Mò Yán 莫 言 (“Non parlare”) è lo pseudonimo di Guăn Móyè 管 谟 业 , famoso scrittore e saggista contemporaneo. (1)
Nato a Gāomì 高 密 nello Shāndōng 山 东 da una famiglia di contadini, durante la Rivoluzione Culturale (文 化 大 革 命 ”wénhuà dà gémìng “ )(1966-1976) lasciò la scuola per lavorare in campagna. A diciott’anni fu assunto in una fabbrica di cotone. Nel 1976 si arruolò nell’Esercito Popolare di Liberazione (中 国 人 民 解 放 军 “zhōngguó rénmín jiĕfàngjūn ”) e cominciò a scrivere.
Nel 1984 ricevette, per i suoi lavori, un premio dalla Rivista delle forze armate e fu ammesso al dipartimento di letteratura presso il Collegio Artistico dell’Esercito Popolare di Liberazione (中 国 人 民 解 放 军艺 术 学 院 “zhōngguó rénmín jiĕfàngjūn yìshù xuéyuán”).
Nel 1986 pubblicò il romanzo “Sorgo Rosso” (红 高 粱 家 族 ”hóng gāolián jiāzú”, letteralmente “La famiglia del sorgo rosso”), che gli procurò fama nazionale e da cui trasse poi la sceneggiatura per l’omonimo film di Zhāng Yìmóu 张 艺 谋, che vinse l’Orso d’Oro al Festival di Berlino del 1988.
Nel 1991 ottenne il dottorato in letteratura presso l’Università Normale di Pechino (北 京 师 范 大 学 “bĕijīng shīfàn dàxué”)
Nel 1997 vinse il premio annuale dell’Associazione degli Scrittori Cinesi (中 国 作 家 协 会 “ zhōngguó zuòjiā xiéhuì”).
Nel 2012 gli è stato attribuito il Premio Nobel per la letteratura. (2) Nella motivazione del conferimento si legge che “la sua opera fonde, con un realismo allucinatorio, racconti popolari, storia e contemporaneità”. All’assegnazione del premio hanno fatto seguito numerose critiche, soprattutto da parte di chi rimprovera allo scrittore di non essersi dimostrato solidale, in parecchie occasioni, con altri intellettuali angariati dal regime.
Mò Yán pubblicò il suo primo racconto ,” Pioggia battente in una notte di primavera” (春 夜 雨 霏 霏 ”chūn yè yŭ fēi fēi”), nel 1981, quando era ancora un perfetto sconosciuto.
Fecero seguito numerosi romanzi, racconti e novelle, di cui fornisco qui un breve elenco, che non pretende di essere completo.(3)
Romanzi
“Sorgo Rosso”( 红 高 粱 家 族 ”hóng gāolián jiāzú” ) 1986, il romanzo che lo ha reso famoso, traccia la storia di una famiglia dello Shāndōng nel periodo che va dal 1923 al 1976 sullo sfondo di eventi quali l’invasione giapponese, la guerra civile e la presa di potere del partito comunista, la rivoluzione culturale.
“La Canzone dell’Aglio Celeste” (天 堂 蒜 薹 之 歌 “tiāntáng suàntái zhī gē”) 1988 racconta la rivolta degli agricoltori di Gāomì contro le autorità che, dopo averli obbligati a coltivare aglio, avevano loro proibito di venderlo sul mercato.
“Il Paese del Vino” (酒 国 “jiŭ guó”) 1992 è una satira sulle abitudini alimentari dei Cinesi. Come già aveva fatto Lŭ Xùn 鲁 迅 , l’autore usa il tema del cannibalismo a mo' di metafora per indicare che i suoi connazionali stanno distruggendo sé stessi.
“ I Tredici Passi” (十 三 步 ”shí sān bù”) 1995 è un romanzo di “comicità nera”, nel quale, attraverso le vicende orripilanti di due insegnanti di liceo e delle loro mogli, l’autore dimostra come il partito abbia svuotato la vita di ogni sostanza e descrive la riconversione delle masse al capitalismo selvaggio e alla lotta per l’ottenimento di un diploma.
“Tette grosse e fianchi larghi” (丰 乳 肥 臀 “ fēng rŭ féi tún”) 1996 descrive le peripezie di una madre, delle sue sette figlie e dell’unico figlio maschio, sullo sfondo delle vicende della Cina nel periodo che va dal 1938 al 1995. Il titolo si riferisce all’attrazione smisurata che il protagonista prova per le forme femminili.
