Dīng Líng 丁玲
Dīng Líng 丁 玲 è lo pseudonimo della scrittrice Jiăng Bīngzhī 蒋 冰 之 .
Nata il 12 ottobre 1904 a Línlĭ 临澧 nel Húnán 湖 南 da una famiglia di letterati , rimase orfana del padre in giovanissima età. La madre la allevò da sola, tra grandi difficoltà, mentre studiava per divenire insegnante. Questa dolorosa esperienza fu più tardi descritta da Dīng Líng in una novella, incompiuta, intitolata “ La Madre” (母 亲 “mŭqīn”).
Iscritta nel 1918 alla Scuola Normale Femminile n.2 di Táoyuán (桃源第二女子师范 “táoyuán dì èr nǚzǐ shīfàn”), dimostrò ben presto il suo impegno politico tagliandosi i capelli e partecipando con le compagne alle manifestazioni studentesche del 4 maggio 1919.
Poichè l’atmosfera della scuola di Táoyuán non le piaceva, si trasferì, l’anno seguente al Liceo Femminile Zhōunán di Chángshā (长沙周南女子中学 “ chángshā zhōunán nǚzǐ zhōngxué)”.
Il 10 ottobre 1920 sfilò, in una folla di quasi diecimila persone, dinanzi alla sede dell’Assemblea Provinciale del Húnán. Fra le rivendicazioni avanzate dai manifestanti ce n’erano, accanto a quelle di carattere politico come l’autonomia della provincia,molte di carattere sociale, una delle quali era la richiesta di parità di trattamento per le donne. (Un altro dei partecipanti alla manifestazione, che doveva in seguito divenire famoso, era Máo Zédōng 毛 泽东 , che, a quei tempi, insegnava a Chángshā.)
Appena diciottenne, fuggì nel 1922 a Shànghăi per non dover sottostare alle imposizioni della famiglia, che aveva deciso di maritarla con un cugino.
A Shànghăi si iscrisse alla Scuola per le Fanciulle del Popolo (平民女子学校 “píngmín nǚzǐ xuéxiào”), istituto scolastico di orientamento progressista, dove collaborò ad un periodico femminista,”La Voce delle Donne” (妇女声 “fùnǚ shēng), che sosteneva tesi molto audaci per l’epoca, ad es. il controllo delle nascite.
Quando la scuola ebbe delle difficoltà, Dīng Líng si trasferì a Nanchino, da dove, tuttavia, ritornò quasi subito a Shànghăi.
Iscrittasi all’Università seguì alcuni corsi di letteratura occidentale ( i corsi di Máo Dùn 茅盾 sull’Iliade e sull’Odissea e quelli di Qū Qiūbái 瞿秋白 su Pushkin). Ella doveva più tardi confessare che il contatto con gli scrittori e con i poeti dell’Occidente ebbe un grande rilievo nella sua formazione letteraria.
Su consiglio dei suoi professori, Dīng Líng partÌ per Pechino, ma , non avendo potuto iscriversi, come sperava, all’Università, per proseguire i suoi studi, cadde in uno stato di depressione, da cui la salvò l’incontro con il poeta Hú Yĕpín 胡也频 (1903-1931), che sposò nel 1925.
Il loro comune amico Shén Cóngwén 沈从文, che abitò qualche tempo insieme alla coppia, descrive in modo idilliaco nel suo libro “ Ricordando Dīng Líng ”( 記 丁 玲 “jì dīng líng”), la vita dei due giovani intellettuali, che fu in realtà caratterizzata da condizioni vicine alla miseria.
La prima novella di Dīng Líng, intitolata “Mèngké” (梦 珂 ) è la storia di una ragazza sensibile e innocente, che, vittima di una società corrotta, finisce per diventare una ... “diva del cinema”.
La notorietà giunse tuttavia con la seconda novella, intitolata “Il diario della signorina Sofia” (莎菲女士的日记 “shāfēi nǚshì de rìjì”), in cui una giovane donna descrive la sua insoddisfazione della vita e la confusione dei suoi sentimenti.
Nel 1928, Dīng e Hú ritornarono a Shànghăi dove fecero alcuni tentativi di fondare giornali e di pubblicare personalmente le proprie opere per non essere sfruttati da editori privi di scrupoli. Tali iniziative non ebbero tuttavia successo e procurarono loro numerosi debiti.
Per Dīng Líng fu un periodo di intensa attività creativa.
Nell’ottobre 1928 pubblicò le raccolte di novelle “Nell’oscurità” ( 在 黑 暗 中 “zài hēi àn zhōng”) e “Diario di un suicida” (自 杀 日 记 ”zìshā rìjì”), seguite, nell’inverno del 1929, dal suo primo romanzo “Wéihù”(韦 护 ).
Nel 1929, per poter rimborsare i debiti da lui contratti, Hú accettò un posto di insegnante in un liceo di Jìnán 济 南 nello Shāndōng 山 东 , ma, nel maggio del 1930, colpito da un ordine di cattura emesso dalle autorità locali del Guómíndăng 国 民 党 a causa del suo insegnamento procomunista, fu costretto a fuggire da Jìnán e a ritornare a Shànghăi con la moglie.
A Shànghăi i due aderirono alla Lega degli Scrittori di Sinistra (中 国 左翼 作 家 联 盟 “zhōngguó zuŏyì zuòjiā liánméng”), fondata appena due mesi prima, e, più tardi, nel novembre del 1930, Hú si iscrisse al Partito Comunista cinese. Nello stesso mese Dīng Líng partorì un figlio.
Il 17 gennaio 1931, mentre partecipava ad una riunione segreta di partito in un hotel della concessione britannica a Shàngăi, Hú fu arrestato dalla polizia britannica, che lo consegnò al Guómíndăng.
Il 7 febbraio 1931 Hú Yĕpín fu giustiziato, insieme con altri 23 membri del Partito Comunista.
Dopo la morte del marito, Dīng Líng aderì anche lei, nel 1932, al Partito Comunista, al cui sostegno dedicò negli anni seguenti la maggior parte della sua attività letteraria, operando soprattutto nell’ambito della già citata Lega degli Scrittori di Sinistra, della quale curò la rivista letteraria, intitolata “L’Orsa Maggiore” (北 斗 “bĕidóu”). Nel primo numero di tale rivista, furono pubblicati i capitoli iniziali del romanzo “L’acqua” (水 “shuĭ”), che descrive le sofferenze dei contadini spinti alla rivolta e all’insurrezione dalle catastrofiche inondazioni del Fiume Azzurro nel 1931. Il romanzo, che segnava una rottura rispetto ai temi in precedenza trattati dalla scrittrice, rimase incompiuto a causa della sospensione della pubblicazione della rivista, vietata dal Guómíndăng nel luglio del 1931.
Rifugiatasi nella zona delle concessioni internazionali di Shànghăi, Dīng Líng fu rapita il 4 maggio 1933 da un commando del Guómíndăng e condotta, insieme a Féng Dá 冯达, l’uomo con cui viveva in quel periodo, a Nanchino, dove rimase per tre anni agli arresti domiciliari.
Nel settembre del 1936 riuscì a fuggire, travestita da soldato, e, dopo un avventuroso viaggio di nove giorni, raggiunse Yán’ān 延 安 nello Shănxī 陕 西 dove le truppe comuniste, sotto il comando di Máo Zédōng, si erano rifugiate al temine della Lunga Marcia
Máo l’accolse come un’eroina, dedicandole due poesie composte espressamente per lei.
Dopo l’inizio della guerra con il Giappone, nel 1937, Dīng Líng organizzò e diresse una compagnia teatrale le cui rappresentazioni miravano a stimolare lo spirito di resistenza contro gli invasori. Uno degli attori della compagnia era il giovane scrittore Chén Míng 陈 明 , che Dīng Líng sposò nel 1942.
