccamento di truppe guidato da un uomo capace e di bell’aspetto. Vedendo Sūn Cè, questo comandante smontò da cavallo e si inchinò. Cè lo guardò. Era un uomo di Shùchéng, nella contea di Lújiāng, e si chiamava Zhōu Yú. Il suo nome di cortesia era Gōngjìn. Quando Sūn Jiān aveva attaccato Dŏng
Zhuó, Zhōu aveva spostato la propria famiglia a Shùchéng e, poiché lui e Sūn Cè erano coetanei, erano diventati intimi, come se fossero fratello maggiore e fratello minore. Essendo piùanziano di due mesi rispetto a Yú, era Cè che aveva assunto il ruolo di fratello maggiore e Zhōu Yú quello di fratello minore. Ora svolgeva le funzioni di governatore di Dānyáng e, mentre andava a visitare i propri parenti, aveva incontrato per caso Sūn Cè .
XI. Sūn Cè e Zhōu Yú furono molto lieti di essersi incontrati e si raccontarono con emozione un mucchio di cose. Poi Yú disse all’amico: “Desidero mettermi umilmente al tuo servizio. Insieme faremo grandi cose.” Sūn
Cè se ne rallegrò e gli rispose: “Ora che sei con me, le grandi imprese è come se fossero già compiute.”, poi lo presentò a Zhū Zhì, a Lǚ Fàn ed agli altri. Zhōu Yú domandò allora a Sūn Cè : “ Fratello, ti serve ancora aiuto per la tua grande impresa? Conosci i due Zhāng del Jiāndōng?”. “Chi sono i due Zhāng?” gli chiese Sūn Cè . “Uno è Zhāng Zhāo di Péngchéng. Il suo nome di cortesia è Zĭbù.” gli rispose Zhōu Yú “ L’altro è Zhāng Hóng di Guănglíng. Il suo nome di cortesia è Zĭgāng. Sono due uomini di enormi capacità politiche, che si sono ritirati in questa regione per vivere lontani dalla violenza e dal disordine. Non potresti impiegarli al tuo servizio?”.
XII. Sūn Cè inviò immediatamente dei messaggeri ad offrir loro un incarico presso di lui, ma entrambi rifiutarono e non si mossero. Allora Sūn Cè si recò personalmente a casa loro e, con grandi insistenze, li convinse ad accettare la sua offerta. Quando ebbero accettato Cè nominò Zhāng Zhāo suo primo segretario e comandante della guardia, e Zhāng Hóng consigliere e colonnello. Tutti insieme deliberarono sull’attacco contro Liú Yáo.
XIII. Parliamo ora di Liú Yáo, il cui nome di cortesia era Zhèng Lĭ. Liú Yáo era originario di Mùpíng nel Dōnglái ed era imparentato con la casa imperiale. Era nipote del Gran Comandante Liú Chŏng e fratello minore di Liú Dài, che era stato governatore di Yănzhōu. Liú Yáo era stato anche lui governatore di Yángzhōu ed aveva fissato la propria residenza a Shòuchūn, ma ne era stato cacciato da Yuán Shù ed era stato costretto a rifugiarsi nel Jiāndōng. Perciò si era ritirato a Qu’e.
Zhāng Yĭng prese la parola e disse: “Se mi affidate il comando, mi trincererò con le mie truppe a Niúzhŭ,
da dove potrò bloccare l’avanzata di qualsiasi esercito, fosse anche forte di un milione di uomini.”, ma non aveva ancora finito di parlare che un altro ufficiale intervenne, dichiarando ad alta voce: “Io, invece, se mi sarà
affidato il comando, attaccherò subito il nemico”. Tutti gli sguardi si concentrarono su di lui. Era Tàishĭ Cí di Huáng nel Dōnglai, il quale, dopo aver lasciato Bĕihăi, era venuto a rendere visita a Liú Yáo , che lo aveva trattenuto al proprio servizio. Ora, avuta notizia dell’approssimarsi delle truppe di Sūn Cè, suggeriva di attaccarle subito. “Sei ancora troppo giovane per affidarti un esercito.”obiettò Liú Yáo ” Avrai un comando subordinato ed eseguirai le istruzioni che ti saranno date”. Tàishĭ Cí si ritirò deluso.
XIV. Zhāng Yĭng si fortificò a Niúzhŭ, dove fece ammassare enormi scorte di cereali. Quando giunsero le truppe di Sūn Cè , Zhāng Yĭng fece una sortita per affrontarle e vedendo Sūn Cè , che veniva avanti a cavallo, cominciò ad insultarlo. Allora Huáng Gài si lanciò addosso a Zhāng Yĭng , ma avevano appena cominciato a duellare che un grande scompiglio si manifestò fra le truppe di Zhāng Yĭng , mentre si spargeva la notizia che gli accampamenti stavano bruciando. Zhāng Yĭng fece subito suonare la ritirata, ma Sūn Cè approfittò del momento favorevole per lanciarsi all’attacco e Zhāng Yĭng fu costretto a fuggire lontano sulle colline, abbandonando Niúzhŭ.
XV. Risultò poi che l’accampamento di Zhāng Yĭng era stato incendiato da due intraprendenti avventurieri: Jiăng Qīn di Shòuchūn nel Jiŭjiāng, il cui nome di cortesia era Gōngyì, e Zhōutài di Xiàcài nel Jiŭjiāng, il cui nome di cortesia era Yòupíng. I due si erano incontrati in quell’epoca turbolenta, avevano organizzato una banda nella regione intorno alle rive dello Yángzĭ e vivevano di saccheggi e di rapine. Avendo d’udito da tempo che c’era nel Jiāndōng un uomo eccezionale, Sūn Cè, capace di apprezzare le persone di valore, avevano deciso di andare da lui, alla testa di più di trecento uomini, per offrirgli i loro servizi.
