Capitolo IX
Eliminato il tiranno, Lǚ Bù si allea con il Primo Ministro .
Su consiglio di Jiă Xŭ, Lĭ Jué attacca Cháng’Ān.
I. Chi era la persona che si scontrò conDŏng Zhuó? Era Lĭ Rú.
Lĭ Rú aiutò subito Dŏng Zhu ó a rialzarsi e lo accompagnò nel suo studio, dove si sedettero.
“Che ci fai qui?” gli chiese Dŏng Zhuó.
“Ero appena arrivato alle porte della vostra residenza” gli rispose Lĭ Rú “quando m’è stato detto che voi eravate corso, tutto infuriato, verso gli appartamenti privati in cerca di Lǚ Bù . Mi sono affrettato a venir qui e ad un tratto mi è apparso Lǚ Bù, che correva verso l’uscita urlando: “Il Gran Cancelliere vuole uccidermi”. Stavo correndo verso il giardino per cercare di calmarvi, quando, improvvisamente, mi sono scontrato con voi. Merito la morte! È vero, merito la morte!”.
Zhuó sbottò: “ Non riesco a sopportare che quel traditore giochi con la mia concubina. Giuro che lo ucciderò”.
Rú lo interruppe: “No, Eccellenza. Sarebbe un errore. Ricordatevi che, nei tempi antichi, durante il famoso
banchetto nel quale “fu strappato il sottogola”, il re Zhuāng di Chŭ rinunciò a scoprire e a punire chi aveva pizzicato sua moglie. (1) Qualche tempo dopo, quando il re fu circondato dall’esercito di Qín, uno dei suoi cortigiani, Jiăng Xióng, rischiò la vita per salvarlo. Tenete presente che Diāo Chán è una ragazza come se ne possono trovare tante, mentre Lǚ Bù è uno dei vostri più coraggiosi e fedeli ufficiali. Signor Gran Cancelliere, se voi decideste di lasciare Chán a Lǚ Bù , costui ve ne sarebbe enormemente grato e sarebbe certamente disposto a morire per voi. Per favore, pensateci bene.”
Zhu ó borbottò a lungo, poi disse: “ Mi sembra che il tuo suggerimento sia sensato. Ci penserò bene”.
II. Rú lo ringraziò e se ne andò.
Rientrato nelle sue stanze, Zhuó fece chiamare Diāo Chán e le domandò: “Dimmi, sei innamorata di Lǚ Bù ?”.
Diāo Chán scoppiò in pianto: “ Stavo ammirando i fiori nel giardino dietro casa, quando, d’improvviso, mi si è
avvicinato Lǚ Bù . Mi sono spaventata ed ho cercato di allontanarmi, ma lui m’ha detto: “Sono il figlio adottivo del Gran Cancelliere. Per quale ragione non dovremmo poter parlare insieme?”e, con l’alabarda in mano, mi ha praticamente costretta ad accompagnarlo fino al Padiglione delle Fenici. Io capivo che non era bene intenzionato e temevo che mi facesse violenza. Ho cercato di gettarmi nel laghetto per morire, ma quel furfante mi si è buttato addosso e mi ha trattenuta. Proprio mentre stava per accadere il peggio, voi siete arrivato e mi avete salvata.”
Dŏng Zhuó le chiese, a questo punto: “Se io adesso prendessi in considerazione l’idea di cederti a Lǚ Bù , che cosa ne penseresti?”.
Diāo Chán assunse subito un’aria afflitta e rispose piangendo: “Io ora sono la donna di un uomo ricco e potente e voi vorreste farmi ridiventare una poveraccia. Preferirei morire, piuttosto che subire una tale umiliazione.” e, afferrata una spada appesa al muro, fece l’atto di piantarsela nel ventre.
III. Dŏng Zhuó le strappò la spada di mano ed abbracciandola si affrettò a consolarla: “Stavo solo scherzando”.
Diāo Chán si abbandonò tra le sue braccia, si coprì il viso con le mani e cominciò a singhiozzare.”Deve essere stata un’idea di Lĭ Rú:” si lamentava” Lui e Lǚ Bù sono grandi amici ed è certo per questo che ha pensato ad un così bel progetto. Lĭ Rú non si preoccupa né della vostra reputazione né della mia felicità. Vorrei mangiarlo vivo.”
“Come potrei mai lasciarti?” le mormorava Zhuó.
“So che voi mi volete bene, Eccellenza” continuò Diāo Chán “ ma ho paura a restare ancora qui. Sento che, un giorno o l’altro, Lǚ Bù riuscirà a farmi del male”.
“Domani partiremo insieme per il Forte Méi.” la rassicurò Zhuó” Sii serena e non preoccuparti di nulla”.
Allora Diāo Chán smise di piangere e lo ringraziò di tutto cuore.
IV. Il giorno seguente Lĭ Rú si presentò a Dŏng Zhuó e gli disse: “Oggi è un giorno propizio. Sarebbe il momento giusto per mandare Diāo Chán a casa di Lǚ Bù ”.
“Lǚ Bù è mio figlio adottivo.” gli rispose Zhuó “Sarebbe sconveniente che prendesse come concubina una donna che ha condiviso il letto di suo padre. Io non gli serbo rancore e ciò chiude la questione. Riferiscigli
quanto ti ho detto e trova, da parte tua, le parole giuste per fargli capire che continuiamo a stimarlo. Mi pare che dovrebbe bastare.”.
“Signor Gran Cancelliere” obiettò ancora Rú “ Non sta bene perdere la testa per una donna”.
“Certo” gli rispose Zhuó sarcastico “ Tu invece sei uno che a Lǚ Bù cederebbe immediatamente anche la moglie, non è vero? Quanto a Diāo Chán, non osar più dire una parola su di lei o ti faccio tagliare la testa”.
Lĭ Rú se ne andò. Uscendo, levò gli occhi al cielo e mormorò, sospirando : “ Quella donna sarà la nostra rovina”.
I posteri, che lessero di questo episodio, composero al riguardo un’elegia:
V. “Il brillante piano del Primo Ministro metteva in campo una donna affascinante
senza che ci fosse così bisogno di usare le armi o di ricorrere ai soldati.
Tre successive battaglie furono combattute senza esito al valico di Hŭláo,
ma alla fine il trionfo giunse, inaspettato, dal Padiglione delle Fenici.”
VI. Quello stesso giorno, Dŏng Zhuó diede l’ordine di ritornare al Forte Méi e tutti i ministri ed i dignitari vennero a salutarlo.