Pur essendo una comunista convinta ed entusiasta, o forse proprio perché tale, la scrittrice ritenne suo dovere criticare taluni aspetti della realtà che le sembravano mostrare quanto anche il Partito Comunista fosse ancora lontano dalla piena realizzazione degli ideali di libertà e di uguaglianza a cui avrebbe dovuto ispirarsi.
Difese, ad esempio, la causa dell’emancipazione femminile pubblicando, nel 1942, sul supplemento letterario del “Quotidiano della Liberazione” ( 解 放 日 报 “ jiĕfàng rìbào”), un articolo intitolato “Riflessioni sulla festa dell’’8 marzo “ ( 三 八 节 有 感 ”sānbājié yŏu găn”), in cui, prendendo lo spunto dalla celebrazione del Giorno della Donna, sosteneva che il Partito Comunista non facesse abbastanza per distanziarsi dalla visione tradizionale del ruolo della donna nella società. Nelle novelle “Quando mi trovavo al villaggio di Xiá“ (我 在 霞 村 的 时 候 “wǒ zài xiá cūn de shíhòu ”) e “In ospedale”( 在医院中 “ zài yīyuàn zhōng”) criticò la mancanza di democrazia e le violazioni della libertà di pensiero che si potevano constatare anche nelle zone sottoposte al controllo del Partito Comunista.
Queste prese di posizione, condivise da altri scrittori, non furono gradite da Máo, che, senza citare nessuno per nome, ribadì vigorosamente nel maggio del 1942 che gli intellettuali portavano una enorme responsabilità per il successo della Rivoluzione e che dovevano ,di conseguenza, dimostrare la più rigorosa ed assoluta fedeltà al Partito.
Sottoposta a violenti attacchi, col rischio di essere dichiarata “trotzkysta”, Dīng Líng fu costretta, per salvarsi, a fare rapidamente autocritica. Per rendere più credibile il suo pentimento, giunse poi addirittura a denunciare pubblicamente un giovane scrittore semisconosciuto Wáng Shíwèi 王 实 味, che, in un saggio intitolato “I gigli selvatici” (野 百 合 花 “yĕ băihé huā”), aveva criticato taluni comportamenti di Máo e i privilegi di cui godevano i dignitari del partito. Questo gesto, pur se perfettamente comprensibile alla luce delle circostanze, non ci appare molto in sintonia con l’immagine di rigore morale che vorremmo volentieri attribuire alla nostra scrittrice.
Purificatasi con due anni di studio alla Scuola del Partito e di lavori manuali in campagna, Dīng Líng poteva ricominciare a scrivere secondo i dettami della perfetta ortodossia comunista: la letteratura è al servizio della politica e lo scrittore non può osservare la realtà da una prospettiva che non corrisponda all’interesse del proletariato.
Dīng Líng non riuscì tuttavia ad applicare subito senza riserve questa dichiarazione di fede, convinta come era che non potesse esistere una realtà priva di difetti e che la critica di tali difetti fosse indispensabile per il progresso della società.
Si potrebbe parlare, a questo riguardo, di un “realismo critico” che appariva assai difficile da conciliare con il “realismo socialista” propugnato dai vertici del Partito.
Infatti, quando la scrittrice, che aveva seguito per qualche giorno le truppe al fronte, compose una novella intitolata “I diciotto” (“十 八 个 “shíbāgè”), che aveva per tema le vicende di un gruppo di soldati rimasti bloccati dietro le linee nemiche, il lavoro venne accolto con molta freddezza. Non si trattava, di certo, del tipo di racconto che poteva animare i combattenti ed edificare il popolo.
La scrittrice capì e scrisse una novella, intitolata ”Tiān Băolín”( 天 保 霖 ) , in cui il protagonista, un povero contadino, insegna con successo ai suoi compaesani ad aiutarsi reciprocamente perché “nulla può essere ottenuto senza ricorrere agli abitanti del villaggio”. La novella, pubblicata sul “Quotidiano della Liberazione”, suscitò l’entusiasmo di Máo, che accordò di nuovo all’autrice il suo favore e la sua protezione.
Ispirata dalla riforma agraria avviata nel 1946 dal Partito in alcune zone sottratte al controllo del Guómíndăng, Dīng Líng mise mano ad un romanzo, “Il sole splende sul fiume Sānggàn” ( 太 阳 照 在 桑 干 河 上 “taìyáng zhào zài sānggàn hé shàng”), pubblicato nel 1948, che descrive gli effetti della riforma in un villaggio rurale. Anche se lo studio dei caratteri non era molto approfondito, il romanzo corrispondeva alla perfezione ai canoni del “realismo socialista”: la riforma veniva accolta con grande entusiasmo e migliorava in modo rilevante il tenore di vita dei contadini. Il romanzo ricevette nel 1951 il Premio Stalin per la letteratura.
Negli anni successivi, Dīng Líng, che era divenuta una delle personalità letterarie più influenti, fece tutto quanto era in suo potere per difendere il ristretto margine di autonomia che restava agli intellettuali dai sempre più massicci inteventi del Partito in campo culturale, ma la sua battaglia non ebbe alcun successo, anzi portò al graduale esonero della scrittrice dai posti di responsabilità che ricopriva.
Sottoposta a numerose critiche già nel 1955 e nel 1956, Dīng Líng costituì nel 1957, insieme con suoi amici Féng Xuĕfēng (冯 雪 峰), Chén Qĭxiá (陈 绮 霞) e Ài Qīng (艾 青), il bersaglio di una campagna particolarmente virulenta, al termine della quale, riconosciuta come “elemento di destra”, fu espulsa dal Partito, allontanata da tutti i suoi incarichi, privata dei diritti civili ed infine condannata a dodici anni di lavori forzati nelle “steppe del Nord” (北 大 荒 “bĕidàhuāng”).
Deportata in una grande fattoria collettiva a Tāngyuán 汤 原 nel Hēilóngjiāng 陈 黑 龙, fu dapprima assegnata all’allevamento dei polli, anche se fu, qualche tempo dopo, autorizzata a svolgere un’attività di insegnamento.
La sua situazione peggiorò ulteriormente col sopraggiungere della Rivoluzione Culturale. Perseguitata e malmenata più volte dalle Guardie Rosse, nel 1968 fu rinchiusa in una cella particolarmente scomoda, chiamata “stalla” (牛 棚 “niúpéng”), in cui venivano segregati gli elementi irrecuperabili.
Dopo dieci mesi di detenzione, fu trasferita a Pechino, dove rimase, per altri cinque anni, nel carcere di Qinchéng 秦 城 , prigione riservata alle persone accusate di crimini politici.
Liberata nel 1976, fu inviata con il marito in una comune rurale dello Shănxī 陕 西..
Soltanto nel 1978 fu infine autorizzata a ritornare a Pechino, ma non fu ufficialmente riabilitata che nel 1979.
Negli ultimi anni di vita, le fu consentito di compiere un viaggio negli Stati Uniti, dove fu ospite dell’Università dell’Iowa.
Morì a Pechino il 4 marzo 1986. Il Partito rifiutò di concederle funerali di stato, nonostante tutti gli sforzi da lei compiuti, dopo la sua riabilitazione, per riaffermare la propria correttezza ideologica.
Le alterne vicende della vita di Dīng Líng possono essere viste come un tentativo di conciliare l’ortodossia ideologica comunista con la libertà della creazione letteraria. Questo tentativo si concluse, tuttavia, con un fallimento totale: Dīng Líng fu dapprima censurata, poi condannata ed infine costretta ad abbandonare del tutto la scrittura.
La breve novella che riporto qui di seguito appartiene ad una prima fase creativa, precedente all’impegno ideologico che doveva caratterizzare l’opera della scrittrice a partire dagli Anni Trenta.
