Xiāo Hóng 萧 红 (si veda la sua biografia alla rubrica “Prosa Cinese) ebbe vita breve, ma intensa.
Il brano che segue è tratto dalla raccolta di novelle “Via del Commercio” (商市街 “shāng shìjiē”), terminata nel 1935 e pubblicata a Shānghài nel 1936, in cui Xiāo Hóng descrive, sotto forma di un diario non datato, la sua vita a Harbin nel periodo dell’occupazione giapponese.
La scena che vi si racconta può essere datata, in base a ciò che sappiamo delle vicende dell’autrice, al mese d’agosto dell’anno 1932.
HOTEL EUROPA
La scala era così lunga che mi dava l’impressione di salire fino al cielo. In realtà erano soltanto tre piani, ma mi lasciarono esausta. Con la mano aggrappata alla ringhiera, mi sforzai di sollevare le gambe vacillanti, che sembravano non appartenere più al mio corpo, ma, dopo qualche gradino, anche le mani cominciarono a tremare come le gambe.
Appena entrata nella stanza, andai a stendermi sul letto come una bambina imbronciata, asciugandomi lentamente il volto con la manica della giubba.
Láng Huá (1), il mio amante- sì, a quell’epoca, era ancora il mio amante - mi domandò: “Perché piangi?”.
“Perché dovrei piangere? Non sono lacrime. Mi sto solo asciugando il sudore”.
Passò qualche minuto prima che mi rendessi conto che nella stanza tutto era bianco, che il soffitto era fatto di assi inclinate (2) e che, tolto il letto, il solo mobilio era costituito da un tavolo e da una poltrona di vimini. Alzandosi dal letto, non occorreva più di un passo o due per raggiungere il tavolo e la poltrona. Aprire la porta era facile, poiché lo si poteva fare senza levarsi dal letto. Mi muovevo in quel piccolo spazio tutto bianco come se mi trovassi avvolta dalla velatura di una barca. Avevo la gola secca. Dissi a Láng Huá: “Dovrei bere un sorso d’acqua”.
Fece per andare a prendermi dell’acqua, ma si fermò assai preoccupato. Aggrottò le sopracciglia, arricciò il naso: “ Come farai a bere? Non c’è nemmeno un bicchiere”.
Sul tavolo, salvo una tovaglia d’un bianco immacolato, non c’era nulla, neppure un granello di polvere.
Fui presa da un leggero senso di nausea. Dal letto, lo sentii parlare un momento con un cameriere nel corridoio, poi sentii cigolare la porta e lui si avvicinò al letto.
M’ero aspettata che mi portasse un bicchier d’acqua, ma non era così. Mi si avvicinò mostrandomi le palme delle mani, aperte: “Che cosa potremmo usare per bere? Che fare? E se prendessimo la bacinella...”.
Mentre stava prendendo la bacinella, che era posata sulla poltrona di vimini, scorse, sotto l’asciugamano, la ciotola di terracotta che serviva per risciacquarsi la bocca, la prese ed uscÌ.
Il silenzio nel corridoio era così profondo che, al suo ritorno, sentii distintamente il rumore dei suoi passi sulle assi del pavimento.
Mentre bevevo, carezzavo con mano tremante le lenzuola bianche.
“Mettiti giù! Sei troppo stanca.”
Obbedii, continuando a far scorrere le dita sulla stoffa, i cui ricami a fiori, di un bianco quasi accecante, mi abbarbagliavano gli occhi.
“Niente male, davvero,” pensai “ per una come me che non ha nemmeno un lenzuolo”.
Lui espresse ad alta voce ciò che io avevo pensato: “ Credevo che avremmo dormito sul bancone ed invece abbiamo addirittura un cuscino”. Detto questo, si mise a tamburellare con le dita sul cuscino che avevo sotto il capo.
“Toc...toc”. Si sentì bussare alla porta ed entrò una donna robusta, una cameriera russa, seguita da un cameriere cinese.
“Vi forniamo anche lenzuola e coperte?”.
“Sì”.
“Sono cinquanta centesimi al giorno”.
“Allora non le prendiamo” dissi subito io.
“Non le prendiamo” ripetè Láng Huá.
La donna cominciò a tirar via ogni cosa: il soffice cuscino, le lenzuola, persino la tovaglia che stava sul tavolo. Le lenzuola, e tutto il resto, finirono sotto la sua ascella. In un secondo tutto il bianco sparì dalla cameretta sulla scia del foulard colorato della matrona.
