CAPITOLI XI-XX
XI
Trenta raggi intorno al mozzo formano una ruota,
ma è grazie agli interstizi vuoti
che il carro si muove.
Mescolando acqua ed argilla fabbrichiamo un vaso,
ma è proprio perché è vuoto
che possiamo usarlo.
Per fare una dimora apriamo porte e finestre.
Sono vuote,
ma sono esse che rendono abitabile la casa.
Perciò,
proprio quando traiamo vantaggio dall’essere,
dobbiamo riconoscere l’utilità del non essere. (1)
NOTA
1)(1) La struttura di molti capitoli del Dào Dé Jīng lascia pensare che
l’opera fosse originalmente una raccolta di versi di carattere più o meno
oracolare che incorporò insensibilmente nelle successive “edizioni” un primo elementare commento.
In quasi tutti i capitoli si distingue infatti una parte che potremmo dire “poetica”, cui fa seguito una parte esplicativa introdotta da “gu”故 o da “shi yĭ” 是 以 (“questa è la ragione per cui”, “perciò”,”è per questo che”).
Lo schema che ne risulta trova molte analogie in epoca antica anche in
aree culturali diverse da quella cinese. Basti pensare alle favole di Esopo e di Fedro, nelle quali ai primi versi narrativi seguono regolarmente alcuni versi che ci forniscono la morale della storia narrata.
Si veda ad es. la favola della volpe e della maschera:
Personam tragicam forte vulpes viderat.
“O quanta species”inquit “cerebrum non habet”.
Hoc illis dictum est quibus honorem et gloriam
fortuna tribuit, sensum communem abstulit”.
XII
Troppi colori rendono ciechi.
Troppi suoni rendono sordi.
Troppi sapori ottundono il gusto.
Galoppo sfrenato e caccia furiosa
fanno uscire di senno.
L’eccessivo amore per il lusso
ostacola la libertà dell’azione.
Perciò il saggio guarda alla sostanza
e disdegna le apparenze.
Non ingoia tutto,
ma ora sceglie, ora scarta.
XIII
Il saggio cerca di evitare sia la fama sia l’ignominia.
Esse sono per lui una grande sofferenza,
come il peso del corpo.
Che cosa significa che occorre evitare fama ed ignominia?
Avere successo e non averlo sono entrambi fatti negativi.
Ecco perché si dice: “Evita entrambe le cose”.(1)
Che cosa significa affermare che per il saggio
una grande sofferenza è come il peso del corpo?
La sola ragione per cui siamo in condizioni di soffrire
è che abbiamo un corpo.
Se non avessimo un corpo,
come potremmo provare sofferenza?
Al saggio che tratta il mondo come il proprio corpo
possiamo affidare l’Impero.
A chi ama il mondo come il proprio corpo
possiamo affidare il governo dello Stato. (2)
NOTE
(1) Mi sembra di poter interpretare i versi in questo senso: Il saggio deve
rifuggire dagli estremi e dagli eccessi , conducendo una vita ragionevole ed equilibrata.Deve quindi evitare tanto l’ambizione smodata quanto la rinuncia a qualsiasi impegno.
(2) L’ambiguità degli ultimi due versi ha consentito di interpretarli nei modi più svariati. Essi affermano infatti che le più alte responsabilità possono essere affidate a chi “valuta” ed “ama il mondo come il proprio corpo”. Ma ci sono innumerevoli maniere di “stimare” ed “amare” il proprio corpo. Lăo Zĭ ci spiega che la dipendenza dal corpo è la sola ragione che rende l’essere umano capace di soffrire. Se ne dovrebbe dedurre, a mio avviso, che, quanto più una persona riesce a considerare con distacco il proprio corpo ed a dominare le passioni materiali, tanto più essa riduce la possibilità di soffrire. Il saggio è perciò colui che “stima” ed “ama” il proprio corpo con la razionalità e con la spassionatezza che sono necessarie per evitare la sofferenza.Chi sa portare la stessa razionalità e la stessa spassionatezza nel campo della politica è il più adatto a governare lo
Stato.
XIV
La si guarda e non la si vede, perciò è detta trasparente. (1)
La si ascolta e non la si sente, perciò è detta eterea.
La si tocca e sfugge al tatto, perciò è detta impalpabile.
Queste tre qualità
si presentano tutte insieme
senza che si possa distinguerle
e perciò si fondono in una sola.
Quando sorge non porta luce.
Quando tramonta non porta oscurità.