Essa fa parte di un gruppo di tredici o quattordici novelle, di ispirazione in parte autobiografica, scritte tra il 1927 e il 1929, aventi per tema la vita di ragazze, trasferitesi dalla campagna in città, che vivono, sole, in un ambiente nuovo e sconosciuto, esperienze inaspettate e sconvolgenti.
La casetta del vicolo Qìngyún
I
“Vieni presto stasera!” disse Bella (1), con voce senza espressione (2), all’uomo che stava per andarsene.
L’uomo, in piedi accanto al letto, si riabbottonava con una mano, mentre con l’altra teneva sollevata la zanzariera, che era stata di cotonina bianca, ma che ormai era divenuta grigiastra.
“Mamma mia, che freddo!” esclamò la ragazza, senza aprire gli occhi, cercando di nascondere la mano sotto la trapunta (3), poi aggiunse, in un tono che voleva essere malizioso: “Se non vieni stasera, non sperar più che, dopo, io sia gentile con te”.
Mentre ritirava la mano, diede un pizzicotto alla coscia di quell’uomo magro, vestito di una lunga tunica nera (4), il quale non ci fece caso, si voltò e uscì dalla piccola porta che stava dietro il letto. Le parve di sentire che la padrona lo riaccompagnava attraverso il salone, ma la cosa non la interessava più: era così bello poter sonnecchiare ancora un po’. Si rigirò, si coprì bene con la trapunta e si addormentò d’un sonno profondo.
Sognò che era ritornata al villaggio e che Chén (5) la stringeva tra le braccia. Era diventato estremamente vigoroso (6) e lei sentì che era meglio di tutti gli altri uomini e che era il più capace di metterla a suo agio, una sensazione che non aveva mai provato quando viveva nel villaggio. Gli diede un mazzetto di banconote, tutte in tagli da dieci “yuán”: una parte era ciò che aveva guadagnato sul lavoro, il resto lo aveva vinto giocando a “dăhuā” (7). Gli aveva dato tutto perché d’ora in avanti voleva vivere con lui, al villaggio, una vita quieta e serena.
Nel sogno, Chén era molto allegro. Stretta tra le sue robuste braccia, lei si sentiva tutta eccitata, ma, senza riuscire a capire il perché, si accorse che l’immagine di Chén si stava lentamente allontanando, mentre le rimbombavano invece nelle orecchie le urla furiose della padrona, la quale stava litigando con la Zietta. (8) Tutto quel chiasso la risvegliò. (9)
La padrona gridava insulti irripetibili, ma la Zietta non era da meno e non aveva alcuna intenzione di star zitta. Per fortuna Bella era abituata a tutto questo e le oscenità urlate dalle due donne non le facevano nessun effetto. Come era triste che delle ragazze carine e promettenti fossero costrette a vendere il loro corpo, ma lei ne aveva semplicemente abbastanza ed era seccata che la disturbassero. Non senza prima avergli dato, in cuor suo, delle donnette (10), si girò dall’altra parte e cercò di riaddormentarsi.
Non servì a nulla perché anche dalla stanza vicina cominciarono a giungere rumori sgraziati. Capì che il cliente della stanza accanto non se n’era ancora andato e pensò: “Quanto è coscienziosa la Sorellina, ma un bel giorno morirà anche lei come tutti gli altri”. Le venne voglia di dirle che facesse meno rumore, ma ebbe paura che la Sorellina la prendesse male e le rispondesse con una bordata di insulti, perciò nascose di nuovo la testa sotto la trapunta per cercare ancora una volta di dormire.
La Zietta, nel frattempo, s’agitava sempre di più. Diceva che la padrona le doveva un mucchio di soldi; che aveva promesso di lasciarle un quinto dei suoi guadagni . Come era possibile che le avesse dato solo dieci “piccoli dollari”? Su tre “yáng” sarebbero stati sei “máo”, ma lei ne aveva visti solo quattro. (11) Non si poteva mica pretendere che battesse il marciapiede gratis tutta la notte!
La padrona sosteneva imperterrita che non le doveva niente. Se aveva tanta voglia di soldi, perché non andava a cercarsi un cliente per farsi una marchetta?
Vennero quasi alle mani. Allora l'inserviente, la Sorellona...tutti quelli che stavano loro vicino accorsero per tentare di calmarle. A poco a poco gli insulti si fecero scherzosi e le invettive lasciarono il posto a fragorose risate.
Sebbene Bella avesse la testa nascosta sotto la trapunta, sentiva lo stesso, con chiarezza, tutto ciò che veniva detto nel salone, e talvolta, ascoltando, le veniva da ridere come le altre. I due nella stanza accanto continuavano il loro tramestio come se niente fosse: gli insulti non erano cosa che li riguardasse.
“Comunqe vada, non riuscirò più a riaddormentarmi” pensò Bella. Allora tirò fuori la testa e spostò la zanzariera: la stanza era immersa nel buio; solo un filo di luce filtrava attraverso uno dei battenti della finestra, semiaperto, andando a finire, in parte, su un tavolino di lacca vermiglia, e formando, per il resto, una macchia chiara che spiccava sul pavimento scuro. Proprio in mezzo a quella macchia riluceva un grosso scaracchio.
Bella non aveva alcuna idea di che ora fosse, perciò urlò: “ Che ora è? State rompendo! State rompendo a morte!”.
Nessuno le rispose. Di sicuro, nessuno l’aveva sentita.
Allora Bella lasciò ricadere la zanzariera e rimase distesa sul dorso ad occhi spalancati. Notò sulla parte alta della zanzariera due nuove macchie, ancor fresche, della taglia di una coppetta da tè. Ne vide anche un’altra sul cuscino, ma questa era già secca. Pensò di rivoltare il cuscino, ma si sentiva senza forze, troppo stanca per fare qualsiasi movimento, e, comunque, il cuscino era sporco anche dall’altro lato; così decise di lasciar perdere. Si domandò con stupore perché tutti quegli uomini fossero dei tali zozzoni.
Soltanto una volta - erano ormai passate le due di notte e non aveva più altra voglia che quella di tornare a casa a dormire – s’era accorta ad un tratto che un giovanotto, vestito all’occidentale, la seguiva con fare esitante; allora aveva rallentato il passo e lui le era andato dietro senza dire una parola.
La Zietta l’aveva sbeffeggiato, la padrona si era presa gioco di lui, e lei stessa lo aveva trovato un po’ ridicolo. (12)
Durante la notte l’aveva abbracciata, ma, quando aveva cercato di baciarla in tutte le parti del corpo, lei lo aveva respinto.
Quando gli aveva afferrato le mani, aveva sentito che erano mani fini e delicate, con le dita affusolate. I vestiti che indossava erano d’una pulizia impeccabile.
Lui s’era un po’ risentito del suo rifiuto, ma senza perdere le staffe.
Non l’aveva più rivisto. Tuttavia, ripensandoci, le sembrava un bene che non fosse più ritornato, perché, sebbene fosse un uomo pulito e raffinato, l’aveva messa a disagio.
Pensò di nuovo a quel tipo grossolano, che veniva a trovarla da più di un mese, regolarmente ogni tre o quattro giorni, brutto, ma pieno di soldi, ed inoltre...
Si mise a ridere, carezzandosi il seno con la mano, e si sentì ancora più stanca.
II
In quel preciso momento, la padrona ricominciò a strepitare dal salone: “Bella! Fannullona! Sempre a letto! È già l’una e tu non ti sei ancora alzata”.
D’un tratto, vide dinanzi al letto la Sorellona, che le passava un dito sulla faccia per farle vergogna.
Tese la mano per afferrarla e tirarla verso di sé e l’altra le si rovesciò addosso gridando “Ah, che voglia di far niente che hai! (13), aggiungendo poi con una risata: “Oh, come è bel calduccio qui”.
Bella le carezzò la testa, sussurrandole all’orecchio: ”Allora stenditi accanto a me...” e le due si misero a ridere.