Nonostante le gambe molli e la fame che mi attanagliava lo stomaco, dovetti alzarmi e trascinarmi fino al bauletto di vimini per tirarne fuori la mia trapunta.
Sembrava che nella stanzetta fossero passati i ladri. Sul letto era rimasto soltanto un pagliericcio sfondato, sul malandato tavolo di legno si vedevano macchie nere e aureole bianche, si sarebbe detto che la stessa poltrona di vimini aveva cambiato colore.
Prima di metterci a mangiare, ci baciammo e ci abbracciammo sul pagliericcio.
Poi disponemmo il pasto sul tavolo: pane nero (3) e sale.
Avevamo appena finito di mangiare che cominciarono i guai.
La porta si spalancò e tre o quattro uomini, vestiti di nero, armati di fucili e di sciabole, fecero irruzione nella stanza.
Per prima cosa, immobilizzarono Láng Huá, che, a torso nudo, si stava lavando ed aveva le mani tutte bagnate. Poi, un paio di loro aprirono il bauletto e ci rovistarono dentro un bel momento.
“La direzione dell’albergo ci ha riferito che avete un’arma. È vero?” ci chiese l’uomo con la sciabola e tirò fuori da sotto il letto un lungo rotolo di carta nel quale era avviluppata una spada.
“Da dove salta fuori questa roba?” ci domandò mentre, disfatto il rotolo, faceva ballare le nappe di color rosso vivo che ornavano l’elsa della spada.
Sulla soglia della camera, il direttore dell’albergo, un Russo, che ci aveva denunciati, agitava le mani, il volto congestionato.
I poliziotti volevano portare Láng Huá in commissariato. Lui si preparava a seguirli, ma non riusciva a trattenersi dal borbottare:” Perché controllate solo me con tanta attenzione? Ce l’avete con me?”.
Alla fine i poliziotti si ammansirono e gli lasciarono libere le braccia, ma Láng Huá dimenticò di rimettersi la camicia. Nel frattempo le sue mani si erano asciugate da sole.
L’origine della faccenda risaliva al momento in cui il Russo Bianco (4) era venuto a reclamare il pagamento della pigione: due yuán al giorno, cioè sessanta yuán al mese. Noi avevamo soltanto cinque yuán perché il poco denaro di cui disponevamo avevamo dovuto darlo quasi tutto al carrettiere che ci aveva portati all’albergo con i nostri bagagli.
“Dovete pagarmi la pigione in anticipo.” ci aveva detto. Sembrava avesse intuito che non avevamo su di noi il becco di un quattrino. Aveva fretta, come se temesse di vederci scappare da un momento all’altro. Afferrato il biglietto da due yuán che gli porgevamo, aveva aggiunto: “Il resto dei sessanta yuán per domani, assolutamente”. “S’erano pattuiti trenta yuán al mese, tenendo conto che la piena del fiume Sōnghuā terrà lontani i viaggiatori per un po’di tempo” (5) gli avevamo risposto. Allora s’era messo a gridare, gesticolando: “Domani vi farò smammare. Domani andrete fuori dai piedi”.
“Non ce ne andremo. Non ce ne andremo affatto.” aveva replicato Láng Huá.
“ Ve ne andrete, eccome.” aveva ribattuto l’altro “Sono io il padrone, qui”.
Era stato allora che Láng Huá aveva tirato fuori la spada da sotto il letto e gliel’aveva agitata dinanzi al naso minacciando: “Se provate a cacciarci via, vi faccio a pezzi.”
Il direttore dell’albergo, terrorizzato, era corso dalla polizia a denunciarci, riferendo che noi eravamo in possesso di un’arma pericolosa. In realtà, poiché la spada era ancora avviluppata nel rotolo di carta, l’aveva presa per un fucile. (6)
Finì che il poliziotto sequestrò l’arma a Láng Huá, ammonendolo: “ Se l’avessero trovata i Giapponesi (6), l’avresti vista brutta. Non è lecito portare armi con sé. Ti avrebbero accusato di essere un bandito o un guerrigliero. (7) Per questa notte la spada la tengo io. Se vuoi, vieni a riprendertela domani”.
Partiti i poliziotti, spegnemmo la lampada e chiudemmo la porta a chiave.
Dalla finestra filtrava la pallida luce dei lampioni.
