Il signorino (1) Cài il secondo
La specifica abilità del secondo figlio di casa Cài consisteva nel vendere il patrimonio di famiglia. I beni della famiglia Cài erano molti? erano consistenti? Nessuno avrebbe saputo dirlo con certezza. In ogni caso, a Tiānjīn, i Cài avevano fama di essere gente ricca ed importante, provvista di abbondanti risorse, una famiglia di funzionari pieni di soldi che collezionavano da generazioni opere d’arte e oggetti pregiati. Durante i disordini dell’anno 1900, il padre e la madre erano scampati con difficoltà alla morte fuggendo dalla città. Il figlio maggiore abitava a Shànghăi ed aveva colà i propri interessi. Quindi, tutti gli oggetti di casa erano finiti in mano al secondo figlio. Quest’ultimo, che non aveva alcuna professione, li vendeva uno ad uno per tirare avanti. Per tirare avanti, il signorino (2) s’era venduto persino i peli della barba, ma, contrariamente a ciò che si sarebbe potuto aspettare, non era ancora riuscito a mangiarsi tutto.(3). La gente diceva che i beni della famiglia Cài sarebbero bastati per nutrire tre generazioni, ma, ogni volta che il rigattiere udiva questa affermazione, sogghignava di nascosto. Era da parecchi anni, infatti, che vendeva cose appartenute alla famiglia Cài. Gli oggetti di proprietà di una famiglia conosciuta si vendono meglio dei beni della gente comune. E il commerciante, basandosi sul fiuto e sull’ esperienza, era giunto alla conclusione che il giovane Cài sarebbe stato l’ultimo della famiglia a possedere quei beni. Invece, si sbagliava: il patrimonio fu conservato e , più tardi, egli stesso sarebbe stato costretto a riconoscere che il signorino Cài era diventato un vero esperto nell’arte delle vendite. La maggior parte dei beni venduti dalla famiglia Cài erano erano passati tra le sue mani. Lui sapeva che l’acqua in cui sguazzava la famiglia Cài era molto profonda. Quindici anni prima, il signorino aveva venduto gioielli e oggetti di giada, dipinti e calligrafie di pregio; dieci anni prima aveva cominciato a vendere porcellane e vasi, oggetti di legno lavorato e mobili; cinque anni prima, sacchi di abiti vecchi e di indumenti usati. Ma, per quanto le risorse della famiglia Cài potessero essere notevoli, anch’esse, a poco a poco si sarebbero dovute esaurire. Perciò, al rigattiere anche il comportamento del secondo figlio della famiglia Cài sembrava poco diverso da quello di uno che tira avanti svendendo i beni familiari. Non aveva tuttavia prestato attenzione ad alcuni dettagli. Quindici anni prima, quando aveva cominciato a comprare dal signorino, era stato ricevuto personalmente all’interno della casa, mentre, cinque anni più tardi, era stato chiamato dai domestici a ritirare rapidamente la merce dalla porta di servizio e, più tardi ancora, trascorsi altri cinque anni, le cose erano ulteriormente cambiate: il signorino gli faceva trovare nei magazzini di casa pacchi di abiti usati, ma lui, per quanto lo riguardava, restava chiuso nel suo studio. (4)
Quando se ne rese conto, il rigattiere, mortificato, aggrottò le sopracciglia e osservò:”Il signorino trova noioso assistere all’apertura dei pacchi!”.Ma, nemmeno i domestici andavano più ad aiutarlo.
Il rigattiere prendeva il righello, tirava fuori dal pacco degli abiti i singoli pezzi, li sceglieva, gettava da parte gli scarti, calcolava, a mezza voce, il prezzo al quale avrebbe potuto vendere per strada ciascun abito usato. Alla fine, fissata la somma dovuta, i garzoni si occupavano di imballare la merce e di portarla via, mentre il padrone si sedeva sul retro della casa (5) a bere una tazza di té e a fumare un momento la pipa. Era il rigattiere che con il suo periodico tributo teneva in vita la famiglia Cài.
Le cose andarono avanti in questo strano modo forse per un paio d’anni..
Poi, improvvisamente, il signorino Cài smise di vendere abiti usati, e , un giorno, invitò di nuovo il rigattiere a casa sua. Senza affrontare argomenti concreti, conversò a lungo del più e del meno, poi si chinò per tirar fuori dal fondo di un armadio alcuni oggetti che voleva mostrargli. Ogni oggetto era un pezzo d’antiquariato di perfetta qualità.
