LA PERLA D’ORIENTE
Tutta la sua esistenza fu contrassegnata dall’ambiguità: ambiguo il sesso, la nazionalità, il nome.
Nacque donna, ma volle essere considerata uomo.
Come donna subì violenza da parte del patrigno, si sposò, divorziò.
Come uomo si compiacque di comportamenti maschili e si lanciò in rischiose avventure, indossò divise militari e comandò truppe in combattimento, si accompagnò con una donna che presentò come sua moglie.
Ebbe indistintamente amanti di sesso maschile e di sesso femminile.
Nelle fotografie che la riprendono abbigliata con il tradizionale kimono giapponese, il suo sorriso non ha la caratteristica dolcezza femminile.
Quando si fa fotografare in uniforme da maggiore dell’esercito imperiale della Manciuria, con la sciabola al fianco, è difficile cogliere nello sguardo e nell’atteggiamento una vera mascolinità.
Anticipò di quasi un secolo la “disforia di genere”, che oggi è sulla bocca di tutti, affermando: “Sono nata con quella che i medici chiamano una tendenza al terzo sesso, cosicché non sono capace di perseguire, nella mia vita, le mete ordinarie di una donna...Fin da piccola ho sempre voluto fare ciò che facevano i maschi...Il mio sogno impossibile é di lavorare duro come un uomo per il bene della Cina e dell’Asia.”
Se questa tendenza fosse il risultato di qualche particolarità fisica, delle esperienze traumatizzanti subite quando era adolescente (1) o di una specifica predisposizione psicologica non è dato sapere.
Analoga ambiguità circonda la sua nazionalità.
Nacque cinese, ma non di etnia Hán.
Crebbe giapponese.
Per tutta la sua vita rimase fedele ai suoi antenati manciù, dei quali cercò di risuscitare la potenza collaborando senza vergogna con i Giapponesi.
Parlava cinese, giapponese e manciù.
Dubbi sulla sua nazionalità continuarono a sussistere anche durante il processo a cui fu sottoposta dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Era infatti accusata del crimine di alto tradimento, che era punito con la morte.
I suoi avvocati cercarono di far valere che, essendo cittadina giapponese, non poteva essere giudicata per, tradimento nei confronti della Cina, ma soltanto per eventuali crimini di guerra.
Il Tribunale respinse l’eccezione sollevata dai difensori, argomentando che l’imputata era cinese per “ius sanguinis” e non aveva mai validamente rinunciato alla sua nazionalità originaria.
Numerosi e vari anche i suoi nomi.
In lingua manciù: Aisin Gioro Xianyu 愛新覺羅·顯玗 (àixīn juéluó xiǎnyú) che, in cinese, diventava Jīn Bìhuī 金璧輝
Il nome di cortesia era Dōngzhēn, vale a dire “La Perla d’Oriente” 東珍.
Quando divenne giapponese prese il cognome dell’uomo che l’aveva adottata e si chiamò Kawashima Yoshiko 川島 芳子, ma, nel 1925, assunse il nome maschile di Kawashima Ryosuke 川島 涼介.
Il nome Kawashima Yoshiko venne dapprima tradotto in cinese, all’epoca del processo, con Chuăngdào Fāngzĭ, ma più tardi si trova, agli atti, il più corretto Jīn Bìhuī, anche se, nel quadro della sua strategia difensiva che tendeva ad evitare, come s’è visto, l’accusa di alto tradimento, l’imputata cercò di presentarsi come suddita giapponese e utilizzò a questo fine l’identità di Kawashima Yoshiko.
Non le mancarono inoltre i soprannomi:
Giovanna d’Arco della Manciuria
e
Mata Hari dell’Oriente,
quest’ultimo legato alla sua attività di agente segreto e di spia per conto dei giapponesi.
A Mata Hari la accomunò la fine tragica, mentre la sua ambiguità sessuale ci ricorda un’altra famosa spia, dell’epoca di Luigi XV, il cavaliere d’Éon.
Yoshiko Kawashima nacque a Pechino il 24 maggio 1907.
Era la quattordicesima figlia di Shànqí (1866-1922), principe Sù del primo rango (和碩肅親王 ”héshuòsù qīnwáng”). (2)
Sua madre si chiamava Zhāngjiā 張佳氏 ed era la quarta concubina del principe.
Dopo la rivoluzione che, nel 1911, rovesciò la monarchia e proclamò la repubblica, Shànqí rifiutò di accettare l’abdicazione dell’imperatore dell’era Xuāntǒng 宣統 e fuggì di nascosto a Port Arthur nella concessione giapponese del Kwantung (關東州 “guāndōng zhōu”). Qui, si diede da fare per creare, con l’aiuto dei Giapponesi uno Stato indipendente manciù sotto il deposto imperatore, ma il progetto dovette essere abbandonato quando, nel 1912, il governo giapponese preferì collaborare con il nuovo uomo forte della Cina, Yuán Shìkăi 袁世凯.