La Sorellona continuò a punzecchiarla e voleva, a tutti i costi, infilarsi sotto la trapunta.
Dal salone, la Zietta ammonì:”Se non venite a tavola, non troverete più niente da mangiare”.
La Sorellina uscì dalla stanza accanto e si mise anche lei a ridere con le altre. Si sedette sulla sponda del letto e prese per una mano ciascuna delle altre due, come se avesse tante cose da raccontargli. Bella si spostò un po’ per farle posto e la invitò a stendersi anche lei sul letto, ma la Sorellina non volle e rimase seduta senza parlare, guardando le loro facce sorridenti, poi disse:” Non riesco proprio a decidere se mi conviene sposarmi o continuare a fare la vita”.
A queste parole, l’immagine di Chén balenò di nuovo, senza che lei lo volesse, nella mente di Bella. Quanto le sarebbe piaciuto maritarsi con un uomo come Chén! Allora disse alla Sorellina: “Se hai la possibilità di sposarti, perché non dovresti farlo?”. Il guaio era che il cliente della Sorellina era piccolo e tozzo, con il volto piatto e butterato dal vaiolo. Bella lo trovava grottesco e non sarebbe stata per niente contenta se avesse fatto a lei una proposta di matrimonio. Cambiò quindi argomento e sentenziò:”La sola cosa che importa è passarsela bene”. La Sorellina rispose con un sospiro: “Ah! Quale uomo come si deve sarebbe disposto a sposare una di noi?”. La Sorellona continuava a ridere, ma Bella si rese conto che il bel sogno di un momento prima se n’era andato e, proprio mentre la padrona le si stava avvicinando per rimproverarla, si tirò su dal letto con gesto fiacco e indolente.
Decisa a provocare una lite, chiese alla padrona di porgerle il “qípáo” (14) a fiori che era posato sullo schienale della sedia. La padrona, che non voleva indisporla affinché lei facesse bene il suo lavoro, tendeva in genere ad essere molto tollerante con lei, ma questa volta, passandole l’abito, volse il viso verso la Sorellina e fece una brutta smorfia.
Quando Bella entrò nel salone, la Zietta non aveva più voglia di litigare come prima ed era occupata a sbucciare dei piselli scherzando con l'inserviente. In tono volutamente affettato (15) osservò: “La nostra signorina di campagna (16) è distinta. Alla nostra signorina di campagna non piace la zuppa di riso”.
L' inserviente sollevò il capo e la fissò con uno sguardo malizioso.
Bella si offese e si precipitò sulla Zietta, che si alzò e si mise a gridare: “Ahi!Ahi! Ahi!”, pur continuando a ridere.
Bella le afferrò le braccia e l’altra, temendo che le facesse il solletico (17), le chiese scusa.
Bella la perdonò e si sedette accanto a lei per aiutarla a sbucciare i piselli, ma il pensiero di Chén continuava a tormentarla. Erano già tre anni che se n’era andata dal suo villaggio. Chissà se Chén era diventato come lei se lo era immaginato nel suo sogno? Se avesse saputo quale mestiere lei faceva a Shànghăi, forse non l’avrebbe più trattata con la gentilezza di prima. Forse l’aveva già dimenticata e s’era già sposato con un’altra. Decise allora di alzarsi presto il mattino seguente per andare a trovare l’indovino che stava nella casa di fronte e chiedergli di scrivere una lettera (18). Rimpianse di non averlo fatto già prima, ma si ricordò che prima non aveva il becco di un quattrino. Pensando ai soldi, calcolò mentalmente quanto era riuscita a mettere da parte negli ultimi tempi: la bella sommetta di sessanta “yuán”, a cui bisognava aggiungere i cinque che le aveva dato la notte avanti quel cliente zoticone (19) e gli otto che aveva vinto al gioco del “dăhuā” nei tre giorni precedenti, per un totale di settantatre “yuán”. Aveva anche un anello, che non era granché, ma la perla che c’era incastonata non era davvero male e doveva valere almeno venti “yuán”. Infine, c’era la catenina d’oro, che le era costata sedici “yuán”. Insieme con l’anello faceva trentasei “yuán”. Se Chén la voleva ancora, in un modo o in un altro ci si sarebbe potuti arrangiare. Bastava che lui avesse un po’ piú di cento “yuán”, facciamo duecento. Soltanto che...
III
Le vennero in mente tante cose, così terrificanti che il bel sogno fatto al mattino andò completamente in frantumi. Sorrise pensando a quanto era stata stupida: come poteva fare progetti su Chén?
Chén non era certamente uno che fosse in grado di tirar fuori i soldi necessari per riscattarla. (20) Inoltre, si poteva davvero immaginare che, con la vita che conducevano i contadini, uno come Chén avesse i mezzi per mantenere una moglie? Infine, anche se ciò fosse stato possibile e lei fosse stata disposta a barattare la sua esistenza attuale con la vita monotona della campagna (21), come sarebbe riuscita a far passare, da sola, quei lunghi giorni angosciosi e quelle nere notti solitarie?
Non potè fare a meno di mettersi a ridere e la padrona, che le stava passando accanto, vedendola inattiva ed inerte, prima le disse, poi le gridò di andarsi a pettinare.
Bella tirò fuori il suo nécessaire e sciolse lo chignon. I capelli, lunghi, neri e folti, le scivolarono tra le mani come un serpente d’acqua. Il loro odore si diffuse nell’aria insieme con un profumo di osmanto a buon mercato. (22) Vedendo che Bella non riusciva a pettinarli bene perché, pur essendo abbondantemente unti d’olio, apparivano stranamente rigidi, la padrona accorse in suo aiuto.
Quanto più pensava che avrebbe voluto sposare Chén, tanto più si rendeva conto che non era una cosa da fare.
La padrona non la maltrattava, non la ricopriva di improperi e, quando non c’erano clienti, le diceva sorridendo: “Prenditi anche tu un momento di riposo!”.
Bella guardava la faccia della padrona riflessa nello specchio sopra la sua testa. La padrona aveva il mento appuntito ed una grossa cicatrice su una palpebra. Aggrottava leggermente le sopracciglia soltanto rare volte.
Bella avrebbe voluto chiederle perché la mattina aveva litigato con la Zietta, ma le sembrò che fosse come andare a cercar rogne. La Zietta poteva capitar loro addosso da un momento all’altro e non avrebbe mancato l’occasione di fare una scenata. Perciò si limitò a dirle: “ Mammina! Tu hai guadagnato dei soldi ieri sera, non è vero? Non potresti darne un po’ anche a me?”.
“Bell’affare! (23) Al gioco è meglio perdere subito, altrimenti rischi di farti portar via tutto. Su otto partite, ne ho vinte tre; nelle altre cinque avevo solo colori. (24) Alla fine ho perso in malo modo (25), dopo aver passato tutta la notte senza dormire, e me ne sono semplicemente andata via, dimenticando persino di fare colazione e, questa mattina, quella puttanella della Zietta è venuta a reclamarmi dei soldi. È proprio una ragazza senza cervello."
Bella ebbe la sensazione che la padrona fosse veramente da compiangere. Pensò che sarebbe potuta andare da sola a battere il marciapiede senza bisogno di essere accompagnata dalla Zietta e che in questo modo la padrona avrebbe potuto risparmiare il mantenimento di una persona. Si mise a confortare la padrona, che la pettinava con grande pazienza. (26) Bella avrebbe voluto farsi tagliare i capelli, ma la padrona trovava che i capelli corti non andassero bene.
Nel frattempo era arrivata l’ora di cena (27), che era un momento di particolare animazione in casa perché tutti si ritrovavano insieme a tavola: Bella e le due sorelle, la padrona, la Zietta e l’inserviente, che era il nipote della padrona.