Il signorino Cài li depose con gesto deciso sul tavolo. Sembrava di essere tornati indietro di più di dieci anni.
“Sono splendidi oggetti” esclamò il rigattiere” che reggono il paragone con quelli che avete venduto in passato. I vostri bauli, signorino, sono veramente senza fondo! È come se steste ritirando fuori, uno per uno, i pezzi che avete venduto in questi vent’anni ”.
Il signorino Cài si mise a ridere, poi si limitò ad osservare con calma: “Avrei mai potuto vendere ciò che i miei antenati mi avevano lasciato in eredità? Per me e per la mia famiglia era una questione d’onore.”
È difficile fissare dei prezzi per gli oggetti d’antiquariato, visto che ogni pezzo vale molto di più di quel che un rigattiere potrebbe immaginare. I prezzi di stima sono alti; nel gergo degli antiquari, si chiamano “prezzi capestro”. Sono prezzi che ti costringono ad impiccarti. (6) Quando gente come la famiglia Cài deve disfarsi delle sue cose, ci sono due modi di vendere: uno è quello di vendere da poveri, l’altro è quello di vendere da ricchi. Vende da povero chi lascia capire di avere un bisogno urgente di denaro, chi ha fretta di concludere. Se incontri una persona di questo tipo, hai vinto un terno al lotto. Vende da ricco chi mostra di non avere preoccupazioni economiche. Costui può vendere a caro prezzo realizzando un guadagno.Se incontri una persona del genere, non c’è modo di uscirne con vantaggio.
Il signorino Cài aveva cominciato a liquidare i suoi beni vendendo da povero. In che momento era passato a vendere da ricco?
Un giorno venne in visita alla bottega del rigattiere il proprietario del negozio d’antiquariato Dàyăxuán del quartiere di Liúlíchăng a Pechino (7), che aveva frequenti rapporti commerciali con lui. I due si rifornivano reciprocamente, si indirizzavano l’un l’altro i rispettivi clienti ed erano diventati buoni amici.
L’antiquario entrò nel negozio e vide esposti sugli scaffali degli oggetti che gli sembravano familiari. Si avvicinò a guardarli e, su un delicato cofanetto di legno di sandalo, scorse una pila di otto tavolette di giada bianca, della varietà “grasso di pecora” (8), su cui era inciso “Il Sutra del Diamante”(9). I caratteri dorati erano fini come zampette di mosca ed estremamente eleganti.
Fece una smorfia e domandò al rigattiere “ Da chi hai comprato questi oggetti?”. Sul suo volto si era disegnata un’espressione di perplessità.
Il rigattiere rispose: “È qualcosa di nuovo che ho scovato due settimane fa. Perché?”.
L’antiquario insistette : “Chi te l’ha venduto?”.
Il rigattiere alzò gli occhi al cielo:”Voi, gente della capitale, non conoscete le regole del mestiere. Un rigattiere non può fornire informazioni né su chi vende né su chi compra”. Scoppiò a ridere e non gli rispose.
L’antiquario capì che stava ponendo le domande sbagliate e cambiò tattica.”Non è il signorino Cài di Tiānjīn che ti ha venduto questi oggetti? Sono proprio quelli che gli avevo venduto io”.
Il rigattiere lo guardò esterrefatto. Non potè fare a meno di ammettere: “È lui che me li ha venduti. Perché non avrei dovuto comprarli?”.
L’antiquario osservò: “Ho sempre pensato che fosse un compratore e non un rivenditore. Perché ha rivenduto? È qualcosa che posso domandarti?”.
I due uomini si fissarono sbalorditi.
L’antiquario indicò ad un tratto, su un banco, un vaso Míng blu a disegni di fiori , dell’epoca Chénghuā (10), e disse: “Anche questo glielo avevo venduto io! Quanto glielo hai pagato? Io glielo avevo lasciato a un prezzo di favore.”(11)
Non ottenne risposta: il rigattiere preferí tenere per sé il prezzo che aveva pagato.
Nemmeno il rigattiere riuscì a farsi rivelare altro dall’antiquario, ma, non appena quest’ultimo se ne fu andato, si rivolse ai suoi assistenti: “Ricordatevi, non dobbiamo più trattare con il signorino Cài. Quel bastardo (12) ha imparato a vendere ! Ed ha imparato fin troppo bene!”.