Dalla sua carrozza, Diāo Chán scorse lontano, in mezzo alla folla, Lǚ Bù che la fissava intensamente. Allora si coprì il volto come se stesse piangendo senza ritegno.
Lǚ Bù salì col cavallo in cima ad una collinetta e, guardando fisso la polvere sollevata dalle ruote della carrozza, sospirò amaramente. Qualcuno, alle sue spalle, gli domandò: “ Marchese di Wén, perché non siete partito con il Gran Cancelliere, invece di star qui a guardare e a sospirare?”. Lǚ Bù si voltò sorpreso e vide non lontano da sé il primo ministro Wáng Yún.
VII. Quando furono l’uno di fronte all’altro, Yún disse: “ Nei giorni scorsi ho sofferto di influenza e non sono
potuto uscire di casa, cosicché per un po’di tempo non ho avuto occasione di incontrarvi, ma oggi il Gran Cancelliere è ritornato al Forte Méi ed io, malato o non malato, son dovuto venire a salutarlo. In fondo, è stata una fortuna perché così ho potuto vedervi. Se mi permettete la curiosità, perché avete un aspetto così triste?”.
Bù gli rispose: “Sono triste proprio a causa di vostra figlia”.
Yún si finse sorpreso: “ Credevo che fosse ormai con voi dopo tutto questo tempo”.
Bù rispose: “ In tutto questo tempo il vecchio farabutto si è premurato di dedicarle le sue migliori attenzioni”.
“Non posso crederci” replicò Yún, fingendosi ancor più stupefatto.
Allora Bù gli raccontò tutta la storia. Yún sollevò lo sguardo al cielo, battè i piedi, rimase zitto per un bel momento, infine, dopo parecchi minuti, dichiarò: “ Non avrei mai creduto che il Gran Cancelliere potesse comportarsi in modo così ignobile”. Poi, prendendolo per mano, gli disse: “Venite a casa mia. Lì potremo continuare a discutere con calma”.
Bù lo seguì fino a casa e Yún lo fece entrare in uno studiolo appartato, dove gli offrì una coppa di vino.
Bù gli ripetè il racconto di ciò che era accaduto al Padiglione delle Fenici.
Yún disse: “Il Gran Cancelliere ha disonorato mia figlia e vi ha portato via con la forza la moglie che vi era
stata promessa. Ora, questa storia sta facendo ridere tutto l’impero, ma chi ci fa la figura dell’imbecille non è il Gran Cancelliere, siamo voi ed io, Generale. Io, purtroppo, sono ormai vecchio ed indebolito dall’età ed è
superfluo ricordarlo, ma voi, Generale, voi che siete un uomo coraggioso e di immenso prestigio, come fate a sopportare anche voi una simile umiliazione?”.
VIII. Fuori di sé dalla rabbia, Lǚ Bù diede un gran pugno sul tavolo e si lasciò sfuggire un urlo.
Yún si affrettò a scusarsi: “Forse ho detto qualcosa che non avrei dovuto dire. Vi prego, calmatevi.”
Bù rispose: “Giuro che ammazzerò quel vecchio cialtrone. Ecco come mi vendicherò della vergogna che mi sta facendo subire”.
Yún gli mise subito una mano dinanzi alla bocca: “State zitto, Generale! Non compromettetemi!”.
Bù non si fermò: “ Come può un uomo di carattere resistere a lungo al servizio di un simile individuo?”
Yún osservò: “Onestamente, un uomo delle vostre qualità, Generale, non può essere lo zimbello di Dŏng Zhuó”.
Bù stava ora riflettendo: “L’unico scrupolo che mi trattiene ancora dall’ucciderlo è la mia situazione di figlio
adottivo. Non vorrei che un simile atto nei confronti del mio padre adottivo fosse qualcosa di cui dovessi poi vergognarmi”.
Yún sorrise: “Generale, il vostro cognome è Lü, il cognome del Gran Cancelliere è Dŏng. Quanto all’affetto, vi sembra che, quando vi ha scagliato addosso l’alabarda, vi abbia dimostrato un grande amore paterno?”.
Bù gli rispose tutto eccitato: “Se non potessi contare sui vostri consigli, Signor Primo Ministro, quanti sbagli
continuerei a fare”.
IX. Vedendo che Bù stava ormai decidendosi, Yún aggiunse: “ Generale, se voi sosterrete l’imperatore, sarete
considerato come un ufficiale leale ed il gesto che intendete compiere vi farà ricordare con grandi elogi nei libri di storia. Se, invece, doveste rimanere fedele a Dŏng Zhuó, sareste menzionato fra coloro che hanno tradito l’imperatore e gli storici futuri vi ricorderebbero come un infame”.
Bù si alzò e si inchinò, poi disse: “Ho già preso la mia decisione. Non abbiate dubbi, Signor Primo Ministro”.
Yún gli rispose: “Il mio solo timore è che, se non doveste riuscire nell’intento, ci siano terribili conseguenze per
tutti”.
Per mostrare la propria determinazione, Bù estrasse il pugnale e si fece un taglio sul braccio, dal quale sgorgò il sangue.
Yún si inchinò e lo ringraziò: “Se la dinastia degli Hàn sopravviverà, sarà per merito vostro, Generale. Qualunque cosa accada, mantenete il segreto. Al momento opportuno vi farò,naturalmente, conoscere il mio piano”.
X. Bù promise con tutto il cuore e prese congedo.
Allora Yún convocò Shìsūn Ruì, assistente del tesoriere privato, e Huáng Wăn, capitano dei gendarmi, per consultarsi con loro.
Ruì disse: “Sua Maestà si è appena ristabilito da un’influenza. Potremmo inviare al Forte Méi qualcuno che sappia parlare bene per riferire a Dŏng Zhuó che Sua Maestà intende conferire con lui sugli affari di Stato e per convocarlo ad un’udienza. Nello stesso tempo, potremmo fare in modo che l’imperatore autorizzi segretamente Lǚ Bù a far entrare dei soldati all’interno del palazzo. Per recarsi dall’Imperatore, Dŏng Zhuó dovrà passare dove saranno nascosti i soldati e così potremo farlo uccidere.Mi sembra un buon piano”.
Wăn domandò: “Chi si azzarderà ad andare da Dŏng Zhuó?”
Ruì rispose: “Il capitano di cavalleria Lĭ Sù è compaesano di Lǚ Bù e nutre segretamente rancore nei confronti di Dŏng Zhuó perché non è stato promosso. Se mandiamo lui, Dŏng Zhuó non sospetterà di nulla”.