Ci coricammo.
Mentre ero a letto non potevo fare a meno di pensare: “Per fortuna che i poliziotti erano cinesi. Chissà come sarebbe andata a finire se ci fossero capitati addosso i Giapponesi”.
Stava spuntando l’alba. Erano appena due giorni che avevamo lasciato la casa dell’amico che ci aveva fino allora ospitati.
NOTE
1) Láng Huá è il nome con cui l’autrice indica Liú Hónglín 劉 鴻 霖, il giornalista della “Rivista associativa internazionale” (国 际协 报 “guójì xié bào ) di Harbin, che la salvò,in circostanze avventurose, quando stava per essere venduta al proprietario di un bordello. In seguito i due andarono a vivere insieme. La scena qui descritta si riferisce ai primi tempi della loro convivenza. Anche Liú Hónglín divenne, più tardi, uno scrittore famoso, sotto lo pseudonimo di Xiāo Jūn 蕭 軍.
2) La stanzetta presa in affitto dai due era evidentemente una mansarda, situata nel sottotetto dell’albergo.
3) Il termine 列巴( “lièba”) è usato nei dialetti della Cina nordorientale per indicare il pane. Deriva dal russo хлеб (“pane”) e designa in particolare la “grande pagnotta (大 列 巴 “dà lièba”) di Qiūlín”, prodotto tipico della città di Harbin, venduto dai Grandi Magazzini Churin (秋 林 集 团 “qiūlín jítuán), fondati nel 1904 dal russo Ivan Yakovlevich Churin.
4) Harbin ospitò , dagli ultimi anni dell’Ottocento sino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, un’importante comunità russa che, nei primi anni venti, in seguito all’emigrazione di cittadini russi che fuggivano dalla Rivoluzione, giunse a contare circa 120.000 persone. Tale comunità fu dispersa quando, nel 1945, le truppe sovietiche occuparono la città, che consegnarono nel 1946 all’Armata di Liberazione Popolare. Gli emigrati russi erano chiamati i “Bianchi”, in contrapposizione ai rivoluzionari sovietici, che erano detti i “Rossi”.
5) Il testo cinese dice semplicemente “ a causa della piena del fiume Sōnghuā”( 为 了 松 花 江 涨 水 “ wèile sōnghuā jiāng zhǎng shuǐ”), ma mi è parso che l’espressione potesse essere interpretata in un solo modo: la stanza era stata affittata a basso prezzo perché la piena del fiume Sōnghuā, bloccando le vie di comunicazione, teneva lontani i viaggiatori da Harbin ed aveva quindi ridotto la richiesta di camere d’albergo.
6) Non è ben chiaro per quale ragione il direttore dell’albergo avrebbe dovuto spaventarsi di meno se si fosse reso conto di essere minacciato con una sciabola anziché con un fucile. Forse la sciabola in possesso di Láng Huá era un’arma da parata, senza taglio e quindi assai poco pericolosa.
7) Le truppe giapponesi avevano occupato Harbin il 4 febbraio 1932. L’occupazione giapponese della città durò sino al 1945.
8) Il termine 大刀会 (“dàdāohuì”) designa la “Società della Grande Sciabola”, una società segreta degli ultimi anni della dinastia Qīng, nata come branca della “Società del Loto Bianco” (白莲教 “báiliánjiào”) e coinvolta in attività antioccidentali all’epoca della rivolta dei Boxers. Qui il termine è usato in senso generico per indicare ribelli, banditi e guerriglieri. Il 大刀 era una sciabola lunga dai 60 ai 90 cm., con la lama simile a quella di una scimitarra, largamente in uso sino ai primi decenni del secolo scorso. La polizia giapponese non andava molto per il sottile e considerava come un ribelle chiunque fosse trovato in possesso di un’arma, anche se praticamente inoffensiva come la spada appartenente a Láng Huá.
《欧罗巴旅馆》
楼梯是那样长,好象让我顺着一条小道爬上天顶。其实只是三层楼,也实在无力了。手扶着楼栏,努力拔着两条颤颤的,不属于我的腿,升上几步,手也开始和腿一般颤。
等我走进那个房间的时候,和受辱的孩子似的偎上床去,用袖口慢慢擦着脸。他——郎华,我的情人,那时候他还是我的情人,他问我了:“你哭了吗?”
“为什么哭呢?我擦的是汗呀,不是眼泪呀!”