Sūn Cè si rallegrò della loro venuta e conferì ad entrambi il grado di capitano. Poi si impadronì dei cereali depositati nei granai e delle armi custodite nella città. Infine, arruolò nelle proprie file più di quattromila prigionieri e marciò su Shéntíng.
XVI. Nel frattempo, lo sconfitto Zhāng Yĭng era ritornato da Liú Yáo, che voleva farlo giustiziare, ma ne fu dissuaso dai suoi consiglieri Zé Róng e Xuē Lĭ. Diede allora ordine di concentrare truppe nella città di Línglíng per bloccare l’avanzata nemica da quella parte e mosse egli stesso verso Shéntíng. Giunto nella zona, si accampò a sud della montagna che si erge nei pressi della città, mentre Sūn Cè era accampato a nord della stessa montagna.
Sūn Cè domandò agli abitanti del luogo: “ Non è vero che su questa montagna sorge un tempio dedicato all’imperatore Guāngwŭ della dinastia Hàn?”.
“Sì”gli risposero”Il tempio sta proprio in cima alla montagna”.
Allora Sūn Cè disse: “Questa notte ho sognato che Guāngwŭ mi invitava a renderegli visita. Ho deciso di andare a venerarlo.”
“Non andateci” gli consigliò il suo segretario Zhāng Zhāo “Liú Yáo è accampato proprio a sud della montagna. Che cosa succederebbe se vi tendesse un’imboscata?”.
“Perché dovrei aver paura?” gli rispose Sūn Cè “Gli dei mi proteggono”.
Poi indossò l’armatura, afferrò la lancia, montò a cavallo e, accompagnato da Chéng Pŭ, Huáng Gài, Hán Dāng, Jiăng Qīn, Zhōu Tài ed alcuni altri, in tutto tredici persone, galoppò verso la cima della montagna e si presentò al tempio per bruciare incenso in onore di Guāngwŭ. Dopo essere smontato da cavallo ed aver compiuto il sacrificio, Sūn Cè si inginocchiò e promise: “Se riuscirò ad impadronirmi del Jiāndōng ed a recuperare l’autorità che fu di mio padre, mi impegno a restaurare senza ritardo questo tempio e ad istituirvi sacrifici per tutto l’anno.”
XVII. Terminato il sacrificio, uscì dal tempio, rimontò a cavallo e, voltandosi verso i suoi accompagnatori, disse loro: “ Al di là della montagna c’è l’accampamento di Liú Yáo . Voglio andare a darci un’occhiata”. I suoi ufficiali lo scongiurarono di non farlo, ma Sūn Cè non li ascoltò e cominciò a scendere dall’altro lato della montagna. Quando giunsero all’altezza dei primi villaggi tra i boschi, furono avvistati dalle pattuglie di guardia, che corsero a fare rapporto a a Liú Yáo . “Sūn Cè cerca sicuramente di attirarci in un’imboscata.” osservò quest’ultimo “Non dobbiamo inseguirlo.”, ma Tàishĭ Cí, tutto eccitato, esclamò: “Se non approfittiamo di questo momento per catturare Sūn Cè , quanto aspetteremo ancora?” e, senza attendere gli ordini di Liú Yáo , indossò rapidamente l’armatura e montò a cavallo. Poi, brandendo la lancia, si gettò fuori dall’accampamento urlando: “Tutti quelli che hanno del coraggio, mi seguano.” Nessuno però si mosse, salvo un ufficiale inferiore che disse. “ Tàishĭ Cí è veramente un valoroso. Io gli vado dietro”. Spronando i cavalli, galopparono insieme, mentre tutti gli altri sogghignavano.
XVIII. Sūn Cè , che aveva esaminato a lungo l’accampamento del nemico, aveva appena voltato il cavallo per ritornare tra i suoi. Proprio mentre stava attraversando la cima della montagna, sentì sopraggiungere qualcuno che urlava: “Sūn Cè , fermati!”. Si voltò a guardare e vide due cavalieri che arrivavano al galoppo. Allora fece schierare ai propri fianchi i suoi tredici compagni, mise la lancia in resta e, fermato il cavallo appena oltre la cima della montagna, attese l’assalto.
“Chi di voi è Sūn Cè ?”urlò a gran voce Tàishĭ Cí .
“E tu, chi sei” replicò Sūn Cè .
“Sono Tàishĭ Cí di Dōnglái” fu la risposta “ e sono venuto a prenderti”.
“Eccomi. Venite pure avanti tutti e due .”urlò Sūn Cè ” Non ho paura di voi. Se l’avessi, non sarei Sūn Cè .”
“Fatevi pure avanti tutti” urlò a sua volta Tàishĭ Cí “Neppure io vi temo.”e, con la lancia in resta, si gettò al galoppo contro Sūn Cè , che, fermo sul suo cavallo, la lancia in posizione, attendeva impavido l’assalto.
I due cavalli si scontrarono e cominciò il duello, che si protrasse a lungo senza che nessuno dei due contendenti riuscisse ad avere la meglio. Chéng Pŭ e gli altri sussurravano tra di loro stupiti.
XIX. Tàishĭ Cí si accorse che la maestria di Sūn Cè nel maneggiare la lancia rendeva vani tutti i suoi assalti e così decise di ricorrere ad uno stratagemma: finse di fuggire, per indurre l’avversario ad inseguirlo. Non prese però il sentiero da cui era venuto, ma si lanciò per un altro cammino che girava intorno alla montagna. “Chi scappa è un vigliacco” gli urlava dietro Sūn Cè , lanciato all’inseguimento. Intanto Tàishĭ Cí rifletteva: “ Questo farabutto ha con sé dodici compagni ed io sono solo. Anche se riuscissi a catturarlo, lo libererebbero subito. Devo cercare di trascinarlo lontano forse riuscirò a fare qualcosa”. E così,ora combattendo, ora fuggendo, si allontanava sempre di più.