C’erano tre piatti di verdure, molto abbondanti: zuppa di fave con mostarda orientale (28), cavolo cinese (29) e tofu. Da quando era arrivata, tre anni prima, Bella doveva accontentarsi ogni giorno dello stesso menu. Le volte che riusciva ad alzarsi per mezzogiorno aveva invece diritto ad una scodella di riso bollito con fagioli di soia saltati in padella. Dalla notte fino all’alba avanzata, la padrona non si interessava più di niente: a ciascuna di arrangiarsi come poteva. Anche se molti clienti facevano preparare degli spuntini da consumare durante la notte, ciò che premeva alle ragazze era soltanto guadagnare dei soldi. Succedeva altresì che alcuni clienti abituali, pur non potendo passare l’intera notte con le ragazze, offrissero volentieri uno spuntino, perché sapevano che, in un modo o nell’altro, avrebbero potuto farlo figurare sulla nota spese. (30) A Bella piaceva molto il cavolo cinese. Piaceva anche alle due sorelle: dicevano che aveva il gusto della carne grassa. La padrona non faceva mai mettere in tavola della carne. Sosteneva infatti che le ragazze del bordello di fronte erano diventate così grosse perché avevano mangiato troppa carne, però lei stessa ingurgitava ogni notte sei “máo” di zampone. Non si capiva davvero come facesse a rimanere così magra.
Terminato il pasto, il gruppetto si vesti e si truccò per uscire. Poiché l’illuminazione era scarsa, lo specchio rovinato e la cipria grumosa, era loro difficile spalmarla in modo uniforme sui volti, e fu solo aiutandosi l’una con l’altra, che, a poco a poco, riuscirono a truccarsi correttamente. Ciascuna indossò per la serata degli abiti nuovi, come se stessero andando ad una festa di nozze. La prima ad uscire fu la Sorellona, in compagnia della Zietta. La Sorellina non voleva uscire perché sosteneva che aspettava un cliente per le otto, ma la padrona non le permise di restare, dicendole che, se il cliente fosse venuto, l’avrebbe mandata a chiamare. Come si poteva fare il proprio lavoro con così poco entusiasmo? La Sorellina uscì facendo il broncio. Vedendo che la padrone era irritata, Bella voleva correre subito dietro alla Sorellina (31), ma la padrona la fermò. Bella le disse sorridendo: “ Anche a me piacerebbe andare a fare una passeggiata finché è presto”.
IV
“Dove corri, stupidina? " le domandò la padrona con grande dolcezza "Rimani qui un momento!", e Bella pensò che la trattava in modo ben diverso da come trattava la Sorellina. La padrona la trattenne per dirle che quel cliente un po’ rozzo che era venuto la sera prima era un contadino e Bella pensò che avrebbe dovuto seguire attentamente i consigli della padrona per rosolare a puntino quel tizio che si era infatuato di lei. (32) L’attenzione che la padrona le dimostrava in questa circostanza superava addirittura l’affetto che una madre prova per la propria figlia. Bella se ne rallegrò molto, senza pensare che ingannare una persona potesse essere qualcosa di riprovevole. Era alla padrona che piacevano questi intrighi!
Bella aveva ormai completamente dimenticato il sogno del mattino. Che senso avrebbe avuto sposarsi? Perché mai ci aveva pensato? Per il cibo e i vestiti non aveva problemi: era la padrona che si occupava di tutto. Si poteva dire che le mancava un marito, ma le sue notti non erano di certo vuote, anzi, a pensarci, era ancor meglio...l’unica cosa che aveva da fare era andare a letto con un uomo, ma questo non era difficile, ci aveva già preso l’abitudine. Non le faceva più nessuna impressione rimorchiare uno sconosciuto, con il sorriso sulle labbra. Ben al contrario ciò che ora le faceva paura era quella vita di donna perbene che un tempo aveva desiderato. Mentre parlava piacevolmente con la padrona, tutte e due sedute al tavolo del salone, il tempo era passato senza che se ne accorgesse ed erano arrivate le dieci di sera.
Alle undici il cliente non era ancora venuto.
Bella si sentiva molto stanca e disse più volte alla padrona: “Guarda, mammina! Ormai non verrà più. Non è mai venuto due volte di seguito. Non bisognava credere alle sue promesse!”, ma la padrona le rispose che era meglio aspettare ancora un po’.
Poco più tardi rientrò la Sorellina con il suo spasimante, quel cliente tracagnotto, dal volto largo e butterato.
Bella non provava nessuna invidia. Quell’omuncolo non le piaceva proprio. Tuttavia era preoccupata: quei due erano troppo vicini. Soltanto una sottile parete li separava dalla sua stanza e lei sapeva che non si sarebbero fatti alcuno scrupolo. Temeva che le avrebbero impedito di dormire. Perciò disse ancora alla padrona: “Mammina! Vorrei ancora uscire a fare una passeggiatina”, ma la padrona che, chissà perché, si era presa compassione di lei, le rispose che era ancora presto, che potevano ancora arrivare altri clienti e che, in ogni caso, non c’era motivo di preoccuparsi. (33)
Bella, però, voleva assolutamente uscire. Perciò si mise a dire che, anche se durante la notte non fosse riuscita a raccattare cinque yuán, avrebbe comunque potuto guadagnarne due o tre, il che sarebbe sempre stato meglio di niente. Era un discorso fatto apposta per le orecchie della padrona, la quale pensò che la ragazza era veramente brava e, per di più, riflessiva. Fu molto contenta della proposta di Bella e le diede il permesso di uscire, raccomandandole soltanto di non andare con chiunque: era meglio, piuttosto, guadagnare qualche soldo in meno.
Fuori faceva piuttosto freddo, ma Bella camminava senza farci caso; la stanchezza di prima si era trasformata in uno stato di intensa eccitazione. Pensava alla Sorellina, nella camera accanto, e si ripeteva con ostinazione che non sarebbe stata capace di sopportare per un’intera notte gli schiamazzi degli altri. Era questo un punto che la padrona, nonostante tutta la sua perspicacia, non era ancora riuscita a capire.
Le strade erano piene di gente; non si sarebbe detto che era così tardi. Vedendola arrivare, le altre ragazze l’accolsero sorridenti. Ad un angolo della strada capitò sulla Zietta e sulla Sorellona, che stavano mangiando riso bollito con semi di loto. Allora ne comprò anche lei una scodella e la mangiò in piedi, appoggiata al muro di una casa. Il riso era caldo e zuccherato. Tenendo la scodella con le due mani, Bella non dimenticava di lanciare agli uomini che passavano sguardi insistiti e provocanti.
NOTE
1) La particella 阿 (“ā”) posta dinanzi ad un nome esprime, nell’uso popolare, l’idea di familiarità, come potrebbe essere resa in italiano da “amico”, “compare”o “comare”. Poiché il termine 英 (“yīng”) può anche essere tradotto con “bello”, ho pensato che “ Bella” potesse essere un buon modo di indicare con una certa familiarità una ragazza “allegra”.
2) I dizionari traducono 迷迷糊糊 (“mímíhúhú”) con “stordito”,”semincosciente”. La ragazza, ancora semiaddormentata, pronuncia queste parole senza nessuna partecipazione e senza nemmeno rendersene conto: fingere desiderio o affetto fa semplicemente parte del suo comportamento professionale.
3) Il termine 被窝 (“beiwò”) indica una lunga trapunta ripiegata in due in modo da formare una specie di sacco a pelo.
4) La tunica di seta lunga fino ai piedi (大布长褂 “dàbù chángguà) era ai tempi del Celeste Impero e nei primi decenni del secolo scorso l’abbigliamento tipico delle classi agiate, mentre i popolani indossavano rozze giubbe e calzoni di cotone.