Priva di qualsiasi nome,
scorre come una gomena senza fine
mentre ritorna al non essere.
Dicono che è forma priva di contorni,
apparenza senza sostanza,
immagine indistinta.
Valle incontro e non ne vedrai la fronte.
Seguila e non ne vedrai la schiena.
Eppure, devi comprendere la Via del passato
per muoverti nel mondo di oggi,
perché solo chi conosce le origini primordiali
può cogliere l’essenza della Via. (2)
NOTE
1) Questo capitolo si cimenta con la descrizione della Via e risolve il problema nell’unico modo possibile: con un’affascinante descrizione della sua indescrivibilità.
2) Se la Via non si può descrivere nè capire, essa si può forse “sentire”, “intuire”. Tale era senza dubbio la situazione nei tempi antichissimi in cui tutto il creato, compreso l’uomo, si trovava in spontanea consonanza con le leggi della natura. Chi riuscisse ad immaginarsi la felicità naturale dell’ età originaria sarebbe in grado di cogliere l'essenza della Via.
Il mito che sta alla base della dottrina taoista non sembra poi molto diverso dai miti dell’”età dell’oro” e del “paradiso terrestre” che costituiscono una componente essenziale della cultura occidentale.
XV
Gli antichi saggi erano persone colte,
intelligenti, sottili, misteriose, perspicaci,
di mente così profonda
da non poter essere esplorata.
Non riuscendo a comprenderne l’essenza,
possiamo solo descrivere la loro apparenza.
Erano cauti come chi guada un fiume d’inverno.
Erano attenti come chi fiuta pericoli da ogni parte.
Erano cerimoniosi come chi è ospite in casa d’altri.
Erano aperti ed espansivi come ghiaccio che fonde.
Erano semplici come un tronco di legno non lavorato. (1)
Erano d’animo vasto come sono ampie le vallate.
Erano imperscrutabili come uno stagno fangoso.
Erano placidi come la serena distesa dell’oceano,
eppure erano vivaci ed in perpetuo movimento.
Chi può mai trasformare, a poco a poco,
nella calma più completa,
uno stagno fangoso in un limpido lago?
Chi può mai passare,
con movimento lento e graduale,
dall’inerzia alla vita?
Coloro che seguono la Via
non si lasciano sommergere dai desideri.
Il saggio si astiene da ogni eccesso
ed è per questo che egli è come un abito
che copre durante tutte le stagioni
ed è sempre nuovo.
NOTA
(1) Ritorna qui il leitmotif della semplicità: il saggio è spontaneo, genuino,
privo di qualsiasi artificio e di qualsiasi orpello come un tronco di legno
grezzo ( 樸 “pŭ” ).
XVI
Chi ha fatto il vuoto completo dentro di sé
ha raggiunto la vera quiete.
Il mondo intero può ben agitarsi,
ma io vedo che tutto segue il suo ciclo.
Tutte le cose fioriscono,
poi ciascuna ritorna alle sue radici.
Tornare alle radici è ritrovare la pace.
Ritrovare la pace è compiere il destino.
Compiere il destino è conformarsi
alle leggi eterne dell’universo.
Conformarsi alle leggi eterne
è conseguire l’illuminazione;
ignorarle è precipitare
nella follia e nel disastro.
Chi conosce le leggi eterne è paziente.
Chi è paziente è giusto.
Chi è giusto è perfetto.
Chi è perfetto appartiene al Cielo.
Il Cielo è la Via
e la Via è eterna.
Perciò il saggio non muore,
anche se il suo corpo perisce.
XVII
Il miglior governante è colui di cui il popolo neppure si accorge.
Viene poi colui che è conosciuto e stimato.
In seguito troviamo chi è temuto
e, da ultimo, chi è disprezzato.
Dove la sincerità non viene apprezzata,
subentra l’ipocrisia.
Riflettete a lungo prima di parlare.
Fate il vostro dovere,
svolgete i vostri compiti
e tutti diranno:
“Noi stessi non avremmo fatto diversamente”.
XVIII
Quando fu smarrita la Via Maestra
nacquero l’umanità e la giustizia.
Quando apparvero l’intelligenza e la conoscenza
si tramarono grandi inganni. (1)
Quando i rapporti sociali sono stravolti
si distinguono gli uomini virtuosi. (2)
Quando lo Stato sprofonda nel disordine
comprendiamo chi sono i buoni ministri.