XX. Inseguendo l’avversario con accanimento, Cè era sbucato di slancio in una radura. Qui, Tàishĭ Cí voltò all’improvviso il cavallo e fece di nuovo fronte.Il duello riprese e continuò a lungo. Cè tentò di ferire l’avversario con la punta della lancia, ma Tàishĭ Cí riuscì ad evitare il colpo ed afferrato Cè sotto il braccio, ne arrestò lo slancio. Ciascuno dei due cercava ora con forza di disarcionare l’altro, ma alla fine rotolarono entrambi giù di sella. I cavalli galopparono via chissà dove. I due contendenti gettarono via le lance e cominciarono a lottare a mani nude, tirandosi per le vesti che si stracciarono. Sūn Cè riuscì a prendere con la mano un corto pugnale che Tàishĭ Cí portava legato alla schiena e Taishi sfilò l’elmo dalla testa di Sūn Cè . Poi Sūn Cè cercò di pugnalare Tàishĭ Cí , ma questi riuscì a deviare il colpo con l’elmo.
XXI. All’improvviso dietro di loro risuonarono delle grida: erano i soldati di Liú Yáo che si stavano avvicinando ed erano più di un migliaio. Cè si spaventò, ma Chéng Pŭ ed i suoi dodici cavalieri si lanciarono subito al suo soccorso. Solo allora Sūn Cè e Tàishĭ Cí rinunciarono alla lotta e si staccarono l’uno dall’altro. Tàishĭ Cí chiese un cavallo ai suoi commilitoni, ricuperò la propria lancia, risalì a cavallo e si lanciò di nuovo nella mischia. Anche Sūn Cè , il cui cavallo era stato ritrovato da Chéng Pŭ, riafferrò la lancia e rimontò in sella.
Liú Yáo ed i suoi mille uomini si lanciarono in disordine su Chéng Pŭ ed i suoi dodici compagni e, per un po’di tempo, si vide una mischia confusa agitarsi su e giù per il pendio di Shéntíng. poi, con grande strepito, arrivarono le truppe di Zhōu Yú ed allora Liú Yáo comandò ai suoi soldati di ridiscendere la collina. Era ormai quasi sera e, nel frattempo, si era scatenato un violento acquazzone, cosicché entrambi i comandanti ordinarono la ritirata.
XXII. Il giorno seguente Sūn Cè condusse le sue truppe dinanzi all’accampamento di Liú Yáo , che uscì con il suo esercito ad affrontarlo. Dopo che entrambi ebbero schierato in bell’ordine i propri uomini, Sūn Cè cavalcò
dinanzi alle file dei soldati, mostrando a tutti il pugnale di Tàishĭ Cí legato alla punta della lancia, mentre i suoi urlavano a squarciagola: “ Se Tàishĭ Cí non fosse fuggito a gambe levate, sarebbe già morto”.
Tàishĭ Cí , da parte sua, caracollava dinanzi alle truppe, esibendo come un trofeo l’elmo di Sūn Cè , mentre i suoi gridavano a gran voce: “Ecco la testa di Sūn Cè !”.
XXIII. Le due schiere lanciarono i loro urli di guerra. Se da una parte saliva un enorme clamore, dall’altra si rispondeva con uno strepito ancor più forte,
Tàishĭ Cí spinse avanti il proprio cavallo, deciso ad affrontare Sūn Cè in un duello senza quartiere, e Sūn Cè si preparava a fargli fronte, quando intervenne Chéng Pŭ, che gli disse: “ Vostra Eccellenza non deve esporsi ad alcun rischio. Basto io ad affrontare quell’individuo” ed uscì dalle file dirigendosi verso lo sfidante.
Tàishĭ Cí urlava: “Non tocca a te batterti con me, finché Sūn Cè può montare a cavallo”, ma Chéng Pŭ, messa la lancia in resta, gli si gettò contro al galoppo.
Dopo che i due cavalli si furono scontrati ed i due contendenti si furono scambiati una trentina di colpi, Liú Yáo ordinò precipitosamente la ritirata.
“Perché devo ritirarmi” protestò Tàishĭ Cí ” proprio ora che stavo per avere la meglio su quel farabutto?”.
Liú Yáo gli rispose: “ Mi è stato riferito che Zhōu Yú ha marciato con i suoi soldati su Qū’ē per attaccarla di sorpresa e che un uomo di Sōngzī nel Lújiāng, Chén Wŭ, che chiamano Zĭliè, lo ha aiutato ad occupare la città. Ci è venuto meno il nostro punto d’appoggio e non potremmo resistere a lungo. Dobbiamo dirigerci subito a Mòlíng, per congiungerci con le truppe di Xuē Lĭ e Zé Róng, che ci possono aiutare.
XXIV. Tàishĭ Cí accompagnò Liú Yáo nella ritirata che questi aveva ordinato e Sūn Cè non li inseguì, anzi comandò ai propri soldati di fermarsi.
Il suo primo segretario Zhāng Zhāo gli consigliò: “I nostri nemici sono stati colti di sorpresa dall’attacco di
Zhōu Yú a Qū’ē e sono profondamente demoralizzati. La mossa migliore per noi sarebbe di assalire il loro accampamento questa notte stessa”.