Diventato uno dei capi del partito imperiale, Shànqí partecipò al Movimento di Indipendenza manciù-mongolo, finanziato da un industriale giapponese, che
organizzò in Manciuria un vero e proprio esercito composto di manciù fedeli all’imperatore e di banditi mongoli.
Il piano dell’insurrezione, che doveva scattare nell’aprile del 1916, prevedeva la conquista di Mukden, con l’aiuto dei Giapponesi, la creazione di uno Stato manciù indipendente a nord della Grande Muraglia e, se le condizioni fossero state favorevoli, un successivo attacco a Pechino.
L’azione fu tuttavia rimandata per cause contingenti e, nel frattempo la diplomazia giapponese riannodò i rapporti con il governo cinese. I Giapponesi continuarono a finanziare Shànqì, ma pretesero che rinunciasse ai suoi piani insurrezionali e sciogliesse le sue truppe, cosa che avvenne il 7 settembre 1916.
Per la realizzazione dei suoi progetti politici, Shànqí era entrato in stretto contatto con l’agente giapponese Naniwa Kawashima 川島浪速 (1866-1949), del quale, con il passare degli anni, era divenuto amico intimo.
All’età di otto anni, Xianyu viene affidata dal padre a Kawashima, che la porta con sé a Matsumoto in Giappone, la adotta, attribuendole il nome di Yoshiko Kawashima, e le fa impartire un’educazione giapponese.
La ragazza dichiarerà poi di essere stata stuprata, all’età di diciassette anni, dal padre adottivo, col quale avrebbe avuto in seguito una relazione.
Inviata a Tokyo per compiervi gli studi superiori, Yoshiko si dà ad una vita senza regole, procurandosi numerosi amanti, uomini e donne, che finanziano le sue dissolutezze. È però attenta a mantenersi in forma praticando numerosi sport, tra cui l’equitazione, lo judo, il kendo, la scherma ed il tiro a segno.
È in questo periodo che si opera la sua trasformazione.
Il 22 novembre 1925, dopo essersi fatta fotografare in kimono tra i fiori in un simbolico “addio alla vita femminile”, si reca da un parrucchiere per farsi tagliare i capelli a spazzola. Da quel momento adotterà un nome maschile, si vestirà soltanto con abiti maschili e parlerà di se stessa usando termini maschili.
Cinque giorni dopo, il quotidiniano Asahi Simbun 朝日新聞 titola:”I bei capelli neri di Yoshiko Kawashima tagliati a zero. A causa di voci infondate, la ragazza ha fermamente deciso di diventare un uomo. Il commovente segreto del suo tentativo di suicidio”.(3)
Nonostante tutto ciò, il fratello maggiore, che era subentrato al padre naturale, morto nel 1922, e il padre adottivo combinarono, nel novembre 1927, il suo matrimonio con il principe mongolo Gangjuurjab, figlio del generale Babojab, che era stato uno dei capi del movimento indipendentistico mongolo-manciù e che era stato ucciso in combattimento verso la fine del 1916.
Yoshiko si adattò molto male alla vita nella lontana e arretrata Mongolia e, dopo tre anni di difficile convivenza, ottenne il divorzio.
Ritornata libera, si trasferì a Shànghăi, dove incontrò l’addetto militare giapponese Ryukichi Tanaka, che era anche il capo dei servizi di spionaggio, il quale la utilizzò come agente di collegamento con la nobiltà mongola e manciù. I due intrattennero una relazione che durò sino al 1932.
Nell’agosto del 1932, Tanaka fu richiamato a Tokyo e Yoshiko cominciò a collaborare con il generale Kenji Doihara, che avrebbe, di lì a poco, svolto un ruolo importante nell’invasione giapponese delle Manciuria.
Per conto di quest’ultimo, compì, sotto mentite spoglie, numerose missioni segrete in Manciuria. Le fonti dell'epoca la descrivono come” molto attraente, dotata di una forte personalità, quasi un personaggio da film, a metà ragazzaccio e a metà eroina romantica, con una grande passione per i travestimenti maschili.”
Yoshiko conosceva bene il suo lontano parente Pǔyí 溥儀 , l’ultimo imperatore, che l’aveva ricevuta in famiglia nel periodo durante il quale si era stabilito a Tiānjīn 天津 . Fu grazie a questo stretto rapporto che ella riuscì a convincerlo ad accettare il trono del Manchukuo ( 满洲国 “ mănzhōuguó”), lo Stato fantoccio che i Giapponesi intendevano creare in Manciuria.