5) L’originale cinese reca 陈老三 (“chén lăo sān”), ma m’è parso inutile tradurre 老 (“lăo”) che, nel caso specifico, è un termine di rispetto, come se si dicesse “il buon Chéng”. Allo stesso modo m’è sembrato superfluo tradurre 三 (“sān”), cioè “il terzo”, aggettivo numerale che indica la posizione d’anzianità di un maschio all’interno della famiglia. Questa menzione, a cui i Cinesi davano un tempo molta importanza, nel contesto appare irrilevante.
6) Il termine 有劲 (“yŏujīn”), il cui significato originario è “energico”, “vigoroso”, può anche essere inteso nel senso derivato di “interessante”, “eccitante”. La mescolanza dei significati appare qui particolarmente logica se si pensa che il maschio atletico e muscoloso è in genere quello più apprezzato dalle donne.
7) Il termine 打花 (“dăhuā”), letteralmente “indovinare i fiori”, indica un gioco d’azzardo, particolarmente popolare tra le donne, nato agli inizi del 19° secolo nel Zhèjiāng 浙 江 e di là diffusosi in tutta la Cina sudorientale.
Il sistema del gioco si fonda su 36 “nomi” o personaggi di fantasia (l’imperatore, la principessa, il primo ministro, il generale, il letterato, il monaco, l’eremita, la coppia sposata, il giovane, etc.) ai quali corrispondono altrettanti segni detti “fiori”, costituiti da cavalli, draghi, farfalle, pesci ed altri animali.
Il giocatore deve puntare su un “nome”. Se alla fine del gioco, di cui non ho gli elementi per descrivere il preciso svolgimento, ma che presenta i caratteri di una roulette o di una lotteria, esce quel nome, vincerà una somma pari a 30 volte la posta.
8) I soprannomi delle ragazze, in questa piccola casa di piacere, sembrano ispirarsi ad un lessico familiare. Incontriamo qui 娘姨 (“niángyí´”) la Zietta. Faremo conoscenza più tardi con 阿姊 (“āzĭ”) la Sorellina e con 大阿姊 (“dà āzĭ”) la Sorellona.
9) Il testo cinese precisa “per la seconda volta” (二次 “èrcì”). La ragazza era stata svegliata una prima volta dalla partenza del cliente con cui aveva passato la notte.
10) È sottilmente ironico che il termine “donna” possa essere considerato come un insulto proprio da una ragazza.
11) Prima che fosse istituita nel 1933 l’unità monetaria ufficiale detta “yuán” 元 , circolavano in Cina le monete d’argento di vari Stati occidentali, in particolare il dollaro USA, che erano chiamate “grandi dollari 大 洋 (“dà yáng”) o, popolarmente, ”kuài” 快. Le monete o i biglietti di banca da 20 centesimi erano chiamati dalla gente “piccoli dollari” (小 洋 “xiăo yáng). Quelli da 10 centesimi erano detti “máo”毛 o “jiăo”角.
Il “piccolo dollaro” era costituito da 2 “máo”, cosicché la quinta parte di 3 “kuài” era rappresentata da 6 “máo” e non da 4.
12) Nei primi decenni del XX° secolo gli abiti occidentali erano ancora poco diffusi e chi li indossava era spesso considerato un individuo bizzarro e ridicolo.
13) Letteralmente “fantasma morto” (死鬼”sĭ guĭ”), termine usato in senso ironico, per indicare chi non ha mai voglia di alzarsi e quindi rimane sempre disteso nel letto, immobile come un cadavere.
14) Il “qípáo (旗袍) è un abito femminile cinese, di origine manciù, modernizzato e divenuto di moda a Shànghăi nei primi decenni del xx° secolo. Nella sua forma moderna, che è ovviamente assai diversa da quella tradizionale, è un abito di un unico pezzo, in genere molto aderente, con colletto alto, abbottonatura in diagonale e profondi spacchi laterali.
15) Il termine 摇曳 (“yáoyè”) vale “ondeggiante”,”fluttuante”. Riferito alla voce, può quindi indicare una cadenza innaturale, affettata, forse anche una pronuncia in falsetto.
16) L’espressione 俚小姐 (“lĭ xiăojiĕ”), letteralmente “la signorina rustica”, sembra esprimere una contraddizione in termini. È usata per indicare chi si dà delle arie senza averne alcuna ragione, come, in questo caso, Bella, che è accusata scherzosamente di fare la schizzinosa con la zuppa di riso quando, venendo dalla campagna, dovrebbe essere abituata a cibi molto semplici.
17) L’espressione 隔肢 (“gézhì”) equivale a “toccare le braccia per fare il solletico a qualcuno”. Per comprendere la reazione di Bella, bisogna considerare che tutto si svolge in un’atmosfera scherzosa, in cui anche la canzonatura non assume il carattere di una vera offesa.
18) Il termine “chāizì” 拆 字, letteralmente: ”scomporre i caratteri”, indica l’esercizio filologico consistente nello studiare l’origine di un carattere sulla base del rapporto tra le sue diverse componenti. Al di fuori dell’ambito scientifico, il procedimento veniva spesso usato a fini divinatori. In tal caso, il cliente sceglieva un carattere e l’indovino, fondandosi sulla relazione tra il radicale e le parte fonetica del carattere oppure tra il carattere stesso ed altri caratteri di forma o di suono simili, ne traeva previsioni sul futuro dell’interessato. Questo tipo di indovino, chiamato “chāizì rén” 拆字人, era necessariamente un uomo che sapeva leggere e scrivere ed era quindi una persona a cui ci si poteva rivolgere per farsi scrivere una lettera.
19) Il termine “máoshŏu” 毛手 , forma abbreviata dell’espressione “máoshŏu máojiăo” 毛手毛 脚 , indica trascuratezza nella persona e nel comportamento. Ho quindi tradotto “máoshŏu rén” 毛手人 con “zoticone”.
20) Le ragazze povere venivano vendute dalla famiglia ai proprietari di bordelli per una certa somma di denaro e non potevano recuperare la propria libertà prima di aver rimborsato tale somma, salvo che qualcuno le “riscattasse” pagandola al loro posto. Un corteggiatore abbiente sarebbe stato in grado di farlo, ma non un contadino che penava a sbarcare il lunario.
21) Ho tradotto così l’espressione idiomatica 拚夜晚当白天 ”pàn yèwǎn dāng báitiān”, letteralmente “rinunciare a prendere la notte per il giorno”, cioè rinunciare a condurre un’esistenza “notturna”, vivace e divertente, per passare alla vita “diurna”, prevedibile e noiosa, della gente comune.
22) L’olio di fiori d’osmanto (桂花油 “guìhuāyóu”), noto per il suo odore fruttato, con sentori di albicocca e di pesca, è molto usato in Cina come cosmetico per i capelli e per la pelle.
23) L’espressione idiomatica 吃 黑 (“chī hēi”), letteralmente “mangiare nero”, indica il lavoro sporco e quindi, in generale, un’attività che dà poche soddisfazioni.
24) Il termine 满贯(“mănguàn”) indica la vittoria al gioco in una partita composta da molte “mani”. Il termine 清一色 (“qīngyísè”) indica che il giocatore possiede una serie di pezzi omogenei, vale a dire tessere dello stesso colore o carte dello stesso seme. Da questi indizi sembra potersi dedurre che il gioco a cui ha partecipato la padrona sia il mahjong (麻 將”májiàng”), molto diffuso in tutta la Cina.
25) L’espressione “fantasma dalla grossa testa” (大头鬼 “dà tóu guĭ”) è un termine tecnico che indica nel gioco del mahjong la situazione in cui uno dei giocatori è bloccato in un angolo della scacchiera ed è costretto ad abbandonare la posizione facendo uscire una ad una le sue pedine dall’unico varco rimasto aperto. Lo schieramento delle pedine in questo caso ricorda l’immagine di una grossa testa su un lungo collo, raffigurazione tipica dei fantasmi. Questa mossa è una di quelle che segnano la sconfitta in una partita di mahjong.