Sūn Cè approvò il suggerimento e, giunta la sera, divise il proprio esercito in cinque colonne che avanzarono rapidamente verso l’accampamento nemico per sentieri diversi. Le truppe di Liú Yáo subirono una grave sconfitta e si dispersero in tutte le direzioni. Solo Tàishĭ Cí oppose una fiera resistenza, ma alla fine, nel cuore della notte, fu costretto a fuggire a Jīngxiàn con dieci cavalieri.
XXV. Ritorniamo ora a parlare di Sūn Cè , che trovò un nuovo aiuto in Chén Wŭ. Quest’ultimo era un uomo alto circa un metro e settanta, dal volto rubizzo e dagli occhi arrossati, ma, nonostante il suo strano aspetto, Sūn Cè lo apprezzò molto, tanto da nominarlo capitano e da affidargli l’avanguardia del distaccamento che doveva attaccare le truppe di Xuē Lĭ. Alla testa di una dozzina di cavalieri, Chén Wŭ fece un’improvvisa irruzione tra le schiere nemiche uccidendo una cinquantina di soldati ed intimidendo Xuē Lĭ, che non osò più uscir fuori a combattere.
XXVI. Mentre Sūn Cè si preparava ad assalire la città, gli fu riferito che Liú Yáo e Zé Róng erano andati ad attaccare Niúzhŭ. Sūn Cè si infuriò e, postosi lui stesso alla testa di un numeroso esercito, si affrettò verso Niúzhŭ. Liú Yáo e Zé Róng gli si mossero incontro, a cavallo, con le loro truppe. “Ora che sono qui “ chiese Sūn Cè ” come farete a resistermi?”.Un alto ufficiale di nome Yú Mí cavalcò allora fuori dalle file dei soldati di Liú Yáo brandendo la lancia, ma non riuscì a scambiare con Sūn Cè più di tre colpi, prima che quest’ultimo lo catturasse vivo, ritornando poi verso il proprio esercito. Il generale Fán Néng, vedendo che Yú Mí era stato catturato, sollevò la lancia e si gettò all’inseguimento di Sūn Cè , puntandogli l’arma contro la schiena .Dalle schiere di Sūn Cè un ufficiale gridò: Attento! C’è uno che ti insegue”. Sūn Cè si voltò, vide che Fán Néng gli veniva addosso con il cavallo e lanciò un urlo terribile, che rimbombò come un tuono. Fán Néng ne fu così terrorizzato che cadde da cavallo, si ruppe l’osso del collo e morì. Giunto dinanzi alle porte dell’accampamento, Sūn Cè gettò a terra il corpo di Yú Mí, che era già morto, stritolato dalla sua stretta. In un attimo Sūn Cè aveva stritolato un generale con le proprie braccia e ne aveva ucciso un altro terrorizzandolo con la propria voce. Da quel momento tutti lo chiamarono “Il Piccolo Conquistatore”.
XXVII. Quel giorno l’esercito di Liú Yáo subì una grave sconfitta ed un gran numero di soldati si arrese a Sūn Cè . Più di diecimila uomini caddero uccisi. Liú Yáo e Zé Róng si ritirarono a Yùzhāng, cercando rifugio presso Liú Biăo, mentre Sūn Cè richiamava indietro le proprie truppe per lanciarle all’assalto di Mòlíng. Avvicinatosi al fossato che circondava la città, intimò a Xuē Lĭ di arrendersi. Un arciere nascosto sulle mura scoccò una freccia, che lo colpì alla coscia sinistra. Sūn Cè perse l’equilibrio e cadde da cavallo. Tutti si precipitarono ad aiutarlo e lo riportarono all’accampamento, dove estrassero la punta della freccia dalla ferita e medicarono la piaga. Sūn Cè ordinò ai suoi generali di diffondere la voce che il comandante supremo era stato trafitto da
una freccia ed era morto. I generali inscenarono un falso funerale e finsero di levare il campo per tornare a casa.
XXVIII. Imbaldanzito dalla falsa notizia della morte di Sūn Cè, Xuē Lĭ radunò le truppe che si trovavano nella città e, insieme con i due valorosi generali Zhāng Yĭng e Chén Héng, organizzò una sortita per inseguire il nemico in ritirata, ma, improvvisamente, cadde in un agguato e fu circondato da ogni parte dai soldati nemici, alla testa dei quali s’era posto lo stesso Sūn Cè , che urlava a gran voce: “Sūn Cè è ancora vivo”. Le truppe di Xuē Lĭ furono colte dal panico. I soldati gettavano via lance e spade e si gettavano a terra implorando pietà.
Sūn Cè diede ordine di risparmiarli.
Zhāng Yĭng voltò il cavallo per fuggire, ma fu raggiunto da Chén Wŭ, che lo trafisse con la lancia. Chén Héng fu colpito da Jiăng Qīn con una freccia e morì. Xuē Lĭ fu ucciso in mezzo ai soldati che fuggivano.
Entrato in Mòlíng, Sūn Cè comandò di non far del male agli abitanti della città, poi inviò truppe ad attaccare Tàishĭ Cí che stava a Jīngxiàn.
XXIX. Parliamo ora di Tàishĭ Cí che era riuscito ad arruolare più di duemila uomini validi, oltre le truppe della guarnigione, e che si apprestava a marciare in soccorso di Liú Yáo.S ūn Cè e Zhōu Yú elaborarono un piano per catturalo vivo. Yú suggerì di attaccare Jīngxiàn da tre lati, lasciando aperta una sola via di scampo sul lato della porta orientale e di preparare un’imboscata a circa dieci chilometri dalla città, ponendo dei distaccamenti in agguato su ciascuna delle strade percorribili. Tàishĭ Cí sarebbe fuggito in quella direzione e non sarebbe potuto sfuggire alla cattura, visto che i suoi soldati erano ormai esausti.