Yún esclamò : “Perfetto”.
In seguito, i congiurati fecero venire anche Lǚ Bù per definire insieme i dettagli del piano. Lǚ Bù osservò: “Qualche anno fa fu proprio Lĭ Sù che mi spinse ad uccidere Dīng Yuán . Ora non può tirarsi indietro. Se lo facesse, non avrei scrupoli ad ucciderlo.”.
Poi fu mandato qualcuno, di nascosto, a convocare Lĭ Sù .
XI. Bù disse a Sù: “Qualche anno fa mi convincesti ad uccidere Dīng Yuán ed a passare dalla parte di Dŏng
Zhuó, ma ora la situazione è cambiata: Dŏng Zhuó sta ingannando l’Imperatore ed opprime il popolo. Ha già compiuto innumerevoli atti di crudeltà ed è odiato e disprezzato da tutti. Tu dovresti portare al Forte Méi
un editto imperiale che convochi Dŏng Zhuó a Corte per un’udienza. Quando si presenterà, i miei soldati lo
uccideranno. In questo modo restaureremo l’autorità della dinastia Hàn e saremo considerati ufficiali fedeli al governo legittimo. Che cosa ne pensi?”.
Sù rispose: “È da tempo che pensavo alla necessità di eliminare quel farabutto e mi dispiaceva di non trovare nessuno che avesse le mie stesse idee. Ora che conosco le tue intenzioni, mi sembra una benedizione celeste. A questo punto, come potrei ancora avere dei dubbi?”.
Poi, spezzò una freccia per affermare il proprio impegno solenne.
Yún si premurò di aggiungere: “Se riuscirete nel compito che vi è affidato, non dubitate che riceverete in premio una carica prestigiosa”.
XII. Il giorno seguente, Lĭ Sù prese con sé una dozzina di cavalieri e, alla loro testa, si diresse verso il Forte
Méi.
Quando gli fu riferito che era giunto un messaggero, latore di un editto imperiale, Dŏng Zhuó ordinò di farlo entrare.
Lĭ Sù entrò e si inchinò.
Dŏng Zhuó gli domandò: “ Che ordini mi manda l’Imperatore?”.
Lĭ Sù gli spiegò: “ Il Figlio del Cielo si è ripreso dalla malattia che lo aveva colpito ed ora vorrebbe riunire i suoi
consiglieri civili e militari nel palazzo di Wèiyāng per affrontare il problema della sua abdicazione in vostro favore. Per questo vi ha convocato a Corte?”.
Zhuó si informò: “Che cosa ne pensa Wáng Yún?”.
“Il Primo Ministro” gli rispose Sù “ ha già ordinato di erigere il palco su cui si svolgerà la cerimonia dell’abdicazione. Ormai si aspetta solo l’arrivo di Vostra Eccellenza”.
Zhuó fu felice di sapere ciò e confidò a Lĭ Sù : “Alcune notti fa, ho sognato che un drago ricopriva il mio corpo ed ecco che ora ricevo questa bella notizia. Non c`è tempo da perdere”.
Dopo aver ordinato ai suoi fidi generali Lĭ Jué, Guō Sì, Zhāng Jì e Fán Chóu di restare di guardia al Forte Méi con i tremila cavalieri del reggimento degli “Orsi Volanti”, Zhuó prese le disposizioni necessarie per ritornare in carrozza alla capitale quello stesso giorno.
Rivolgendosi a Lĭ Sù , gli disse: “ Se diventerò imperatore, ti nominerò prefetto di polizia della capitale”.
Sù lo ringraziò e gli espresse la sua indefettibile lealtà.
XIII. Zhuó si recò a salutare sua madre, che era ormai una vecchia di oltre novant’anni.
“Dove vai, figliuolo?” gli domandò la madre.
“Vado a ricevere nelle mie mani l’abdicazione dell’imperatore” le rispose Zhuó “Tu, mamma, diventerai presto
Imperatrice Madre”.
“Nei giorni scorsi “gli disse la madre “ sono stata colta da un’inquietudine inspiegabile. Temo che sia un cattivo presagio”.
“Stai per diventare la Madre della Nazione.” le rispose Zhuó “Come potresti non sentire neanche un po’ di apprensione?”, poi salutò la madre e si allontanò.
Sul punto di partire, fece chiamare Diāo Chán e le disse: “Se diventerò imperatore, tu sarai la mia Prima
Consorte.”
Diāo Chán, che già conosceva i retroscena della storia, finse di esserne felice e lo ringraziò calorosamente.
XIV. Dŏng Zhuó salì sulla carrozza, tra gli evviva di coloro che assistevano alla sua partenza ed iniziò il viaggio verso Cháng’Ān, ma non aveva ancora percorso una quindicina di chilometri che una ruota della carrozza si ruppe. Zhuó scese dalla carrozza e continuò a cavallo. Percorsi pochi chilometri, il cavallo cominciò a nitrire ed a scalciare furiosamente, tanto da rompere le redini.
Zhuó, preoccupato, domandò a Sù: “ La carrozza ha perso una ruota, il cavallo ha rotto le briglie. Non saranno mica presagi sfavorevoli?”.
“No” lo rassicurò Lĭ Sù ” Tutt’al contrario. Sono presagi favorevoli per indicarvi che dovete accettare l’abdicazione dell’imperatore. Bisogna gettar via il vecchio e prendere il nuovo. I presagi significano che d’ora in poi voi vi sposterete sulla carrozza imperiale e sostituirete la vostra vecchia sella con una sella d’oro.”
Zhuó gradì molto quest’interpretazione e credette alle parole di Sù.
XV. L’indomani, per strada, il tempo si guastò improvvisamente ed il cielo si coprì di nebbia.
“Non sarà un cattivo presagio?” domandò di nuovo Zhuó.
Sù gli rispose: “Visto che Vostra Eccellenza ascenderà presto al Trono del Drago, non potevano mancare
all’appuntamento la luce rossastra e la nebbia color porpora che simboleggiano la dignità imperiale a cui state per accedere”.
Zhuó fu nuovamente soddisfatto della spiegazione e non venne colto da alcun sospetto.
Quando giunsero ai sobborghi della capitale, tutti i ministri si fecero loro incontro a dare il benvenuto. Solo Lĭ
Rú, che era a casa con l’influenza, non potè venire a salutare.