26) L’autrice ci mostra con fine analisi psicologica tutta l’ingenuità di Bella. In effetti è difficile immaginare che la tenutaria di un bordello vada compianta perché troppo buona e incapace di badare ai propri interessi.
27) Sembra difficile immaginare che Bella, pur essendosi tirata su dal letto assai tardi, abbia fatto venire sera semplicemente sbucciando i piselli con la Zietta, pettinandosi e chiacchierando con la padrona. Occorre tuttavia tener presente che l’attività di una prostituta è un’attività essenzialmente notturna e che, durante il giorno, le ragazze non hanno praticamente nulla da fare.
28) Il termine 雪里蕻 (“xuĕlĭhóng”) indica un vegetale conosciuto come “mostarda bruna” o “mostarda orientale” (nome scientifico: “brassica juncea”). I suoi semi, leggermente pepati, sono usati come condimento. Gli steli e le foglie, generalmente fatti saltare in padella, sono mangiati come verdura.
29) Il cavolo cinese (青菜 “qīngcài”), detto anche “bok choy” o “pak choy”( nome scientifico: "brassica rapa chinensis"), è una pianta erbacea della famiglia delle Brassicacee, il cui torsolo e le cui foglie sono consumati come verdura.
30) Il testo cinese reca 揩油 (“kāiyóu”), che significa “fare piccoli guadagni”, in genere con metodi poco leciti. La spiegazione che mi è parsa più normale è che questi esborsi potessero figurare, come succede spesso anche oggi, nella nota spese a titolo di “spese di rappresentanza”.
31) Troviamo qui un altro segno dell’ingenuità di Bella. Vedendo che la padrona è irritata con la Sorellina, vuole correre subito al "lavoro" per non essere rimproverata anche lei.
32) Nel linguaggio delle prostitute il termine对付(“duìfu”), letteralmente “trattare”, non può avere che un significato “spennare a dovere”.
33) La padrona fraintende le intenzioni di Bella e crede che quest’ultima voglia ancora uscire in strada per completare la sua “quota” giornaliera.
庆云里的一间小屋
I
“今晚早些来呵!”阿英迷迷糊糊的在向要走的人说。
要走的人,还站在床头,一手扣衣,一手就又拉帐子。帐子是白竹布的,已变成灰色的了。
“唉,冷呢,人!”阿英用劲的将手摔脱了缩进被窝里去,眼仍然闭着,又装出一个迷人的音调:“你今晚不来时,以后可莫想我怎样好!”
在大腿上又被捻了一下,于是那穿黑大布长褂的瘦长男子,才从床后的小门踅了出去。阿英仿佛听见阿姆在客堂中送着客,然而这有什么关系呢,瞌睡是多么可恋的东西,所以翻过身去,把被压紧了一点,又呼呼的睡熟了。
在梦中,她已回到家了,陈老三抱着她,陈老三变得异常有劲,她觉得他比一切男人都好,都能使她舒服,这是她从前在家时所感不出的。她给了他许多钞票,都是十块一张的,有一部分是客人给她的,有一部分是打花会赢的。她现在都给他了。她要同他两人安安静静的在家乡过一生。
在梦中,他很快乐的,她握住两条粗壮的手膀,她的心都要跳了。但不知怎的,她觉得陈老三慢慢的走远了去,而阿姆的骂人的声音,却传了来,娘姨也在大声吵嘴,于是她第二次又被吵醒了。
阿姆骂的话,大都极难听。娘姨也旗鼓相当,毫不让人。好在阿英一切都惯了,也不觉得那些话,会怎样该只有为他人而卖身体的自己来难过。她只觉得厌烦,她恨她们扰了她,她在心里也不忘要骂她们一句娘,翻转身来又想睡。
但间壁房里也发出很粗鲁的声音来,她知道间壁的客人还没走,她想,“阿姊这样老实,总有一天会死去的。”她想叫一声阿姊,又怕等下阿姊起了疑心,反骂她不好,所以她又把被盖齐顶,还想睡去。
娘姨的声浪越大了。说阿姆欠她好多钱。本说定五块里要拿一块的,怎么只给十只小洋,三块的是应给六毛的,又只给四毛。她总不能通宵通宵的在马路上白站?
阿姆更咬定不欠她,说她既然这样要钱,怎么又不拉个客人去卖一次呢? 后来几乎要动武了
,于是相帮的,大阿姊,……都又夹杂在里面劝和,她们骂的话,越痛快,相劝的笑声就更高。
阿英虽说把被蒙了头,却也并不遗漏的都听清了,几次还也随着笑了的。间壁的人呢,又仿佛是在另一世界。相骂却不与他们相干。阿英想:无论怎样也不能再睡着了。于是又把头伸出来,掀开了帐子看:房子是黑黑的,有一缕光从半扇玻璃窗射进来,半截落在红漆的小桌上,其余的一块就变成灰色的嵌27在黑地板上了,而且有一大口浓痰正在那亮处。阿英看不出时间的早晏来,于是大声喊:
“什么时候了呢? 吵,吵死人呀!”
没有人回答,也没有人听见。
于是阿英又放下帐子,大睁着眼躺着。她看见帐顶上又加了两块新的痕迹,有茶杯大,还是湿的。她又发现枕头上也多了一块痕迹,已快干了。她想把枕头翻个边,又觉手无力,懒得动弹,而且那边也一样脏,所以也就算了。她奇怪为什么这些男人都不好干净。只有一次,是两点多钟了,她只想转家来睡时,却忽然遇见了一个穿洋服的后生趑趑趄趄的在她后面,于是她走慢了一步去牵他,他就无声的跟着她来了,娘姨也笑他傻子,阿姆也笑他,自己也觉得好笑。在夜里,他抱了她,他把嘴去吻她全身,她拒绝了。她握着他手时,只觉得那手又尖,又瘦,又薄,他衣服穿得多干净呵。他出气多么细小呵。说了以后来,但到今都不见。不过她又觉得,不来也好,人虽说干净,又斯文,只是多么闷气啊!她又想到这毛手人,一月来了,总是如此,间三四天总来一次的,人是丑,但有铜钱呀,而且……阿英笑了。她把手放在自己胸上摸着,于是越觉得疲倦了。
II
这时阿姆又在客堂中大喊着:
“阿英懒鬼,挺尸呀,一点了,还不起来!”
大阿姊已跳到床前,用一个指头在脸上划着羞她。她伸手一扳,大阿姊就伏下身来了,刚刚压在她身上,大阿姊简直叫了起来:“哎,死鬼!”而且接着就笑了:“亲热得呢!”
阿英搂着她的头,在她耳边悄悄的说:“间壁……”
于是两人都笑了。
大阿姊更来打趣她,定要到被窝里来。
娘姨也在喊:“不喝稀饭,就没有的了。”
这时间壁房里的阿姊走了过来,她两人都又笑了。
阿姊坐在床边前,握着她两人的手,象有许多话要说。阿英于是又腾出一块地方来,要她睡。她不愿,只无声的坐着,并看她两人。两人都是各具有一张快活的脸。
阿姊说:“我真决不定,还是嫁人好呢,还是做生意好。”
陈老三的影子,不觉的又涌上了阿英的心,阿英很想得嫁陈老三那样的人,所以阿英说:
“既然可以嫁人,为什么不好呢?”而阿姊的那客人,矮矮胖胖的身体,扁扁麻麻的脸孔也就显了出来。心里又觉得好笑,若要自己去嫁他,是不高兴的。因此她又把话变了方向:“只要人过得去。”
阿姊叹息了:“唉,好人还来讨我们吗?”