La difesa di Jīngxiàn era difficile perché la maggior parte degli uomini reclutati da Tàishĭ Cí erano montanari e contadini, non avvezzi alla disciplina militare, e perché le mura della città non erano molto alte.
Una sera, Sūn Cè ordinò a Chén Wŭ di vestirsi con abiti leggeri e di arrampicarsi sulle mura, armato soltanto di
un pugnale. Una volta penetrato in città, avrebbe dovuto appiccare degli incendi.
Tàishĭ Cí vedendo la città in fiamme, saltò a cavallo e galoppò verso la porta orientale da dove fuggì verso la campagna. Sūn Cè lo inseguì con le proprie truppe.
XXX. Tàishĭ Cí si allontanò rapidamente dalla città e, dopo circa un chilometro e mezzo, coloro che gli stavano dietro rinunciarono all’inseguimento. I fuggiaschi percorsero ancora al galoppo circa venticinque chilometri, poi, avendo constatato che gli uomini ed i cavalli erano ormai esausti, Tàishĭ Cí diede ordine di sostare in un canneto per riposarsi un momento. Udendo all’improvviso levarsi tutt’intorno alti clamori, Tàishĭ Cí saltò in sella e fece per fuggire, ma il cavallo incappò in una corda tesa lungo il cammino, inciampò e lo disarcionò. Così Tàishĭ Cí fu catturato, legato e condotto all’accampamento di Sūn Cè . Non appena questi seppe che Tàishĭ Cí era stato catturato, uscì dall’accampamento per andargli incontro, disse alle guardie di lasciarli soli e slegò egli stesso il prigioniero. Poi, mettendogli sulle spalle il proprio mantello di broccato ed invitandolo ad entrare nell’accampamento, gli disse: “So che sei veramente un uomo di valore. Quello stupido di Liú Yáo non ha saputo sfruttare le tue qualità militari ed è per questo che è stato sconfitto”:
XXXI. Tàishĭ Cí vide che Sūn Cè lo trattava con grande riguardo e perciò dichiarò che si arrendeva. Cè gli prese la mano e gli domandò sorridendo: “ Quando ci siamo affrontati a Shéntíng, se tu fossi riuscito ad avere la
meglio, mi avresti ucciso?”. “Chi può dirlo?” gli rispose Cí con un sorriso. Allora Cè scoppiò in una gran risata e lo invitò ad entrare nella sua tenda, dove lo fece sedere al posto d’onore e gli offrí un banchetto, rivolgendoglisi sempre con molta cortesia.
Cí disse: “ Liú è stato appena sconfitto e le sue truppe stanno disperdendosi. Sono pronto ad aiutarvi portandogli via io stesso i soldati che gli sono ancora fedeli.”. Cè si alzò e lo ringraziò con queste parole: “Ciò è
esattamente quanto desidero. Sono d’accordo con la tua proposta. Vai e ritorna entro domani a mezzogiorno”. Tàishĭ Cí promise di tornare e partì.
Diversi ufficiali osservarono: “Ora che l’avete lasciato andare, Tàishĭ Cí non ritornerà certamente da voi”. “ Tàishĭ Cí è un uomo di parola e sono sicuro che ritornerà” replicò Cè, ma gli altri non ne erano convinti.
XXXII. Il dì seguente, nell’istante esatto in cui l’ombra dei pali rizzati all’entrata dell’accampamento indicava mezzogiorno, Tàishĭ Cí ritornò portando con sé i resti delle truppe di Liú Yáo , più di un migliaio di uomini.
Sūn Cè se ne rallegrò grandemente e tutti dovettero riconoscere che egli sapeva valutare bene il carattere delle persone.
Dopo di ciò, Sūn Cè , alla testa di un grande esercito, scese nel Jiāndōng e sottomise quel territorio, ponendo in fuga innumerevoli nemici. Tutta la popolazione del Jiāndōng cominciò allora a chiamarlo “Sūn il Glorioso”. È vero che, non appena si spargeva la voce che le sue truppe si stavano avvicinando, la gente fuggiva terrorizzata. Ma, quando arrivavano, si poteva subito constatare che non avveniva alcun saccheggio e che i soldati erano estremamente disciplinati. La popolazione, rassicurata, si presentava agli accampamenti per offrire vino e bestiame, che Cè ricambiava con doni di denaro e di stoffe. La regione risuonava di voci gioiose. I soldati di Liú Yáo che vollero arruolarsi nelle truppe di Cè poterono farlo; gli altri furono congedati e rimandati a casa. Cè ottenne così l’ammirazione e gli applausi della gente del Jiāndōng ed aumentò notevolmente la propria forza militare.
Fece ritornare a Qū’ē sua madre e suo zio materno. Affidò al fratello minore Sūn Quán ed al generale Zhōu
Tài la difesa della città di Xuānchéng e lui stesso guidò le sue truppe verso est per attaccare Wújùn.
XXXIII. La regione di Wú era allora occupata da un certo Yán, detto “La Tigre Bianca”, che si era attribuito il titolo altisonante di “ Valoroso Signore del Wú Orientale” e che governava, attraverso i suoi subordinati, le città di Wūchéng e di Jiāxīng.
Quando venne a sapere che le truppe di Cè si stavano avvicinando, “La Tigre Bianca” ordinò a suo fratello minore Yán Yú di marciare contro il nemico.
I due eserciti si incontrarono al Ponte dell’Acero.
Yú si piazzò a cavallo in mezzo al ponte, impugnando la spada.
La notizia fu riportata al quartier generale di Cè, che decise subito di accettare la sfida.
Zhāng Hóng cercò di dissuaderlo: “ È vero che il che il comandante in capo deve essere un esempio di coraggio per tutto l’esercito, ma non ha senso rischiare la vita per affrontare qualsiasi bandito. Occorre essere ragionevoli”.