NOTE
1) Ho tradotto con “signorino” il cinese 少爷 (“shàoyé”), che, come l’inglese “master”, designava un tempo i giovanotti di buona famiglia. Tutti questi termini sono oggi obsoleti. Occorre tuttavia ricordare che la storia qui narrata si svolge nei primi anni del ventesimo secolo.
2) Ho tradotto anche qui con “signorino”, da intendersi però in senso sarcastico, l’espressione gergale cinese 小 白 臉 (“xiăo bái liăn”),”faccino bianco”, che designa i giovanotti ricchi e sfaccendati.
3) L’espressione idiomatica 坐 吃 山 空 (“zuò chī shān kōng”), letteralmente “stare seduti a mangiare mentre la montagna si svuota”, serve a indicare l’atteggiamento di coloro che, invece di svolgere un’attività produttiva, tirano improvvidamente avanti consumando poco per volta il patrimonio di famiglia.
4) L’espressione 跑到敬古斋来 (“păodào jìn gŭ zhāi lái”) è di difficile interpretazione, considerati i molti significati che si possono attribuire alla parola 斋 (“zhāi”): digiuno, dieta vegetariana, cerimonia religiosa, elemosina, abitazione, studio, laboratorio, atelier. In questo passo ho interpretato il termine 斋 (“zhāi”): come “studio”, in un passo successivo come “negozio”,”bottega”.
5) Non essendo più invitato all’interno della casa, il rigattiere non era in grado di vedere quanti oggetti di valore ci fossero ancora.
6) L’autore mi sembra voler dire che i prezzi degli oggetti d’antiquariato,in quanto prezzi d’amatore, sono sempre molto alti. Chi è costretto a vendere da urgenti necessità economiche non è in grado di imporre il prezzo e finisce regolarmente per svendere. Solo chi non ha preoccupazioni finanziarie e può attendere che si presenti l’appassionato disposto a versare importanti somme per procurarsi un determinato oggetto può realizzare affari molto vantaggiosi.
7) Liúlíchăng 琉璃廠 è un antico quartiere di Pechino in cui, all’epoca della dinastia Yuán 元 朝 , venivano prodotte piastrelle colorate. Sotto le dinastie Míng 明 朝 e Qīng 清 朝 divenne punto di ritrovo di letterati, pittori e calligrafi. Oggi ospita molte botteghe d’artisti, di antiquari e di artigiani.
Non ho trovato riscontri al nome Dàyăxuān 大 雅 轩 , che si riferisce evidentemente ad un negozio di antiquariato. Internet collega il nome Dàyăxuán a un tipo di carta per calligrafia.
8) La “giada del grasso di pecora” (“羊 脂 玉 “yáng zhī yù”) è la più preziosa varietà di giada bianca.
9) Il “Sutra del Diamante”(金刚经 “jīngāng jīng ”, in sanscrito: वज्रच्छेदिकाप्रज्ञापारमितासूत्र, Vajracchedikā Prajñāpāramitā Sūtra) è uno dei testi più importanti del Buddhismo Mahayana. Composto intorno al I° secolo d.C., fu tradotto in cinese agli inizi del V° secolo d.C.
10) L’era Chénghuà (1465 d.C-1488 d.C.) corrisponde al regno dell’imperatore Chénghuà (朱見深 Zhù Jiànshēn) della dinastia Míng 明 朝.
11) Il termine 白 (“bái”) è talvolta usato nel senso di “a titolo gratuito”,”senza corrispettivo”. Qui va ovviamente inteso significare “ad un prezzo molto vantaggioso”.
12) Il termine cinese 王 八 蛋 (“wángbadàn”), letteralmente “uovo di tartaruga”, è un insulto che significa “bastardo”,”figlio di puttana”. Il rigattiere si è reso conto che il signorino Cài non era affatto lo sprovveduto che fingeva di essere.