Dopo che Pǔyí divenne imperatore del Manchukuo, Yoshiko continuò ad operare in Manciuria.
Per qualche tempo, fu l’amante del generale giapponese Hayao Tada 多田 駿, primo consigliere militare di Pǔyí.
Nel 1932 Yoshiko formò un contingente di cavalleria, forte di 3000-5000 uomini, per combattere contro la guerriglia antigiapponese nel Manchukuo. I quotidiani giapponesi la celebrarono in quel periodo come la “Giovanna d’Arco della Manciuria”. Nel 1933 offrì i suoi uomini all’armata giapponese del Kwantung per collaborare all’Operazione Nekka (熱河作戰 ”nekka sakusen") (4), ma l’offerta fu rifiutata. Il contingente messo in piedi da Yoshiko Kawashima rimase comunque operativo sin verso la fine degli anni “30.
In quegli anni, Yoshiko divenne una figura molto popolare in Manciuria: partecipava ad emissioni radiofoniche, incideva dischi con le proprie canzoni, ispirava articoli di giornale e film. La sua popolarità portò tuttavia a frizioni con l’armata del Kwantung, perché ormai, da una parte, non era più possibile impiegarla come agente segreto e, dall’altra, le autorità giapponesi non apprezzavano per nulla le sue critiche alla loro intenzione di utilizzare la Manciuria come base di operazioni per attaccare la Cina.
Yoshiko scomparve così a poco a poco dalla scena.
L’11 novembre 1945 un’agenzia di informazioni riferiva che “una bella donna, solita a travestirsi da uomo, ricercata da lungo tempo è stata arrestata a Pechino da ufficiali del controspionaggio ed è attualmente detenuta nella prigione modello del Hébĕi”.
Jīn Bìhuī 金璧輝 fu sottoposta a processo e, il 20 ottobre 1947, fu condannata a morte per il crimine di alto tradimento.
Il 25 marzo 1948 fu giustiziata mediante un colpo di pistola alla nuca e il suo corpo fu esposto in pubblico.
Il cadavere di Yoshiko Kawashima fu raccolto da un monaco giapponese e successivamente cremato. Le sue ceneri furono restituite alla famiglia Kawashima, che le fece seppellire nel recinto del tempio Shōrinji a Matsumoto.
Alla sua vita disordinata e tumultuosa, condotta sempre sopra le righe, sono stati dedicati libri (5) e film (6).
NOTE
1) Come risulta da alcune sue dichiarazioni, nella decisione di Yoshiko Kawashima di vestirsi da maschio può aver giocato anche il desiderio di ridurre le possibilità di molestie o di violenze a cui poteva andare incontro in quanto donna.
2) La famiglia Sù 肅 era una delle dodici famiglie che godevano del privilegio del “cappello di ferro”, vale a dire del diritto alla trasmissione ereditaria del titolo di “principe del primo rango” (和碩親王 ”héshuò qīnwáng”). Essa discendeva da Hooge 愛新覺羅 豪格 (1609-1648), figlio primogenito di Hong Taiji 皇太極 (1592-1643), il fondatore della dinastia Qīng. Hooge ebbe la peggio nella lotta che si scatenò per la successione di Hong Taiji e morì in carcere, ma fu riabilitato “post mortem” e , nel 1650, gli venne concesso, a titolo postumo, il titolo di “bellicoso principe Sù ”( 肅武親王” “sù wǔ qīnwáng”). Shànqí 善耆 (1866-1922) fu, dal 1898, il decimo detentore del titolo.
3) La ragazza aveva tentato di uccidersi con una pistola prestatale da un amico. La vicenda è probabilmente legata all’oscura storia dello stupro che Yoshiko avrebbe subito ad opera del padre adottivo o di qualche altro membro della famiglia Kawashima.
4) I Giapponesi chiamarono Operazione Nekka (熱河作戰 ”nekka sakusen" la campagna militare volta a conquistare la provincia di Rehe nella Mongolia Interna. Il conflitto che durò dal 1° gennaio al 31 maggio 1933 è conosciuto dai Cinesi come la “Guerra in difesa della Grande Muraglia" (长城抗战 “chángchéng kàngzhàn”).
5) Nel 2017, la scrittrice Phyllis Birnbaum pubblicò un libro intitolato:”Manchu Princess, Japanese Spy: The Story of Kawashima Yoshiko, the Cross-Dressing Spy Who Commanded Her Own Army “.
6) Nel film “L’Ultimo Imperatore” di Bernardo Bertolucci, il ruolo di Yoshiko Kawashima, che vi compare con il nome di “Gioiello d’Oriente”, è stato affidato all’attrice Maggie Han.
L’attrice Anita Mui è invece la protagonista del film ”Kawashima Yoshiko” girato dal regista Eddie Fong a Hong Kong nel 1990.