Nei pressi della sua residenza ufficiale, Lǚ Bù venne a congratularsi con lui. “Quando sarò imperatore” gli
promise Zhuó” ti nominerò ispettore generale di tutto l’esercito”. Bù lo ringraziò e volle avere l’onore
di fare la guardia lui stesso, quella notte, dinanzi alla tenda di Zhuó.
A tarda sera, il vento portò nella tenda l’eco di una canzone che cantavano i monelli dei sobborghi. Era una canzone malinconica, le cui parole dicevano:”Ora l’erba copre tutta la pianura (2) ed è bella verde. Tra dieci giorni sarà secca.”.
Zhuó s’inquietò e domandò a Sù: “I bambini stanno dicendo che qualcuno finirà male”.
“Certamente” gli rispose Sù “Quella canzone vuol solo dire che la famiglia Liú sarà distrutta e che la famiglia
Dŏng prenderà il sopravvento”.
XVI. L’indomani, poco prima dell’alba, Dŏng Zhuó passò in rassegna i suoi aiutanti, i quali dovevano assisterlo nella cerimonia, e si diresse verso il palazzo imperiale.
Per strada gli venne incontro un prete taoista, che indossava una lunga tunica verde ed un turbante bianco. Il prete teneva in mano un lungo palo di bambù, dal quale pendeva una banderuola, lunga più di due metri, che recava scritto, a ciascuna delle due estremità, il carattere “bocca”. (3)
Zhuó domandò: “Che cosa intende farmi capire questo prete taoista?”.
“È semplicemente un tipo un po’strano” rispose Sù ed inviò alcuni soldati ad allontanarlo.
Quando Zhuó entrò nel palazzo, fu accolto da una schiera di dignitari in abito da cerimonia schierati in fila
lungo il cammino che egli doveva percorrere per recarsi dall’imperatore.
Lĭ Sù teneva in mano una spada a due tagli mentre scortava la carrozza.
Arrivati alla pusterla della porta settentrionale, i soldati di Dŏng Zhuó si fermarono fuori della porta e fu fatta entrare solo la carrozza di Dŏng Zhuó, con una piccola scorta di una ventina di persone.
Di lontano, Zhuó vide, ritti dinanzi alla porta del palazzo imperiale, Wáng Yún ed altre persone che tenevano in mano delle spade. Stupito ed impaurito, domandò a Sù: “Perché sono armati?”.
XVII. Invece di rispondere, Sù continuò a spingere avanti la carrozza. Nel frattempo, Wáng Yún si mise a gridare: “Ecco il traditore. Dove sono i soldati?” e, dai due lati del viale, sbucarono fuori più di un centinaio di armati, che si gettarono su Zhuó con lance ed alabarde. Tuttavia, Zhuó aveva indossato, sotto gli abiti da
cerimonia, un corsetto d’acciaio e così i colpi non penetrarono in profondità, pur ferendolo al petto e facendolo cadere dalla carrozza.
Zhuó cominciò ad urlare: “Dov`è mio figlio, Fèngxiān ?” ed allora Lǚ Bù sbùcò da dietro la carrozza, urlando anche lui:”Ordine imperiale di sterminare i traditori” e, con un solo colpo d’alabarda, squarciò la gola di Zhuó. Poi Lĭ Sù gli tagliò la testa e la sollevò in alto tenendola per i capelli. Tenendo l’alabarda con la sinistra, con la destra Lǚ Bù tirò fuori da una piega dell’abito l’editto imperiale per mostrarlo ai presenti e dichiarò solennemente: “L’ordine imperiale di giustiziare il ministro traditore Dŏng Zhuó è stato eseguito. Non c`è altro”. Civili e militari gridarono all’unisono: “Viva l’Imperatore!”. (4)
Nei secoli successivi fu composto sulla morte di Dŏng Zhuó il seguente poema:
XVIII.“ Se un tiranno ha successo, può diventare Imperatore.
Se gli va male, può almeno consolarsi con le ricchezze.
Ma, in questo caso,la giustizia celeste fu inesorabile.
Appena terminata, la fortezza di Méi era già in rovina.”
XIX. Lǚ Bù domandò subito:” Ora, chi andrà ad arrestare Lĭ Rú, il principale complice dei crimini di Dōng Zhuó?”.
Lĭ Sù si offrì volontario, ma, d’improvviso, si udirono urla e strepiti fuori delle porte del palazzo e qualcuno riferì che i domestici di Lĭ Rú lo avevano già legato e venivano a consegnarlo alle autorità. Wáng Yún ordinò che fosse pubblicamente giustiziato sulla piazza del mercato.
Il cadavere di Dŏng Zhuó fu trascinato per le strade della capitale ed esposto al pubblico ludibrio. Poiché Dŏng Zhuó era molto grasso, i soldati posti di guardia al cadavere versarono dell’olio nel suo ombelico e, piantatovi uno stoppino, vi diedero fuoco. Il calore generato da questa specie di candela fece uscire dal corpo tutto il grasso che si rovesciò per terra. Nessuno, tra le centinaia di cittadini che passarono lì davanti resistette alla tentazione di bersagliare la testa mozza con gli oggetti più disparati e di prendere a calci il cadavere.
Wáng Yún ordinò a Lǚ Bù , Huángfŭ Sōng e Lĭ Sù di recarsi con 50.000 soldati al Forte Méi per confiscare tutti i beni della famiglia di Dŏng Zhuó ed arrestare i suoi familiari.
XX. Non appena seppero della morte di Dŏng Zhuó e dell’imminente arrivo di Lǚ Bù , Lĭ Jué , Guō Sì , Zhāng Jì e Fán Chóu scapparono con il loro reggimento di cavalleria “ Gli Orsi Volanti”, dirigendosi , a tappe forzate, verso Liángzhōu .
Giunto al Forte Méi, Lǚ Bù si preoccupò innanzitutto di riprendersi Diāo Chán.
Huángfŭ Sōng ordinò che tutti i giovani e le fanciulle delle famiglie che, senza alcuna loro colpa, erano state installate d’autorità nel forte fossero lasciati liberi, ma fece massacrare, senza pietà, tutti i membri della famiglia di Dŏng Zhuó dal più vecchio al più giovane.
Fu così uccisa anche la madre di Dōng Zhuó. Il fratello minore Dŏng Mín ed il nipote Dŏng Huáng furono entrambi decapitati ed i loro corpi furono trascinati per le strade.