大阿姊还仍旧笑着别的,她却想到刚才的梦去了。
直在阿姆又跑近来骂,她才懒懒的抬起了身子。并且特意要放一点刁,她请阿姆把靠椅上的一件花布旗袍递给她。阿姆因为她做生意很贴力,有些地方总还特别的宽容了她。但递衣给她时,却做了一个极难看的脸子给阿姊。
当她走到客堂时,娘姨已早不是先骂架时的气概了,一边剥胡豆,一边同相帮作鬼脸,故意的摇曳着声音说:
“我俚小姐干净呢,我俚小姐格米汤交关好末哉……”
相帮拿起那极轻薄的眼光来望着她笑。她扑到娘姨身上去不依。娘姨反更“啊哟哟”的笑了起来。她隔肢娘姨,娘姨因怕痒,才陪了礼。她饶了她,坐在旁边也来剥胡豆。而陈老三又来扰着她了。她别了家乡三年多了,陈老三是不是已变得象梦中那样呢? 假使他晓得 她在上海是干这等生涯,他未必还肯同她象从前那样好吧,或且他早已忘了她,他定早已接亲了。于是她决定明天早些起来去请对门的那老拆字人写封信去问问。她又后悔怎么不早写信去;她又想起都是因为早先太缺少钱了。想到钱,所以又在暗暗计算近来所藏积起来的家私。原存六十元,加昨夜毛手人给的五元和这三天来打花会赢的八元是一共七十三。那戒指不值什么,可是那珠子却很好呀,至少总值二十元吧,再加上那小金丝链,十六元,又是三十六元了。… 假使陈老三真肯来,就又从别处再想点法。他有一百多,两百,也就够了。 只是……
III
她想了许多可怕的事,于是她把早晨做的梦全打碎了。她还好笑她蠢得很,怎么会想到陈老三来?
陈老三就不是个可以拿得出钱赎她的人!而且她真个能吗,想想看那是什么生活,一个种田的人,能养得起一个老婆吗? 纵是,他愿意拚了夜晚当白天,而那寂寞的耿耿的长天和黑 夜, 她一人将如何去度过? 她不觉的笑出声来。
阿姆正经过,看见她老呆着,就问她,又喊她去梳头。
她拿出梳头匣,就把发髻解开来,发是又长,又多,又黑,象水蛇一样,从手上一滑就滑下来了。而一股发的气息,又夹杂得有劣等的桂花油气,便四散来。她好难梳,因为虽说油搽得多,但又异常滞。阿姆看得无法,只好过来替她梳。她越觉得她想嫁陈老三的不该了。阿姆不打她,又不骂她,纵然3是有时没有客,阿姆总还笑着说:“也好,你也歇歇吧。”她从镜中看见阿姆的脸正在她头上,脸是尖形的,眼皮上有个大疤。眉头是在很少的情形中微微蹙着了。她想问一声早上娘姨吵架的事,又觉得怕惹是非,娘姨是说不定什么时候都可以跳进来再吵的。于是她只问:
“阿姆,昨夜你赢了吗,我要吃红的!”
“吃黑呢,只除了人没输去.,什么都精光了。背了三个满贯,五个清一色。见了大头鬼,一夜也没睡,早饭也没吃,刚散场,那娼妇娘姨真不识相,她还问我要钱呢。”
阿英仿佛倒觉得阿姆很可怜起来。她想她实在可以一人站在马路上不需要娘姨陪,不是阿姆还可省去一人的开销吗?
她很安慰了阿姆,阿姆也耐心耐烦的替她梳头,她愿意把头发剪去,但是阿姆总说剪了不好看。
是吃夜饭的时候了,算是这一家顶热闹的时候,大家都在一团。一张桌,四面围起,她们姊妹是三人。阿姆同娘姨及相帮,相帮就是阿姆的侄子,是三满碗菜,很丰盛的,有胡豆雪里蕻汤,有青菜,有豆腐。她是三年来了,每天只有这顿饭吃,中午时能起得早,则可以吃一碗用炒黄豆咽稀饭。到夜里是哪怕就站到天亮,阿姆也不能管这些。自己去设法吧,许多人就专门替她们预备得有各种宵夜的在,只要有几个私下积的钱。或者有相熟的朋友,虽无力来住夜,然而这小东道也舍得请客的,因为在这之中,他们也可以从别的揩油方法中,去取回那宵夜的代价的。阿英喜欢吃青菜,筷筷往碗里夹,两个阿姊也喜欢吃,说是象肥肉。阿姆不给她们肉吃的,说是对门的小婵子胖就是因为从前在家里吃多了肉,不过每夜阿姆都要吃六毛钱一个的蹄膀,却不知为什么只见更瘦下来了。
把饭一吃完,几人便忙着去打扮,灯又不亮,粉又粗,镜子又坏,粉老拍不匀,你替我看,我替你看,才慢慢弄妥贴了。各人都换上一套新衣服,象要走人家去吃喜酒一样。第一是大阿姊先同娘姨走了。阿姊是不肯去,说她那客人八点就会来的,但阿姆不准,说客人来了,会去叫她的,为什么做生意这样不起劲,所以阿姊苦着脸也走了。她看见阿姆生了气,就也跑出房去追阿姊,而阿姆却喊住了她。她笑着说:
“我想也早点出去去看看。”
IV
“蠢东西,且等一会儿吧。”阿姆声音很柔和,她想她比起阿姊来,她应当感激。..阿姆说昨晚来的这毛手客是个土客。她想该同阿姆一条心来对付这很喜欢她的人。在这时阿姆爱她只有超过一个母亲去爱她女儿的。她很觉得有趣,她不会想到去骗一个人有什么不该。是阿姆喜欢这样呀!
早上的梦,她全忘了。那于她无益。她为什么定要嫁人呢? 说吃饭穿衣,她现在并不愁什么,一切都由阿姆负担了。说缺少了一个丈夫,然而她夜夜并不虚过呀!而且这只有更能觉得有趣的……她什么事都可以不做,除了去陪一个男人睡,但这事并不难,她很惯于这个了。她不会害羞,当她陪着笑脸去拉每位不认识的人时。她现在是颠倒怕过她从前曾有过,又曾渴想过的一个安分的妇人的生活。她同阿姆两人坐在客堂的桌旁,灯光虽黯澹,谈话却异常投机,所以不觉的就又是十点的夜间了。
客是仍不来,钟又敲,过十一点。
她很疲倦,她几次这样问阿姆:
“阿姆,你看呢,他一定不来了。他从没有连夜的来过的。他的话信不得呢!”阿姆总说再等等看吧。
后来,阿姊回来了,且带来那有意娶她的客,矮矮胖胖的身体,扁扁麻麻的面孔。她不觉心急了。她不会欢喜那矮男人的,然而,她很怕,她们住得太邻近了,当中只隔一层薄板,而他们又太不知顾忌,她怕他们将扰得她不能睡去,所以她又说:
“阿姆,我还是到外面去看看吧。”
但阿姆却不知为什么会这样痛惜她,说时候已不早了,未见得会有客人,就歇一晚也算了。
她终究要出去,说是纵然已找不到能出五元一夜的,就三元或两元也成,免得白过一晚。这话是替阿姆说的,阿姆觉得这孩子太好了,又懂事,很欢喜,也就答应了,只叮咛太拆烂污了的还是不要,宁肯少赚两个钱。
外面很冷,她走了,她一点也不觉得,先时的疲倦已变为很紧张很热烈的兴奋了。当她一想到间壁的阿姊时,她便固执的说,她总不能白听别人一整夜的戏。这是精灵的阿姆所还未能了解的另外一节。
马路上的人异常多,简直认不出是什么时候。姊妹们见她来了,就都笑脸相迎。她在转角处碰见了娘姨和大阿姊,她们正在吃莲子稀饭。于是她也买了一碗,站在墙根边吃。稀饭很甜,又热,她两手捧着,然而也并不忘去用两颗活泼的眸子钉打过路的行人。