“ Grazie, Maestro” obiettò Sūn Cè “ Le tue parole sono piene di saggezza, ma se non mostro loro di essere un uomo coraggioso, ufficiali e soldati potrebbero rifiutarsi di ubbidire ai miei ordini”. Tuttavia, si lasciò convincere e mandò avanti Hán Dāng.
XXXIV. Proprio mentre Hán Dāng giungeva all’imboccatura del ponte, Jiăng Qīn e Chén Wŭ attraversarono rapidamente il fiume su una piccola barca e , scesi sull’altra riva, si fecero largo tra i nemici, risalendo verso il ponte in mezzo ad un nugolo di frecce. I due uomini avanzavano rapidamente, massacrando chiunque li
affrontasse, e Yán Yú preferì ritirarsi. Allora Hán Dāng guidò i suoi uomini all’attacco ed arrivò combattendo fino alla porta di Chāngmén, ma il bandito riuscì a rifugiarsi nella città.
Sūn Cè ordinò alle forze terrestri ed a quelle navali di avanzare contemporaneamente e circondò Wūchéng.
Per tre giorni nessuno tentò una sortita, il quarto Sūn Cè schierò tutto il suo esercito dinanzi alla porta di Chāngmén ed intimò al nemico di arrendersi.
C’era sulle mura un ufficiale che, appoggiato con la mano sinistra al parapetto di legno, agitava la destra contro coloro che stavano sotto la porta insultandoli a gran voce.
Tàishĭ Cí spinse più avanti il suo cavallo, afferrò l’arco, estrasse una freccia dalla faretra, poi si girò verso il comandante in capo e disse: “Guardate! Fra un attimo, centrerò in pieno la mano sinistra di quel farabutto.”.
XXXV. Prima ancora che avesse finito di parlare, si udì vibrare la corda dell’arco e, come aveva detto, la freccia centrò in pieno il bersaglio, penetrando nella mano sinistra dell’ufficiale ed inchiodandola al parapetto di
legno. Non vi fu nessuno sia tra gli assedianti sia tra gli assediati che non ammirasse l’abilità dell’arciere.
XXXVI. Tutti si affrettarono a portare il ferito giù dalle mura. Báihŭ fu molto scosso da questo fatto ed esclamò: “ Se nell’esercito che abbiamo di fronte ci sono uomini di questo genere, come faremo a resistere?”.Perciò decise di intavolare trattative di armistizio ed il giorno successivo ordinò a suo fratello Yán Yú di uscire dalla città per incontrare Sūn Cè . Cè invitò Yú nella propria tenda e gli offrì da bere. Già un po’ brillo, Cè si rivolse a Yú domandandogli che intenzioni avesse suo fratello. “Vorrebbe che ci accordassimo
per dividerci il Jiāndōng” gli rispose Yú .Cè si infuriò, si mise ad urlare: “Come osa quel miserabile mettersi alla pari con me?”ed ordinò di tagliare la testa al messaggero. Yú sguainò la spada per difendersi, ma Cè fu più rapido e lo colpì immediatamente, poi, quando fu caduto, gli tagliò la testa ed ordinò ad un messaggero di
portarla agli assediati. Báihŭ, pensando di non poter resistere al nemico, lasciò la città e fuggì.
XXXVII. Cè proseguì allora la sua offensiva, nel corso della quale Huáng Gài occupò Jiāxīng e Tàishĭ Cí conquistò Wūchéng. Furono sottomessi tutti i distretti della zona. Báihŭ fuggì a Yúháng, saccheggiando tutto ciò che trovava lungo il cammino, ma fu sconfitto da un corpo di milizie locali comandato da Líng Cāo
e dovette ripiegare su Guìjì. Líng Cāo e suo figlio andarono incontro a Sūn Cè che li nominò capitani nel proprio esercito, poi, tutti insieme, attraversarono lo Yángzĭ. Yán, la Tigre Bianca, radunò le proprie truppe e le schierò alla foce dello Xījīndù, ma fu ripetutamente sconfitto in battaglia da Chéng Pŭ e la notte stessa fuggì a precipizio verso Guìjī.
XXXVIII. Il governatore di Gujī, Wáng Lăng, voleva muovere con le sue truppe in soccorso della Tigre Bianca, ma un uomo si fece avanti e disse: “ Non dovreste farlo. Sūn Cè è qualcuno che si lascia guidare da consiglieri prudenti e giusti, mentre Báihŭ è semplicemente un bruto. La cosa più saggia da compiere sarebbe arrestarlo e consegnarlo a Sūn Cè ”.
Láng lo squadrò. Era un funzionario amministrativo originario di Yúyáo, nel distretto di Guìjī Si chiamava Yú Fān ed il suo nome di cortesia era Zhòngxiáng.
Lăng, irritato dal suo intervento, gli rispose con durezza e Yú Fān si ritirò sospirando.
Allora Láng unì le sue truppe a quelle di Báihŭ ed insieme si schierarono nella pianura di Shānyīn.
Quando i due eserciti si trovarono di fronte, Sūn Cè si fece avanti a cavallo ed urlò a Wáng Lăng: “ Io ed il mio esercito agiamo con prudenza e giustizia e veniamo nello Zhèjiāng per riportarvi pace ed ordine. Perché sostieni i ribelli?”.
“Perché sei così insaziabile?” gli domandò sarcastico Wáng Lăng “ La regione di Wú non ti basta più? Ora vuoi occupare anche il mio territorio?. Oggi vendicherò i torti che hai fatto alla famiglia Yán.”