All’interno del forte i soldati confiscarono oro per un valore di centomila monete, argento per il valore di un
milione, nonché immense quantità di sete, gioielli, piatti e scorte alimentari.
Tutto ciò fu consegnato a Wáng Yún, che ricompensò generosamente i soldati ed organizzò, nel palazzo del governo, un grande banchetto al quale parteciparono ministri e dignitari, i quali brindarono al suo successo e si congratularono con lui.
XXI. Proprio nel bel mezzo del ricevimento, giunse qualcuno a riferire che, mentre il corpo di Dŏng Zhuó giaceva in strada, esposto al pubblico disprezzo, un uomo si era inginocchiato accanto al cadavere e si era messo a piangere.
Yún pensò con rabbia: “Non c`è un solo cittadino che non si sia rallegrato per la morte di Dōng Zhuó. Chi potrà mai essere costui che è l’unico ad avere l’ardire di mostrarsene addolorato?” e, rivolto ai soldati, disse loro:”Andate ad arrestarlo e portatelo qui”.
XXII. Quando l’uomo arrestato fu portato al palazzo del governo ed i dignitari lo guardarono in faccia, nessuno osava credere ai propri occhi. Il prigioniero non era infatti altri che il fedele consigliere di corte Cài Yōng.
Yún lo rimproverò: “ Dŏng Zhuó aveva tradito l’imperatore ed è stato giustiziato per i suoi crimini. Ciò è stato una fortuna per il Paese, ma voi, pur essendo un alto funzionario dello Stato, non vi rallegrate per la salvezza
della dinastia, anzi piangete per la sorte del traditore. Che cosa potete dire a vostra discolpa?”.
Yōng non cercò di giustificarsi: “Non temete. So ancora distinguere il bene dal male. Come potrei voltare le spalle al mio paese per prendere le parti di Dōng Zhuó? Mi è venuto da piangere, senza che me ne rendessi conto, solo perché un tempo siamo stati buoni amici. Riconosco di aver compiuto un grave sbaglio e vi prego di perdonarmi. Se potessi pagare il mio crimine con un marchio d’infamia sulla fronte o con l’amputazione
di un piede, ne sarei felice, perché potrei completare l’opera che sto scrivendo sulla storia della dinastia Hàn”.
XXIII. Tutti i dignitari tenevano Yōng in grande stima per le sue qualità e si sforzarono di salvargli la vita.
Il Segretario di Stato Mă Mìdī chiese un colloquio privato con Yún e gli disse: “Bójiē è un uomo di eccezionale talento. Se gli sarà consentito di portare a termine la sua Storia degli Hàn, avremo veramente un capolavoro. Inoltre, la sua lealtà verso l’imperatore non ha bisogno di essere provata. Da ultimo, temo che, se lo condanniamo a morte, perderemo l’appoggio del popolo”.
Yún gli rispose: “ Non bisogna dimenticare che ci sono stati casi analoghi già in passato. Per fare un esempio,
l’imperatore Xiàowŭ non fece uccidere Sīmă Qiān e così gli consentì di terminare la sua opera storica. (5) Con quale risultato? Con il risultato che un libro pieno di falsità è stato trasmesso alle generazioni successive. In questo momento, lo Stato è debole ed il governo è in crisi. Non possiamo consentire ad un funzionario sleale di prendere la penna approfittando dell’indecisione di un imperatore giovane ed inesperto. Se lo facessimo, gli forniremmo solo il destro di criticarci e di calunniarci”.
Mìdī tacque e si ritirò, ma, in seguito, confidandosi in privato con altri ministri, si domandò: “ A Wáng Yún non importa niente del futuro? La storia di un paese deve essere scritta da studiosi onesti. Il governo di un paese deve basarsi sulle leggi. Se noi cancelliamo la storia e non rispettiamo le leggi, come faremo a sopravvivere?”.
XXIV. Wáng Yún non seguì il suggerimento di Mă Mìdī ed ordinò che Cài Yōng fosse gettato in prigione nell’attesa di essere impiccato.
Ben presto ministri e dignitari seppero che cos’era accaduto e se ne rattristarono tutti.
I posteri ritennero che, se Cài Yōng aveva fatto male a compiangere Dōng Zhuó, la sua condanna a morte da parte di Wáng Yún era comunque stata una punizione eccessiva e composero, al riguardo, il seguente poema:
XXV. " Non c`è dubbio che Dŏng Zhuó fosse un dittatore ed un tiranno spietato,
ma perché si dovette condannare a morte un onesto e leale funzionario?
A quel tempo, Zhūgē Liàng viveva ancora a Lóngzhōng, lontano dal mondo.
Perché mai avrebbe dovuto rinunciare, in quel momento,alla propria dignità
ed intraprendere allora la sua carriera politica al servizio di ministri indegni ?”
XXVI. Nel frattempo Lĭ Jué , Guō Sì, Zhāng Jì e Fán Chóu , che si erano rifugiati nello Shănxī, mandarono un emissario a Cháng’Ān per chiedere all’imperatore un provvedimento di amnistia.
Wáng Yún disse: “ Questi quattro sono stati i principali complici di Dŏng Zhuó. Concediamo pure l’amnistia
a chiunque altro, ma non a costoro.”.
L’emissario riferì la risposta negativa a Lĭ Jué, il quale osservò: “ Se non ci viene concessa l’amnistia, ciascuno di noi dovrà scappare dove può per salvare la pelle”.
Il suo consigliere Jiă Xŭ obiettò: “ Signori, se voi lascerete che le vostre truppe si disperdano e cercherete di scappare, ciascuno per conto suo, sarete alla mercè del primo capovillaggio che vorrà arrestarvi. Non sarebbe meglio arruolare altri soldati nello Shănxī, aggiungerli alle truppe di cui già disponiamo e marciare su Cháng’Ān per vendicare Dŏng Zhuó. Se avremo successo, offriremo alla Dinastia di aiutarla a restaurare l’impero. Se ci andrà male, sarà quello il momento di fuggire”.
XXVII. Lĭ Jué fu d’accordo con il suggerimento e fece diffondere nello Xīliáng la voce che Wáng Yún intendeva distruggere tutta la provincia e massacrarne la popolazione. Tutti furono colti dal terrore. Allora Lĭ Jué fece passare il seguente messaggio: “ Perché dovreste lasciarvi sterminare senza alcuna resistenza? Ribellatevi insieme a me!”. Tutti si portarono volontari per seguirlo e fu così raccolta in breve tempo una forza di più di 100.000 uomini, che fu ripartita in quattro divisioni destinate a marciare su Cháng’Ān.