蔡二少爷
蔡家二少爷的能耐特别——卖家产。
蔡家的家产有多大?多厚?没人能说清。
他是天津出名的富豪,折腾盐发的家,有钱做官,几代人还全好古玩。
庚子事变时,老爷子和太太逃难死在外边。大少爷一直在上海做生意,有家有业。家里的东西就全落在二少爷身上。二少爷没能耐,就卖着吃,打小白脸吃到满脸胡茬,居然还没有“坐吃山空”。人说,蔡家的家产够吃三辈子。敬古斋的黄老板每听这句话,就心里暗笑。他多少年卖蔡家的东西。名人家的东西较比一般人的东西好卖。而黄老板凭他的眼力,看得出二少爷上边几代人都是地道的玩主。不单没假,而且一码是硬梆梆的好东西,到手就能出手。蔡家卖的东西一多半经他的手。所以他知道蔡家的水有多深。十五年前打蔡家出来的东西是珠宝玉器,字画珍玩;十年前成了瓷缸石佛,硬木家具;五年前全是一包一包的旧衣服了。东西虽然不错,却渐渐显出河干见底的样子。这黄老板对蔡二少爷的态度也就一点点地变化。十五年前,他买二少爷的东西,全都是亲自去蔡家府上;十年前,二少爷有东西卖,派人叫他,他一忙就把事扔在脖子后边;五年前,已经变成二少爷胳肢窝里夹着一包旧衣服,自个儿跑到敬古斋来。
这时候,黄老板耷拉着眼皮说:“二少爷,麻烦您把包儿打开吧!”连伙计们也不上来帮把手。黄老板拿个尺子,把包里的衣服一件件挑出来,往旁边一甩,同时嘴里叫个价钱,好赛估衣街上卖布头的。最后结账时,全是伙计的事,黄老板人到后边喝茶抽烟去了。黄老板自以为摸透了蔡家的命脉。可近两年这脉相可有点古怪了。
蔡家二少爷忽然不卖旧衣,反过来又隔三差五派人叫他到蔡家去。海阔天空地先胡扯半天,扭身从后边柜里取出一件东西给他看。件件都是十分成色的古玩精品。不是康熙五彩的大碟子,就是一把沈石田细笔的扇子。二少爷把东西往桌上一撂那神气,好赛又回到十多年前。黄老板说:“真是瘦死的骆驼比马大,二少爷的箱底简直没有边啦!东西卖了快二十年,还是拿出一件是一件!”蔡二少爷笑笑,只淡淡说一句:“我总不能把祖宗留下来的全卖了,那不成败家子了吗?”可一谈价就难了,每件东西的要价比黄老板心里估计的卖价还高,这在古玩里叫做:脖梗价。就是逼着别人上吊。像蔡家这种人家卖东西,有两种卖法:一是卖穷,一是卖富。所谓卖穷,就是人家急等着用钱,着急出手,碰上这种人,就赛撞上大运;所谓卖富,就是人家不缺钱花,能卖大价钱才卖。遇到这种人,死活没办法。蔡二少爷一直是卖穷,嘛时候改卖富了?
一天,北京琉璃厂大雅轩的毛老板来到敬古斋。这一京一津两家古玩店,平日常有往来,彼此换货,互找买主,熟得很。
毛老板进门就瞧见古玩架上有件东西很眼熟,走近一看,一个精致的紫檀架上,放着一叠八片羊脂玉板刻的《金刚经》,馆阁体的蝇头小字,讲究之极,还描了真金。他扭脸对黄老板说:“这东西您打哪来的?”脸上的表情满是疑惑。
黄老板说:“半个月前新进的,怎么?”
毛老板追问一句:“谁卖您的?”
黄老板眼珠一转,心想你们京城人真不懂规矩,古玩行里,对人家的买主或卖主都不能乱打听。他笑了笑,没搭茬。
毛老板觉出自己问话不当。改口说:“是不是你们天津的蔡二少爷匀给您的?这东西是打我手里买的。”
黄老板怔住。禁不住说:“他是卖主呀!怎么还买东西?”
毛老板接过话:“我一直以为他是买主,怎么还卖,
要不我刚才问你。”
两人大眼对小眼,都发傻。
毛老板忽指着柜上的一个大明成化的青花瓶子说:“那瓶子也是我卖给他的!他多少钱给您的?我可是跟白扔一样让给他的。”
毛老板还蒙在鼓里,黄老板心里头已经真相大白。他不能叫毛老板全弄明白。待毛老板走后,他马上对伙计们说:“记住,蔡二少爷不能再打交道了。这王八蛋卖东西卖出能耐来了,已经成精了!”