“La foresta rossa” (红 树 林 “hóng shùlín”) 1999 è un romanzo ambientato in un villaggio di pescatori nella Cina meridionale. La vicinanza di una grande città moderna con tutte le sue passioni (denaro, ambizioni, potere, sesso) influisce sulla vita degli abitanti scavando un solco tra i vecchi che hanno partecipato alla Rivoluzione e i giovani per cui il passato non significa più nulla.
“Il Supplizio del Legno di Sandalo”( 檀 香 刑 ”tán xiāng xíng”) 2001, romanzo ambientato all’epoca della rivolta dei Boxers, narra gli intrighi familiari che si annodano intorno alla sorte di un uomo condannato a morte perché si opponeva alla costruzione di un ferrovia da parte degli Europei. Vi figura una truculenta descrizione dell’antico supplizio detto “líng chí ” 凌 遲 o ”uccisione mediante mille tagli” (殺 千刀 “shā qiān dāo”).
“Quarantun cannonate” (四 十 一 炮 “sìshíyī pào”) 2003 mette in scena un ragazzo che racconta ad un monaco la propria infanzia in una città i cui abitanti sono ossessionati dalla consumazione di carne. Il romanzo è stato interpretato, nonostante le smentite dell’autore, come un’allegoria della società cinese contemporanea.
“La vita e la morte mi stanno stancando” (生 死 疲 劳 “shēngsĭ píláo”) 2006 ripercorre la storia cinese della seconda metà del XX° secolo con gli occhi di un proprietario terriero, di carattere nobile e generoso, che viene ucciso ingiustamente durante la rivoluzione e che si reincarna, successivamente, nei corpi di cinque diversi animali, prima di rinascere infine come uomo.
“Le Rane” (蛙 “wā”) 2009 affronta, raccontando la vita di una levatrice, il difficile rapporto della Cina con la procreazione e il controllo delle nascite. Il titolo gioca sulla quasi omofonia tra i caratteri “wā” 蛙 (“rana”) e “wá” 娃 (“bambino”).
Raccolte di Racconti e di Novelle
“Il rapanello trasparente” (透 明 的 红 萝 卜 “tòu míng de hóng luóbo”).1984
Vi figurano due racconti:
“Il rapanello trasparente” (透 明 的 红 萝 卜 “tòu míng de hóng luóbo”) in cui, nel mondo desolato della campagna cinese, un piccolo vagabondo, che comunica solo a gesti, si commuove per una carezza, per un rumore, per un’emozione furtiva. Il suo sguardo rende intesamente poetici suoni, odori, materie e colori insignificanti.
“Il diluvio”( 洪 水 “hóng shuĭ ) in cui il narratore racconta un momento della vita dei suoi nonni: i giorni in cui attendevano la nascita di suo padre.
“La famiglia degli erbivori”( 食 草 家 族 ”shícăo jiāzú”), scritto tra il 1987 e il 1989 e pubblicato nel 1993, contiene sei racconti e una novella. Sono storie fantastiche ambientate nel villaggio natale dell’autore, Gāomì. Realtà e fantasia, cultura e natura, magia ed immaginazione vi si mescolano in modo appassionante. In uno dei racconti, il piccolo protagonista sembra confondere la figura della madre (媽 “mā”) con la figura totemica del clan, il cavallo (馬 “mă”).
“ La ragazza dei fiori” ( 怀 抱 鲜 花 的 女 人 “huáibào xiānhuā de nǚrén”) 1993 contiene 8 racconti. Il racconto che dà il titolo alla raccolta trae ispirazione da un film nordcoreano “La fioraia” che Mò Yán vide nel 1973 in piena Rivoluzione Culturale. Il narratore ricorda come si fosse recato al cinema con alcuni amici e come si fosse commosso di fronte al triste destino della protagonista del film. Analizzando le ragioni di tale commozione egli osserva che gli avvenimenti di quegli anni avevano talmente inaridito la libertà d’espressione e di sentimenti del popolo che esso sentiva il bisogno di trovare uno sfogo alle proprie emozioni anche in un banale melodramma. Avendo rivisto il film, per nostalgia della gioventù, molti anni dopo, lo trovò infatti “stereotipato, schematico e semplicistico”.
“Gioia “ (欢 乐 “huānlè”) , pubblicato nel 2000, contiene 8 racconti. Il racconto che dà il titolo alla raccolta è l’amara storia di un giovane contadino,Yŏnglè 永 乐 , che sogna di essere ammesso all’università. Dopo una serie di fallimenti che lo isolano sempre di più a scuola, nel villaggio e nell’ambito della sua stessa famiglia e dopo aver scoperto che la madre è giunta sino a chiedere l’elemosina per finanziare i suoi studi, decide di farla finita e di trovare, come prediceva il suo nome, la “gioia eterna”.