Per strada incontrarono Niú Fŭ , genero di Dŏng Zhuó e già comandante della guardia di palazzo, alla testa di cinquemila uomini. Egli voleva vendicare il suocero, così Lĭ Jué lo accolse come alleato e lo mise all’avanguardia.
I quattro generali continuarono la loro avanzata.
XXVIII. Quando Wáng Yún venne a sapere che le truppe dello Xīliáng stavano avanzando, convocò Lǚ Bù , il quale lo rassicurò: “ Niente paura, Signor Primo Ministro. Quei quattro scalzacani non meritano neanche di essere presi in considerazione” ed inviò subito Lĭ Sù , con un corpo di truppe, ad affrontare il nemico.
Sù avanzò rapidamente e piombò di sorpresa sulle truppe di Niú che si dispersero dopo aver subito forti perdite. Chi avrebbe mai creduto che, durante la notte, Niú avrebbe profittato della negligenza di Sù e che, radunati i resti delle sue truppe, avrebbe attaccato all’improvviso il campo del rivale?
I soldati di Sù fuggirono in disordine e si ritirarono per più di quindici chilometri, perdendo oltre la metà degli
effettivi.
Sù si presentò a Bù, che lo accolse furibondo. “Mi hai rovinato!” gli urlò e lo fece immediatamente decapitare,
ordinando che la testa fosse piantata in cima ad un palo all’entrata dell’accampamento.
XXIX. Il giorno seguente, Lǚ Bù lanciò un’offensiva contro Niú Fŭ , che non riuscì assolutamente a resistergli e subì una nuova, rovinosa sconfitta”.
Nella notte, Niú Fŭ convocò il suo fido consigliere Hú Chì’ér e gli disse: “ Lǚ Bù è un bravo generale e noi non
riusciremo mai a resistergli. La miglior cosa che possiamo fare è abbandonare Lĭ Jué ed i suoi tre amici e scappare, con tre o quattro uomini fidati, portandoci dietro la cassa del reggimento”.
Chì’ér si dichiarò d’accordo e, quella stessa notte, i due compari, riempiti alcuni sacchi di monete d’oro e d’argento, lasciarono di nascosto l’accampamento e fuggirono con tre o quattro domestici. Mentre stavano per guadare un fiume, Chì’ér, volendo tenere per sé l’oro e l’argento, uccise Niú Fŭ e ne portò la testa a Lǚ Bù.
Quando Lǚ Bù cominciò a domandargli che cosa fosse successo, il domestico che portava la testa si fece avanti e disse: “Chì’ér ha ucciso Niú Fŭ per rubargli i soldi”. Bù si adirò e diede subito ordine di giustiziare Chì’ér, poi riprese l’avanzata per affrontare le forze di Lĭ Jué.
Bù non attese che i nemici si schierassero, ma, brandendo l’alabarda, si lanciò al galoppo su di loro, dopo
aver ordinato ai suoi soldati di seguirlo nell’attacco. L’esercito di Jué non riuscì a sostenere l’assalto e fuggì per circa venticinque chilometri.
A sera, Jué pose il campo ai piedi di una montagna e si consultò con Guō Sì, Zhāng Jì e Fán Chóu .
“Lǚ Bù ” disse “ è coraggioso, ma è un cattivo stratega e quindi non dobbiamo preoccuparci. Io mi piazzerò con le mie truppe all’imboccatura di questa vallata e lo impegnerò ogni giorno in scontri e scaramucce. Così il generale Guō potrà attaccarlo alle spalle. Useremo, per disorientare il nemico, lo stesso metodo che usò Péng Yuè (6) per vincere Chŭ: attaccheremo suonando i gong e ci ritireremo al rullo dei tamburi. Nel frattempo, i generali Zhāng e Fán, dopo aver diviso le loro forze in due gruppi, marceranno da diverse direzioni su Cháng’Ān. Bù non sarà mai capace di parare questa manovra e così sarà sconfitto in modo disastroso”. Tutti
approvarono questo piano.
XXX. Lĭ Jué fece dunque avanzare le sue truppe contro Lǚ Bù , che si era fermato ai piedi della montagna. Bù
contrattaccò furiosamente costringendo Jué a retrocedere fino all’inizio del pendio, ma qui fu bloccato da una grandinata di pietre e di frecce che piovevano dall’alto.
Improvvisamente, gli fu riferito che le colonne di Guō Sì lo stavano attaccando alle spalle. Bù fece un rapido
dietro-front ed impegnò subito il nuovo nemico.
Le truppe di Guō Sì si ritirarono mentre ancora stavano rullando i tambùri, ma prima che Bù avesse potuto richiamare le sue truppe dall’inseguimento, si udì il suono dei gong ed i soldati di Jué ritornarono all’assalto dall’altro lato.
Ed ecco che, prima che Bù potesse prendere contatto con le truppe di Jué, Guō Sì era già ritornato all’attacco
alle sue spalle.
Ogni volta che Bù stava per attaccare, il nemico faceva rullare i tamburi e si ritirava.
Alla fine Lǚ Bù era talmente esasperato che sembrava fumare di rabbia. La cosa andò avanti in questo modo per parecchi giorni senza che Lǚ Bù riuscisse né a combattere né a riposarsi.
XXXI. Mentre Bù era esasperato da questa situazione di stallo, giunse al galoppo un messaggero con la notizia che Zhāng Jì e Fán Chóu stavano confluendo su Cháng’Ān da diverse direzioni e che la capitale era in pericolo.
Bù si diresse a marce forzate verso la capitale, inseguito da Lĭ Jué e Guō Sì che tormentavano la sua retroguardia. Bù, che desiderava soltanto giungere in fretta a Cháng’Ān, evitò di accettare battaglia, ma perse nelle continue scaramucce un buon numero di fanti e di cavalieri.
Quando giunse sotto le mura di Cháng’Ān, i ribelli avevano già potuto riunire le loro forze e circondavano ormai mura e fossato.
Le truppe di Bù non erano in buona posizione per combattere. Inoltre, spaventati dal suo carattere violento e
crudele, molti soldati disertarono e passarono ai ribelli.
Bù cominciò a perdersi d’animo.