不知是几分钟过后,我才发现这个房间是如此的白,棚顶是斜坡的棚顶,除了一张床,地下有一张桌子,一围藤椅。离开床沿用不到两步可以摸到桌子和椅子。开门时,那更方便,一张门扇躺在床上可以打开。住在这白色的小室,我好象住在幔帐中一般。我口渴,我说:“我应该喝一点水吧!”
他要为我倒水时,他非常着慌,两条眉毛好象要连接起来,在鼻子的上端扭动了好几下:“怎样喝呢?用什么喝?”
桌子上除了一块洁白的桌布,干净得连灰尘都不存在。
我有点昏迷,躺在床上听他和茶房在过道说了些时,又听到门响,他来到床边。我想他一定举着杯子在床边,却不,他的手两面却分张着:
“用什么喝?可以吧?用脸盆来喝吧!”
他去拿藤椅上放着才带来的脸盆时,毛巾下面刷牙缸被他发现,于是拿着刷牙缸走去。
旅馆的过道是那样寂静,我听他踏着地板来了。
正在喝着水,一只手指抵在白床单上,我用发颤的手指抚来抚去。他说:
“你躺下吧!太累了。”
我躺下也是用手指抚来抚去,床单有突起的花纹,并且白得有些闪我的眼睛,心想:不错的,自己正是没有床单。我心想的话他却说出了!
“我想我们是要睡空床板的,现在连枕头都有。”说着,他拍打我枕在头下的枕头。
“咯咯——”有人打门,进来一个高大的俄国女茶房,身后又进来一个中国茶房:
“也租铺盖吗?”
“租的。”
“五角钱一天。”
“不租。”“不租。”我也说不租,郎华也说不租。
那女人动手去收拾:软枕,床单,就连桌布她也从桌子扯下去。床单夹在她的腋下。一切都夹在她的腋下。一秒钟,这洁白的小室跟随她花色的包头巾一同消失去。
我虽然是腿颤,虽然肚子饿得那样空,我也要站起来,打开柳条箱去拿自己的被子。
小室被劫了一样,床上一张肿胀的草褥赤现在那里,破木桌一些黑点和白圈显露出来,大藤椅也好象跟着变了颜色。
晚饭以前,我们就在草褥上吻着抱着过的。
晚饭就在桌子上摆着,黑“列巴”和白盐。
晚饭以后,事件就开始了:
开门进来三四个人,黑衣裳,挂着枪,挂着刀。进来先拿住郎华的两臂,他正赤着胸膛在洗脸,两手还是湿着。他们那些人,把箱子弄开,翻扬了一阵:
“旅馆报告你带枪,没带吗?”那个挂刀的人问。随后那人在床下扒得了一个长纸卷,里面卷的是一支剑。他打开,抖着剑柄的红穗头:
“你哪里来的这个?”
停在门口那个去报告的俄国管事,挥着手,急得涨红了脸。
警察要带郎华到局子里去。他也预备跟他们去,嘴里不住地说:“为什么单独用这种方式检查我?妨碍我?”
最后警察温和下来,他的两臂被放开,可是他忘记了穿衣裳,他湿水的手也干了。
原因日间那白俄来取房钱,一日两元,一月60元。我们只有五元钱。马车钱来时去掉五角。那白俄说:
“你的房钱,给!”他好象知道我们没有钱似的,他好象是很着忙,怕是我们跑走一样。他拿到手中两元票子又说:“60元一月,明天给!”原来包租一月30元,为了松花江涨水才有这样的房价。如此,他摇手瞪眼地说:“你的明天搬走,你的明天走!”
郎华说:“不走,不走……”
“不走不行,我是经理。”
郎华从床下取出剑来,指着白俄:
“你快给我走开,不然,我宰了你。”
他慌张着跑出去了,去报告警察,说我们带着凶器,其实剑裹在纸里,那人以为是大枪,而不知是一支剑。
结果警察带剑走了,他说:“日本宪兵若是发现你有剑,那你非吃亏不可,了不得的,说你是大刀会。我替你寄存一夜,明天你来取。”
警察走了以后,闭了灯,锁上门,街灯的光亮从小窗口跑下来,凄凄淡淡的,我们睡了。在睡中不住想:警察是中国人,倒比日本宪兵强得多啊!
天明了,是第二天,从朋友处被逐出来是第二天了。