“ Il maestro artigiano si diverte sempre di più” (师 傅 越 来 越 幽 默 ”shīfu yuèláiyuè yōumò”) 2001 contiene 9 racconti. Nel racconto che dà il titolo alla raccolta Mò Yán affronta, in chiave comica, un rilevante fenomeno sociale: lo sviluppo frenetico di un’attività imprenditoriale priva di ogni regola. Un vecchio operaio licenziato da un momento all’altro trova un’idea geniale per sopravvivere: ammobilia sommariamente un vecchio autobus abbandonato e lo affitta come “appartamento ad ore” per incontri clandestini. Gli affari vanno a gonfie vele, finché una sera una coppia di amanti prolunga oltre misura le proprie effusioni e mette così in moto una serie di avvenimenti che procureranno non poche difficoltà al nostro eroe
“Il cane bianco e l’altalena” (白 狗 秋 千 架 ”bái gŏu qiū qiān jià) 1985 è una raccolta di trenta novelle. In quella che dà il titolo alla raccolta il narratore descrive un incidente che sfigurò una sua amica di infanzia e ne alterò profondamente la vita. ( Egli aveva invitato la ragazza a giocare sull’altalena, ma l’aveva spinta con troppa forza. Una corda s’era rotta e la ragazza era caduta in mezzo ai rovi, le cui spine le avevano perforato un occhio). Anni dopo il fatto, i due si incontrano. L’uomo è ancora tormentato dal rimorso, ma la donna, che nel frattempo si è sposata ed è divenuta madre di tre figli muti, lo consola dicendo che è stato tutto colpa del destino e gli propone di fare l’amore insieme per poter finalmente concepire un figlio che parli. La novella termina senza farci sapere quale sia la decisione dell’uomo. La storia è incentrata su emozioni forti: l’acuto rimorso dell’uomo, il desiderio della donna di poter finalmente avere un figlio normale.
“Incontro con il maestro”( 与 大 师 约 “yú dà shī jĭ”) è una raccolta di 45 novelle scritte tra il 1990 e il 2005. Spicca fra di esse la novella intitolata “Il ragazzo di ferro” (铁 孩 “tiĕ hái”) , ambientata nel periodo del Grande Balzo in Avanti (大 跃 进 “dàyuèyìn”) 1958-1960, in cui l’autore demistifica gli eccessi del mito dell’industrializzazione forzata con una fantasia altrettanto eccessiva. I figli dei contadini, abbandonati nei villaggi dai genitori che sono corsi a lavorare nelle officine improvvisate sorte come funghi un po’ dappertutto, sono affidati alle cure di vecchie megere, che per non lasciarli scappare, li legano con catene di ferro.
Mò Yán, figlio di contadini, afferma di essersi ispirato , nella sua opera, ai racconti degli abitanti del suo villaggio che mescolavano realtà e fantasia, storia e leggende, tradizione e superstizione. Propria del mondo rurale è anche la grande importanza riconosciuta agli animali, che vengono spesso personificati, quasi cancellando la differenze tra loro e gli uomini.
I suoi scritti sono caratterizzati da un accentuato disinteresse per le distinzioni tra “il presente e il passato, i morti e i vivi, il bene e il male”. Si deve però osservare che ciò può essere riportato con facilità ai tratti distintivi di una società come quella cinese, molto influenzata da dottrine quali il taoismo che ritenevano scarsamente rilevanti tali distinzioni.
Il suo lessico, ricco ed espressivo, è imperniato sul linguaggio quotidiano e non rifugge dal fare largo uso di vocaboli anche volgari e osceni. La narrazione indulge spesso nella descrizione dettagliata di scene raccapriccianti o disgustose ( torture di persone, castrazione o squartamento di animali, atti sessuali, funzioni fisiologiche, e via di questo passo) che possono mettere a disagio i lettori di stomaco delicato.
Nessuno di questi eccessi figura nel brano che segue, tratto dal tredicesimo capitolo del romanzo ”Tette grandi e fianchi larghi” che descrive con vivacità e umorismo una rappresentazione teatrale in un villaggio di provincia.