XXXII. Alcuni giorni dopo, una quinta colonna che operava segretamente a Cháng’Ān, agli ordini di Lĭ
Meng e Wáng Fāng, antichi sostenitori di Dŏng Zhuó, aprì ai ribelli le porte della città. Le truppe ribelli penetrarono contemporaneamente in città da tutte le parti. Lǚ Bù si battè come un pazzo per fermarle , ma non ci riuscì. Allora, con un centinaio di cavalieri, corse alle porte del Palazzo Imperiale e chiamò Wáng Yún: “ La situazione è disperata, Signor Primo Ministro. Vi prego, saltate a cavallo e venite via con me. Vedremo dopo che cosa fare”.
Yún rispose: “Il mio unico obiettivo è proteggere l’imperatore e garantire la pace al paese. Se non mi rimane altra scelta che la fuga, preferisco morire per mano dei nemici. Non sono uno che è disposto a fare qualsiasi cosa per salvarsi. Ringraziate ancora, da parte mia, coloro che si sono ribellati per primi a Dŏng Zhuó nelle regioni ad est del Passo della Tigre. Hanno ben meritato della Nazione”.
XXXIII. Nonostante le ripetute insistenze di Lǚ Bù , Wáng Yún non volle fuggire.Un attimo prima che le fiamme si levassero alte fino al cielo da ciascuna delle porte della città, Lǚ Bù disse addio ai suoi familiari e, con un centinaio di cavalieri, galoppò a spron battuto fuori dalle mura, dirigendosi verso il territorio controllato da Yuán Shù.
Lĭ Jué e Guō Sì concessero ai soldati libertà di saccheggio. In questo disastro morirono il Capo del Cerimoniale
Imperiale Chóng Fú, l’Intendente Generale Lŭ Kuí, Il Ministro della Casa Imperiale Zhōu Huàn, il Comandante del Servizio di Guardia alle Porte della Città Cuī Liè ed il Capitano dei Cavalleggeri Wáng Qí.
I soldati ribelli circondarono rapidamente il nucleo centrale del Palazzo Imperiale. Allora gli assistenti dell’imperatore invitarono il sovrano a mostrarsi dalla sommità della Porta di Xuānpíng per porre fine al disordine.
Quando Lĭ Jué e gli altri videro il baldacchino dell’Imperatore, trattennero i propri uomini e si misero a gridare:
“Viva l’Imperatore”.
L’imperatore Xiàn si sporse fuori dal parapetto e domandò: “Con quali intenzioni voi che dipendete dal governo imperiale avete invaso Cháng’Ān anziché sottoporci le vostre lagnanze nelle debite forme?”.
Guardando in alto, Lĭ Jué e Guō Sì risposero: “Il Gran Cancelliere Dŏng Zhuó, uno dei più importanti ed influenti ministri di Vostra Maestà è stato fatto assassinare da Wáng Yún. Io ed i miei amici siamo venuti a vendicarlo, ma non oseremmo mai ribellarci a Vostra Maestà. Fateci consegnare Wáng Yún e ci ritireremo”.
XXXIV. Wang Yún, che stava accanto all’imperatore, sentendo queste parole disse: “Tutto ciò che ho fatto, l’ho fatto per il bene della Nazione. Ora che le cose sono giunte a questo punto, Vostra Maestà non può mettere a rischio la salvezza dello Stato per proteggermi. Prego Vostra Maestà di consegnarmi ai ribelli”.
L’imperatore esitava e non se la sentiva di prendere una simile decisione.
Allora Wáng Yún scavalcò il parapetto e si gettò giù dalla Porta di Xuānpíng urlando: “Eccomi! Sono Wáng Yún”.
Lĭ Jué e Guō Sì si gettarono su di lui con le spade in pugno. “Che delitto” gli domandarono con durezza” aveva compiuto Dŏng Zhuó per essere assassinato?”.
“I crimini del traditore Dŏng Zhuó” rispose Wáng Yún” sono troppi per poterli raccontare tutti. Il giorno in cui fu giustiziato tutti i cittadini di Cháng’Ān fecero festa. Voi siete davvero si soli a non esservene accorti”.
Jué e Sì gli dissero: “Ammesso che Dŏng Zhuó fosse un criminale, eravamo anche noi dei criminali che non meritavano di ricevere un’amnistia?”.
Wáng Yún li insultò ad alta voce: “ Ho forse bisogno di giustificarmi di fronte a dei ribelli e a dei traditori? Tanto, ormai sono un uomo morto.”
I due capi ribelli levarono le spade ed uccisero Wáng Yún proprio ai piedi della porta, là dove era caduto. Uno storico ha scritto il seguente elogio in versi di Wang Yún:
XXXV- “Lo stratagemma di Wáng Yún tolse di mezzo il ministro traditore Dŏng Zhuó.
Wáng Yún aveva a cuore il bene della Nazione e soffriva per l’Imperatore.
Il suo eroismo è come il cielo, la sua fedeltà brilla come le Stelle dell’Orsa.
Ancor oggi il suo spirito sembra aleggiare intorno al Padiglione delle Fenici.”
XXXVI. Ucciso Wáng Yún, i ribelli inviarono subito degli uomini a sterminarne i familiari senza distinzione
d’età. Non vi fu un cittadino di Cháng’Ān che non piangesse.
Poi Lĭ Jué e Guō Sì cominciarono a riflettere: “Già che ci siamo, perché non fare il gran passo e togliere di mezzo anche l’imperatore?”.
Impugnando le spade ed urlando a gran voce, penetrarono all’interno del palazzo.
Riassumendo: “Il Primo Ministro si era già dichiarato responsabile e la crisi poteva considerarsi finita, ma subito i briganti posero mano a nuovi disastri”.
Volete sapere come l’imperatore Xiàn riuscì a cavarsela? Continuate a leggere e ve lo diremo.
NOTE
(1) Lĭ Rù si riferisce ad un episodio narrato da Liú Xiàng 劉 向 (79 a.C – 8 a.C.) nel sesto capitolo dell’opera intitolata “Il Giardino delle Storie” ( 說 苑 “shuō yuàn”):
“ Re Zhuāng 莊 王 di Chŭ 楚 (613 a.C - 591 a.C) offrì un banchetto ai suoi cortigiani. Verso sera, molti degli invitati erano già alticci. Un’improvvisa folata di vento spense improvvisamente tutte le candele della sala dei banchetti e qualcuno approfittò dell’oscurità per allungare le mani sulle grazie della regina. La regina riuscì ad afferrare il sottogola del berretto da cerimonia dello screanzato, glielò strappò via e disse al marito:
“Nel buio qualcuno mi ha palpata, ma io sono riuscita a strappargli il sottogola. Fa’ portare delle candele affinché si possa scoprire chi è il colpevole di questa infamia”. Il re pensò:”La colpa è anche mia. Sono io che ho offerto vino a volontà, facendo sì che i miei ospiti si ubriacassero e dimenticassero le buone maniere. Come potrei ora, in coscienza, svergognare uno di essi per mettere in risalto la virtù di mia moglie?”. Perciò ordinò ai suoi domestici di non riaccendere le candele prima di essere passati tra gli invitati e di aver detto a ciascuno di loro che il re desiderava che si togliesse il sottogola del beretto. Quando la sala fu di nuovo illuminata, nessuno dei circa cento dignitari presenti portava più il sottogola. Così non vi furono punizioni e tutti tornarono felici a casa loro.