NOTE
(1) La seconda frase del capitolo XVIII sembra essere in contraddizione con le altre. Infatti,la possibilità di distinguere il bene deriva necessariamente
dall’esistenza del male. Come l’apparizione della bontà e della giustizia non è causa, bensì effetto dello smarrimento della Via, come il delinearsi della virtù non è causa, bensì effetto del dilagare del vizio, come il riconoscimento del buon governo non è causa, bensì effetto del propagarsi del malgoverno, così la diffusione dell’ intelligenza e della cultura non dovrebbe essere fonte di malizia e d’inganno, bensì conseguenza di questi ultimi in quanto strumento inventato dagli uomini per sfuggire alle trappole della malafede.
La contraddizione è tuttavia soltanto apparente. Una volta rotto l’equilibrio originario, tutto è preso in un vortice, in una spirale senza fine
nella quale causa ed effetto si confondono e risultano intercambiabili. Il rimedio diventa allora peggiore del male. Elementi di per sé positivi, come
l’intelligenza e la cultura,vengono distorti dal loro fine ed utilizzati anche dagli ingannatori per meglio compiere i loro misfatti.
(2) Ho reso con “rapporti sociali” l’espressione 六 親 (“liù qīn”, “le sei parentele”). Essa ricorda infatti l’espressione 五 倫 ( “wŭ lún”, “le cinque
relazioni” ) con cui Confucio designa i cinque tipi di rapporto sui quali si
regge la convivenza sociale ( principe-suddito, padre-figlio, fratello
maggiore-fratello minore, marito-moglie, amico più anziano-amico più giovane). Alcuni commentatori del Dào Dé Jīn interpretano le “sei parentele” con riferimento ai sei personaggi che sono alla base dei rapporti più importanti nell’ambito di un nucleo familiare: padre e figlio, fratello maggiore e fratello minore, marito e moglie.
XIX
Bandisci l’intelligenza, abbandona il sapere
ed il popolo se ne avvantaggerà mille volte.
Bandisci la compassione, abbandona la giustizia
ed il popolo ridiventerà virtuoso e generoso.
Bandisci l’abilità, abbandona il profitto
e non ci saranno più né ladri né briganti.
Sono tre cose di bella apparenza,
ma non bastano.
La gente deve affidarsi a qualcosa di solido.
Mostrale la semplicità!
Falle amare la spontaneità!
Elimina l’egoismo
e non ci saranno più passioni.
XX
Rinuncia allo studio e sarai libero dagli affanni. (1)
Che importa saper distinguere “wéi” da “ā” (2)
quando non si sa discernere il bene dal male?
Basta forse dire: il male è ciò che la gente non fa?
Chi mai oserebbe fare ciò che nessuno fa?
Sarebbe questo il criterio di distinzione?
Tutti sono gioiosi
come se partecipassero ad una grande festa,
come se salissero su una terrazza
in un giorno di primavera.
Io solo sono inerte
come un bimbo appena nato
che non ha ancora dato segno di vita.
Tutti hanno più del necessario.
Io solo non ho nulla.
Le mie idee non son forse quelle d’un idiota?
La mia mente è confusa è torbida.
Gli altri hanno pensieri chiari e logici.
Io solo non riesco a ragionare.
La gente normale è vivace ed allegra.
Io solo sono melanconico e depresso.
Tutti sono capaci di fare qualcosa.
Io solo sono ottuso ed ostinato.
Io solo sono differente da tutti gli altri
perché rendo onore alla Madre che ci nutre. (3)
NOTE
(1) Vediamo qui quanto Lăo Zĭ differisca da Confucio nel definire la saggezza. Per il Taoismo, non è saggio chi coltiva la propria intelligenza e si applica con assiduità allo studio, bensì chi sa rimanere ingenuo come un bambino, semplice e piano come un’ asse di legno grezzo. Ne consegue inevitabilmente che il saggio è spesso considerato dagli altri come lo scemo del villaggio. Egli però non se ne cura, perché è ben cosciente di essere invece il solo che vive in perfetta consonanza con le leggi naturali e con il vero spirito del mondo.
(2) ” Wéi” 唯 e “ ā ” 阿 sono due particelle di significato abbastanza simile che esprimono diverse sfumature di consenso. Per saper distinguere esattamente i casi in cui va usata l’una anziché l’altra occorre avere un’ottima conoscenza di tutte le sottigliezze della lingua e quindi essere una persona colta.
(3) Il termine “la madre che ci nutre” (食 母 “sì mŭ”) designa senza dubbio la “Via”, come risulta chiaramente dal capitolo XXV in cui la Via è definita
“la madre di tutte le cose”.
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