UNA SERATA DI TEATRO
Ci fermammo dinanzi al Palazzo della Felicità per ammirare le due enormi lanterne appese ai due lati dell’entrata. La loro luce giallognola illuminava i caratteri dorati della placca sospesa al frontone. Il portone era spalancato e la luce penetrava nel cortile interno da cui proveniva, a ondate, un intenso vocio. Molta gente s’era raccolta all’esterno del portone e stava lì tranquilla, in piedi, con le braccia conserte, come aspettando che succedesse qualcosa.
La mia terza sorella, Shàngguān Lĭngdì, garrula come una gazza, si rivolse ad un uomo che le stava accanto e gli domandò: “Zio, distribuiscono la minestra di riso?”. L’uomo non le diede alcuna risposta, limitandosi a scuotere la testa, ma un altro, dietro, intervenne: “Figliola, è solo l’otto del mese di Là che fanno festa e distribuiscono la minestra di riso”(4). Mia sorella girò la testa verso di lui e domandò: “Ma se non distribuiscono la minestra di riso, che cosa stiamo a fare qui?”. “Ci sarà uno spettacolo di teatro moderno (5)” le rispose l’uomo " Si dice che siano venuti degli attori famosi da Jĭnán”. Mia sorella avrebbe voluto continuare la conversazione, ma mia madre le diede un pizzicotto per farla tacere.
Dopo un po’, dal grande cortile del Palazzo della Felicità uscirono quattro uomini, ciascuno dei quali teneva in mano una lunga canna di bambù alla cui punta era appeso un aggeggio metallico di un bel color nero. I quattro aggeggi sputavano fuori una fiamma abbagliante la quale rischiarava lo spiazzo dinanzi al portone con una tale intensità che ci si sarebbe creduti in pieno giorno, anzi, c’era una luce ancor più brillante della luce del giorno.
Fuori, non lontano dal cortile del palazzo, i piccioni selvatici che avevano fatto il nido nel campanile abbandonato della chiesa si levarono in volo, starnazzando nel chiarore di un bianco accecante, e sparirono nell’oscurità.
Qualcuno, in mezzo alla folla, gridò: “Sono le lampade a gas!” e così imparammo che, in questo mondo, non ci sono solo le lampade a olio di soia, le lampade a cherosene e le lampade fluorescenti, ma anche queste lampade a gas che ti fanno male agli occhi.
I quattro marcantoni che portavano le lampade si disposero a quadrilatero dinanzi al portone del palazzo, come quattro pilastri di un color nero intenso.
Dal portone uscirono poi altri uomini che portavano sulle spalle una grande stuoia di canne arrotolata. Cantando e danzando si fecero avanti e si fermarono all’interno del quadrilatero formato dai quattro uomini che tenevano i pali con le lampade. Dopo aver gettato a terra con forza il rotolo, sciolsero le corde che lo tenevano legato, e la stuoia si svolse da sola. Allora, corsero con la schiena china a raddrizzarne i bordi, e, nel far questo, agitavano freneticamente le loro gambette nere e pelose. Poiché i loro movimenti erano troppo rapidi e il chiarore delle lampade a gas troppo vivido, si creò, dinanzi ai nostri occhi, un gioco di luci e di ombre. Ci sembrava che quegli uomini che correvano da ogni parte ad aggiustare i bordi della stuoia, avessero quattro gambe, o ancor di più, e che, in mezzo a tutte quelle gambe, si stendesse una sorta di ragnatela luminosa e trasparente. Tutto ciò si mescolava in modo tale che i loro movimenti convulsi sembravano proprio quelli di piccoli insetti che non riuscissero a districarsi da una ragnatela.
Dopo avere ben srotolato la stuoia, i quattro si raddrizzarono e salutarono il pubblico. I loro volti erano ricoperti da un trucco multicolore che li faceva sembrare pelli di animali fresche dalle zebrature particolarmente vivaci. Il trucco del primo imitava la pelle del leopardo, quello del secondo la pelle del cervo pomellato, quello del terzo la pelle della lince e quello del quarto la pelle del tasso che ruba e mangia la frutta offerta nei templi. Poi retrocedendo al ritmo di due passi e un saltello, due passi e un saltello, si ritirarono attraverso il portone del palazzo.
Ora si sentiva solo il rumore provocato dal soffio delle lampade a gas e noi attendevamo in silenzio come la stuoia nuova di zecca.
I quattro omoni vestiti di nero che tenevano in mano le canne con le lampade a gas in cima sembravano essersi tramutati in nere statue.