Tre anni dopo scoppiò una guerra fra Chŭ e Jìn 晉 ( nel Romanzo dei Tre Regni, l’autore parla, invece, di
Qín 秦) ed uno degli ufficiali del re si batté con straordinario valore, sempre in prima linea, guidando cinque assalti e mettendo ogni volta in fuga il nemico. Zhuān se ne stupì e gli domandò: “Perché hai combattuto con tanto eroismo? Io non sono uno di quei re per cui vale la pena di sacrificare la propria vita e non ti ho mai fatto particolari favori”. L’uomo rispose: “ Io vi devo la vita. Una sera di qualche anno fa, mi ubriacai e mi comportai in modo oltraggioso nei confronti della regina. Vostra Maestà si mostrò mite e fece in modo che io non fossi scoperto così da non dovermi condannare a morte. Io mi sentivo moralmente tenuto a ripagare la generosità segreta di Vostra Maestà. Ho rischiato la vita e mi sono lanciato nel più folto della mischia perché io sono “l’uomo a cui fu strappato il sottogola”.
L’esercito di Jìn fu sconfitto ed il regno di Chŭ divenne più potente.
La morale della storia è che la generosità esercitata di nascosto trova spesso pubblica ricompensa”.
(2) Il testo cinese dice letteralmente : “Oggi l’erba si stende per mille lĭ, fra dieci giorni sarà secca”. L’allusione a Dŏng Zhuó è nascosta negli elementi che compongono il carattere Dŏng 董, i quali sono precisamente 千”qiān”, 里 “lĭ” e 艹”căo”. Letti l’uno dopo l’altro essi danno l’espressione “l’erba di mille lĭ”.
(3) L’ideogramma “lǚ”吕 è composto da due “bocche” 口 (“kŏu”) sovrapposte. L’ideogramma “bù”布 significa tessuto. Il senso del messaggio costituito da due bocche dipinte su un tessuto è dunque: “Fa’attenzione a Lǚ Bù”.
(4) Appare curioso l’accentuato parallelismo tra l’assassinio di Dŏng Zhuó, come è raccontato nel Romanzo dei Tre Regni, e l’assassinio di Cesare, come è narrato da Plutarco (“Vite Parallele: Alessandro e Cesare”) e da Svetonio (“De vita Caesarum, Liber Primus, Divus Iulius). In entrambi i casi l’uccisione è preceduta da presagi
nefasti ai quali non è data importanza, da sogni inquietanti (i sogni di Dŏng Zhuó e di sua madre, da un parte,
il sogno di Calpurnia, dall’altra), da vani tentativi di avvertimento (il monaco che va incontro al corteo di Dŏng con la banderuola di tessuto su cui è scritto Il carattere Lǚ , da un lato, Artemidoro che si avvicina a Cesare e gli mette in mano un rotolo di papiro nel quale sono scritti i nomi dei congiurati, dall’altro), dall’intervento di finti amici che attirano la vittima verso il luogo dell’agguato (Lĭ Sù che induce Dŏng a recarsi a Cháng’Ān e Decimo Bruto che si presenta a casa di Cesare per sollecitarlo a recarsi in Senato), ed avviene nel centro stesso del potere (rispettivamente alla Corte dell’Imperatore ed in mezzo al Senato) di fronte ai massimi dignitari dello Stato. Entrambe le vittime ricevono la ferita mortale da uomini nei quali riponevano piena fiducia (Dŏng Zhuó da Lǚ Bù, Cesare da Marco Bruto) e persino le loro ultime parole sono simili, esprimendo incredulità
e stupore di fronte ad un tradimento assolutamente inaspettato: Dŏng Zhuó urla infatti “Dov’è mio figlio
Fēngxiàn?”, un attimo prima che Lǚ Bù gli squarci la gola con la sua alabarda, mentre Cesare esclama, secondo Svetonio, “Anche tu, o figlio?”, quando Marco Bruto leva il pugnale contro di lui.
Tante somiglianze possono spiegarsi, a mio avviso, in un solo modo: la tradizione popolare che è riflessa
in entrambi i racconti tende a mettere in evidenza, nell’assassinio di un potente, due elementi principali: l’ineluttabilità del destino che si compie comunque, nonostante i presagi, i sogni e gli avvertimenti, ed il tradimento degli uomini, che, in tal caso, è necessariamente opera dei confidenti più intimi ed addirittura di coloro che le vittime considerano quasi come figli.
(5) Sīmă Qiān 司 馬 遷 (145 o 135 a.C – 86 a.C.) , famoso storico, cadde in disgrazia sotto il regno dell’imperatore Wŭdì 武 帝 e fu condannato alla castrazione. Continuò tuttavia a scrivere le sue “Memorie Storiche”史記 “shĭjì”, che sono tuttora una fonte di informazione insostituibile per chiunque desideri conoscere le vicende dell’antica Cina. L’osservazione di Wáng Yún è probabilmente motivata dal fatto che, non essendo le “Memorie Storiche” , a differenza di altri lavori quali ad es. “Il Libro degli Hàn” 漢 書 “hànshū”,
un’opera ordinata e sponsorizzata dall’Imperatore, Sīmă Qīan non si sentì obbligato a presentarvi necessariamente la versione “ufficiale”degli avvenimenti che raccontava.
(6) Péng Yuè 彭 越 fu un generale che, all’epoca della guerra tra i regni di Chŭ楚 e Hàn 漢 , aiutò Liú Báng劉 邦, il futuro imperatore Gāozù高祖, attaccando spesso alle spalle le forze di Xiàng Yŭ 項 羽 che erano all’offensiva nella regione di Hénán. A causa della sua dubbia fedeltà, fu fatto uccidere nel 196 a.C. dall’imperatrice Lǚ Zhì呂 雉.
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