XXXIX. Sūn Cè si irritò profondamente e diede immediatamente ordine di attaccare battaglia. Tàishĭ Cí si fece avanti e Wáng Lăng gli spronò subito contro brandendo la spada. Si erano appena scambiati qualche
colpo, quando il generale Zhōu Xīn accorse in aiuto di Lăng. Vedendo questo, Huáng Gài volò in soccorso di Cí dal centro dello schieramento di Sūn Cè ed incrociò il ferro con Zhōu Xin. Entrambi gli schieramenti si affrontarono allora in battaglia al rullo dei tamburi.
Ad un certo punto, la retroguardia di Lăng fu colta da un’improvvisa confusione perché una schiera di soldati l’aveva assalita alle spalle. Lăng ne fu molto spaventato e subito voltò il cavallo per mettersi al sicuro.
Zhōu Yúe e Chéng Pŭ avevano eseguito con le loro truppe una manovra a tenaglia in modo da prendere
il nemico tra due fuochi. Wáng Lăng, irrimediabilmente sconfitto, lottava ora insieme a Yán Báihŭ e Zhōu
Xīn per aprirsi una via di fuga. Alla fine riuscirono a riparare in città e non appena vi furono entrati, fecero tirar su i ponti levatoi e sbarrare le porte.
XL Il potente esercito di Sūn Cè si avvicinò alla città e si suddivise in diversi reparti per attaccarne le quattro porte. Wáng Lăng, osservando dalle mura della città Sūn Cè che muoveva all’assalto con grande vigore, voleva fare una sortita per affrontarlo in una battaglia decisiva,ma Yán Báihŭ lo dissuase con queste parole: “L’esercito di Sūn Cè è troppo forte perché una sortita possa avere successo. Non vi resta che adottare una strategia difensiva. In meno di un mese ai nostri assedianti mancheranno i viveri e saranno costretti a ritirarsi. Allora si potrà tendere loro un’imboscata e distruggerli”.
Lăng si lasciò convincere da queste parole e si limitò a difendere con tenacia la città di Guìjī senza tentare sortite.
XIL. Sūn Cè continuò per parecchi giorni ad attaccare, ma non ottenne alcun successo ed allora si consultò con i suoi generali.
“Wáng Lăng si sta difendendo con tale vigore che sarà difficile cacciarlo via dalla città.” osservò Sūn Jìng
“Tuttavia, la maggior parte delle provviste di Guìjī sono immagazzinate a Chádú, che dista di qui solo qualche decina di chilometri. Non potremmo mandare i nostri soldati ad occupare quel borgo fortificato, applicando la massima: “Colpire dove il nemico non è preparato, assalirlo dove non se lo aspetta”?.
Sūn Cè approvò la proposta con entusiasmo: “ Ottimo piano, zio. Con questa strategia riusciremo a sconfiggere i ribelli” e diede subito ordine alle truppe di togliere l’assedio quella stessa notte e di marciare verso sud. Per ingannare gli assediati dispose che fossero lasciati accesi i fuochi di bivacco accanto a tutte le porte, che le bandiere non fossero ammainate e che un certo numero di soldati continuassero a circolare negli accampamenti.
A quel punto si fece avanti Zhōu Yú e disse: “ Eccellenza! Quando Wáng Lăng si accorgerà che il grosso delle vostre forze si sta ritirando, uscirà certamente dalle mura per inseguirvi. Non sarebbe astuto da parte nostra,
cogliere l’occasione per attaccarlo di sorpresa e sconfiggerlo?”.
“Se ci prepariamo bene” gli rispose Sūn Cè “ potremo conquistare la città già questa notte”.
Poi ordinò all’esercito di mettersi in marcia,
XIIL. Torniamo ora a parlare di Wáng Lăng, il quale, quando gli venne riferito che le truppe di Sūn Cè si stavano ritirando, salì di persona in cima ad una torre per vedere dove fossero finiti i soldati nemici. Constatando che, sotto le mura della città, si alzava ancora il fumo dei fuochi di bivacco e che le bandiere poste di fronte all’accampamento non erano state ammainate, rimase perplesso. Zhōu Xīn osservò: “ Sūn Cè se n’è proprio andato via. È evidente che questo è uno stratagemma per farci dubitare di ciò che ci è stato riferito. Potremmo fare una sortita ed attaccarlo di sorpresa.”.
“Non sarà mica andato via per attaccare Chádú?” si domandò Báihŭ. “Diamo ordine al generale Zhōu Xīn
di inseguirlo con un corpo di truppe”.
“Chadu è la base in cui sono immagazzinati i nostri rifornimenti.” concluse Wáng Lăng “ Dobbiamo assolutamente difenderla. Uscite subito con le avanguardie ed io vi raggiungerò in seguito”.
Báihŭ e Zhōu Xīn uscirono dalla città alla testa di cinquemila soldati per lanciarsi all’inseguimento e si erano ormai spinti a circa dieci chilometri dalla città quando, improvvisamente, dal folto di un bosco si udì levarsi un rullo di tamburi e si videro spuntare fiaccole da ogni parte.
Báihŭ, spaventatissimo, tirò le briglie e voltò il cavallo per fuggire, ma si vide subito sbarrare il cammino da un generale in cui, alla luce delle torce, riconobbe Sūn Cè .
Zhōu Xīn affrontò Sūn Cè con la spada sguainata, ma fu trafitto da un colpo di lancia.
Tutti i soldati superstiti si arresero, ma Báihŭ, combattendo sanguinosamente, riuscì ad aprirsi una strada tra i nemici e si rifugiò a Yúháng.
XIIIL. Wáng Lăng, subito informato della sconfitta subita dalla sua avanguardia, non osò ritornare in città, ma si diresse in gran fretta verso le lontane regioni della costa. Allora Sūn Cè fece tornare indietro le sue truppe, occupò la città e garantì sicurezza alla popolazione.