Risonò un colpo di gong, che risvegliò la nostra attenzione, e tutti puntarono lo sguardo verso gli angoli del portone, senza riuscire a scorgere niente all’interno perché la vista era impedita da un muro bianco che fungeva da schermo, sul quale era disegnato, in grandi dimensioni, il carattere “felicità”.
Dopo un’attesa che ci parve interminabile, Sīmă Tíng, il padrone del Palazzo della Felicità, che era stato in precedenza il capo del villaggio di Dàlán e che presiedeva ora il comitato per il mantenimento dell’ordine (6), si fece avanti con una faccia da funerale. Tenendo in mano il gong su cui sembrava battere di controvoglia, girò intorno al piazzale come se non avesse alcun desiderio di trovarsi lì. Compiuto il giro del piazzale, si fermò al centro della stuoia e si rivolse a noi: “ Cari compaesani, padri e madri, zii e zie, fratelli maggiori e cognate, fratelli e sorelle, mio fratello ha attaccato con successo il nemico distruggendo il ponte della ferrovia. La buona notizia si è sparsa in ogni angolo. Tutti sono venuti a felicitarsi con lui e gli sono arrivate più di venti menzioni al merito. (7) Per celebrare questa splendida vittoria, mio fratello ha fatto venire qui una compagnia teatrale. Lui stesso si maschererà per recitare in uno spettacolo di nuova creazione volto ad educare i suoi concittadini. In questa sera della Festa delle Lanterne noi non possiamo dimenticare l’eroica guerra di resistenza che si sta combattendo e siamo decisi a non tollerare che i diavoli giapponesi (8) occupino il nostro villaggio. Io, Sīmă Tíng, figlio della Cina, non accetterò mai più di presiedere questo comitato per il mantenimento dell’ordine. Compaesani! Noi siamo Cinesi! Non dobbiamo più servire questi cani di Giapponesi!”.
(segue)
NOTE
1) Lo scrittore ha spiegato di aver tratto il proprio pseudonimo dall’ammonimento che i genitori gli rivolgevano quando usciva di casa per paura che una parola imprudente detta in pubblico potesse arrecare guai a lui e alla sua famiglia.
2) Tecnicamente Mò Yán è stato il primo scrittore di nazionalità cinese a ricevere il Premio Nobel. Gāo Xíngjiàn 高行健, cui il premio fu attribuito nel 2000, risiedeva infatti in Francia dal 1987 ed era divenuto cittadino francese nel 1998.
3) Chiedo scusa per eventuali inesattezze concernenti le date di pubblicazione. Le notizie cronologiche reperibili su Internet sono poco affidabili, potendo riferirsi ora alla composizione di un'opera, ora alla sua pubblicazione in cinese, ora alla sua pubblicazione in altre lingue.
4) L’ottavo giorno del mese di Là 臘 月, il dodicesimo mese del calendario cinese, si celebra una grande festa tradizionale detta Làbā 臘 八 , durante la quale si usa consumare una minestra di riso chiamata 臘 八 粥 ("làbāzhōu"). Prima della Rivoluzione accadeva spesso che le famiglie ricche organizzassero distribuzioni gratuite di tale minestra in occasione della festa.
5) Il teatro moderno o “teatro parlato” (话 剧 “huàjù”), sorto agli inizi del XX° secolo, si distingue dal teatro tradizionale, che si identifica soprattutto con l’opera, per il realismo delle trame, che si ispirano alla vita della gente comune, e per la frequente rappresentazione di drammi e commedie di autori occidentali.
6) L’azione si svolge nel periodo dell’occupazione giapponese. I comitati per il mantenimento dell’ordine sono organi messi in piedi dai Giapponesi, facendo ricorso alla collaborazione di notabili locali, per sostituire in qualche modo i rappresentanti del governo cinese che erano fuggiti dinanzi all’invasore.
7) Se si fosse trattato di un’operazione compiuta da un’unità dell’esercito, si potrebbe parlare di citazioni al merito di guerra. Trattandosi di un atto di guerriglia, non c’è una precisa terminologia. Possiamo avere a che fare con elogi espressi da altri capi della guerriglia o con lettere di congratulazioni inviate da notabili o da semplici cittadini.
8) Il termine spregiativo usato per indicare i Giapponesi è “diavoli giapponesi” (日 本 鬼 子 “rìbĕn guĭzĭ”). Nel testo troviamo una variante : “piccoli diavoli” (小 鬼 子 “xiăoguĭzĭ”) forse con riferimento alla loro statura, inferiore a quella dei “diavoli occidentali”( 西 洋 鬼 子 “xīyáng guĭzĭ”).