Pochi giorni dopo gli si presentò un uomo che gli portava la testa della Tigre Bianca. Cè lo squadrò: era alto più di un metro e ottanta, con una faccia quadrata e grosse labbra. Gli domandò nome e cognome. Proveniva da Yúyáo nel Guìjī e si chiamava Dŏng Xí. Il suo nome di cortesia era Yuándài. Ce lo nominò maggiore di un
reggimento.
Da allora nelle regioni orientali tutto fu tranquillo. Cè nominò suo zio Sūn Jìng governatore di Guìjī e Zhū
Zhì governatore di Wújùn, poi, riunito l’esercito, ritornò nel Jiāndōng.
XIVL. Parliamo ora di Sūn Quán e di Zhōu Tài, ai quali era stato affidato il governo della città di Xuānchéng.
Improvvisamente, dei banditi provenienti dalle montagne fecero una scorreria, attaccando da ogni parte. Era notte fonda e l’assalto non trovò resistenza.
Tài prese tra le sue braccia il giovane Quán e saltò a cavallo per fuggire, ma alcuni briganti armati di spada gli si fecero incontro. Allora Tài balzò di nuovo a terra,e con la spada in mano ed a petto scoperto, affrontò i briganti, abbattendone più di dieci. Subito dopo un cavaliere gli si lanciò contro, cercando di colpirlo con una lancia, ma Tài gli strappò la lancia di mano e lo tirò giù di sella, poi saltò sul cavallo e si aprì la strada combattendo. In questo modo Tài salvò Sūn Quán. Poco dopo, i briganti si ritirarono nei loro lontani covi. Zhōu
Tài aveva però ricevuto una dozzina di ferite e le piaghe si infiammarono, mettendo in pericolo la sua vita.
XLV. Sūn Cè ne fu molto scosso. In una riunione convocata sotto la sua tenda, Dŏng Xí osservò: “Una volta io ricevetti numerose ferite di taglio in un combattimento contro i banditi, ma riuscii a trovare un saggio di nome Yú Fān, che mi indirizzò ad un bravo medico, il quale mi guarì in due settimane”.
“Questo Yú Fān sarebbe quello che si fa chiamare Yú Zhòngxiáng?” domandò Sūn Cè.
“Sì, è proprio lui” gli rispose Dŏng.
Allora Sūn Cè disse: “Quell’uomo è davvero un saggio. Potrei prenderlo al mio servizio”.Poi ordinò a Zhāng
Zhāo e a Dŏng Xī di andare insieme ad invitare Yú Fān.
Fān venne e fu accolto con rispetto e cortesia da Cè, che lo salutò con deferenza e gli attribuì subito un importante incarico.
In seguito parlarono della questione delle cure mediche.
“C’è un uomo del distretto di Qiáo, nel regno di Pèi.” disse Yú Fan” Si chiama Huá Tuó ed il suo nome di cortesia è Yuánhuá. È veramente il miglior medico che esista a questo mondo. Bisognerebbe chiamarlo perché venisse a vedere.”
XLVI.Lo fecero subito venire. Cè lo guardò bene: anziano, ma vigoroso, lo si sarebbe detto un immortale disceso sulla terra. Fu trattato come un ospite di riguardo e fu pregato di esaminare le piaghe di Zhōu Tài.
Tuó disse: “È un caso facile da trattare. Basterà ungere il ferito per un mese, o poco più, con le pomate che
vi prescriverò”.
Cè ne fu molto contento e ringraziò Huá Tuó, ricompensandolo generosamente.
In seguito Cè inviò i suoi soldati sulle montagne ad attaccare e distruggere i banditi e pacifico così tutto il Jiāngnán.
Assegnò a ciascuno dei suoi subordinati la difesa di una regione o la sorveglianza di un valico.
Poi fece rapporto all’Imperatore sulle operazioni compiute ed instaurò buoni rapporti con Cáo Cāo.
Da ultimo, inviò a Yuán Shù un messaggero con una lettera per chiedergli la restituzione del Gran Sigillo
Imperiale.
XLVII. Yuán Shù, che, segretamente, nutriva l’ambizione di diventare Imperatore, rispose invocando pretesti per non restituire il sigillo e convocò subito a consiglio il suo segretario principale e capo di stato maggiore Yáng Hóng , i comandanti in capo Zhāng Xūn, Jì Líng, Qiáo Ruí, i generali Léi Bò e Chén Lán ed altri, in tutto più di una trentina di persone, ai quali domandò il loro parere con queste parole:
“Sūn Cè s’è fatto prestare da me i soldati per compiere le sue spedizioni militari ed ora, dopo aver sottomesso la regione del Jiāngnán,non pensa affatto a provarmi la sua riconoscenza, anzi vorrebbe indietro il Gran Sigillo e non mostra alcun rispetto nei miei confronti. Che cosa si potrebbe fare per rimetterlo al suo posto?”.
Il segretario principale e capo di stato maggiore Yáng gli rispose: “Sūn Cè occupa i punti strategici della vallata del Grande Fiume, dispone di soldati coraggiosi ed ha scorte abbondanti. Non possiamo progettare nulla contro di lui. Per ora, vi converrebbe, prima di tutto, attaccare Liú Bèi e vendicarvi del fatto che vi abbia assalito senza ragione. In seguito, sarà sempre possibile progettare una campagna contro Sūn Cè . Ho un piano per far sì che Liú Bèi cada nelle vostre mani in men che non si dica.”
È proprio così: Yuán Shù rinunciava ad attaccare la Tigre del Jiāngdōng per avventarsi sul Drago di Xúzhōu.
Non sapete qual era il piano di Yáng? Il capitolo seguente ve lo spiegherà.
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